Stalingrado, un capolavoro d’estrema attualità

Il 29 aprile del 1942, in un tripudio di bandiere tedesche e italiane, alla stazione di Salisburgo arrivò il treno del dittatore dell’Italia fascista Benito Mussolini.

Dopo la cerimonia di prammatica, Mussolini e i suoi accoliti si diressero al vecchio castello di Klessheim, antica residenza dei principi vescovi del luogo.

Lì, nei grandi saloni freddi riammobiliati di recente con arredi sottratti in Francia, si sarebbe tenuto l’ennesimo incontro fra Hitler e Mussolini, mentre Ribbentrop, Keitel, Jodl e altri collaboratori stretti del Führer si sarebbero confrontati con i ministri che avevano accompagnato il duce: Ciano, il generale Cavallero e Alfieri, l’ambasciatore italiano a Berlino.

I due sedicenti padroni dell’Europa si incontravano ogni volta che Hitler predisponeva una nuova sciagura nella vita dei popoli. Le loro conversazioni a quattr’occhi sulle Alpi al confine fra Austria e Italia portavano puntualmente a un’invasione, a manovre diversive di portata continentale e ad attacchi di fanteria motorizzata con relativo dispiegamento di milioni di uomini.

Quanto all’incontro di Salisburgo della fine di aprile del 1942, fu l’anticamera di una grande offensiva nel Sud della Russia.

Fra i consueti sorrisi di smalto e oro dei loro denti finti, in quei primi momenti insieme Hitler e Mussolini si dissero felici che le circostanze avessero concesso loro di incontrarsi di nuovo.

Mussolini pensò che l’inverno appena trascorso e la brutta sconfitta a ridosso di Mosca avevano lasciato il segno sul Führer: si era ingrigito (e non solo sulle tempie), le occhiaie erano più scavate, il colorito particolarmente spento e poco sano. Solo il trench era impeccabile come sempre. L’espressione torva e feroce della faccia, invece, si era persino accentuata.

Guardando il duce, Hitler pensò che di lì a cinque o sei anni sarebbe stato definitivamente decrepito, con la grossa pancia da anziano ancora più prominente, le gambe sempre più corte, la mascella più volitiva che mai. La sproporzione fra quel corpo da nano e mento, faccia e fronte enormi, da gigante, era spaventevole… Vero era anche, del resto, che gli occhi scuri e scaltri del duce non avevano perso in acume e durezza.

Parlarono dell’inverno appena trascorso. Mussolini si sfregò le mani, quasi bastasse il pensiero del freddo di Mosca a fargliele intorpidire, dopo di che si felicitò con Hitler: aveva battuto il gelo e pure dicembre, gennaio e febbraio, i tre generali migliori di tutte le Russie. Era solenne, la sua voce: con ogni evidenza le felicitazioni e il sorriso fisso, imperturbabile erano stati allenati con largo anticipo.

Ora che l’inverno era alle spalle, nulla avrebbe potuto salvare la Russia, l’ultimo nemico del «nuovo ordine» nel continente europeo, e l’offensiva ormai prossima sarebbe servita a mettere definitivamente in ginocchio i Soviet: avrebbe tolto il combustibile ai motori dell’Armata Rossa sulla terra e nei cieli, avrebbe negato il petrolio all’industria degli Urali e il carburante ai mezzi agricoli, portando con sé la caduta di Mosca. Sconfitta la Russia, anche la Gran Bretagna avrebbe capitolato.

E difatti di lì a poco passò a parlare della Russia. Hitler non vedeva e non voleva vedere che i duri scontri sul fronte orientale e le feroci perdite invernali avevano tolto all’esercito tedesco la possibilità di attaccare contemporaneamente a sud, a nord e al centro. Il piano della nuova campagna estiva era figlio solo e soltanto del suo libero arbitrio, e solo e soltanto la sua mente e la sua volontà avrebbero determinato il corso degli eventi bellici: questo credeva il Führer.

Disse a Mussolini che i Soviet avevano subìto perdite ingenti e non potevano più contare sul grano ucraino. Leningrado era sotto il fuoco ininterrotto dell’artiglieria. I paesi baltici erano stati strappati per sempre alle grinfie della Russia. Il Dnepr era nelle retrovie tedesche. Il carbone, la chimica, le miniere e la metallurgia del Donbass erano in mano al Vaterland, i caccia tedeschi volavano sopra Mosca, l’Unione Sovietica aveva perso la Bielorussia, buona parte della Crimea e le terre millenarie della Russia centrale: i russi erano stati cacciati da città antiche come Smolensk, Pskov, Orël, Kursk, Vjaz’ma, Ržev. Restava da sferrare il colpo di grazia, ma perché l’attacco risultasse davvero risolutivo, doveva essere inferto con una forza che facesse sensazione.

Verosimilmente, una tale quantità di artiglieria, divisioni corazzate, fanti, caccia e bombardieri non si era mai raccolta in un unico settore del fronte. Quella singola offensiva aveva in sé una valenza universale. Era la tappa ultima e risolutiva dell’attacco nazionalsocialista. Quella che avrebbe deciso le sorti dell’Europa e del mondo. E l’esercito italiano doveva fare la sua degna parte. Non solo l’esercito, anzi, ma anche l’industria italiana, l’agricoltura italiana e il popolo italiano tutto.

Vasilij Grossman, Stalingrado

Giusto per sottolineare che nessuno è innocente, basta guardare indietro. In qualche modo quello che accade oggi l’ha già messo in conto la storia.

Battaglia di Stalingrado - Wikipedia

Stalingrado, un capolavoro d’estrema attualitàultima modifica: 2022-04-11T16:51:07+02:00da VIOLA_DIMARZO

4 pensieri riguardo “Stalingrado, un capolavoro d’estrema attualità”

  1. Sono tardo ma non capisco il collegamento tra la battaglia di Stalingrado, il colloquio dei leaders nazifascisti e la situazione in Ucraina. Ci sono parallelismi certo, che si trovano pero’ in tutte le situazioni di guerra , come la disinformazione , l’autoreferenzialita’, i caduti e gli ‘effetti collaterali’
    Piuttosto visti i precedenti e la massa delle informazioni disponibili oggi mi pare che gli intenti attuali delle parti in causa (Da Putin a Biden) raggiungano un livello di criminalita’ superiore, o meno fraintendibile. Saluti

  2. Lo so che sembra un’altra storia, diciamo che possiamo considerare “Stalingrado” un prequel, un fil rouge da ripercorrere a ritroso per capire di più la Russia contemporanea.

  3. Piu’ che capire la Russia, costretta negli anni all’angolo e istigata a reagire (sbagliando) mi piacerebbe capire l’Ukraina che si e’ tirata volontariamente in casa una guerra ed attraverso i diktat del suo presidente continua a fare un gioco altrettanto sporco di quello del suo aggressore .

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