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Ascari: I Leoni d' Eritrea. Coraggio, Fedeltà, Onore. Tributo al Valore degli Ascari Eritrei.

 

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L'Ascaro del cimitero d'Asmara.

Sessant’anni fa gli avevano dato una divisa kaki, il moschetto ‘91, un tarbush rosso fiammante calcato in testa, tanto poco marziale da sembrare uscito dal magazzino di un trovarobe.
Ha giurato in nome di un’Italia che non esiste più, per un re che è ormai da un pezzo sui libri di storia. Ma non importa: perché la fedeltà è un nodo strano, contorto, indecifrabile. Adesso il vecchio Ghelssechidam è curvato dalla mano del tempo......

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Storia. Anni 1911-1912. (Fase2-1912) Parte Quarta.

Post n°83 pubblicato il 27 Agosto 2008 da wrnzla

Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it

Storia. Anni 1911-1912. (Fase2-1912) Parte Quarta.

GUERRA ITALO-TURCA. GUERRA DI LIBIA. (Fase2-1912)

IL PASSO DELLE POTENZE A COSTANTINOPOLI - IL BOMBARDAMENTO DEI DARDANELLI
- L'OCCUPAZIONE DI RODI - LA BATTAGLIA DI PSITHOS - OCCUPAZIONE ITALIANA DI ALCUNE ISOLE DELL'EGEO - ESPULSIONE DEGLI ITALIANI DALL'IMPERO OTTOMANO

Il 16 aprile del 1912, sperando di porre termine alla guerra italo-turca, le grandi potenze europee fecero un passo a Costantinopoli presso il ministro degli Esteri ottomano ASSIM bey, al quale gli ambasciatori dichiararono che, avendo già chiesto all'Italia le condizioni di un loro amichevole intervento per la cessazione delle ostilità, rivolgevano questa stessa richiesta alla Sublime Porta.
Il ministro turco promise di comunicare il passo delle Potenze al Capo del suo Governo. Due giorni dopo si apriva la camera ottomana con il sultano SAID Pascià, presente, che leggeva il discorso del Trono, in cui fra le altre cose, era detto:
"La guerra, iniziata ingiustamente e contrariamente ai trattati dall'Italia, continua, nonostante il desiderio di pace manifestato da ogni parte. Anche noi desideriamo la pace, ma la pace non potrebbe porre fine alla guerra che a condizione del mantenimento effettivo ed integrale dei nostri diritti sovrani".

Nel discorso del Trono c'era già la risposta al passo delle Potenze; tuttavia il 23 aprile ASSIM bey consegnava a ciascun ambasciatore un memoriale in cui il Governo turco si diceva pronto ad entrare in trattative per la pace, ma poneva come condizione sine qua non la sovranità ottomana sulla Tripolitania e sulla Cirenaica.
La risposta turca decise il Governo italiano a intensificare la guerra e ad estenderla nell'Egeo con l'occupazione di alcune isole appartenenti alla Turchia. Le potenze europee, interpellate di buona o di mala voglia acconsentirono, ultima l'Austria, la quale volle che verbalmente l'Italia promettesse di riconsegnare, a guerra finita, le isole occupate ai Turchi.
In verità le operazioni, affidate a THAON DI REVEL, cominciarono prima che la risposta turca alle Potenze fosse data; ma si conosceva già che essa sarebbe stata negativa, date le troppe dichiarazioni ufficiose fatte sull'argomento.

La notte dal 17 al 18 aprile alcune navi italiane tagliarono i cavi sottomarini che univano le isole del basso Egeo con l'Asia Minore. Il 18 la divisione navale di Revel sfilò davanti l'imboccatura dei Dardanelli. Cannoneggiate dalle batterie dei forti di gum-galesch e di Sed-dul-Bahr, le regie navi Varese, Ferruccio e Garibaldi risposero al fuoco smantellando le fortezze.
Lo stesso giorno 18 la corazzata Emanuele Filiberto e la torpediniera Ostro presentatasi nelle acque di Wathy (sola di Samo), in cui la Porta teneva illegittimamente una guarnigione, essendo quell'isola un principato autonomo e neutrale, colarono a picco lo stazionario turco Ixaniè, distrussero una caserma ottomana, smontarono alcuni pezzi d'artiglieria e costrinsero i turchi ad ammainare la bandiera.
Il 19 aprile la Sublime Porta notificò alle ambasciate la chiusura assoluta dei Dardanelli. Intanto navi italiane abbattevano le stazioni radiotelegrafiche di Cesme, Aladiez, Kelemmisch e Cividera. Il 28, la divisione navale dell'ammiraglio PRESBITERO occupò l'isoletta di Stampalia, che doveva costituire la base di future operazioni navali nell'Egeo, fece occupare da due compagnie da sbarco le colline dominanti la città di Livadhia e ottenere la resa del presidio turco.

L'occupazione di Stampalia non era che l'inizio di altre occupazioni, per effettuare le quali si era costituito, sotto gli ordini del generale AMEGLIO, un corpo di spedizione di cui facevano parte il 34° fanteria (col. FERRUCCIO TROMBI), il 43° fanteria (col. RIBOTTI), il 57° fanteria (col. VANZO), il 58° fanteria (col. FABBRI), il 4° bersaglieri (col. MALTINI), il battaglione alpini Fenestrelle, due batterie da campo, due da montagna, un plotone di cavalleggeri Piacenza, una compagnia di zappatori, guardie di Finanza, minatori, telegrafisti, sanità, sussistenza.
Queste truppe, concentrate a Tobruck, presero posto sulle navi trasporti militari Sannio, Yalparaiso, Verona, Re Umberto, Bulgaria, Cavour e Lazio, che furono scortate dalla Saint-Bon, dagli incrociatori ausiliari Duca di Genova e Città di Siracusa e dalla squadriglia delle siluranti comandata dal DUCA degli ABRUZZI, imbarcato sulla Vettor Pisani. Al largo incrociavano le squadre del viceammiraglio VIALE, e del viceammiraglio AMERO D'ASTE che insieme con quella del contrammiraglio PREBISTERO dovevano partecipare alla prima importante azione nell'Egeo, consistente nell'occupazione di Rodi.

Partito da Tobruck il 2 maggio, il convoglio, su due linee, precedute, fiancheggiate e seguite da navi da guerra, giunse il giorno 4 maggio alle ore 2 dinanzi alla baia di Kalithea, a 12 chilometri della città di Rodi. Alle 4 si iniziavano, sotto la protezione della Marina, le operazioni di sbarco e in meno di tre ore 8000 uomini prendevano terra e subito dopo venivano sbarcati i servizi logistici, artiglieria, quadrupedi, viveri, ospedali da campo, ecc.; mentre la divisione Presbitero andava ad incrociare nella baia di Trianda e la divisione Viale davanti a Rodi, rimanendo a proteggere il convoglio dell'Amero d'Aste.

Da Rodi il presidio turco si era ritirato nell'interno, verso l'altipiano di Smith. Il generale AMEGLIO, appena sbarcato, avvertì l'ammiraglio Viale che avrebbe mosso sollecitamente contro il nemico avanzando poi verso la capitale. Dal canto suo l'ammiraglio mandò un ufficiale ad intimare la resa al "valì, il quale dichiarò di non aver modo di opporsi e di abbandonare perciò la direzione degli affari. L'ammiraglio Viale, richiesto di risparmiare la città, promise di non bombardarla, ma fece iniziare subito il fuoco delle navi dalla parte di Kalithea e di Trianda sul campo ottomano di Smith.

Mentre a Khalithea venivano sbarcati i servizi logistici, il generale Ameglio faceva avanzare verso il colle di Koskino l'avanguardia del suo corpo, composta di un battaglione alpini, due battaglioni bersaglieri, un plotone di finanzieri, mezza compagnia di minatori, due batterie da montagna, la sezione telefonisti e il plotone di cavalleria. Verso le 12.30 il 57° fanteria e il 1° battaglione del 34° raggiungevano rispettivamente la sinistra e la destra dell'avanguardia.
Poco dopo le 13, le truppe italiane presero contatto col nemico, che, bersagliato dal nitrito fuoco della fucileria e caricato di fianco alla baionetta, si disperse per la campagna, lasciando una cinquantina di prigionieri. Il generale Ameglio li insegui fino alla pianura di Sandrulli, a tre chilometri da Rodi, quindi ordinò alle colonne di fermarsi.

Durante la notte le navi che sostavano nelle acque di Kalithea, di Trianda e Rodi tennero accesi i riflettori. All'alba ricominciò l'inseguimento del nemico, che, demoralizzato, in parte si arrendeva, in parte si nascondeva nelle case di campagna o della città o nei forti, che subito venivano assediati.
Il giorno 5 mattina il generale AMEGLIO, con le sue truppe e i prigionieri, fece l'ingresso a Rodi mentre dalle navi scendevano alcune compagnie. Il valì era fuggito (fu fatto prigioniero due giorni dopo dall'Ostro nella rada di Lindos), ma il reggente interinale fece atto di sottomissione. Nel pomeriggio sul torrione che guarda il golfo fu innalzata la bandiera italiana, accanto alla quale fu fatto sventolare un gonfalone, rosso con un leone alato d'oro, insegna di S. Marco, che alcuni ufficiali del 57° avevano portato seco, poi fu pubblicato un proclama alle popolazioni.
Siccome la notte precedente i turchi avevano aperto le porte delle prigioni liberando circa 300 reclusi, il generale Ameglio dispose affinché questi malfattori fossero catturati e chiusi ancora nelle carceri. Durante le ricerche, che furono fruttuose, furono arrestati numerosi soldati turchi che si tenevano nascosti in abiti borghesi in case ospitali.
Ma il grosso del presidio, ancora in armi, si era ritirato a Psithos, nel centro dell'isola, con il proposito di resistere ed occorreva snidarli da quelle montagne prima che potessero organizzare bande armate con le quali avrebbero dato filo da torcere al corpo di occupazione.
Il generale Ameglio non era uomo da indugiare: il giorno 14 la sistemazione della base era ultimata e i preparativi per l'avanzata verso l'interno erano terminati; poteva quindi attuare il suo piano che era quello di lasciare a Rodi le forze strettamente necessarie per mantenere l'ordine e per presidiare le opere costruite contro eventuali ritorni offensivi del nemico, muovere verso Psithos, accerchiare i Turchi e costringerli ad un combattimento decisivo o alla resa.

Riportiamo fedelmente il rapporto dello stesso generale Ameglio sulle operazioni per il combattimento di Psithos:

"Le truppe vennero ripartite in tre colonne con i seguenti obiettivi:
Colonna A principale, agli ordini diretti del generale AMEGLIO, composta di quasi tutta la fanteria, di tre batterie da montagna, muovendo da Rodi per la via ordinaria e seguendo l'itinerario Asgura, Koscinò, Afando, Stuvurudiù, doveva attaccare decisamente Psithos da sud-est.
Colonna B, al comando del colonnello MALTINI, composta dei bersaglieri, s'imbarcò a Rodi sul piroscafo noleggiato "Sannio, e sbarcando sulla spiaggia di Kalavarda, doveva portarsi presso a Themilvak e di là, tenendosi sempre pronta a sostenere, in condizioni favorevoli di terreno, un eventuale attacco del grosso del nemico, doveva avanzare fino alla forte posizione di Kalopetra, per sbarrare la via di ritirata da Psithos per il versante di Kalemona verso il monte Sant' Elia, e concorrere, appena, le fosse possibile, all'accerchiamento di Psithos da nord ovest e da nord.
Colonna C al comando del maggiore Rho, composta dagli alpini con mitragliatrici, imbarcando a Rodi sul piroscafo noleggiato Bulgaria e sbarcando sulla spiaggia di Malona, doveva portarsi subito a Platania per sbarrare al nemico la via di ritirata da Psithos per Archipoli, verso monte S. Elia, e poi, tenendosi sempre pronta a sostenere in favorevoli condizioni di terreno un eventuale attacco del grosso delle forze nemiche e cercando il collegamento con la nostra colonna principale proveniente da Stusvurudù, doveva avanzare per Archipoli verso Psithos per concorrere all'accerchiamento del nemico da sud ...."
"Nel pomeriggio del 15 si imbarcarono nel porto di Rodi le truppe della colonna B sul "Sannio e quelle della colonna C sul "Bulgaria. Per mantenere il segreto si fece spargere in città la voce che le truppe che stavano imbarcando erano destinate ad occupare un'altra isola dell'Egeo. Per di più, fino dal mattino, fu preclusa la via agli avamposti a chiunque da Rodi volesse recarsi nell'interno dell'isola. Alle ore 19 del detto giorno con un mare eccezionalmente calmo salparono i due piroscafi: il "Sannio con i bersaglieri per Kalavarda ed il "Bulgaria con gli alpini per Malona. Nella stessa ora dai rispettivi campi partivano le truppe della colonna A principale e s'incolonnavano sulle strade di Keschinè e Asgurù.
Alle ore 23 la colonna principale si riunì al sud del colle di Koschinò e qui rimase, all'addiaccio fino alle ore 2 del giorno 16. Già fino dalle ore 24.30, per mezzo della radiotelegrafia delle navi e della linea telefonica che aveva seguito la colonna mantenendosi collegata con Rodi, il comando delle truppe aveva ricevuto avviso che le colonne B e C avevano ultimato lo sbarco senza inconvenienti a Kalavarda e Malori - rispettivamente alle ore 23.30 e 22.30 e che si erano messe subito in marcia fornite muletti requisiti sui luoghi per il trasporto delle mitragliatrici e dei mezzi militari.

"Alle ore 2 del giorno 16 maggio, la colonna principale ripigliò quindi la marcia verso Kalithea e Psithos ed alle ore 5 giungeva ad Afando. Proseguì quindi per altri tre chilometri circa lungo la mulattiera di Archipoli fino a raggiungere il punto in cui da questo si distacca quella che conduce direttamente a Psithos. Si formarono allora due colonne: una proseguì verso Archipoli fino a Stusvurudiù e poi puntò su Psithos per la mulattiera Archipoli-Psithos; l'altra colonna doveva puntare direttamente su Psithos lungo la mulattiera Afando-Psithos. Assunto tale schieramento, le truppe erano in grado di poter prendere al più presto il collegamento con gli alpini provenienti da Archipoli, e alla ricerca di questi furono subito inviati i cavalleggeri. Ma per il terreno difficile e faticoso, l'avanzare non poteva effettuarsi che in modo lento. Alle ore 9 il collegamento tattico fra le tre colonne operanti era perfettamente raggiunto. Gli alpini comparivano sul contrafforti che separa la conca di Psithos da quella di Archipoli, giusto nel momento in cui i bersaglieri spuntavano sulla cresta della dorsale ad ovest di Psithos .... Verso le ore 9 l'accerchiamento della conca di Psithos era perfettamente delineato e, cosa importante, riusciva per il nemico una sorpresa. Lo dichiarò il giorno dopo lo stesso "bimbasci" e lo dimostrò la difesa slegata, quasi disperata, che egli esplicò invano per molte ore senza mai poter sfuggire alla stretta delle truppe italiane.
Alle 9.30 i pezzi turchi, appostati in un avvallamento a nord di Psithos aprivano il fuoco contro i bersaglieri e, poco dopo contro questi che si erano già trincerati sulla forte posizione di Kalopetra, urtava invano una forte colonna di regolari turchi che cercava scampo da quella parte in direzione di Kalemma. Né fu possibile a questa colonna di gettarsi sul versante occidentale verso Maritza, perché tutta quella zona, come da accordi presi con il comando della seconda squadra era dal mare efficacemente battuta dalle artiglierie delle navi.

"Fallito questo tentativo, alcuni reparti di regolari turchi rimasero di fronte ai bersaglieri per contrastare, da buone posizioni l'avanzata verso M. Leucopoda; gli altri discesero a Psithos con l'evidente scopo di assicurare l'immediata difesa dell'abitato e di rinforzare gli altri reparti che si erano trincerati sulle alture ad est del paese, mentre i pezzi turchi dirigevano il loro tiro, mal regolato e senza effetti, contro la fanteria. Tutti questi sforzi dovevano però riuscire vani. Fino dalle ore 9.30 una delle batteria da montagna italiane aveva aperto il fuoco contro - non riuscendo bene ad individuare l'appostamento- la probabile posizione dell'artiglieria nemica.

"Un'altra batteria bombardava nel contempo Psithos, demolendo in pochi minuti la caserma; infine una terza batteria batteva efficacemente con tiri a zone tutto il terreno attorno al villaggio ed i trinceramenti nemici sulle alture ad est del villaggio medesimo. Frattanto l'avanzata della fanteria proseguiva ininterrotta e l'accerchiamento delle truppe si andava man mano restringendo sull'avversario. Alle ore 10.45, poiché gli alpini per le difficoltà del terreno erano rimasti un poco indietro e ne risultava una lacuna troppo forte tra i bersaglieri che procedevano in cresta verso M. Leucopada e le truppe della colonna principale che puntavano da sud-est verso Psithos, il comandante del 57° fanteria ricevette l'ordine di attraversare con due battaglioni ed una batteria da montagna il vallone di Psithos per portarsi sul contrafforte di destra del detto vallone e puntare là, cioè da sud-ovest, su Psithos, collegandosi a sinistra con i bersaglieri.
Era questo uno sforzo grave il quale richiedeva alle truppe del 57° ed alla batteria, ormai stanche, ancora una prova. Ma la situazione lo esigeva, d'altra parte, conoscendo il valore delle truppe e quello del loro comandante, colonnello VANZO, si poteva essere sicuri che avrebbero fatto anche questo sforzo con slancio e sicurezza. Infatti, in poco più di un'ora, la colonna giunse sulla cresta del contrafforte e di là poté aprire un efficace fuoco di artiglieria contro i reparti nemici che ripiegavano da Psithos verso Maritza, lungo valloni invisibili da qualunque altra direzione. La sorpresa e l'effetto di questi tiri fu grande per il nemico il quale non poté più arrestarsi in forze, come era sua intenzione, sui contrafforti ad est di M. Leucopoda, e dovette ripiegare in gran fretta verso Maritza, come dichiarò il comandante turco, il quale nella precipitazione del momento abbandonò perfino il suo Corano, rinvenuto poi il mattino dopo, quando si presentò agli italiani per arrendersi.

"Tuttavia l'avversario riuscì ancora a collocare una sezione d'artiglieria in una posizione coperta dietro un piccolo contrafforte a sud-est di M. Leucopoda, donde sparò una ventina di colpi contro le truppe italiane, però senza effetto. Verso le ore 15 un vero cerchio di ferro e fuoco chiudeva da vicino il villaggio di Psithos, dove i reparti di retroguardia turchi e dove le munizioni, le buffetterie, il bagaglio e le vettovaglie rinvenute ed il loro stato di abbandono chiaramente indicavano che la sorpresa aveva avuto pieno effetto. I primi prigionieri confermavano che il loro comandante, con il grosso e due cannoni da montagna, si erano ritirati verso Maritza; e poiché premeva di non dar loro tregua si ordinò l'inseguimento per le ali, da effettuarsi con un reggimento di fanteria lungo le alture a nord-est di Psithos e con i bersaglieri lungo la cresta di Leucopoda fino a raggiungere, se possibile, e sbarrare la strada che scende a Maritza. Al calare della notte le truppe dormirono all'addiaccio sulle rispettive posizioni.
Il grosso del nemico era tuttavia riuscito a rifugiarsi nel vallone di Maritza; ma la sua sorte ormai era decisa. Per il mattino dopo era stato stabilito di spingere un reggimento di fanteria ed una batteria dal colle di Psithos verso capo Calamina, e le rimanenti truppe dall'alto per M. Leucopoda su Marita; a quel punto forzatamente, il nemico già esausto e privo di viveri avrebbe dovuto o perire in massa o cedere le armi.
Le sue condizioni erano però così critiche, che decise di arrendersi. La stessa sera alle ore 23 mi si presentò d'ordine del comandante delle truppe turche, quale parlamentare, il maggiore comandante della gendarmeria di Rodi per offrire la resa delle truppe medesime. Questa fu accettata alle seguenti condizioni. Resa completa di tutte le truppe da effettuarsi il mattino dopo a Psithos, alle ore 8; consegna delle armi, delle munizioni e dei materiali da guerra lasciando soltanto la sciabola agli ufficiali come dimostrazione di riguardo per chi aveva combattuto con onore.
Il parlamentare si dichiarò autorizzato ad accettare la resa alle condizioni imposte, e prese impegno che il comandante e le truppe turche si sarebbero presentati il mattino dopo all'ora e con le modalità prescritte. Subito ne furono informati i nostri reparti in avamposti, ma, ad ogni buon fine, tutto fu disposto affinché le truppe si mantenessero pronte ad avanzare secondo quanto predisposto non appena fosse scaduto il termine stabilito per la resa.

Il giorno 17 maggio alle ore 7.30 giunse a Psithos il "bimbasci, comandante delle truppe nemiche accompagnato dal "miralai, capo della gendarmeria dell'Egeo e, poco dopo, giungevano anche le loro truppe.
Il bimbasci e il miralai vennero da me ricevuti in una casa di Psithos e la truppa turca già disarmata, mi rese gli onori nei pressi del villaggio. Con la truppa furono consegnati i fucili, una sezione completa d'artiglieria da montagna con materiale e quadrupedi, molte munizioni per fucileria ed artiglieria. Molti altri fucili e materiali, tra cui un ottimo apparato eliografico di grande portata, abbandonati sui monti e gettati in fondo ai burroni, furono poi ricuperati. I soldati turchi che mancavano all'appello si erano sbandati il giorno prima durante il combattimento, e molti di essi direttamente si costituirono a Rodi. Complessivamente la giornata del 17 maggio fruttò circa 1300 prigionieri, fra cui 38 ufficiali. Alle ore 9.30 lasciai Psithos e, con il mio stato maggiore, il bimbasci e il miralai, giunsi verso le ore 15 a Rodi .... alle ore 19 giungevano tutti i prigionieri turchi .... Durante i combattimenti del giorno 17 le nostre perdite furono: 5 soldati morti, un ufficiale e 28 militari di truppa feriti. Di questi l'ufficiale e due soldati morirono in seguito alle ferite riportate. Non fu possibile precisare le perdite subite dal nemico, ma sembra che esse siano state gravi e non inferiori ad ogni modo ai 200 uomini tra morti e feriti".

L'azione italiana nell'Egeo non si fermò a Rodi. Lo stesso giorno dello sbarco a Kalithea, i cacciatorpediniere Nembo ed Aquilone occuparono l'isola di Lipsos. Dal 4 al 20 maggio, una dopo l'altra, furono occupate le isole di Kalkia, Calimmo, Piscopi Loro, Patmos, Scarpanto, Cago, Nisiro, Simi e Kos. Per rappresaglia all'occupazione di Rodi il giorno 8 maggio il Governo turco decretò l'espulsione degli italiani dalle province dell'Asia Minore eccettuati i preti, le monache, gli operai e le vedove, e per il giorno 20 che gli Italiani fossero espulsi da tutto il territorio dell'impero concedendo loro quindici giorni per regolare i propri affari e dando loro la facoltà di prendere la cittadinanza ottomana. Nessuno, tranne gli israeliti, approfittò di questa concessione e la patria, grata per il contegno di questi suoi figli, promise assistenza e lavoro, e costituendo comitati di soccorso, raccogliendo somme, e apprestando aiuti d'ogni sorta, mostrò quanto fosse grande il suo cuore di madre.

Ma mentre venivano occupate dalla flotta italiana le isole nell'Egeo, nello stesso mese di maggio non conoscevano soste le altre azioni di guerra in Libia.

E in Africa ritorniamo con il prossimo capitolo...FINO ALLA PACE

 
 
 
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A DETTA DEGLI ASCARI....

...Dunque tu vuoi essere ascari, o figlio, ed io ti dico che tutto, per l'ascari, è lo Zabet, l'ufficiale.
Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un cavallo.
Lo zabet turco sa il coraggio, non sa la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un somaro.
Lo zabet egiziano non sa il coraggio e neppure la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un capretto da macello.
Lo zabet italiano sa il coraggio e la giustizia, qualche volta disturba le donne e ti tratta come un uomo...."

(da Ascari K7 - Paolo Caccia Dominioni)

 
 
 
 

 
 
 
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