Fare un buon matrimonio era una necessità per le donne della buona società inglese, e non solo, dell’ottocento. Che si cercasse un titolo, denaro o solo di non rimanere zitelle, poco importava. Che la scelta risultasse azzeccata dopo il fatidico “sì” era altra storia.
Nella letteratura ottocentesca si fa spesso cenno ai matrimoni di interesse che rendono la vita degli interessati molto difficili. Come per Helen che sceglie di scappare dal marito, Arthur Huntingdon, per cercare di sottrarre dalla sua influenza la vita del giovane figlio. Ritirandosi a vita privata, spacciandosi per la vedova Graham, Helen cerca di riprendersi quella vita che ha sperperato giustificando i vizi e le nefandezze del marito. Non sarà semplice, però, non incontrare ostacoli. Quello che non ha messo in conto è che gli imprevisti hanno spesso le fattezze e l’intelligenza di giovani ragazzi. L’incontro con Gilbert Markham, infatti, e la sintonia che si viene a creare fra i due, destabilizza non solo la donna, ma anche la società della zona.
“La signora di Wildfell Hall” è il secondo romanzo epistolare scritto da Anne Brontë e presenta due punti di vista nella narrazione: la prima parte è affidata a Gilbert nel presente, la seconda ad Helen che, attraverso un diario, ci riferisce del suo passato.
Questo romanzo pone l’accento sulla condizione delle donne in seno alla famiglia natia e poi in quella propria. Si evince in tutto il testo la forte influenza religiosa dell’autrice (il padre delle Brontë era un vicario) che rende anche la protagonista una fervente credente.
Quello che colpisce in queste pagine è lo spirito di sopportazione e sacrificio a cui Helen si sottopone in quanto donna e moglie, credendo in suo dovere accettare una sorte che si è scelta a occhi aperti pensando di salvare l’anima del marito.
“Ma se odio i peccati amo il peccatore e mi impegnerei per la sua redenzione.”
Le sorelle Brontë hanno tutte prodotto capolavori della letteratura inglese e anche Anne non smentisce questo talento che sembra sopperire alla vita piena di difficoltà che le ragazze hanno sopportato. Una scrittura incalzante, mai eccessiva o pesante; una storia che incuriosisce e indigna, soprattutto per chi è nato ai giorni nostri.
Ma soprattutto lascia in interrogativo: può l’amore renderci schiavi e ciechi davanti ai vizi del nostro partner? Sicuramente no, ma Anne Brontë credeva forse che bisogna credere nella buona fede dell’altro. Amore e sopportazione, dunque, ma anche fiducia.