Ridiscutere il concetto di bellezza (e di bruttezza)

Armine Harutyunyan: la "differenza" ti fa bella - Pink Magazine Italia

Gli stereotipi di genere sono duri a morire, e in una società che assegna alle qualità estetiche un’importanza maggiore rispetto a quelle umane, la donna brutta sa di essere in una posizione poco vantaggiosa, anche in ambito professionale. A tutte le bambine viene insegnato ad essere belle perché, e lo capiranno “dopo”, essere tali è il lasciapassare per conquistare un uomo. Di conseguenza, archiviata l’infanzia e abbracciata la pubertà, le ragazze imparano a valorizzarsi, con buona pace di quello zoccolo duro che se ne frega di piacere a tutti i costi. Ma che succede se una è brutta senza appello? Ne parla tra il serio e il faceto Giulia Blasi nel suo Brutta. Storia di un corpo come tanti, e in un articolo su Repubblica scrive:

“Brutta sono sedici monologhi, a partire da quello che ho letto sul palco del festival EROSive a settembre 2020, che parlano del mio corpo e per estensione di tutti i corpi, dall’infanzia alla maturità (…) Il tema della bruttezza è un tabù, qualcosa che non si può dire se non con rammarico o rifugiandosi dietro comodi luoghi comuni, da “Tutte le donne sono belle” (perché non sia mai che una osi esistere se non lo è) a “Non esistono donne brutte, solo donne pigre” (una frase di Helena Rubinstein che è un colpo di genio del marketing prima che il marketing fosse una scienza).

“Da quando il libro è uscito, circa un mese fa, in molti (soprattutto uomini) mi hanno scritto per rassicurarmi: non è vero che sono brutta, anzi. Li ringrazio, anche se la loro premura ha un doppio fondo, mi riporta all’idea che nessuna donna debba essere definita “brutta” se non quelle che si vogliono ferire, ed è giusto così. Bisogna essere gentili con le persone, con tutte le persone. Quello che chiedo, però, non è la gentilezza individuale: è una ridiscussione collettiva del valore sociale della bellezza, dell’ingerenza del capitalismo nell’immagine che abbiamo dei nostri corpi (…), e delle tattiche di terrorismo che vengono messe in campo per impedire alle donne di allargarsi troppo, in un senso metaforico che diventa anche letterale nella pressione che si applica sui corpi grassi, in particolare quelli femminili, perché si facciano più piccoli, meno ingombranti, fino a scomparire”.

foto: Armine Harutyunyan, modella dalla bellezza non convenzionale

Intimamente ve(ne)re

Trova la tua forza, trova la tua bellezza': Intimissimi punta sull'inclusività nel nuovo spot tv | Engage

Ho apprezzato particolarmente la pubblicità Intimissimi che passa in tv da qualche settimana: al posto dei soliti manichini di stucchevole perfezione, un gruppo di ragazze diverse per costituzione fisica, e tuttavia accomunate da un unico denominatore: la bellezza. Ma cos’è esattamente la bellezza? Quella che si riconosce nelle proporzioni matematiche dell’antica Grecia, o quella più morbida di matrice rinascimentale? Difficile a dirsi perché i canoni estetici sono cambiati col susseguirsi delle epoche, senza contare che negli ultimi dieci anni nuovi modelli, afferenti ai movimenti LGBTQ+ e #BlackLivesMatter, hanno arricchito il panorama. Comunque sia, la strada per la piena accettazione di sé è ancora lunga, e infatti se portassimo all’attenzione delle adolescenti la foto in alto, molte indicherebbero come belle, perché magre, le due modelle sullo sfondo, anche se è arcinoto che alla maggioranza dei maschi piacciono le forme generose delle due in primo piano. L’autorevole Wall Street Journal ha dedicato un articolo alla pericolosità di Instagram giacché una ragazza su tre – stremata dal continuo raffronto con i corpi perfetti presenti sul social – ha disturbi di percezione della propria immagine, disturbi che nei casi più gravi si tramutano in dismorfia. Ecco perché Intimissimi merita una lode, e pazienza se le passerelle delle fashion week continuano a preferire le falcate delle top come Anja Rubik (foto). La rivoluzione è in atto.

Anja Rubik racconta i suoi segreti di top model