5000 varianti di coronavirus, ma i nemici sono altri

 

Anatomia del Coronavirus - Speciale Scienze - La Repubblica

Il saggista americano David Quammen è diventato famoso in concomitanza con la pandemia da Covid-19 perché aveva previsto e scritto in Spillover (2012) quello che poi tutti avremmo esperito. Ora in Senza respiro Quammen riparte dagli avvertimenti inascoltati degli ultimi dieci anni e intervista 95 voci sulle origini possibili del virus: quella naturale (lo spillover); quella che crede in una diffusione accidentale dal laboratorio di Wuhan; e infine la distopica che dà credito a una manipolazione da laboratorio. Secondo Quammen, poiché l’origine naturale del virus è la più probabile, bisognerebbe continuare a prestare attenzione al commercio illegale di animali esotici e agli allevamenti intensivi, mentre note di biasimo sono riservate alla scelta di vaccinare la parte ricca del mondo, lasciando la restante in balia dei virus. Sì, virus al plurale perché solo in Cina si contano almeno 5000 coronavirus diversi, ma attenzione, Quammen invita a tenere d’occhio soprattutto i batteri resistenti agli antibiotici e i virus dell’aviaria.

Che dire? Speriamo di sollevare Quammen dal ruolo di Cassandra, perché il mondo per rigenerarsi ha bisogno di sognare. E l’incubo non gli si addice.

Di cosa parlavamo prima del coronavirus?

   Ora che l’argomento principe è il Covid-19 che, oltre a instillare inquietudine, ci ha resi monchi di ogni altro interesse, è ozioso chiedersi di cosa parlavamo prima che la pandemia rendesse grevi i nostri giorni? Io me lo sono chiesta e confesso che, nel ripercorrere un tratto della nostra storia, un po’ di nostalgia l’ho provata.

  Novembre 2019. Tra entusiasmo e pragmatismo commentiamo l’invasione delle Sardine in piazza Maggiore a Bologna, le stesse che tre mesi dopo biasimeremo per via di una foto con i Benetton. Più o meno negli stessi giorni il Time mette in copertina Greta Thunberg, eleggendola persona dell’anno perché ha reso imprescindibile la necessità di contrastare il global warming. Sull’argomento un profluvio di parole.

   Dicembre 2019. Molti di noi si dicono fieri di appartenere a una nazione il cui Presidente stringe la mano a Liliana Segre nella cornice della Scala di Milano, un segnale forte in direzione dei negazionisti e di certe polemiche stantie che ritornano ciclicamente. Poco prima di Natale il pensiero politico a stelle e strisce si occupa dell‘impeachment di Trump, accostandolo a reazioni entusiaste per il telefonino con lo schermo pieghevole e qualche preoccupazione per il  social Tik Tok a cui i giovanissimi, in massa, stanno affidando il cazzeggio giornaliero. Arriva dalla Cina insieme al coronavirus, ma questo lo ignoriamo.

  Gennaio 2020. Archiviato il capodanno con l’onnipresente retorica sulle abbuffate natalizie, proclamiamo la volontà di affrontare il nuovo anno con una marcia in più.

   Febbraio 2020. Addetti ai lavori e popolino si chiedono se sia genuino o meno l’abbandono del palco di Sanremo da parte di Bugo durante l’esibizione con Morgan. Chi segue la Formula 1 constata che il test della Ferrari sul circuito di Barcellona è stato deludente. La nota più divertente arriva da quelli che scatenano una sorta di caccia al tesoro per i biscotti alla Nutella; qualcuno prova a dare delle dritte ma restano introvabili.

   Quando saremo fuori da questa emergenza, dobbiamo ricordare che siamo tutti elementi utili di un unico ingranaggio e se pure la pienezza della vita ci viene ora negata, presto, come Enrico di Ofterdingen, troveremo il nostro fiore azzurro. Perché ricostruirsi la vita è anche una questione di poesia.

Il coronavirus ha immalinconito i miei amici

  “Da tre settimane o poco più i miei amici hanno cambiato pelle, si sono immalinconiti. Che provino a essere ciarlieri o tacciano, sono in tutto simili a una scarpa frusta, a una cesta di biancheria sporca; da loro mi sarei aspettata un’incazzatura, avrei capito lo sconforto ma la malinconia, dissimile dalla mia che hanno sempre stigmatizzato come uno stato di alterigia o al più di intrepida ombrosità, proprio no. Uno ha confessato di sentirsi, ora, più vicino alla mia natura. Non è così. La sua è malinconia che nasce dalla prostrazione, la mia è sostanzialmente questa:

  “Anche se ha radici antiche e implicazioni religiose, oltre a un’inseparabile dimensione clinica, la malinconia è soprattutto una categoria, un modo di essere, una poesia del Moderno, che nasce segnato dalla consapevolezza di un peccato originale, di una perdita indefinibile – non di Dio – ma forse della “vita vera”, o meglio  del sentimento di poterla attingere. […]

   La malinconia non è solo depressione psichica o tristezza tortuosa e morbosamente accarezzata. La fugacità e l’imperfezione della nostra vita ne fanno una corda fondamentale dell’animo […]. Nessuna vita e nessuna poesia della vita possono ignorare la malinconia, la caducità del tempo che passa, ciò che sempre manca in ogni felicità e in ogni amore anche felice, il corrompersi delle cose e dei sentimenti anche più puri, il disincanto, l’incessante alterarsi e svanire. L’amore, ha scritto Charles-Louis Philippe, è tutto ciò che non si ha; questa mancanza può essere vissuta non necessariamente con voluttà masochista, ma con un senso forte – classico, antico – dell’inevitabile scompenso che c’è fra il cuore e il mondo […]. Non c’è incanto senza consapevolezza e non c’è consapevolezza senza malinconia. Un secolo fa un cultore di fisiognomica, descrivendo la bellissima bocca di Cléo de Mérode, grande attrice e grande amante, notava che, col passare degli anni, intorno a quella bocca si era disegnata come un’ombra di malinconia. Forse, così, era ancora più bella”.

da un articolo di Claudio Magris

In foto Cléo de Mérode