La violenza è accettabile e anche Putin ha le sue ragioni

William T. Vollmann: By the Book - The New York Times

Una voce fuori dal coro quella di William T. Vollmann, ma neppure tanto se non fossimo ossessionati dal politicamente corretto. Conosciutissimo in America, nell’intervista di Marco Bruna per il Corriere ha rilasciato alcune dichiarazioni che farebbero accapponare la pelle alle anime belle (rima involontaria), ma che se analizzate con occhio critico hanno il rigore intellettuale che dovrebbe essere di tutti e invece è di pochi.

Marco Bruna: “Dunque, è moralmente accettabile uccidere?

W.T. Vollmann: “Abbiamo il diritto di difendere noi stessi e gli altri ricorrendo alla violenza, nel caso di un’aggressione imminente. Se invece qualcuno crede nella residenza passiva, come Gandhi, e rifiuta di difendersi, allora è un’altra storia. Anche se vorrei che non lo fosse. In Come un’onda che sale e che scende provo ad avanzare l’ipotesi di un calcolo morale che certifichi quando la violenza è accettabile. Se partiamo da un’ipotesi come quella per cui l’essere umano ha il diritto di difendersi, possiamo arrivare a un assunto generale che spieghi e giustifichi le ragioni della violenza? Il dialogo è sempre il mezzo migliore per arrivare a una definizione comprensiva di ogni punto di vista. Una femminista americana pensa che la circoncisione femminile sia un crimine contro le donne, mentre in alcune parti dell’Africa viene considerata una pratica tradizionale, una questione identitaria. La cosa migliore che possiamo fare in questi casi è impostare un dialogo tra punti di vista che sembrano inconciliabili e che si basano su postulati morali agli antipodi”.

M.B.: “Se esiste un calcolo morale applicabile a ogni forma di violenza, si può usare lo stesso metodo per spiegare, o addirittura giustificare, quella di Putin contro gli ucraini?

W.T.V.: “Senza dubbio. Se il nostro approccio è etico dobbiamo cercare un terreno comune con i nostri avversari. Comprendere, come dicevo, i rispettivi punti di vista. Condanno l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin e sostengo che Zelensky abbia il diritto sacrosanto di difendersi, e nonostante tutto mi sono fermato a riflettere sulle ragioni che hanno spinto Putin a muovere il suo esercito. Gli Stati Uniti avevano un accordo di massima con la Russia, affinché i Paesi dell’Europa orientale non entrassero nella Nato. Putin, osservando che sempre più nazioni un tempo appartenenti all’Unione Sovietica si stavano unendo all’alleanza atlantica, potrebbe essersi sentito in pericolo. È una motivazione da non sottovalutare se si vuole fare un discorso serio sulla guerra in corso in Ucraina”.

Ed ecco il punto: fare un discorso serio. Proprio quello che manca alla nostra politica, che si lambicca il cervello sul significato proprio e improprio del sostantivo “devianza”, su un simbolo che se “spento” potrebbe fare la differenza, sull’importanza di assicurare agli studenti le attività sportive, ma poi li rimanda a scuola e: surprise!,  mancano presidi e professori.

Documenta 15 e le accuse di antisemitismo

Accuse di antisemitismo: in Germania si dimette Sabine Schormann. Era la direttrice della fiera d'arte “Documenta” di Kassel - Open

Documenta, manifestazione d’arte contemporanea che si tiene a scadenza quinquennale a Kasse, è stata investita da pesanti accuse antisemite per via dello striscione politico People’s Justice del gruppo artistico indonesiano Taring Padi (foto). All’osservatore attento non sfuggirà la presenza di un maiale con un elmo con la scritta “Mossad” (il servizio segreto israeliano), e un uomo con riccioli laterali (associati comunemente alle comunità ebraiche ortodosse), zanne e occhi iniettati di sangue, che indossa un cappello nero con le insegne delle SS. Lo striscione è stato prima coperto e poi rimosso, ma il ravvedimento a posteriori non è bastato a placare gli animi, al punto che la famosa artista tedesca Hito Steyerl ha ritirato la sua opera, e Sabine Schormann, direttrice della rassegna, ha preferito dimettersi.

La vicenda dimostra che talvolta anche il politicamente corretto ha un senso, mentre la cancel culture un senso ce l’ha solo per chi non ha presente la necessità di contestualizzare. A tal proposito Markus Hinterhäuser, pianista e direttore artistico del Festival di Salisburgo, della cancel culture ha detto:

“La trovo assurda. Ho apprezzato molto Muti che a Chicago nel suo Ballo in maschera non ha cambiato la frase “Ulrica dell’immondo sangue dei negri”, spiegando come le intenzioni di Verdi fossero tutt’altro che razziste”.

“Che noia il politicamente corretto mentre il Paese va dritto nel cesso”

Questa l’estrema sintesi dell’intervista di Marco Bruna a Colson Whitehead, due volte vincitore del Pulitzer e ora ospite del Literature Festival a Roma. Lodi sperticate a Whitehead perché un vero scrittore, e lui dovrebbe essere tale tenendo conto dei riconoscimenti ricevuti, non può prostrarsi al politicamente corretto, soprattutto se si muove in generi avulsi dal fantasy o dalla narrativa rosa (narrativa rosa non si può dire ma me ne frego), dove invece sarebbe possibile non sottostare al diktat dell’ipocrisia e restare credibili. Alla domanda di Bruna:

Leggerebbe una versione emendata di Huck Finn, come quella prodotta in America nel 2011 per evitare la parola negro nel testo?“, la risposta è stata:

Nessuno legge una versione purificata di Huck Finn in America. È una follia. Il dibattito su chi può scrivere cosa, su come bisogna scrivere certe cose per non offendere determinate minoranze, mi annoia. Preferisco pensare ai miei libri“.

Ma Whitehead ne ha anche per gli Usa, e invitato ad esprimersi sul movimento Black Lives Matter dice:

Non abbiamo fatto progressi in termini di uguaglianza in America. Non faccio parte del movimento, non sono in grado di darne un giudizio. Apprezzo i loro sforzi, il fatto che affrontino questioni urgenti come la violenza della polizia. Se guardiamo ai provvedimenti presi dal Congresso, o a quelli annullati dalla Corte Suprema, da ultima la sentenza Roe vs. Wade che garantiva alle donne la possibilità di abortire, non c’è molto da rallegrarsi. Negli anni Sessanta è stato approvato il Civil Rights Act, oggi non siamo ancora in grado di assicurare il diritto di voto a tutti i cittadini americani, specialmente ai neri. È un terribile indicatore di dove sta andando questo Paese. Ovvero dritto nel cesso“. Già solo per quest’ultima frase, il newyorkese senza peli sulla lingua, meriterebbe il terzo Pulitzer.

Colson Whitehead: 'We invent all sorts of different reasons to hate people' | Colson Whitehead | The Guardian