Marzo 2019: Porcupine Tree – IN ABSENTIA (2002)

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Data di pubblicazione: 24 settembre 2002
Registrato a: Avatar Studios (New York)
Produttore: Steven Wilson
Formazione: Steven Wilson (voce, chitarre, piano, tastiere, banjo), Richard Barbieri (sintetizzatore, mellotron, organo, tastiere), Colin Edwin (basso), Gavin Harrison (batteria, percussioni), Aviv Geffen (cori), John Wesley (cori)

 

Tracklist

 

                        Blackest eyes
                        Trains
                        Lips of ashes
                        The sound of Muzak
                        Gravity eyelids
                        Wedding nails
                        Prodigal
                        3
                        The creator has a mastertape
                        Heartattack in a layby
                        Strip the soul
                        Collapse the light into earth
 

 

Si tratta di persone ai margini, ai margini dell’umanità e della società.
Ho un interesse per serial killer, molestatori di bambini e battitori di moglie…
Non in quello che hanno fatto, ma nella psicologia del perché.
Cosa li ha indotti a diventare sconvolto e contorto?
Perché non riescono a entrare in empatia?
È una specie di metafora
c’è qualcosa che manca, un buco nero,
un cancro nella loro anima.
È un’assenza nell’anima
(Steven Wilson)

 

Steven Wilson è senza dubbio uno dei protagonisti del primo decennio musicale del nuovo millennio. Numerose sono le sue collaborazioni e basta ricordare il suo evidente contributo artistico e strumentale apportato negli album Blackwater Park, Deliverance e Damnation a firma Opeth che tanti cuori oscuri del metallo più pesante hanno avvicinato in qualche modo al genere progressive inteso nella sua accezione più radicale, di ricerca dei confini e abbattimento degli stessi in progredire. Altrettanto noto il suo lavoro come produttore.
Tutte queste avventure più o meno prestigiose nelle quali si è imbarcato il nostro hanno fatto crescere il raggio di influenze sul quale lavora dai crepuscolari richiami di rock psichedelico delle origini che tanto odoravano di Tangerine Dream e Pink Floyd fino ad arrivare oggi ad un cameo di colori di difficile messa a fuoco in cui confluiscono la facile melodia del brith pop con gli impeti maestosi del metal più pesante e le boccate gassose del viaggio spaziale.
Il minimo dettaglio nella cura dei suoni è il vero protagonista di queste composizioni che colpiscono allo stomaco a livello viscerale ma fanno anche pensare in virtù dei delicati equilibri che tessono. Gravity eyelidis ne è un esempio nel ricamo di metafore siderali che sembrano infrangersi dopo i loro sette minuti. abbondanti contro un massiccio riff di chitarra in chiave indiana che prelude il successivo brano Wedding nails. Tuttavia la punta di diamante del disco è però rappresentata dal trittico di brani che apre il disco, Blackest eyes, Trains e Lips of ashes, vero e proprio manifesto d’intenti per quello che ci attende inoltrandoci nel disco. L’imprevedibilità è la chiave di lettura di questi solchi che lasciano sempre un finale aperto nella mente del viaggiatore come la migliore tradizione prog vuole. Prodigal invece sembra rientrare nei binari del brano ordinario di strofa e ritornello ma è solo una piccola componente del grande progetto esplorativo originale del nostro subconscio. Ma poi è evidente che i panni di nuovi Pink Floyd vanno stretti ai nostri perché le atmosfere si sospendono in trame fluttuanti e rarefatte con vaghi echi elettronici e chitarre acustiche e infine non si trova più un punto di paragone così delineato.
La voce filtrata di Wilson ci accompagna nel turbine “dance” e cacofonico di The creator has a mastertape. Gli ultimi Anathema sono dietro l’angolo con Heartattack in a layby. Questi esperimenti sono troppo pulsanti e vitali per non rimanere affascinati da tanta creatività. E come non ravvisare i King Crimson in Strip the soul? Melodie alienanti e stacchi algidi accompagnate da un mondo di frequenze filtrato. Ci pensa comunque l’ultimo brano Colapse the light into earth a darci la buona notte con un accompagnamento di pianoforte sicuro e paziente sotto l’interpretazione vocale liquida e sognante del protagonista. Un coro maestoso di voci e violini ci dice che il viaggio sta per finire ma per chi non ne ha abbastanza non rimane che ricominciare tutto da capo o, per i più fortunati, dilungarsi nelle 3 tracce bonus che sono comprese nell’edizione europea.
I Porcupine Tree sono tra le migliori eredità che le ardite sperimentazioni degli anni ’70 ci possano lasciare e ignorarli significa prendere le distanze da quella filosofia di vita esplorativa che scava nella storia del nostro animo.

 

 

Marzo 2019: Porcupine Tree – IN ABSENTIA (2002)ultima modifica: 2019-03-28T11:03:44+01:00da pierrovox

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