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Cin cin

“Piuttosto che fermarsi a mezza via, val meglio non cominciare.”

Eugenio Montale

 

Un paio di giorni fa, era tardo pomeriggio, la mia compagna mi chiede: Che facciamo stasera?

Io rispondo: Andiamo al cinema.

Lei tarda a rispondere. Poi esclama che preferirebbe andare in un posto dove non si paga. Non che il cinema sia caro, i tempi attuali, semplicemente, non permettono sperperi. Si rinuncia spesso alle uscite costose. Fino a pochi anni fa, nel fine settimana, si cenava fuori. Carne o più preferibilmente pesce. La mia compagna ama il pesce. Oggi si opta, sempre più, per la pizza. Personalmente non mi creo problemi e sopporto bene le rinunce. Provengo – non ho alcuna vergogna a scriverlo – da una famiglia modesta. La mia infanzia non è stata ricca. La mia compagna è sempre stata indipendente economicamente, ed anche da piccola non ha mai sofferto la miseria. Per fortuna.

Le rinunce degli ultimi anni, le hanno e le stanno lasciando un po’ di rimpianti.

Rinunce e tempo.

Il tempo comincia ad assottigliarsi e le rinunce iniziano a prendere la forma di muri. Non più porte chiuse. Magari da aprire in tempi migliori. Oggi è il cinema. Domani chissà?

Continuo a ripetermi e ripeterle che di tempo ce n’è. Sarà vero?

Sembra ieri che entravo e uscivo da scuola. 30 anni sono passati senza che me ne accorgersi. Sarà così anche per i prossimi 30 anni?

Riflettevo sul tempo che ho dedicato ad una persona, ad un evento o oggetto. Mi rendo conto che ne ho sprecato tanto.

Ed è proprio leggendo l’ultimo post – quel: “andate tutti a fanculo” –  che mi sono reso conto che, forse, ho e sto sprecando tempo. Di  aver sprecato impegno, ed energie fisiche e mentali. Che senso ha disperarmi per esseri umani che non meritato che l’annullamento?

Prendere posizione e dire la propria opinione è legittimo e imprescindibile per un quieto vivere sociale. Piano piano, però, mi sto rendendo conto che la resistenza, sta diventano sopravvivenza e non va, poi così, bene. Da tempo, oramai, si sopravvive.

 

“Proprio come sceglierò la mia nave quando mi accingerò ad un viaggio, o la mia casa quando intenderò prendere una residenza, così sceglierò la mia morte quando mi accingerò ad abbandonare la vita.”

Lucio Anneo Seneca

 

La letteratura ha reso poetico il suicidio, non è, però, così nobile e non è certo poetico. Esiste un solo modo di suicidarsi? Secondo me no! Sopravvivere rinunciando a vivere è un lento suicidio.

La verità? Che man mano che passa il tempo, perdo pezzi. Sì! Qualche fortunato pezzo muta in arte, il resto è e rimane una perdita, una ferita. Pensieri che si staccano come ghiacciai al sole e quel fisico che piano piano se ne va. Ossa, muscoli, vista.

Non resta che brindare alla morte.

Cin cin

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Parole

Rileggendo i commenti all’ultimo post, mi sono ritrovato a pensare, come, a volte, è facile confidare a sconosciuti, pensieri “interiori”. Pensieri che non diresti alla tua compagna o al tuo compagno.

La frequentazione epistolare, porta in modo quasi naturale ad avvicinarsi. Piano piano, ti ritrovi a considerare quell’essere umano, senza volto e voce, qualcosa di più che un semplice interlocutore, inizi a considerarlo un amico o un’amica.

Cosa riescono a fare le parole!

“Le parole hanno il potere di distruggere e di creare. Quando le parole sono sincere e gentili possono cambiare il mondo.” Buddha

Le parole possono cambiare le persone, cambiarle in meglio o cambiarle in peggio. Si parla o scrive, spesso, di silenzi, di indifferenza, un malessere sociale che a diversi gradi corrompe tutti, persino chi, in teoria, non ha anni sufficienti per sostenere una vita segnata da ferite e traumi, non avendo vissuto abbastanza. Eppure, basta così poco per rendere uno spazio vuoto, pieno.

Osservate questa stanza:

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Sfoglia, vissuta oltre l’usura, nessuno mobilio o oggetto comune, solo una piccola bicicletta così scontatamente infantile. Malinconica, forse anche triste e decisamente solitaria.

Un’allegoria perfetta dell’animo umano. Basterebbe aggiungere un computer è il cupo ambiente rifletterebbe la modernità dell’animo umano.

Quel computer o smartphone, oggi, basta a riempire quella stanza. Di cosa? Beh! Non spetta a me fare un elenco. Posso concludere di cose buone alcune volte, di cose brutte altre volte. Riflettendo sulle differenze tra queste due sfere, non ho potuto non constatare che alcuni aspetti sono legati ad un’esplicita emozione o azione.

In un post passato ho scritto: Resistere. La resistenza, per definizione, è una forza che si oppone ad un’altra forza contraria. Lo scopo? Rendere inefficace l’azione della forza contraria. Immaginate, due enormi energumeni che spingono, una porta, uno da un lato, l’altro dall’altro lato. La porta non si aprirà mai. A meno che una delle forze non ceda.

Solo un’altra parola ho usato – a parte l’onnipresente amore – per definire la vita. Ed è il cambiamento. Cambiare la natura delle forze che ci circondano o vivono dentro di noi è il modo, forse, più corretto per aprire le porte che resistono alla nostra volontà. Porte che sono la metafora, dei problemi, dei conflitti, delle scelte che viviamo quotidianamente.

Imparare!!! Questo è il secreto. Orazio fu il primo, poi tanti, tanti altri a ribadire un unico semplice concetto. Impara dalla vita.

 

Io ho imparato a disegnare.

 

Charlie Claplin

il mio Charlie Claplin.

 

Ho imparato a scrivere poesie.

Giunge portato dal vento afoso dell’estate,

respiro caldo alitato sulle fronde alberate.

Vedi le foglie da verdi mutare in gialle

e da gialle di rosso macchiare,

le vedi cadere sul manto erboso,

prima una poi tante.

Ciò che rimane un timido albero pronto a riposare,

l’autunno il malinconico, il silenzioso,

l’autunno vestito di rosso.

 

Ho imparato a programmare un computer, ho imparato a trasformare un ammasso di argilla in un vaso. Ho imparato a compilare una fattura. Ho imparato ad amare una piccola cagnolina come mai avrei pensato di poter esser capace di fare.

 

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Io e la mia piccola amica.

 

Si può imparare!!! Si può imparare a riconoscere un fungo non velenoso tra tanti funghi velenosi, si può imparare a giocare a scacchi, si può imparare una nuova lingua, si può imparare a correre come mai si è fatto prima, si può imparare a respirare come mai si è fatto prima, si può imparare ad aver coraggio. Il coraggio di non mentire a sé stessi. Il coraggio di accettarsi con tutti i difetti che dicono e diciamo di avere.

Ecco!!! Semplicemente imparare qualcosa. Forse? Quel qualcosa è e sarà sufficiente per cambiare. Perché non è mai troppo tardi.

 

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Trasformarsi

Ogni volta che condivido un post, seguo più o meno lo stesso iter, una sequenza precisa di passi che finora non è cambiata tanto, anzi per nulla.

 

1 – Rispondo ai commenti.

2 – Scrivo il mio post.

3 – Pubblico il mio post.

4 – Visito gli utenti che hanno un posto nella mia mente.

5 – Leggo e commento (quando possibile) i contenuti pubblicati da questi utenti.

 

Oggi questi utenti si contano nelle dita di una mano. Non visito altri profili, né leggo altri blog.

Sinceramente non ne sento più il bisogno (ed è vero che sono solo quelli sempre quelli, che meritano.).

 

Nonostante siano pochi la diversità è tangibile, per contenuti ed emozioni.

 

Nell’ultimo anno i post si sono, molto, diradati. Oggi, passano tanti giorni tra un post e l’altro, agli inizi riuscivo ad inserirne uno al giorno, forse avevo più tempo o più voglia di scrivere.

 

Il motivo per cui si scrive è soggettivo in molti casi personale, è indubbio però che si prende spunto da quel che ci accade (direttamente o indirettamente), per tutti è così.

A volte si risponde ad un immaginario amico che ci pone quesiti sotto forma di scelte o inevitabilità.

A cosa si risponde?

La risposta che mi viene in mente è: Alla vita, alla nostra vita.

 

È nella natura delle cose, seguire un cammino che è tratteggiato da linee e punti, da interrogativi ed esclamazioni, smorfie che scavano e scavano solchi nell’anima. Piano piano li vedi affiorare dal buio e tatuarsi sulla pelle, colpi di rasoio che non sanguinano, né provocano dolore, ma sempre più somigliano a ferite. E vivi senza risparmiarti nessuna piaga o tradimento, fasciando la bocca al che nessun lamento possa essere udito.

Sorridi pure, fai il buffone, ti prodighi per gli altri e vivi come un burattino senza alcuna consapevolezza che piano piano muori, quando dovresti vivere e respirare.

 

E non ti resta che resistere, continuare a resistere.

La resistenza la panacea agli attacchi del male. Gandhi nella sua infinita saggezza ed esperienza disse: “Nessuno può farti più male di quello che fai tu a te stesso.”

Il primo nemico che incontriamo nel nostro cammino siamo noi stessi, ed è da lui che impariamo la sfiducia, la meschinità e il desiderio della colpa. Da lui impariamo a far del male.

 

Chi mi legge da tempo sa che amo l’arte, per dare forma ai miei pensieri uso ogni mezzo possibile, il pennello, lo scalpello e la penna. Tempo fa raccolsi in un manoscritto tutti i pensieri che scrissi. Alcuni qui, altri nella mia solitudine, una racconta che rimase nascosta ed è ancora nascosta.

 

Voglio riprendere alcuni pensieri.

 

“Ci sono versi di gioia, di incontenibile vivacità che riescono a trascrivere l’amore sulla pelle.

Ci sono, poi, versi d’infelicità, d’insostenibile tormento che scaraventano il cuore lontano da ogni fonte di luce.

Versi che raccontano le pene della guerra, le pene della malattia, le pene dell’amore e le pene d’una vita fallita.

Perché si leggono?

Per lo stesso motivo per cui si leggono le poesie d’amore, per dare integrità all’anima. Per dare quel senso di interezza che solo nell’equilibrio di emozioni e sensi, trovo e riesco a trovare.

Perché anche il dolore è un’esperienza. Un’esperienza che non va anestetizzata, né cancellata. Ci si può sentire stanchi, irascibili, privi d’ogni interesse, avere la percezione di non essere più quelli di prima e sentire nel cuore di non avere più via d’uscita.

Tutti!!! Tutti prima o poi si sentono o si sono sentiti così. Io mi ci sento molto spesso e raccontarlo è un modo per creare, un sentiero o, meglio, una porta e le porte sono vie d’uscita.

Il dolore va accolto al di là di quel che si può pensare: con dolcezza. Vissuto come si vive una persona cara. Per questo: poeti, cantori e artisti, ne fanno versi, melodie e opere. Per dare forma e identità a quel dolore, renderlo docile, romantico, persino amico.

Lo so! Son parole e a parole tutto è facile. Non è facile per niente, invece. C’è chi si arrende.

Per un istante, un solo istante, è capitato anche a me di pensare alla resa, un pensiero che è durato 300 metri, il tempo d’arrivare a casa […].

La salvezza per me è stata l’arte, può esserlo la musica, può esserlo lo sport, ma può essere anche una mano che ti prende in tempo o una parola che giunge in quel preciso momento, in quell’unico momento in cui serve. In ogni caso è, sempre, in noi la scelta di afferrare quella mano, di ascoltare quella parola.

Tra tutto quello che ho scritto, questo è il tema più imbarazzante per me. Perché si palesa il disagio. Perché diventa viva l’idea che un giorno ho pensato che nulla era più importante, che non c’era più via d’uscita.

Un pensiero può diventare un tarlo, scavare così in profondità da non sentire più dolore, non sentire più niente. Per un secondo, un solo secondo, tutto svanisce e ci si sente quasi felici, liberi.

Un cattivo uso della libertà può esser letale. A cosa aggrapparsi in quel momento? Alla paura? Alla speranza? All’effetto di chi ci circonda?

A tutto bisogna aggrapparsi, alla vita, alla paura, alla speranza, all’amore, al coraggio che abbiamo dentro. Ma soprattutto all’intelligenza. Credo che ci si arrenda nel momento in cui si perde la fiducia in sé stessi, nel momento in cui la mente smette di trovare soluzioni. Riprendersi il valore di sé è la parte più difficile, ma non impossibile. Nulla è impossibile se si ha una ragione, una sola ragione per vivere e credere in sé stessi è, una buona ragione. E qui torno al rapporto padre/figlio/a e al rapporto madre/figlio/a. Se si riesce a dare valore ad un bambino, a imprimere nella memoria, prima che qualunque trauma entri nella sua anima, un vero valore, si avrà una possibilità di ricordarsi chi si è e perché meritiamo di vivere.”

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Ecco questo è un passo di quella raccolta di pensieri che pochi, anzi nessuno ha mai letto.

Perché li condivido ora?

Per rispondere alla vita e a chi si trova piegato con le ginocchia che toccano la nuda terra.

Pochi giorni fa, ho letto, i post di un’amica e si è accesa in me questa lezione forse mai imparata di sopravvivenza.

 

Resistere e sopravvivere. Il verbo del Dio uomo. Io sono un Dio nel mio universo, creo e distruggo in un ciclo perpetuo di pensieri.

 

“Nessuno sceglie un male capendo che è un male, ma ne resta intrappolato se, per sbaglio, lo considera un bene rispetto a un male maggiore.”

Epicuro.

 

Un tempo scrissi di “mostri”: Vampiri, lupi mannari, golem. Un altro passo mai letto.
“Mi hanno definito, anche, mostro da bambino.

Ed io un mostro l’ho scelto, tra fate, elfi, folletti e maghi ho scelto un mostro come espressione di quel che ero, […].
Un bambino impacciato, silenzioso, un bambino rotto, fatto di tanti pezzi. […].

Mostri! Non tutti i mostri sono simpatici. Ci sono mostri che vivono nell’oscurità e attendono. Aspettano che l’innocenza si avvicini.

Il Trauma?! Un mostro generato da un altro mostro.

Che cos’è il trauma?

È un’esperienza sconvolgente, improvvisa, che ci travolge e seppellisce. Sì, seppellisce. Il trauma ci blocca e ci impedisce di vivere il presente.

E se l’orrore è troppo per esser vissuto e rivissuto, accadde qualcosa nella mente. Come una batteria o una lampada che si sovraccarica il nostro sistema collassa, la nostra mente smette di immagazzinare e dimentica, rimuove l’insopportabile. Il ricordo non è più accessibile diventa un comportamento, un’anomalia nei gesti e nelle abitudini. Ad esempio: non riconoscere la destra, dalla sinistra.

Ho un ricordo non mio, di un mio trauma. Mia sorella è il mio ricordo rimosso, la testimone di quel che è accaduto. A volte ho la sensazione di vedere dei flash. Un bambino legato, costretto ad usare la destra, invece, che la sinistra. Ma c’è qualcosa di ancor più terribile, che non ricordo d’aver vissuto – forse, perché non l’ho vissuto – ma che ricorreva nei miei sogni un tempo, quando ancora sognato.

Un uomo dentro uno scuolabus, che si abbassa i pantaloni e costringeva i piccoli alunni a …………., questo vivevo in quel sogno, […].

Avevo rimosso questo ricordo, questo sogno, dopo trent’anni torna così.

Può la mente ingannarci? Mostrarci fantasia e illusioni? Sono passati trent’anni e in testa, ho solo confusione di quel periodo. Riesco solo ad avere sensazioni dell’infanzia. Non riesce a capire cosa sia vero e cosa è finzione. […]. Non è, però, importante non lo è più.

 

La verità?

 

Non vi è rimedio al passato, è scritto nella nostra anima e rimosso o no, condiziona quel che siamo. Ma è quel che siamo. Alla fine è questo a fare la differenza e a renderci unici. Quell’anima a pezzi non è e non deve essere un ostacolo, è e deve essere il valore aggiunto, un frammento della nostra unicità.”

 

È scritto da qualche parte che siamo destinata a questa vita?

No, non è scritto da nessuna parte, quel che viviamo è nel bene e nel male la nostra identità, non, però, la nostra catena.

Imparare a trasformarsi è vitale al che le ferite diventino seta per il bozzolo.

Questa è la lezione più importante che ho imparato dalla vita.

Mai restare uguale a sé stessi, la consapevolezza del tempo che trascorre non è un tormento, lo diventa se siamo sempre gli stessi in ogni istante della vita, le stesse ferite, gli stessi dolori, le stesse violenze.

 

P.S.

Non ho la presunzione di dare lezioni a nessuno, dimenticare quello che avete letto è un’opzione.

Tutte le opzioni sono valide, tutte le verità sono plausibile fino a morte accertata.

 

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Fiammelle

Non mi posso definire un grande lettore di narrativa, le mie performance possono arrivare a un libro all’anno, nulla di eccezionale, anzi, un pessimo risultato.
Mi gratifica più dedicarmi alla saggistica, ai manuali specialistici e ai racconti biografici.
Qualche settimana fa ho letto che Benedetta Tobagi ha vinto il Premio Campiello con il libro: La resistenza delle donne.
Un libro che rientra in quelli che di solito leggo. Un libro che racconta la storia attraverso la vita di chi la storia l’ha cambiata, in questo caso: “le parteggiane”.

L’ho comprato, da poco ho iniziato a leggerlo.

Dalla premessa il libro è un elogio alle donne che resistono, a tutte le donne che resistono.

Triste o non triste, è un fatto che resistiamo.

“Non verrò. Fate di me ciò che volete. Non verrò. Su! Su! Mettetevi in azione! Andiamo!”
Tatanka Yotanka (Toro Seduto)

Alcuni resistono per non cessare di esistere altri semplicemente per vivere o sopravvivere alla quotidianità della vita.

Ieri nel profilo ho scritto queste parole:

Sempre più riscopro la bellezza del cuore
e la dolce poetica dell’amore.
Lei.
Una creatura che sceglie la catena,
per mostrarmi e insegnarmi che l’amore è:
un’incondizionato donarsi.
Lei.
È più umana del più santo degli uomini.

Parlavo di Frida.

Bisogna stare attenti al buio che si ha attorno, al lupo che si nutre, perché può esser facile scivolare in un sonno apatico fatto di pensieri e si sa: Il sonno della ragione genera mostri.

Non basta evitare le ombre della vita, a volte impossibili da evitare, attorniarsi di piccole fiammelle è necessario, cercarle indispensabile.

La mia fiammella

 

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Sempre pronta a regalarmi un sorriso.

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Simbolo di resistenza

Chi mi conosce mi definisce un’artista, gli studi di certo lo confermano, io mi sento, in verità, più un artigiano, una sorta di osservatore curioso.

L’artista nella sua attività, ha la predisposizione a comporre. La composizione è, di fatto, la naturale attitudine dell’artista a ricercare ordine e simmetria (sia essa centrica o non).

Un’artista tende ad osservare, osserva l’insieme, osserva i dettagli.

Ed è da questa osservazione che la forma trova nei suoi occhi la collocazione nella composizione.

Ecco!!! Così avevo iniziato, oggi, questo post. Poi, mi sono irretito nel leggere le mie parole e l’ispirazione si è offuscata.

Apparire o essere? Qual è versione di sé si concede e concedere?

Stamattina osservando il Pino che decora il centro della piazza, mi sono ritrovano a osservarne il tronco. Sono sempre stato affascinato dagli alberi, probabilmente per la loro attitudine ad esser modelli (artistici) perfetti. È divertente disegnarli, è divertente dipingerli.
Tutti siamo stati bambini. Prima o poi ogni bambino disegna un albero, è una spinta naturale per le nostre menti cimentarsi con la sua forma. Di fatto, è, un amico che viviamo quotidianamente, una presenza immobile che ci protegge e conforta.

Immobile fui un albero nel bosco,
Conobbi la verità di cose mai viste prima;
Di Dafne e della fronda d’alloro
E di quei vecchi sposi che festeggiarono gli dei
E divennero un rovere in mezzo alla brughiera.
Essi poterono compiere un tale miracolo
Solo dopo che gli dei furono
Gentilmente pregati e accolti
Al focolare della loro amata casa.
Sono stato comunque un albero nel bosco
E ho appreso cose nuove che prima
Parevano follia alla mia mente.
Ezra Pound

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Si può imparare da un albero? Per Susanna Tamaro di certo sì, lo ha affermato con queste parole: “Che straordinario dono sono gli alberi e quante cose potremmo imparare da loro, se solo sapessimo guardarli, vederli, prestare loro l’amore e l’attenzione che si presta agli amici.”

Cosa può insegnare un albero?

Le cronache medievali descrivono, ad esempio, il Tiglio come un albero virtuoso. Ammirato per la sua longevità, ma ancor più per la sua opulenza e ricchezza.
La quercia, altro albero virtuoso, da sempre, è simbolo di forza e resistenza.

Longevità, ricchezza, forza e resistenza.

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L’uomo avrebbe certo da imparare sulla resistenza che ha questo essere vivente alle intemperie della vita. Salde sono le sue radice e tanto più salde sono, tanto è più forte l’albero.

La metafora dell’albero per conoscere sé stessi.

“Fate come l’albero, che cambia le foglie e conserva le radici. Cambiate le vostre idee e conservate i princìpi.”
Victor Hugo  

Questa è tra le citazioni più bella che conosco.
Cambiare le nostre idee e conservare i nostro principi, le radici che ci ancorano all’essenza della vita. All’apparenza sembra facile comprendere il messaggio. Esiste una decisiva differenza tra idee e principi, ed è questa differenza a renderci capaci di resistere, come un albero, ai colpi della vita.

Ed è verità che tutti li subiamo, tutti abbiamo ricevuto colpi dalla vita, ferite che non sempre guariscono.

La deformità di un albero, non è la sua debolezza, ma la sua forza. Tanto più contorto è il suo tronco, tanto più è resiliente la sua anima.

Una lezione che dovremmo imparare, alla luce degli eventi che ci accadono. Anche il nostro corpo si deforma, cosi come la nostra anima, sotto il peso della nostra incuria. Noi non resistiamo ai colpi della vita, noi ci facciamo modellare e spasmare da essi. E con la scusa d’esser vittima della cattiva e crudele società, diventiamo il male che subiamo.

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Probabilmente rischio di diventare retoricò se continui nella mia riflessione.
Mi limito allora ad elogiare, semplicemente, l’albero e il suo coraggio.