Giugno 2020: Siouxsie & The Banshees – KALEIDOSCOPE (1980)

Kaleidoscope

 

Data di pubblicazione: 1 agosto 1980
Registrato a: Londra
Produttore: Nigel Gray
Formazione: Siouxsie Sioux (voce, chitarre, cembali, diamonica), Steven Severin (basso, chitarra elettrica, piano, sintetizzatori, sitar, voce), Budgie (batteria, armonica, basso, percussioni), John McGeoch (chitarra, sassofono, organo, sitar), Steve Jones (chitarra)

 

Lato A

 

                        Happy house
                        Tenant
                        Trophy
                        Hybird
                        Clockface
                        Lunar camel

 

Lato B

 

                        Christine
                        Desert kisses
                        Red light
                        Paradise place
                        Skin

 

Preferisco di gran lunga essere considerata
la Regina di Ghiaccio
(Siouxsie Sioux)

 

Qualcuno ha avuto il bisogno di creare la massima espressione dell’archetipo gotico, ma solo una donna ha avuto lo stile, le pretese, la voce oscura e solenne, di incarnarlo in perfetta soluzione. Quella donna si chiamava Susan Janet Ballion, in arte Siouxsie Sioux. Quella donna è stata l’espressione per antonomasia di tutto ciò che è riconducibile al dark rock, a cominciare proprio da un look stregonesco, fatto di parrucche nere, pallore cadaverico, pesantissimo make up, abiti neri sadomaso, simboli necrofili, e un portamento decisamente misterioso e carico di sinistro splendore. La musica creata ad arte dal suo gruppo, i Banshees, era gotica, nera, tetra, depressa. Gli spettacoli dei Siouxsie & The Banshees erano quindi una sorta di celebrazione oscura della vita e delle sue depressioni. Ma non solo, Siouxsie ha rappresentato una sorta di innovazione di tutto quel movimento dark sprigionatosi sin dalla fine degli anni ’60, quando il rock non voleva limitarsi a riflettere la sola visione gioiosa e ribelle della vita, ma scendere nell’oscurità. Prendendo spunto dai Doors e da Nico, scendendo a fondo nelle trame elettroniche tedesche, Siouxsie e i Banshees imprimeranno alla stagione della new wave un’anima gotica e sinistra, che ben presto sarà prontamente messa a frutto da gente come Joy Division, Cure, Bauhaus, Killing Joke, Sister of Mercy. E non solo: le lezioni teatrali e magistrali di Siouxsie getteranno dei semi importantissimi che saranno raccolti da generazioni ben più lontane della sua (si pensi al pop androgino dei Garbage, o all’elettronica oscura dei Portishead, o al cantautorato gotico e solenne di Anna Calvi).
La sua formazione musicale avviene nell’adolescenza, quando si troverà a contatto con la devastazione culturale portata dalla musica di David Bowie, Iggy Pop, Lou Reed, e soprattutto quella dei Sex Pistols. Sarà tale urgenza devastatrice a imporla come una delle icone indiscusse di tale movimento, facendosi notare in giro col suo look fetish e una propensione particolare per la composizione, la musica e la teatralità. Con l’amico Steven Severin mette su il gruppo, e una delle prime apparizioni pubbliche sarà appunto la partecipazione nel 1976 ad un programma televisivo condotto da Bill Grundy, Today, assieme ai Sex Pistols. Lo spettacolo farà scalpore soprattutto per il linguaggio osceno tenuto durante l’esibizione, ma nello stesso tempo indurrà Siouxsie a portare avanti una proposta diversa da quella dei Sex Pistols. Ma nello stesso tempo, nell’ambiente londinese, si apre una certa curiosità nei confronti del gruppo, tanto che non è insolito ritrovarsi scritto “Segnatevi i Banshees, e fatelo adesso!”.
Arriva anche il disco d’esordio, The scream, pubblicato nel 1978, nero come la pece e denso di umori spettrali, in cui Siouxsie sfoggia un’interpretazione degna delle atmosfere sepolcrali di Nico, e la musica è intrisa di sapori che spaziano dall’elettronica alla psichedelia, concedendo un’aura alienante e paranoica. Gli fece seguito Join hands dell’anno successivo, per certi versi un disco di transizione, dove comunque si acuiva la depressione esistenziale, il clima angoscioso e funereo, ma poteva vantare comunque un cavallo di battaglia come The Lord’s prayer, lunghissima danza macabra.
I problemi emergeranno ben presto, e prima della registrazione del terzo disco, cambia la line-up del gruppo:  Robert Smith lascerà il gruppo per dedicarsi totalmente ai Cure, e venne sostituito con l’ex chitarrista dei Magazine John McGeogh, e alla batteria arriverà Peter Clark, in arte Budgie (con il quale Siouxsie si sposerà nel 1991, salvo poi divorziare nel 2007). Kaleidoscope fu il primo vero botto della band, perlomeno in senso di popolarità: un disco che gli ottenne un successo strepitoso posizionandosi al quinto posto delle classifiche inglesi, e qui scelto a rappresentarli (seppur il successivo Juju è da molti considerato, e non a torto, come il loro disco migliore).
Soprattutto il disco si distingue per un’apertura pop di maggior respiro, e di più facile accessibilità rispetto ai toni lugubri e demoniaci dei due dischi precedenti. L’album è pervaso da una specie di malinconia pop tanto cara ai primi Doors, e si esprime in una sorta di inquieto romanticismo.
Apre il disco la cantilenante Happy house, sfrontata nelle sue trame sintetiche, e in un certo qual modo anticipatrice dell’elettronica di Bjork. I puristi del dark storsero non poco il naso per i suoi ritmi ballabili, ma ancora oggi Happy house resta un piccolo gioiello di inquietudine dark e gioiosità. Tenant invece riporta le atmosfere nelle zone grige della new wave, soprattutto in quelle segnate dai Cure e dai primi dischi di Siouxsie. Basso pulsante e voce filtrata ed echeggiata che si perde nel vuoto, e un tensione da isteria che si avverte nei suoi solchi. Trophy alza il tiro verso un hard rock di stile zeppelliano, prendendo spunto da qualche parte tra Physical graffiti e Houses of the holy. La distesa Hybird invece va incontro ad uno sviluppo tenebroso e ipnotico, mentre l’echeggiata Clockface si contorna di veloci danze tribali. Chiude il primo lato il tappeto sonoro sintetico che plasma la funerea Lunar camel, echeggiando qualcosa dei primi Ultravox.
Apre il secondo lato Christine, ispirata dall’autobiografia di Christine Sizemore, donna affetta da molteplici personalità. Danzereccia e vagamente solare, tanto che non si fa fatica a immaginarsela interpretata dalla prima Madonna, o addirittura dalla PJ Harvey riot dei primi anni. Desert kisses si dipana avvolgente ed estatica, incarnando una scostante atmosfera esotica. I tocchi sintetici e l’effetto sonoro del click delle macchine fotografiche di Red light invece sono una metafora di un incontro amoroso. Paradise place invece riporta l’album nelle zone di un FM rock di forte impatto, e chiude la forsennata Skin.
Kaleidoscope è un disco straordinario, nel suo genere una pietra miliare, intrigante miscela di colori e umori apparentemente dissonanti tra di loro. Siouxsie offre un’interpretazione di spiccata personalità, mettendo insieme Patti Smith e Nico, e ottenendo una volta per tutte il titolo indiscusso di “Regina del Dark”.
La carriera dei Banshees proseguirà con un capolavoro come Juju, e poi tutta una serie di dischi che vanno dall’accettabile all’incerto, da un progetto parallelo chiamato The Creatures, e alcuni dischi da solista di Siouxsie. Ma una cosa resta certa: la musica punk trovò nelle trame gotiche dei Banshees uno sfogo fatto di melodie ipnotiche, distorsioni snervanti e teatralità gotica.

 

“In Siouxsie Sioux la band possedeva una delle più grandi frontwomen che gruppo potesse avere sul palco: forte, determinata e, soprattutto, figura ispiratrice, il suo comportamento senza stronzate era la replica perfetta per quel club di ragazzi che era e rimane l’industria della musica, mentre il resto del gruppo, in tutte le loro varie forme, con Budgie e Severin al timone, ha fornito una potenza sublime di inventiva che spesso ha preso d’assalto le classifiche pop con tutta la sorpresa e il vigore di un gruppo di incursori”
(Julian Marszalek)

 

Giugno 2020: Siouxsie & The Banshees – KALEIDOSCOPE (1980)ultima modifica: 2020-06-29T09:34:00+02:00da pierrovox

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