Giugno 2019: Ben Harper – WELCOME TO THE CRUEL WORLD (1994)
Data di pubblicazione: 8 febbraio 1994
Registrato a: The Convent (Los Angeles)
Produttore: Ben Harper & Jean-Pierre Plunier
Formazione: Ben Harper (voce, chitarra acustica, chitarra resofonica, lap steel guitar), John McKnight (basso, fisarmonica), Richard Cook (uilleann pipes), Rock Deadrick (batteria, percussioni), Suzie Katayama (violoncello), Clabe Hangan, Clarence Butler, John Taylor, Ken McDaniel, Clyde Allen, Jelani Jones, Kevin Williams (cori)
Tracklist
The three of us
Whipping boy
Breaking down
Don’t take that attitude to your grave
Waiting on an angel
Mama’s got a girlfriend now
Forever
Like a king
Pleasure and pain
Walk away
How many miles must we march
Welcome to the cruel world
I’ll rise
“La musica è come il vento: soffia,
continua a passare, a fluire.
E finché c’è vento ci saranno nuove canzoni”
(Ben Harper)
Ben Harper è uno dei chitarristi più eclettici e fantasiosi della sua generazione. Sin da ragazzino è stato affascinato dallo strumento a sei corde, tanto che spesso trascorreva del tempo a suonare nel retro del negozio di dischi dei suoi nonni paterni, specializzandosi nell’arte della lap steel guitar cercando di prendere sempre più spunto da Robert Johnson. Nel suo stile, semplice e molto diretto, ha saputo far confluire la “negritudine rock” di Bob Marley e Jimi Hendrix, ma anche l’arido calore folk delle antiche ballate americane, cercando di sviluppare un suono fresco e fuori dal tempo.
Nel 1992 assieme al suo amico Tom Freund registra un disco, Pleasure and pain, per un’etichetta locale. Il disco verrà stampato in pochissime edizioni, ma tanto basterà per attirare le attenzioni della Virgin Records, che affascinata dalla freschezza delle soluzioni del giovane chitarrista, gli propone un contratto discografico. L’esordio vero e proprio è Welcome to the cruel world, universalmente riconosciuto come il suo disco migliore. L’album riprende alcune canzoni del disco precedente e le riveste in una confezione nuova e decisamente più a fuoco, e nello stesso tempo ci mostra un artista in pieno splendore.
Il disco si apre con lo strumentale The three of us, che ha molti punti in contatto con Ry Cooder di Paris, Taxes, soprattutto per il massiccio uso della lap steel guitar. Segue la ballata folk-reggae Whipping boy, che non pochi punti di contatto dimostra di avere con Bob Marley. Breaking down è un reggae bagnato di umori caraibici, fresco e vitale. Giunge poi il momento di Don’t take that attitude to your grave, che dal canto suo pone il Nostro accanto a cantanti talentuosi come Tracy Chapman, altra chiara fonte di ispirazione. Waiting on an angel è una splendida ballata acustica, che emana luce propria, graziosa nel suo accompagno di voce e chitarra. Mama’s got a girlfriend now invece ci riporta ad una festosità folk con ritmi latini, e la lap steel guitar a disegnare atmosfere. Forever è un altra ballata molto intensa, a metà tra Joni Mitchell e Tracy Chapman. Like a king invece dal canto suo sembra avere una qualche affinità col Bruce Springsteen dei primi anni ’90, nonostante l’uso della lap steel guitar a dare personalità agli intermezzi. Pleasure and pain torna ad un mood più riflessivo, ancora una volta citando le atmosfere sonore di Ry Cooder, e alimentando il pathos col suono di uno struggente violoncello. Walk away prosegue sulla stessa lunghezza d’onda, con un altra riflessione con voce e chitarra pizzicata. How many miles must we march si pone come una canzone mid-tempo richiamando nuovamente all’attenzione Tracy Chapman. E poi giunge il momento della struggente title-track, nella quale Ben Harper elenca le cose che non vanno in questo mondo crudele. Ma nello stesso tempo però vale la pena di viverlo questo mondo. Il disco si chiude con la stupenda I’ll rise, con testo di Maya Angelou, densa di umori gospel e andatura soul.
Welcome to the cruel world è senza dubbio il disco più intenso e importante della discografia di Ben Harper, che nel tempo vedrà arricchirsi di altri titoli, spesso però altalenanti, tra scommesse azzeccate (Fight for your mind e Diamonds on the inside) e qualche passo falso, cadendo spesso nell’autocitazione e nel manierismo. Ben Harper ad ogni modo ha saputo conquistarsi il suo successo senza fare il paraculo, ma cercando di mantenere sempre un profilo piuttosto rigoroso.