Agosto 2020: Eels – ELECTRO-SHOCK BLUES (1998)

Elettro-shock blues

 

Data di pubblicazione: 21 settembre 1998
Registrato a: Los Angeles
Produttore: Mark Oliver Everett, Jim Jacobsen, Mickey Petralia & Michael Simpson
Formazione: Mark Oliver Everett (voce, chitarra, basso, tastiere), Butch Norton (batteria), Stuart Wylen (chitarra, flauto), Jon Brion (organo), T-Bone Burnett (basso), Lisa Germano (violino), Parthenon Huxley (chitarra), Jim Jacobsen (basso, tastiere), John Leftwich (basso), Elton Jones (cori), Bill Liston (sassofono), Volker Masthoff (cori), Cynthia Merrill (violoncello), Grant-Lee Philipps (chitarra elettrica, banjo)

 

Tracklist

 

                        Elizabeth on the bathroom floor
                        Goint to your funeral (part I)
                        Cancer for the cure
                        My descend into madness
                        3 Speed
                        Hospital food
                        Electro-shock blues
                        Efils’ God
                        Going to your funeral (part II)
                        Last stop: This town
                        Baby genius
                        Climbing to the moon
                        Ant farm
                        Dead of winter
                        The medication is wearing off
                        P.S. You rock my world

 

 

A volte la bellezza è troppo grande da poterla gestire bene
(Mark Oliver Everett)

 

Gli Eels sono espressione di una generazione di “loser”, di coloro che, come Beck, si assestavano sull’onda dei perdenti, degli sfigati, dei depressi. Ok, ma è anche del tutto vero che questa generazione, che amava l’atteggiamento “lo-fi”, il permanere con i propri spettri, l’ossessionarsi con le proprie solitudini e i propri drammi, nello stesso tempo è stata capace di toccare delle corde profondissime, e di tirare fuori dal dolore tutto un carico di bellezza, che solo un cuore grande è capace di fare.
Gli Eels sono una creatura di Mark Oliver Everett, meglio conosciuto col suo pseudonimo E. L’aspetto musicale di questa band, che fondamentalmente ruota attorno al genio eclettico del suo ideatore, è fortemente imperniata della personalità tormentata di E, che sin da ragazzo ha fatto i patti con la morte di suo padre, e successivamente con la morte suicida della sorella Elizabeth, che da anni soffriva di disturbi psichici. Due drammi che confluiranno nella musica dei Nostri, con ossessione e bellezza. Stilisticamente gli Eels sono un gruppo decisamente eclettico, difficilmente classificabili, seppur molti li conservano sotto l’etichetta dell’indie pop. Il loro genere spazia tanto tra il grunge, quanto tra l’hip-hop e il blues, senza disdegnare velleità cantautoriali di tutto rispetto.
Il primo passo di questa band è un esordio coi fiocchi: Beautiful freak, pubblicato nel 1996 (anno del suicidio della sorella peraltro), espressione di una vita disadattata, quella dei perdenti. Il disco è una sorta di eco ai disturbi di Beck, e stilisticamente riflette le sonorità dell’epoca.
Ma dicevamo il dolore… Ebbene, questo permea totalmente il secondo disco, a detta di molti, il più grande capolavoro di E, che ha composto e registrato il disco in regime di quasi totale solitudine, avvalendosi dell’aiuto del fido batterista Butch, e di una serie di turnisti, tra i quali c’è un certo T-Bone Burnett. Il disco è una specie di modo del tutto personale per E per sconfiggere il dolore della perdita della sorella, il cui sacrificio viene subito evocato nella dolente e iniziale Elizabeth on the bathroom floor. Il disco, pur mantenendo la varietà stilistica che aveva permeato Beautiful freak, si concentra maggiormente su trame di un blues dolente. Ma non è solo la perdita della sorella che evoca il dolore di E; c’è anche quella della madre, che muore di cancro durante il tour di questo disco, quasi a dire che piove sul bagnato, o che forse è il dolore la dimensione di questo artista. Chi lo sa?
Resta che Electro-shock blues è il viaggio che lo attraversa, e si scende immediatamente lì proprio nel blues malandato di Going to your funeral, che si contorna di un carillon dolcissimo nella seconda parte, posta al centro del disco, come a voler regalare un’ultima carezza alla sorella deceduta, quasi a voler dire che la sua vita non era poi “shit and piss”, come lei aveva scritto sul suo diario personale. Cancer for the cure invece procede su sonorità industrial, ritmi hip-hop e un presagio ancora più terrorizzante. My descend into the madness è un tenue acquerello lo-fi, con tanto di organetto che fa da tappeto sonoro ad una discesa negli inferi di una vita disgraziata. Dopo questa discesa nel nero più nero, giugne un momento di morbida solarità con 3 speed, retto da pochi accordi e graziosi disegni di flauto. Hospital food invece coniuga tanto il verbo di Beck con quello di Tom Waits, facendoci addentrare nei ricordi di E, mentre la title-track si distende meditabonda ed eterea, come qualcosa da cui forse prenderanno spunto i Sigur Ros da lì a poco. Efils’ God, con le articolate partiture sonore unisce il cantato di Elliott Smith.
Il pop barocco di Last stop: This town fa rivivere i ricordi di sua sorella, soprattutto in un desiderio nascosto nel suore di Mark, e poi dissolto nella realtà. Seguono i campanelli di Baby genius, quasi come a voler far riemergere la purezza di un’infanzia sempre più lontana, e soprattutto al ricordo del padre. Climbing to the moon è una specie di requiem accorato, emozionante, e nel country di Ain’t farm si può ammirare il violino di Lisa Germano. Nella dolente Dead of winter E si sofferma sul percorso doloroso della radioterapia e del lento e doloroso declino che porterà alla morte della madre (e in questo viene in mente il film Mia madre di Nanni Moretti, e ci si chiede come mai il regista romano non abbia optato per questa canzone come corredo sonoro di alcune scene del film). The medication is wearing off si riaggancia invece alle trame sonore del primo disco, soprattutto di Novocaine for the soul. Chiude la speranzosa P.S. You rock my world, come a voler dire che il dolore non ha l’ultima parola, nonostante tutto.
Dopo questo disco, gli Eels porteranno avanti il loro percorso artistico con album sempre molto buoni e carichi di bellezza, tra i quali va citato perlomeno Daisies of The Galaxy, Shootenanny! e il doppio Blinking lights and other revelations. E non è da meno nemmeno The cautionary tales of Mark Oliver Everett. In tutti questi percorsi c’è sempre qualcosa che tocca corde profonde, e che sa convertire il dolore in bellezza pura. Cosa che solo i grandi sanno fare!

 

Mark Oliver Everett ha più volte rifinito la sua depressione e suoi sbalzi d’umore con gli Eels. Ma è stato anche l’eremita blues che ha saputo scrivere canzoni indimenticabilmente belle
(Gunther Reinhardt)

 

Agosto 2020: Eels – ELECTRO-SHOCK BLUES (1998)ultima modifica: 2020-08-27T08:45:06+02:00da pierrovox

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