Traduzione di Claudia Gesù
Lavoravo come ragioniere in una scuola. Un pomeriggio nell’agosto 2007, circa alle 14, io e il mio collega stavamo guidando le nostre moto per andare al distretto scolastico centrale per prendere i libri. Lui era loquace. All’inizio, guardavo la strada davanti mentre parlavo con lui. Più tardi, mi interessavo solo a parlare ma non guardavo avanti. Poi, tutto ciò che ho sentito era un forte “bang” e la mia moto ha colpito un camion. Svenni immediatamente.
Quando mi sono svegliato, ho visto il mio collega così spaventato che era fermo lì, pietrificato. Ho cercato di allungare le gambe, scoprendo che ero in grado di farlo. Così pensai che non c’erano problemi nel mio corpo. Poi ho cercato di alzarmi in piedi, ma la mia testa non poteva muoversi. Vidi che c’era sangue ovunque sul posto e che i miei vestiti erano tutti tinti di rosso. Solo allora realizzai che ero gravemente ferito. Inoltre, non riuscivo a sentire i miei denti. Poi vidi il mio petto che continuava a sanguinare, e quindi pensai: se continuo a sanguinare in questo modo, anche se non mi sono ucciso, morirò dissanguato. Ho urlato forte: “aiuto! Aiuto!”. Comunque, dopo aver gridato più volte, il mio collega era ancora in piedi al mio fianco senza muoversi come se non mi avesse sentito affatto. Solo allora realizzai che avevo perso la voce.
C’erano sempre più passanti che mi circondavano, ma nessuno osava farsi avanti per vedermi e supportarmi. Giacevo al suolo come un uomo morto. Pensavo: non posso morire. Devo vivere! Perciò, alzai la mia testa con tutte le forze. A quel punto, quando il mio collega vide che ero vivo, si affrettò a farsi avanti per aiutarmi a sedere. Quando mi sono seduto, sentivo solo che la mia testa era così pesante da non riuscire a reggerla, come se ci fosse stata una pentola su di essa. Poi ho visto che la mia moto era a più di un metro di distanza da me e che una delle mie scarpe era stata buttata sulla strada opposta, a dieci metri di distanza. » Read more