Se rinasco, studierò per diventare vaticanista. Ma per adesso, dovendo accettare la mia umile condizione di persona che delle cose del mondo capisce e sa pochissimo, mi limiterò a qualche osservazione terra terra. Innanzitutto non posso nascondere la mia irritazione per le lacrime del clero, lo stesso che non esitò a isolare papa Ratzinger per via di una delle sue più grandi intemperanze:
“Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava“.
A imitazione di Ponzio Pilato, i pezzi da novanta del Vaticano se ne lavarono le mani, e tra queste ve ne erano di eccellenti come quelle del cardinale Martini e di padre Thomas Michel, il quale si profuse in un capolavoro di obbedienza al pontefice cercando di lenire l’ira funesta dei maomettani con le parole: “Benedetto XVI a Ratisbona ha esposto il suo punto di vista personale“. Alla luce di questa crocifissione, metaforica quanto si vuole ma fonte di grande dolore per Benedetto XVI – per tacere dell’ostracismo affinché non fosse liberalizzata la messa in latino o degli scandali dei preti pedofili – pare naturale che Benedetto XVI abbia intrattenuto colloqui proficui, a livello intellettuale, con personalità come Oriana Fallaci e Giuliano Ferrara, e chissà quanti altri ancora. Detto questo, sarebbe importante se non si cercasse di connotare negativamente Joseph Ratzinger con l’aggettivo reazionario, perché mettere al riparo la tradizione dalla fugacità della contingenza non è mai un errore. Il mondo è bello perché è vario, giusto? E allora non facciamo delle sue peculiarità un insieme unico, destinato a fatale fatuità.