Agosto 2022: Soft Machine – THIRD (1970)

Third

 

Data di pubblicazione: 6 giugno 1970
Registrato a: IBC Recording Studios (Londra), Fairfield Hall (Croydon)
Produttore: Soft Machine
Formazione: Robert Wyatt (batteria, voce, organo, mellotron, basso), Elton Dean (sassofono alto), Mike Ratledge (piano, organo), Hugh Hopper (basso), Lyn Dobson (flauto, sassofono), Jimmy Hastings (flauto, clarinetto), Nick Evans (trombone), Rab Spall (violino)
 

Lato A

 

                           Facelift
 

Lato B

 

                           Slightly all the time
 

Lato C

 

                          Moon in june
 

Lato D

 

                           Out-bloody-rageous
 

 

Preferisco le nuvole mistiche alla realtà
(Robert Wyatt)

 

Tra i nomi di punta della scena di Canterbury, i Soft Machine hanno rappresentato uno dei momenti più interessanti dell’evoluzione dell’estetica rock e della fusione con una infinità di generi apparentemente inconciliabili tra di loro. Nati come fenomeno psichedelico, col passare degli anni il gruppo britannico ha coniato un linguaggio sonoro decisamente sui generis attraverso l’esplorazione del jazz.
Per l’album Third, Kevin Ayers, aveva già abbandonato la nave e i Soft Machine sperimentano differenze tra l’approccio di prima e poi. La band ha lasciato il format di brani di breve durata, intrecciati sonoramente e lanciati nella concezione di temi estesi, la cui presenza come entità individuali è innegabile, per approdare definitivamente nella forma delle suite. Ognuno di questi quattro pezzi di avant garde-jazz rock-trend prog ha occupato un lato del doppio vinile, prendendosi la brida di una sfida fortemente intellettuale.
L’album inizia davvero in modo strano. In Facelift, una volta che l’ascoltatore ha familiarizzato con le tastiere vaganti senza cervello di Mike Ratledge, insieme alla sezione di fiati guidata dal sassofonista Elton Dean, il basso esplosivo di Hugh Hopper sorprende e travolge l’orecchio. A poco a poco prende forma uno strano passaggio di sfumature psichedeliche dominate da frasi di sassofono e trombone, fino a quando il batterista Robert Wyatt appare all’improvviso con una nuova sezione più solida, la cui complessità ritmica in congiunzione con la tastiera distorta rimanda ai primi King Crimson.
Slightly all the time ha un’inclinazione più jazz, con influenze da Bitches brew di Miles Davis. I Soft Machine riescono a ottenere un suono vasto, senza dover ricorrere a tanti strumenti, ma, allo stesso tempo, sviluppano melodie distinguibili e offuscate, concedendosi il lusso di cambiare sezione con sorprendente facilità.
Moon in june è l’unico brano in cui Robert Wyatt canta, e la sua voce, come al solito, è usata più come elemento sonoro che organico. Tuttavia, è qui che l’album recupera alcune reminiscenze del suo suono precedente, trasformando la canzone nell’insolito filo di terra dell’album. Il brano privilegia una maggiore rigidità delle strutture ritmiche, dominate da un tipico pop bar barocco, che gli conferisce un carattere più teatrale e umano. La distorsione usata da Ratledge ricorda una chitarra fuzz ed è ciò che comanda l’ingresso a una potente sezione prog, la cui perfetta sincronizzazione tra basso e batteria funge da tela per le pennellate e le texture dei tasti.
E in conclusione giunge Out-bloody-rageous, che sorprende con un’ampia introduzione, predecessore della musica ambient, dalle tastiere di Ratledge.
La somma finale ci mostra una band coraggiosa, che possiede il potere del rock, ma nessuno dei suoi eccessi. Third apre un nuovo portale di possibilità sonore e funge da miglior documento di un’era di costante esplorazione musicale da parte di un gruppo d’élite all’interno della scena progressive britannica.

Agosto 2022: Soft Machine – THIRD (1970)ultima modifica: 2022-08-04T08:04:49+02:00da pierrovox

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