Gennaio 2020: Tin Machine – TIN MACHINE (1989)

Tin machine

Data di pubblicazione: 22 maggio 1989
Registrato a: Mountain Studios (Montreux), Compass Point Studios (Nassau)
Produttore: Tim Palmer
Formazione: David Bowie (voce, chitarra ritmica), Reeves Gabrels (chitarra), Tony Sales (basso, cori), Hunt Sales (batteria, vori), Kevin Armstrong (organo, chitarra ritmica)

 

Lato A

 

                        Heaven’s in here
                        Tin Machine
                        Prisoner of love
                        Crack City
                        I can’t read
                        Under the God
 

Lato B

 

                        Amazing
                        Working class hero
                        Bus stop
                        Pretty thing
                        Video crime
                        Baby can dance

 

Eravamo così stanchi di accendere la radio e ascoltare
 musica da discoteca e dance e drum machine;
tutta quella roba, che penso nel business che chiamano “merda”.
Stavamo solo pensando di fare un progetto che mettesse fine al rock’n’roll
(Reeves Gabrels)

 

Gli anni ’80 per David Bowie, diversamente dal decennio precedente, furono un periodo molto fortunato dal punto di vista prettamente commerciale (in particolare si ricordi il successo strepitoso di Let’s dance), ma non altrettanto baciato dall’ispirazione e da grandi intuizioni. Dopo il fortunato e ispirato Let’s dance infatti, seguiranno due album piuttosto fiacchi, in cui il Duca Bianco pensò bene di inseguire le sonorità dell’epoca, piuttosto che anticiparle. E fu così che Tonight, a parte l’efficace singolo Blue Jean, fu salutato un po’ da tutti come un mezzo passo falso. Peggio andrà con il confuso Never let me down, che proprio non si riesce a trovargli un qualche senso. Non aiuteranno molto in tal senso neppure i progetti corollari, come i duetti con Mick Jagger o colonne sonore per fantasy di seconda mano (Labyrinth). E così verso la conclusione del decennio il Duca Bianco e l’amico Reeves Gabrels pensarono bene ad un progetto che rispolverasse l’antica, cara attitudine del sacro fuoco del rock. Scrissero assieme una manciata di canzoni, e poi pensarono di farne un album, che sarebbe uscito a nome di un gruppo che appunto prese il nome da una di quelle canzoni: Tin Machine.
L’idea di base era quella di confezionare un disco che lambisse l’hard rock e l’art rock di antica scuola anni ’70, stufi della falsificazione del pop sintetico di quel periodo. E alla prova dell’ascolto in effetti l’album si caratterizzava per un approccio decisamente differente dagli ultimi dischi di David Bowie: riff dalle venature hard nell’iniziale Heaven’s in here, ritmi ossessivi e altissimo tasso adrenalinico nella title-track. Prisoner of love invece si avvicina un po’ di più alle cose del Bowie periodo Scary monsters, mentre Crack City, con i suoi fulgidi cambi di tempo e rullate in gran stile, presenta un gran lavoro sui cori. I can’t read tenta l’approccio sperimentale, passando dalle strofe flemmatiche alla grande incursione sul finale. Under the God invece ha un piglio rock’n’roll tanto caro ad un certo Bruce Springsteen.
Col lato B si riparte dalla psichedelica Amazing, per poi proiettarsi in una tirata cover di Working class hero di John Lennon, da sempre uno dei pezzi preferiti del Duca Bianco. Gran tiro anche per Bus stop e Pretty thing, e si chiude col botto con Video crime e Baby can dance.
All’epoca i Tin Machine furono salutati con grande favore sia da critica che pubblico, anche se col tempo probabilmente il disco risente un bel po’ delle sonorità un tantino datate e ancorate al proprio periodo. Tuttavia resta un esperimento interessante, a cui seguì un secondo disco. David Bowie poi ne promise addirittura un terzo, ma questo non uscirà mai, poiché il Duca Bianco preferirà rimettersi a capofitto nella realizzazione dei suoi album. Reeves Gabrels poi interromperà la collaborazione con Bowie dopo Hours… poiché sentiva che il filone stilistico che stava seguendo non era congeniale alla sua idea di musica.

 

Gennaio 2020: Tin Machine – TIN MACHINE (1989)ultima modifica: 2020-01-06T20:46:55+01:00da pierrovox

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