Il Benigni opaco ma corretto

Con l’afrore tipico dell’animale da palcoscenico, dopo aver padroneggiato le scale come una vera star, Roberto Benigni si è lanciato nel suo monologo sulla Costituzione italiana con tutta la bravura di cui è capace, benché fosse evidente che era sottotono. Ha vagabondato per articoli, si è rivolto più volte a un Mattarella “impalcato” e divertito, poi ha tirato dritto verso la conclusione. Ma senza slanci, come chi è innamorato di quello in cui crede, ma pure vagamente annoiato. Se si fosse trattato soltanto di un mero festeggiamento del settantacinquesimo anniversario della nostra Costituzione, il siparietto del toscanaccio non sarebbe passato alla storia. Ma la presenza del Presidente della Repubblica in primis, e poi il richiamo al ventennio fascista con relativa insistenza sull’articolo 21 (“Il mio articolo preferito, non potete sapere quanto gli voglio bene“) hanno fatto la differenza, e c’è da scommettere che pure il più ubriaco tra i telespettatori ha saputo cogliere le allusioni rivolte al Governo. Tirando le somme, i toni mai sopra le righe di Benigni hanno sicuramente soddisfatto il cerimoniale sanremese che ambisce a miscelare il pop con l’aulico, ossequiando un rituale collettivo che premia assenza di stile e di senso.