Dicembre 2020: The Flaming Lips – THE SOFT BULLETIN (1999)
Data di pubblicazione: 17 maggio 1999
Registrato a: Cassadaga, New York
Produttore: The Flaming Lips, Dave Fridmann & Scott Booker
Formazione: Wayne Coyne (voce, chitarre, percussioni), Steve Drodz (chitarre, tastiere, sintetizzatori, batteria, xilofono, arpa, pedal steel guitar)
Tracklist
Race for the prize
A spoonful weights a ton
The spark that bled
Slow motion
What is the light?
The observer
Waitin’ for a superman
Suddenly everything has changed
The gash
Feeling yourself disintegrate
Sleeping on the roof
“Musica paragonata all’arte dei cartoni animati”
(Piero Scaruffi)
La musica psichedelica da sempre è legato, a ragione o a torto, ad un’immaginario collettivo che vede nell’uso delle droghe e delle bizzarrie varie “l’apertura della mente” e dei sensi alla percezione di nuovi stimoli sonori, e alla proiezione dell’artista in una dimensione del tutto surreale e fantasiosa. Questo un po’ per l’effetto “lisergico” e affascinante che certi suono producono, e un po’ perché non pochi artisti hanno misconosciuto l’apporto delle sostanze stupefacenti alla formazione della loro arte.
I Flaming Lips invece rappresentano la bizzarria, ma non sono di certo le droghe il primo (o il principale) referente di un’arte che sin dagli esordi ha cercato di fuggire qualsivoglia cliché. La band di Oklahoma City da sempre ha vissuto il rapporto con la musica in modo del tutto unico e sfolgorante, cercando un certo impatto visico che solo sonoro. Passi per i titoli bizzarri dati ai loro album e alle loro canzoni, quello che colpisce di questa band è la sua visibilità, soprattutto nelle esibizioni dal vivo, a detta di molti le più stranianti ed eccessive performance cui uno spettatore può assistere. Non solo musica che fluttua in spazi immaginari reconditi nella mente, ma impressionismo visivo abbacinante fatto da artisti vestiti da animali, palloncini, marionette, proiezioni video, complesse configurazioni delle luci sul palco, mani giganti, coriandoli, bolle enormi di plastica dove vi entra Wayne Coyne attraversando il pubblico. Quindi non vi è solo la portata “lisergica” da cui proviene la musica, ma l’ondata anomala di un’arte devastatrice e fluttuante, che nello stesso tempo puoi toccare con mano, esserne travolto, se non addirittura sconvolto.
Il gruppo si forma nei primi anni ’80, e qualcuno vuole che Wayne Coyne abbia rubato degli strumenti musicali in una chiesa per poterne dare l’avvio, e sin da subito si è contraddistinto per una personalità del tutto inedita nel panorama del pop-rock alternativo statunitense attraverso una ricerca assidua e coraggiosa di nuovi linguaggi sonori, e un’attitudine ora ironica, ora demenziale, ora bizzarra, quasi scaturita da un mondo parallelo, fatto di fumetti, cartoni animati, ufo, robot, e materiale umano fuori da ogni convenzione prestabilita.
I loro anni ’80 vedono una crescita impressionante, con loro che si divertivano a fare “i nuovi Pink Floyd”, soprattutto di marca barrettiana, seppur spesso li si vedeva ciondolare in giro a riproporre Dark side of the moon. Zenit perfetto di questa crescita impressionante è il capolavoro I a priest driven ambulance del 1990, che nello stesso tempo diventa lo spartiacque per il nuovo percorso con la Warner. Qui l’attitudine è meno sgangherata che in passato, e c’è maggiore familiarità con la melodia, grazie anche al contributo in cabina di regia di Dave Fridmann dei Mercury Rev, che darà linfa vitale e stimoli importanti alla band.
Ma l’affermazione definitiva della band avviene col disco che non pochi hanno disdegnato di chiamare il “Pet sounds” degli anni ’90, The soft bulletin, tra l’altro uno dei loro dischi più celebrati.
In questa fase i Flaming Lips, che venivano dal concept folle e stralunato di Zaireeka, decidono di voler vestire i panni degli autori pop completi, limitando le distorsioni e favorendo una maggiore compattezza melodica al tessuto sia sonoro che lirico delle canzoni. Nello stesso tempo il disco predilige maggiormente la parte ritmica (leggasi il suono pesante della batteria) e i ricami orchestrali, a favore dei disegni chitarristici, che pure ci sono, ma mai in prima linea come nel passato. Volendo far convergere nella loro arte gli insegnamenti di Brian Wilson o al limite di Van Dyke Parks, i Flaming Lips incidono un album che nello stesso tempo non rinuncia allo sberleffo verso la musica moderna e commerciale, ma in questo caso non fanno solo “le scimmie allo specchio”, ma cercano di darne un apporto di notevole fattura, e di sicuro valore.
The soft bulletin viene aperto dall’impeto di Race for the prize, con i suoi imperiosi synth, e la sua carica vitale che da allora la fa presenza fissa ai concerti e brano di apertura degli stessi. Il viaggio prosegue con gli archi vellutati, le arpe carezzevoli e i flauti celestiali di A spoonful weights a ton. The spark that bled invece fa convergere in un’unica canzone soul, funk, pop psichedelico con grande disinvoltura. Slow motion è aperta da una robusta linea di basso e sostenuta da un organetto chiesastico sublime, richiamando quasi le peculiarità che furono di un certo elettropop di inizio anni ’80, pur nella più che affermata riconoscibilità dei suoi autori. La straniante What is the light? sembra brancolare nelle zone perdute del David Bowie berlinese, e atmosfera non cambia nello strumentale The observer, semmai viene maggiormente acuminata. Waitin’ for a superman intreccia legami con i Beatles, o al limite col Lennon solista, in una sostanza pop di efficace bellezza. La sintetica Suddenly everything has changed, con gli intermezzi country delle chitarre, e l’apertura imperiosa degli archi di The gash proseguono il viaggio. Feeling yourself disintegrate, aperta da curiosi vocalizzi, riporta verso vette di celestiale bellezza. Chiude la strumentale Sleeping on the roof. A dir la verità ci sarebbe spazio per due versioni remixate di Race for the prize e Waitin’ for a superman e per Buggin’ a completare l’opera, ma qui si tratta delle differenze tra le varie edizioni uscite sia per il mercato europeo che per quello americano. Nella sostanza il disco resta un piccolo capolavoro di scrittura e personalità. I Flaming Lips dimostrano che non è solo la sperimentazione una delle loro caratteristiche peculiari: loro sanno scrivere le canzoni, e le sanno interpretare, imponendosi come una delle band più importanti della scena pop-rock.
The soft bulletin poi darà l’avvio per un’altra strada artistica della band, abbracciando prima il progressive pop di Yoshimi battle the pink robot del 2002, per poi imboccare l’invettiva politica con At war with the mystics del 2006 (con tanto di sberleffo a Britney Spears, all’epoca bambolina della pop culture di massa, in The sounds of failure), la summa di Embyonic e The terror, oltre che progetti bizzarri e curiosi come il riproporre per intero l’esordio degli Stone Roses, o chiamare Miley Cirus per reinterpretare Dark side of the moon. Menti folli di una follia metodica capaci di esprimere una vitalità artistica che solo pochi possono veramente permettersi!