Aprile 2020: Portishead – DUMMY (1994)

Dummy

 

Data di pubblicazione: 22 agosto 1994
Registrato a: State of Art, Coach House Studios (Bristol)
Produttore: Portishead
Formazione: Beth Gibbons (voce), Geoff Barrow (batteria, piano elettrico, programmazioni, arrangiamento archi), Adrian Utley (chitarra, basso, theremin, organo Hammond, arrangiamento archi), Gary Baldwin (organo Hammond), Clive Deamer (batteria), Andy Hague (tromba), Dave McDonald (flauto), Richard Newell (programmazioni batteria), Neil Solman (piano elettrico, organo Hammond)

 

Tracklist

                        Mysterons
                        Sour times
                        Strangers
                        It could be sweet
                        Wandering star
                        It’s a fire
                        Numb
                        Roads
                        Pedestal        
                        Biscuit
                        Glory box
 

Siamo chiari su una cosa:
non c’è nulla come il suono di Bristol!
(Beth Gibbons)

 

Non c’è nulla come il sound di Bristol, sosteneva in un’intervista di diversi anni fa Beth Gibbons. In effetti la scena di Bristol ha dato vita a quel genere che solitamente definiamo come “trip-hop”. Genere che affondava le radici nella musica elettronica, ma che sapeva fondere in essa diverse influenze, a cominciare dal funky e dal soul, per poi arrivare alla musica psichedelica, alla dance e all’house. Attraverso la miscela esplosiva di rap, hip hop, dub, techno e house, si ottenne un suono sofisticato, e nello stesso tempo così fascinosamente estatico. Portabandiera del genere i Massive Attack. Ma accanto a questi bisogna mettere un altro gruppo, altrettanto influente e importante: i Portishead.
Il gruppo si forma agli inizi degli anni ’90, grazie all’incontro della giovane cantante Beth Gibbons con Geoff Barrow, che vantava già una notevole collaborazione a fianco dei Massive Attack, Primal Scream, Neneh Cherry, Depeche Mode e di Tricky. A loro si aggiunge il tecnico del suono Dave McDonald e il chitarrista Adrian Utley.
La loro formula artistica definisce ulteriormente il sound di Bristol, attraverso atmosfere romantiche ed estatiche, battiti hip-hop rallentati e vari mix up di vecchi film inseriti nelle canzoni. Si possono definire senza ombra di dubbio come il completamento di ciò che stavano già facendo i Massive Attack.
Di particolare importanza è il loro disco d’esordio, Dummy, definito già nei giorni della sua pubblicazione come “un classico moderno”, ossia un disco senza tempo, in grado di coniugare il senso del tempo e della sua sospensione. Il sound, cinematico e particolarmente atmosferico, riferisce di sospensioni e rallentamenti particolarmente suadenti, dove ogni singola nota viene cadenzata, gustata, vissuta, goduta con stralunata passione.
L’album si apre col jazzy-lounge suadente di Mysterons, sospesa ed eterea, con Beth Gibbons che canta sommessa e tormentata, tanto da far emergere gli spettri di Sinead O’Connor degli esordi. Si prosegue con il rockabilly-country elettronico, anche questo a rallentatore, di Sour times, che fu anche il primo singolo del disco, e che in un certo senso definisce quella che è l’anima dell’intero disco in un climax cinematico senza tempo. Strangers dal canto suo vive però di commistioni tra il rock psichedelico, il jazz e l’hip hop, dove la voce della Gibbons viene filtrata apparendo quasi trasmessa da un’antica radio anni ’40. Semplicemente spettacolare! It could be sweet si distende su un tappeto sonoro fatto di piani elettrici e beat, anticipando le trame sonore che faranno poi svettare Teardrop dei Massive Attack. Per Wandering star è il dub a sorreggere l’intero scheletro della canzone, mentre It’s a fire viene letteralmente enfatizzata dagli archi e dall’organo chiesastico. Numb invece è un esercizio interessante dove si mescolano elementi techno ed elementi industrial, con Beth Gibbons che approccia un laconico canto soul. Roads invece è un suggestivo susseguirsi di elementi dall’effetto cinematico: dai tappeti pianistici in apertura agli archi enfatici a conferire maggiore suggestione. In Pedestal tornano elementi jazz abbinati al dub rallentato, mentre Biscuit brancola lenta e trascinata. Il disco si chiude con le distorsioni psichedeliche di Glory box, a suggello di un album particolarmente importante per la storia del rock e dei suoi infiniti elementi. Dummy è una vera e propria pietra miliare del trip-hop, esattamente come Blue lines dei Massive Attack.
Il percorso dei Portishead però non procurerà molti altri successori a Dummy, soltanto due, ma altrettanto convincenti ed intensi come questo disco d’esordio. A questo aggiungiamo anche la straordinaria prova solistica Out of season di Beth Gibbons con Rustin Man del 2002. In tutte queste opere gronda un’arte che sa di eleganza e di grazia, che sa aprirsi all’enfasi senza scadere nella retorica, e scavare a fondo senza apparire pretenziosa. Un’arte che non consuma, ma che brucia e riscalda, lentamente ed efficacemente!

 

Questo è senza dubbio un album d’esordio sublime, ma molto, molto triste!
(Stephen Dalton)

 

Aprile 2020: Portishead – DUMMY (1994)ultima modifica: 2020-04-20T17:30:10+02:00da pierrovox

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