Le sanguisughe

Quando, alcune ore dopo, entrai nella stanza della nonna, attaccati alla nuca, alle tempie, alle orecchie, i serpentelli neri si torcevano nella sua capigliatura insanguinata come in quella della Medusa. Ma nel suo viso pallido e pacificato, assolutamente immobile, io vidi spalancati, luminosi e calmi i suoi begli occhi d’un tempo (forse ancora più sovraccarichi d’intelligenza che non prima della malattia, perché, non potendo parlare, e non dovendo muoversi, era soltanto agli occhi che affidava il suo pensiero, il pensiero che può rinascere, come per generazione spontanea, grazie all’eliminazione di poche gocce di sangue), i suoi occhi dolci e liquidi come olio sui quali il fuoco, riacceso, ardeva illuminando davanti alla malata l’universo riconquistato. La sua calma non era più la saggezza della disperazione, ma quella della speranza. Capiva di star meglio, voleva essere prudente, evitare di muoversi, e mi fece solo il dono d’un bel sorriso per informarmi che si sentiva meglio, premendomi appena la mano. Sapevo quanto ripugnasse alla nonna vedere certe bestie, a maggior ragione esserne toccata. Sapevo che, se sopportava le sanguisughe, era in considerazione di un’utilità superiore. (…) Appena tolte le sanguisughe, purtroppo, la congestione riprese, sempre più aggravandosi. Sorprendentemente, ora che la nonna stava tanto male, Françoise spariva tutti i momenti. Ma s’era ordinata un abito da lutto, e non voleva far aspettare la sarta. Nella vita della maggior parte delle donne, tutto, anche il più grande dolore, va a finire nella prova d’un vestito.

M. Proust, La parte di Guermantes II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

La nonna non mi aveva riconosciuto

A furia di chiedere se non desiderava essere pettinata, Françoise finì col persuadersi che la richiesta venisse dalla nonna. Arrivò con pettini, spazzole e un accappatoio. Diceva: “Non si stancherà di sicuro, Madame Amédée, a lasciarsi pettinare; per deboli che si sia, si può sempre essere pettinati”. In altre parole, non si è mai troppo deboli perché qualcun altro non possa, per quanto lo riguarda, pettinarci. Ma quando entrai nella camera, vidi, fra le mani crudeli di una Françoise tutta estasiata come se stesse restituendo la salute alla nonna, sotto la desolazione d’una vecchia capigliatura senza più la forza di sopportare il contatto del pettine, una testa che, incapace di assumere la posizione cui la si voleva costringere, crollava da ogni parte in un mulinello incessante dove la sfinitezza s’alternava al dolore. Capii che il momento in cui Françoise avrebbe terminato il suo lavoro era ormai vicino, e non osai farle fretta dicendole: “Basta”, nel timore che mi disobbedisse. Ma in compenso mi precipitai quando, perché la nonna potesse vedere se l’acconciatura era di suo gusto, Françoise innocentemente feroce, prese uno specchio. Fui felice, lì per lì, d’essere riuscito a strapparglielo in tempo dalle mani, prima che la nonna, dalla quale avevamo allontanato con cura ogni specchio, potesse inavvertitamente scorgere un’immagine di sé che mai, certo, si sarebbe figurata. Ma, ahimè!, quando, l’istante successivo, mi chinai verso di lei per baciare quella bella fronte così inutilmente torturata, lo sguardo che mi rivolse fu di stupore diffidente, scandalizzato: non mi aveva riconosciuto.

M. Proust, La parte di Guermantes II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Gli insegnamenti di Françoise

Per tornare a Françoise, in vita mia non ho mai subìto un’umiliazione senza trovare sul suo volto, in anticipo, delle condoglianze bell’e pronte; e quando, nella rabbia scatenatami dalla sua compassione, mi ostinavo a pretendere d’aver invece riportato un successo, le mie menzogne andavano vanamente a frantumarsi contro un’incredulità rispettosa ma evidente e contro una ferma consapevolezza della propria infallibilità. Françoise, infatti, sapeva la verità; la taceva, e si limitava a fare un piccolo movimento con le labbra come se avesse la bocca piena e stesse finendo un buon boccone. La taceva, così, almeno, ho lungamente creduto, io che a quel tempo mi figuravo ancora che la verità si comunicasse agli altri con le parole. Anzi, le parole che mi venivano dette deponevano con tanta accuratezza il proprio inalterabile significato nella mia mente, nella mia sensibilità, da farmi escludere che qualcuno che m’avesse detto d’amarmi non m’amasse (…) Ma fu Françoise a insegnarmi, dandomene l’esempio (un esempio che avrei capito solo in seguito, quando di nuovo e più dolorosamente me l’avrebbe dato, come si vedrà negli ultimi volumi di quest’opera, una persona a me più cara), che, per manifestare la verità, non occorre esprimerla a parole, e che è forse possibile coglierla con maggiore certezza, senza aspettare le parole e senza tenerne alcun conto, in mille segni esteriori, persino in certi fenomeni invisibili, analoghi, nel mondo dei caratteri, a quel che sono, nella sfera fisica, i mutamenti atmosferici. (…) E fu lei, così, la prima a suggerirmi che, contrariamente a quanto avevo creduto, una persona non se ne sta davanti a noi limpida e immobile con le sue qualità, i suoi difetti, i suoi progetti, le intenzioni che nutre nei nostri confronti (come un giardino osservato aiola per aiola, attraverso una cancellata), ma è un’ombra in cui non ci è mai possibile penetrare, di cui non ci è data conoscenza diretta, intorno a cui ci formiamo numerose convinzioni fondate su parole e anche azioni che ci forniscono – sia le une che le altre – informazioni insufficienti e d’altronde contraddittorie, un’ombra dove possiamo di volta in volta immaginare, con lo stesso grado di verosimiglianza, il balenare dell’odio o dell’amore.

M. Proust, La parte di Guermantes I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Versione originale:

Pour en revenir à Françoise, je n’ai jamais dans ma vie éprouvé une humiliation sans avoir trouvé d’avance sur le visage de Françoise des condoléances toutes prêtes; et lorsque dans ma colère d’être plaint par elle, je tentais de prétendre avoir au contraire remporté un succès, mes mensonges venaient inutilement se briser à son incrédulité respectueuse mais visible et à la conscience qu’elle avait de son infaillibilité. Car elle savait la vérité; elle la taisait et faisait seulement un petit mouvement des lèvres comme si elle avait encore la bouche pleine et finissait un bon morceau. Elle la taisait? Du moins je l’ai cru longtemps, car à cette époque-là je me figurais encore que c’était au moyen de paroles qu’on apprend aux autres la vérité. Même les paroles qu’on me disait déposaient si bien leur signification inaltérable dans mon esprit sensible, que je ne croyais pas plus possible que quelqu’un qui m’avait dit m’aimer ne m’aimât pas (…) 

Et ainsi ce fut elle qui la première me donna l’idée qu’une personne n’est pas, comme j’avais cru, claire et immobile devant nous avec ses qualités, ses défauts, ses projets, ses intentions à notre égard (comme un jardin qu’on regarde, avec toutes ses plates-bandes, à travers une grille), mais est une ombre où nous ne pouvons jamais pénétrer, pour laquelle il n’existe pas de connaissance directe, au sujet de quoi nous nous faisons des croyances nombreuses à l’aide de paroles et même d’actions, lesquelles les unes et les autres ne nous donnent que des renseignements insuffisants et d’ailleurs contradictoires, une ombre où nous pouvons tour à tour imaginer, avec autant de vraisemblance, que brillent la haine et l’amour.

E per tornare al primo volume:

 E come l’imenottero studiato da Fabre, la vespa scarificatrice, che per assicurare ai piccoli, dopo la sua morte, della carne fresca da mangiare, chiama l’anatomia in aiuto della crudeltà e, catturato qualche ragno o punteruolo, gli trafigge con una sapienza e un’abilità meravigliosa il centro nervoso da cui dipende il movimento delle zampe, ma non le altre funzioni vitali, in modo che l’insetto paralizzato, accanto al quale depone le proprie uova, fornisca alle larve, quando si schiuderanno, una preda docile, inoffensiva, incapace di fuga o di resistenza, ma non ancora frollata, Franҫoise escogitava, per assecondare la sua pervicace volontà di rendere la casa insostenibile da parte di qualsiasi domestico, degli accorgimenti così sottili e così spietati che, parecchi anni dopo scoprimmo che se quell’estate avevamo mangiato asparagi quasi quotidianamente, era stato perché il loro odore provocava alla povera sguattera incaricata di pulirli delle crisi d’asma d’una violenza tale che, alla fine fu, costretta ad andarsene.

Dalla parte di Swann

La nuova casa

Ora, è tempo di dire che questa nuova casa – dove eravamo venuti ad abitare perché la nonna, in non buona salute (ragione che, con lei, ci eravamo ben guardati dall’addurre), aveva bisogno d’aria più pura – era un appartamento situato in una dépendance di palazzo Guermantes.

 […]

Nella casa dove ci eravamo trasferiti, la gran dama in fondo al cortile era una duchessa, elegante e ancora giovane. Era Madame de Guermantes – e, grazie a Françoise , non tardai a entrare in possesso di informazioni sul palazzo. Infatti i Guermantes (cui Françoise si riferiva spesso con le locuzioni “di sotto”, “da basso”) costituivano la sua costante preoccupazione dal mattino, quando – pettinando mia madre – lanciava un’occhiata proibita, irresistibile e furtiva in cortile.

 […]

Ma il momento della vita dei Guermantes che più suscitava l’interesse di Françoise, le dava più soddisfazione e, insieme, le faceva più male, era per l’appunto quello in cui si spalancavano entrambi i battenti del portone e la duchessa saliva sul suo calesse. Accadeva, di solito, poco dopo che i nostri domestici avevano finito di celebrare quella sorta di solennità ebraica, cui nessuno doveva recare turbamento, che era il loro pasto del mezzogiorno, durante il quale erano essi stessi così “tabù” che nemmeno mio padre si sarebbe mai permesso di suonare per chiamarli, ben sapendo, d’altronde, che nessuno si sarebbe scomodato alla quinta scampanellata più che alla prima e ch’egli avrebbe dunque commesso una sconvenienza in pura perdita, ma non priva, per lui, di conseguenze negative. Infatti Françoise (che, da quando era vecchia, assumeva in ogni situazione quella che si chiama “una faccia di circostanza”) gli avrebbe immancabilmente presentato, per l’intera giornata, un viso coperto di piccoli segni cuneiformi e rossastri, destinati a manifestare esteriormente, ma in modo quasi indecifrabile, l’interminabile lista delle sue lagnanze e le ragioni profonde del suo scontento.

M. Proust, La parte di Guermantes I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Marcel Proust - Alla ricerca del tempo perduto - Studia Rapido

Proust è il primo da sinistra, sua madre Jeanne al centro, suo fratello Robert a destra

Françoise, la domestica

Non sarebbe stato legittimo parlare di pensiero a proposito di Françoise. Non sapeva niente, nel senso totale in cui non sapere niente equivale a non capire niente, eccettuate le rare verità che il cuore è capace di attingere direttamente. Il mondo sterminato delle idee per lei non esisteva. Ma davanti alla chiarezza del suo sguardo, alle linee delicate di quel naso, di quelle labbra, davanti a tutte queste testimonianze, assenti in tante persone colte nelle quali denoterebbero la suprema distinzione, del nobile distacco d’una mente eccezionale, si rimaneva sconcertati come davanti allo sguardo buono e intelligente d’un cane cui pure sappiamo essere estranee tutte le concezioni umane, e ci si poteva chiedere se fra gli altri umili fratelli, fra i contadini, non esistano creature che sono come le persone superiori del mondo dei semplici di spirito, sprovviste di ogni luce, e tuttavia imparentate agli esseri eletti più naturalmente, più essenzialmente della maggior parte degli uomini istruiti, sono come i membri dispersi, smarriti, privi di ragione, della santa famiglia, i parenti, bloccati all’infanzia, delle più alte intelligenze, ai quali – come traspare nel bagliore dei loro occhi, che non si può disconoscere ma non si applica a nulla – per avere talento è mancato solo il sapere.

M. Proust, Nomi di paesi: il paese

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

NPG x40001; Céleste Albaret - Portrait - National Portrait Gallery

Céleste Albaret, governante di Marcel Proust