Agosto 2017: Coldplay – PARACHUTES (2000)

Parachutes

Data di pubblicazione: 10 luglio 2000
Registrato a: Matrix, Wessex, High Speed Studios (Londra), Parr Street (Liverpool), Rockfield Studios (Rockfield)
Produttore: Ken Nelson, Chris Allison & Coldplay
Formazione: Chris Martin (voce, chitarra acustica, pianoforte, tastiere), Jonny Buckland (chitarra elettrica, cori), Guy Berryman (basso), Will Champion (batteria)
Tracklist
                        Don’t panic
                        Shiver
                        Spies
                        Sparks
                        Yellow
                        Trouble
                        Parachutes
                        High speed
                        We never change
                        Everything’s not lost

 

Non abbiamo mai voluto essere solo abbastanza bravi.
Abbiamo da sempre voluto essere i migliori!
(Chris Martin)

 

Parole non certo prive di umiltà e in qualche modo stridenti quelle rilasciate dal biondo e timido leader dei Coldplay, Chris Martin, rilasciate in un’intervista per il New Musical Express nel 2002, alla presentazione del loro secondo disco, A rush of blood to the head. Denotano un’ambizione del tutto comprensibile, soprattutto per un giovanotto che intraprende un percorso artistico di un certo livello, e con determinati obiettivi da raggiungere, come quello di coniugare popolarità e qualità, ma che in un certo senso possono essere lette come esternazioni spocchiose di un presuntuoso che vuole sfidare il mondo, senza rendersi conto che il solco del pop e del rock d’autore è stato battuto da gente con del talento immenso. E se parole del genere uno le proferisce nella terra che ha dato i natali ai Beatles e ai Rolling Stones, due sono le alternative: o quello che le proferisce è un cretino presuntuoso, oppure è qualcuno dotato di un grande talento, e ne è consapevole.
Ma al di là dell’esame sulle parole di Martin o di eventuali processi alle intenzioni, una cosa è certa: che nel bene e nel male i Coldplay hanno inaugurato la stagione del pop/rock britannico del nuovo millennio, e ne sono stati gli indiscussi protagonisti, scalando classifiche e permettendosi paragoni stilistici con gente del calibro di U2 o Radiohead, e per un pezzo di strada pur senza sfigurare al confronto, e arrivando a stringere un importante (per loro, più che per il pubblico) sodalizio con Brian Eno.
I Coldplay si formano nella seconda metà degli anni ’90. Due giovani studenti della University College di Londra, Chris Martin e Jonny Buckland, si incrociano ad una festa per matricole, chiacchierano di tante cose, compresa la loro passione per la musica, e notate le varie affinità, decidono di mettere su un gruppo rock. Entrambi avevano delle esperienze in fatto di musica e strumenti. A questi si aggiunsero altri due studenti, Guy Berryman e Will Champion. In un primo momento decisero di chiamarsi Starfish, e solo successivamente, grazie ad un consiglio ricevuto da un amico di Martin, Tim Rice-Oxley, decisero di cambiarlo in Coldplay.
Iniziò un percorso fatto di primi concerti e incisioni di demo, che attireranno le attenzioni di molti dell’ambiente musicale britannico, ma che sorprendentemente attirerà le attenzioni della Parlophone, che proporrà ai quattro ragazzi un contratto. E qui iniziarono i lavori per portare a termine Parachutes, il loro acclamato disco d’esordio.
L’album seguiva alcuni promettenti ep, e nello stesso tempo, dal punto di vista squisitamente musicale, pur conservando una profonda continuità sonora fra i vari brani, non cercava di scimmiottare il brit pop degli anni ’90, ma tentava un approccio più intimista, principalmente acustico, spesso costruito sullo scheletro di pianoforte e chitarra acustica, e in più di un’occasione manteneva un rapporto di parentela più o meno stretta con i Radiohead del periodo di The bends e Ok computer, senza però ricalcarne appieno la complessità, ma favorendo maggiormente “la sostenibile leggerezza del pop”.
L’album si apre con una briosa Don’t panic, ripescata dall’ep The blue room, e qui riarrangiata, suggestiva e leggera, e prosegue con Shiver, il primo singolo estratto dall’album, forte di una forza esplosiva contagiosa, una ritmica vivace e una chitarra echeggiante lo stile di The Edge. Dopo un’apertura dedicata alla briosa vivacità, l’album si addentra in zone d’ombra, evocando panorami scarni e desolati. Ed è qui che giunge la dolante Spies, la “radioheadiana” Sparks, con un Chris Martin in gran spolvero, e che sarebbe andato tranquillamente a braccetto con Thom Yorke. Yellow interrompe invece con la sua carica di vivace energia, lanciando peraltro i Coldplay all’attenzione della scena mondiale, e forte di un videoclip epico, con tanto di Martin che canta il brano sullo sfondo di una spiaggia desolata. Un brano che è diventato un vero e proprio classico del pop britannico del nuovo millennio.
La pianistica, delicata, malinconica, Trouble riporta l’atmosfera del disco in zone d’ombra, e riallaccia i rapporti con i Radiohead di Ok computer, rivelando una qualche affinità con Karma police. Anche il videoclip di Chris Martin legato ad una sedia, nel chiaroscuro claustrofobico, ne accentua la delicata tensione melodrammatica. Segue lo schizzo acustico della title-track che poi immediatamente lega ad High speed, proveniente dalle loro primissime registrazioni, e in qualche modo echeggiante lo spirito di Jeff Buckley. We never change si destreggia con desolata eleganza, un latente senso di tristezza e un’indiscussa maestria nel saper coniugare dolcezza e inquietudine. Il disco si chiude con Everything’s not lost, un pezzo lungo oltre sette minuti, che tanto richiama John Lennon, tanto amoreggia con gli U2 e tanto si concede una coda strumentale di stampo tradizionale.
Parachutes è un disco eccellente, scarno, ma che non rinuncia agli abbellimenti e al lavoro di studio, e che nello stesso tempo rifiuta l’idea dello strafare. La sua bellezza risiede nell’anima delle canzoni, e nel cuore delicato dell’artista, ancora lontano dal tronfio intrattenitore, modello verso il quale ripiegheranno una volta ottenuto il successo planetario.
A questo disco straordinario, seguirà l’altrettanto valido A rush of blood to the head, per poi perdere per strada un talento straordinario dietro ad idee poco a fuoco e una presunzione che più che la bravura metterà in bella mostra i limiti di una band che abbandonerà la passione vera per il dozzinale sentimentalismo, confonderà la sperimentazione con il pasticciare sonorità alla rinfusa in studio, preferirà i cori da stadio alle melodie carezzevoli, e si accosterà ad uno dei suoi punti di riferimento, gli U2, prendendone in prestito più i difetti che il carisma. E se non sei dotato del carisma da leader di Bono o della genialità folle di Thom Yorke, nemmeno Brian Eno sarà in grado di operare miracoli, nonostante il corposo successo di Viva la vida, le dozzinali alzate di testa con l’altrettanto dozzinale popstar sex symbol Rihanna, e il ritorno a sonorità più soffuse con il comunque spento Ghost stories.
Quindi si può affermare di certo che i Coldplay non sono mai stati i migliori, ma Parachutes nello stesso tempo conferma che comunque la loro l’hanno detta, e l’hanno detta con passione, voglia, sentimento e coraggio. E se anche il talento vero è durato relativamente poco, la bellezza di un album come questo splendido disco d’esordio ha lasciato tracce di indiscutibile brillantezza.

 

I Coldplay sono bravissimi. Forse davvero ci hanno superato
(Bono)

Agosto 2017: Coldplay – PARACHUTES (2000)ultima modifica: 2017-08-10T08:56:45+02:00da pierrovox

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