Luglio 2020: Traffic – JOHN BARLEYCORN MUST DIE (1970)

John Barleycorn must die

 

Data di pubblicazione: Luglio 1970
Registrato a: Island Studios, Olympic Studios (Londra)
Produttore: Chris Blackwell, Steve Winwood & Guy Stevens
Formazione: Steve Winwood (voce, tastiere, chitarre, organo, basso, batteria, piano), Chris Wood (sassofono, flauto, percussioni), Jim Capaldi (batteria, percussioni)

 

Lato A

 

                        Glad
                        Freedom rider
                        Empty pages

                       

Lato B

 

                        Stranger to himself
                        John Barleycorn (must die)
                        Every mother’s son

 

Molta gente è entrata nel mondo del rock’n’roll
per cercare di cambiare il mondo.
Io invece sono entrato nel rock’n’roll
solo per fare musica
(Steve Winwood)

 

Ѐ qualcosa di strettamente collegato alla musica il cambiamento che operarono i Traffic a cavallo tra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’70. La band britannica stava ampliando i suoi orizzonti musicali, misurandosi nei primi tempi della sua carriera con un’impostazione prettamente folk-psichedelica, e man mano cercando di mescolare le influenze folk col jazz, il blues, il soul, dando sempre più forma ad un’arte che in molti chiameranno progressive rock.
Dopo aver infatti dato alle stampe una manciata di singoli promettenti, la band inglese esordisce nel 1967 con Mr. Fantasy, ottenendo ottimi riscontri di pubblico e critica, e seguendo il filone psichedelico tanto in voga in quegli anni. Tale successo però non impedirà il sorgere dei primi problemi in formazione, che si acuiranno poco dopo la pubblicazione di Last exit nel 1969, per portare la band ad un primo scioglimento.
Ma l’anno dopo Jim Capaldi e Chris Wood ricontatteranno Steve Winwood, cercando di mettere da parte i dissapori, per registrare del nuovo materiale, e dare vita al nuovo album, che diventerà poi il disco più rappresentativo e importante di tutta la loro carriera.
John Barleycorn must die segna una rinnovata maturità artistica del trio britannico, che li vede proiettati in una fusione stilistica impressionante, dando forma ad una musica nuova e personale, in un tripudio di generi che dialogano tra di loro in perfetta simbiosi. John Barleycorn must die sta ai Traffic come In the court of Crimson King sta ai King Crimon, ossia come opera matura e complessa, immediata e articolata, che non fa altro che ribadire l’importanza dell’ascolto, di una sezione strumentale e della personalità di ogni singolo strumento, sapendo ben armonizzare il jazz col blues, il soul col rock, il folk col pop.
Si inizia con lo spumeggiante strumentale Glad, con il suo forsennato ritmo jazz, le sue accattivanti punteggiature pianistiche e un incisivo suono del sassofono. Immediata e affascinante, è la prova della maturità raggiunta dal gruppo, oltre che uno dei brani più conosciuti dei Traffic. Si prosegue con l’elegiaca Freedom rider, dove il sassofono, pur presente, lascia aperta la scena al flauto di Chris Wood, per delle atmosfere bucoliche e primitive, su un tappeto jazz dettato dal pianoforte. Empty pages è un altro classico del disco: enfatica e magistrale, sa emanare aromi soul e padronanza della scena, che non ha nulla da invidiare a quella della Motown.
Il secondo lato dell’lp si apre col ballabile rhythm and blue di Stranger to himself, che sa ben ponderare i tempi, tra rallentamenti e crescendo, con l’intersezione di una chitarra psichedelica. L’altro capolavoro del disco è la deliziosa versione del traditional John Barleycorn (must die), dove il flauto decora scenari fantasiosi, la voce di Winwood genuinamente attraversata da quella straziante punta malinconica, e gli arpeggi della chitarra acustica a renderla immortale. Il disco si chiude col blues sofferto di Every mother’s son, con chitarre e organo in perfetta e solenne simbiosi.
Il disco è una pietre miliare del rock progressivo di inizi anni ’70, dove si è lasciata mano libera alla creatività di spaziare tra qualsiasi genere, e all’artista il compito di lasciarsi ammaliare dal suono degli strumenti. Quello che la musica, la grande musica dovrebbe sempre fare: lasciar che chiunque possa entrare nella grande magia del suono, e intrappolarlo in questo splendore!

 

John Barleycorn must die è un’immersione totale in quell’inebriante oceano di suoni dove esporsi al contagio di altre forme musicali diventa una piacevole regola
(Roberto Municchi)

 

Luglio 2020: Traffic – JOHN BARLEYCORN MUST DIE (1970)ultima modifica: 2020-07-06T10:46:53+02:00da pierrovox

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