252. rotte di felice abbandono

Nel cielo sopra la mia casa passa una rotta di gabbiani. Dal mare, sud-sud-est, vanno verso una discarica che sta in zona, nord-nord-ovest.
Passano al mattino per andare verso il cibo, e i raggi del sole li illuminano in pieno: vedo stormi di un bianco abbagliante, tocchi di luce in movimento, candidi frullii, immacolati battiti d’ali.
Tornano al mare la sera, e io li vedo in controluce nella luminosità del sole al tramonto: sagome grigie che al più lieve moto rivelano frammenti di lucentezza, ancor più splendenti per effetto del contrasto tra quel grigio reso quasi trasparente dalla luce e quel bianco che brilla in costanti balenii.

E’ al tramonto, e quando ci sono le circostanze favorevoli, che ho più tempo per godere di questo spettacolo. A primavera inoltrata, d’estate, nel primo autunno, cerco di trovare momenti per abbandonarmi a questo incanto.
Incanto e abbandono sembrano imprescindibili. Immergersi, lasciarsi andare, lasciare andare. Tempo e spazio rivelano altri aspetti che qualche scienziato saprà dire con parole oggettive, ma che io non so dire in altro modo che con ‘presente’ e ‘amore’. Quella meravigliosa sensazione di appartenenza e di non dover far altro che esserci, essere lì con tutto il resto che c’è, e che non c’è nulla da aggiungere, da correggere, da migliorare, da far progredire. Nemmeno da custodire, perché è già tutto in sé custodito per il fatto di esistere. Sentirsi parte di un giardino e non giardiniere. Non sopra, non sotto, ma ‘dentro’.
Mi verrebbe da dire che è quella condizione che il Leopardi intravede in quel ‘per poco’ nel verso ‘ove per poco il cor non si spaura’ della splendida poesia ‘L’infinito‘.
Cos’è quel ‘poco’ grazie al quale il poeta non si perde nella paura dell’immensità e della bellezza, ma arriva a dire ‘e il naufragar m’è dolce in questo mare’? 
E’ proprio la capacità di uscire da ogni pensiero e razionalità e catalogazione e organizzazione e giudizio: ‘tra questa immensità s’annega il pensier mio’: E di entrare in una condizione di fiducia e di abbandono, dove interiorità e mondo esterno si incontrano, ‘fanno l’amore’, godono di entrambi all’unisono.

Dolcissimo e sconosciuto presente, attimo che chiami al cospetto di ciò che c’è, al contatto, alla partecipazione.
Dolcissimo e sconosciuto presente di cui la nostra vita è fatta, ma sepolto dal passato e dal futuro che ci fingiamo nella nostra mente, per usare parole del poeta. Ma ecco il vento stormire tra le fronde, ecco il volo lucente dei gabbiani, ed ecco l’immensità in cui il naufragare assume il significato esistenziale di trovar-sé e il mondo.

Milioni e milioni di anni di esistenza dell’universo, del pianeta terra. Infinito di tempo e di spazio. Infiniti attimi.
I tempi dell’esistenza dell’ipotizzato  supercontinente Columbia, tra i 2,5 e 1,6 miliardi di anni fa.
https://it.wikipedia.org/wiki/Columbia_(supercontinente)
I tempi dell’esistenza dell’ipotizzato supercontinente  Rodinia, tra 1, 1, miliardi e 750 milioni di anni fa.
https://it.wikipedia.org/wiki/Rodinia
I tempi di Pangea, quasi la ‘giovinetta’ dei supercontinenti, formatasi 290 milioni di anni fa.
https://it.wikipedia.org/wiki/Pangea


Miliardi e milioni di anni, di attimi.

Ed io sono qui, in questo attimo, a tendere il braccio verso il cielo, in un gioco di prospettiva che mi permette di vedere la mia mano come fosse in mezzo al balenio luccicante delle ali dei gabbiani, nella luce del tramonto, senza null’altro volere che quell’esser-ci che è anche volere, un volere che è anche sapere.
Lo stesso sapere e volere di quei gabbiani che, dal mare, hanno saputo che a molti chilometri di lontananza esiste un luogo dove c’è cibo per loro.
Volano, senza nulla infrangere, senza nulla migliorare, immersi in ciò che noi umani chiamiamo ‘leggi della natura’, e li dichiariamo inconsapevoli, privi della dignità di un’anima, solo al servizio, se necessario, di noi umani.
Ed io sono qui, capace soltanto di sentirmi innamorata di quei voli, di quei bagliori, dell’erba su cui mi sono distesa, di questo ‘sentire’ che è un modo di sapere inaspettato, e che è rispettoso e che è partecipativo e che è collaborativo, e che è ‘esser-ci’, e di cui altro non so dire con le parole già note.
Semplicemente sono qui adesso e sto facendo l’amore.
Sapremo mai ciò che davvero siamo?

 

mappa-mundi-herefordRichard de Haldingham de Lafford,  Mappa di Hereford, 1276-1283, cm. 150x 133

mappamundi-roma-siciliasardegnaMappa Mundi di Hereford, particolare con Sardegna e Sicilia (segnature moderne 🙂 ) , con labirinto e spirale

torre-babele-arcaMappa Mundi di Hereford, particolare con Torre di Babele e Arca di Noè

sciapode-blemmiMappa Mundi di Hereford, particolari con sciapode e blemmi

 

 

252. rotte di felice abbandonoultima modifica: 2021-02-09T13:28:42+01:00da mara.alunni