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Ascari: I Leoni d' Eritrea. Coraggio, Fedeltà, Onore. Tributo al Valore degli Ascari Eritrei.

 

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L'Ascaro del cimitero d'Asmara.

Sessant’anni fa gli avevano dato una divisa kaki, il moschetto ‘91, un tarbush rosso fiammante calcato in testa, tanto poco marziale da sembrare uscito dal magazzino di un trovarobe.
Ha giurato in nome di un’Italia che non esiste più, per un re che è ormai da un pezzo sui libri di storia. Ma non importa: perché la fedeltà è un nodo strano, contorto, indecifrabile. Adesso il vecchio Ghelssechidam è curvato dalla mano del tempo......

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Seconda Guerra Mondiale. Guerra in Africa Orientale. Parte Quarta.

Post n°207 pubblicato il 26 Gennaio 2009 da wrnzla

Seconda Guerra Mondiale. Guerra in Africa Orientale. Parte Quarta.

Le perdite aumentavano in maniera impressionante e non era possibile continuare a mantenere una pressione del genere; inoltre gli inglesi avevano bisogno di una tregua per procurarsi rifornimenti e rinforzi. Per distrarre l'attenzione e forse anche una parte delle truppe dell'avversario il 7° raggruppamento di brigate della fanteria indiana attestato a Karora vicino all'estremità settentrionale dell'Eritrea ricevette l'ordine di dirigersi a sud. Comprendeva un battaglione inglese uno indiano e una brigata della Francia Libera.

La calma durò fino alla metà di marzo quando sia la 4ª sia la 5ª divisione indiana furono pronte. La 4ª doveva attaccare sulla sinistra mentre la 5ª doveva occupare Dologorodoc sulla destra per avanzare quindi verso Falestoh e Zeban. Intanto il 7° raggruppamento di brigata di fanteria indiana, che si trovava già a soli 12 km da Cheren, doveva attirare l'attenzione degli italiani su quel settore.

Preceduta da un violento bombardamento aereo e dal tiro d'interdizione di entrambe le divisioni l'11ª brigata di fanteria della 4ª divisione indiana rinforzata da due battaglioni il mattino del 15 marzo diede l'assalto a Sanchill, Brigs Peak, Hog's Back e Flat Top mentre la 5ª brigata di fanteria indiana attaccava Samanna. Tutti gli obiettivi furono raggiunti ma ancora una volta gli italiani ripresero Sanchill Brigs Peak e Samanna.

Sulla destra la 9ª brigata di fanteria della 5ª divisione indiana approfittando del momento in cui gli italiani erano preoccupati per l'esito dei combattimenti in atto sulla sinistra cominciò ad avanzare verso Dologorodoc ma si trovò quasi subito sotto il micidiale tiro incrociato dei difensori, fino a quando riuscì ad avanzare furtivamente nell'oscurità e ad assicurarsi un punto d'appoggio a Dologorodoc. Alle prime luci dell'alba il forte fu preso d'assalto conquistato e tenuto nonostante i ripetuti contrattacchi. La battaglia continuò a infuriare tutto il giorno del 16 marzo senza che le truppe britanniche riuscissero ad avanzare ma non perdettero terreno.

Durante la notte le ultime truppe indiane non ancora impiegate furono gettate in un ennesimo assalto al picco di Sanchill e a Brigs Peak ma gli italiani respinsero l'attacco. Simultaneamente a destra della gola la 29ª brigata di fanteria che era stata portata a Dologorodoc, fu mandata avanti verso Falestoh e Zeban con l'unico risultato di farsi inchiodare allo scoperto dall'intenso fuoco dell'artiglieria italiana per tutto il giorno successivo. Riuscirono a liberarsi soltanto dopo che fu calata l'oscurità. Tuttavia durante i combattimenti del 17 marzo i genieri si erano potuti spingere avanti strisciando fino al punto in cui la strada era ostruita e riferirono che se fossero stati sufficientemente coperti l'avrebbero potuta sbloccare in ventiquattr'ore. Il compito di coprirli impadronendosi delle posizioni difensive sovrastanti fu affidato alla 5ª divisione indiana.

Però prima di poter dare inizio all'operazione dovettero combattere cinque giorni per respingere i tenaci contrattacchi degli italiani. Furono cinque giorni di forti perdite dall'una e dall'altra il 20 marzo gli italiani erano ridotti a un terzo dei loro e effettivi.

Il 25 marzo la 5ª divisione indiana avanzò con la 9ª brigata a sinistra della gola e la 10ª a destra. Entrambe furono prese d'infilata da un intenso tiro d'interdizione dei cannoni dei mortai e delle mitragliatrici degli italiani che ormai incominciavano a vacillare e le due brigate poterono occupare alcune precarie posizioni da cui era possibile difendere la strada nel punto interrotto. I genieri sebbene esposti al tiro violento dell'artiglieria italiana la sera del giorno successivo avevano aperto una breccia nello sbarramento stradale e la mattina del 27 marzo una squadra di carri armati da fanteria del 40 Royal Tank Regiment e 50 veicoli cingolati Brencarrier mossero verso Cheren sfondando in tal modo tutto il fronte italiano. Il generale Frusci comprese di essere arrivato alla fase critica oltre la quale non poteva più resistere e ordinò l'immediato ripiegamento che fu eseguito con manovra quasi perfetta, Cheren fu evacuata immediatamente e i carri armati britannici vi entrarono la mattina stessa. La battaglia di Cheren era durata otto settimane i reparti britannici avevano avuto 536 morti e 3.299 feriti. I caduti italiani erano più di tremila.

Il generale Frusci si ritirò a sud verso l'Etiopia e il l° aprile cinque giorni prima della caduta di Addis Abeba gli inglesi occuparono l'Asmara, il loro prossimo obiettivo era Massaua la base navale 90 km a nord est della capitale dell'Eritrea affidata al comando dell'ammiraglio Bonetti il quale a un'intimazione di resa fattagli pervenire dal generale inglese che gli chiedeva di consegnarsi insieme con i cinque cacciatorpediniere presenti in porto rispose che Massaua sarebbe stata difesa. Ciononostante i cacciatorpediniere si affrettarono a uscire dalla base il 2 aprile dirigendo verso Port Sudan. Ma la ricognizione aerea li avvistò. Quattro furono colati a picco da una squadriglia di aerosiluranti il quinto fu affondato dall'equipaggio.

Nel frattempo due brigate indiane di fanteria la 7ª e la 10ª e la brigata della Francia Libera che adesso operava come reparto autonomo scendevano rapidamente la strada Asmara Massaua, l'ammiraglio Bonetti respinse anche una seconda intimazione di resa; l'8 aprile le tre brigate lanciarono un assalto simultaneo contro il perimetro della città con un forte appoggio aereo e riuscirono a sfondare le difese in parecchi punti. Sul tardo pomeriggio l'ammiraglio Bonetti capitolò con 9.600 uomini e 127 cannoni.

La caduta di Massaua suggellò la conclusione della campagna eritrea. La minaccia contro i territori africani orientali della Gran Bretagna e contro il Mar Rosso era stata eliminata e in teoria a questo punto sarebbe stato possibile procedere a un rapido trasferimento delle truppe in Egitto. Ma i mezzi di trasporto marittimi erano paurosamente scarsi e non rimaneva altro che compiere l'operazione via terra. Le truppe italiane impedivano però ancora i movimenti a tutte le truppe britanniche in Etiopia. Perciò era indispensabile liberare per prima cosa la strada che da Addis Abeba porta all'Asmara. Dopo il trasferimento in Egitto dei reparti la cui presenza non era giudicata indispensabile in Eritrea (compresa la 4ª divisione indiana) il resto, composto in massima parte dalla 5ª divisione indiana fu inviato a questo scopo in Etiopia.

Le truppe italiane che ancora resistevano erano state suddivise in due gruppi. A nord ovest si trovava quello del generale Nasi con base a Gondar; a sud e a sud ovest quello del generale Gazzera. Entrambi avevano avuto l'ordine di opporre l'estrema resistenza indipendentemente l'uno dall'altro. Il duca d'Aosta raccolse le truppe che lo seguivano nella ritirata da Addis Abeba verso nord e quelle che avevano lasciato l'Eritrea e stavano scendendo a sud, il cui comando fu affidato al generale Frusci. Gli ordini impartiti dal generale Wavell era lo sgombero della strada lungo la quale si sarebbe ritirato il duca d'Aosta e l'impresa era stata affidata al generale Platt il quale aveva a propria disposizione la 5ª divisione indiana proveniente dall'Eritrea (comandata dal maggior generale Mayne in sostituzione del generale Heath che era stato assegnato al comando di un corpo d'armata in Malesia) il l° raggruppamento di brigate sudafricane e reparti indigeni della disciolta Gideon Force al comando di ufficiali inglesi.

I sudafricani uscirono da Addis Abeba il 13 aprile, avanzando senza essere molestati sulla direttrice nord attraverso il passo Mussolini alto 3.300 m, a 192 km dalla capitale l'unica difficoltà che rallentò la marcia furono i numerosi tratti di strada distrutti e di qui proseguirono lungo la ripida discesa della grande valle incassata. Incontrarono la prima resistenza quando risalirono i pendii scoscesi puntando su Dessiè, situata 400 km a nord di Addis Abeba.

A Combolcià, una località fra le montagne a cavallo dell'unica strada che passava pochi chilometri a sud di Dessiè, gli italiani avevano stabilito solide posizioni difensive. Il generale Dan Pienaar, comandante del raggruppamento di brigata sudafricana, giudicò che un attacco frontale, sarebbe costato perdite troppo forti. Per cui impegnò l'artiglieria italiana con i suoi cannoni di medio calibro e da campagna e sotto questa copertura dispose la fanteria sopra la serie di alture sui 1.800 m che si allungavano in fila alla sua sinistra. Gli italiani tentarono immediatamente di prevenire la manovra con un attacco circoscritto ma i sudafricani, riuscirono a respingere l'avversario infliggendogli gravi perdite.

Impiegarono tre giorni per raggiungere gli obiettivi dai quali il 22 aprile dopo che si era unito a loro un gruppo di guerriglieri etiopici presero d'assalto le posizioni nemiche in due punti. Intanto il tiro dell'artiglieria sudafricana era diventato precisissimo e grazie al suo prezioso appoggio l'attacco ebbe un effetto cosi demoralizzante sugli italiani da indurre molti di loro ad arrendersi senza combattere. Le difese si sgretolarono quasi immediatamente. I sudafricani, che perdettero soltanto 9 dei loro uomini mentre altri 30 rimasero feriti, fecero 8.000 prigionieri e catturarono armi, mezzi di trasporto e altro materiale in grande quantità. Il resto degli italiani si ritirò. Gli inglesi arrivarono a Dessiè quando la città era già stata evacuata, ma la loro marcia fu nuovamente rallentata dalle estese distruzioni e dalle ostruzioni stradali

La strada che parte da Dessiè verso nord ridiscende nella grande valle incassata e l'attraversa per 192 km prima di risalire ripidissima con una serie di salite a forte pendenza, tagliando una catena di montagne profonda 80 km. A metà percorso si snoda serpeggiando attraverso un passo, l'Alagi, alto 3000 m. Il passo è dominato da nove ripide cime che toccano i 3.600 m e che costituivano una poderosa ridotta naturale munita di rifugi in caverna, con una superficie di oltre 31 km. I picchi a ovest del passo erano Pyramid (3.240 m), Whaleback (3.270 m), Middle Hill (3.450 m), Elephant (3.360 m) e l'Amba Alagi (3.360 m) in posizione elevata e immediatamente vicino al passo sorgeva il forte Toselli.

La cima a sud ovest del passo era detta Castle Ridge (3.180 m), quella a est Triangle (3.240 m) mentre lungo un crinale che si estendeva a nord est si alzavano le Twin Pyramids (3.390 m) e il Gumsa (3.450 m). A est del Gumsa vi era il passo Falagà, distante 11 km dall'Amba Alagi, attraverso cui passava una pista che si diramava dalla strada che passava pochi chilometri più a nord. Il duca d'Aosta aveva dislocato il suo comando sull'Arnba Alagi, già predisposto per l'ultima resistenza. Le vette circostanti che erano state tutte saldamente fortificate in precedenza con reticolati e postazioni di artiglieria in caverna, erano presidiate da 7.000 uomini con oltre 40 cannoni. Le riserve di viveri erano sufficienti per tre mesi.

Mentre l'avanzata da sud dei sudafricani continuava, la 5ª divisione indiana, incominciò a scendere dall'Eritrea seguita da una folta formazione di abissini guidati dal tenente colonnello Ranking della Defence Force sudanese e raggiunse le pendici dell'Amba Alagi il 29 aprile. Il generale Mayne inviò un gruppo tattico al comando del tenente colonnello Fletcher del reggimento di fanteria leggera Highland sulla pista che attraversava ad est il passo Falagà per distrarre l'attenzione dell'avversario quindi preparò l'attacco da ovest dopo una marcia attraverso un terreno montuoso privo di sentieri. L'avanzata sulle posizioni italiane cominciò il 3 maggio, il gruppo del colonnello Fletcher si diresse verso il passo Falagà ma non poté espugnare le posizioni fortificate antistanti al valico e fu ricacciato come il battaglione che aveva tentato di espugnare la posizione centrale, circa 5 km più a ovest. Il giorno seguente, la 29ª brigata indiana di fanteria conquistò e riuscì a mantenere, grazie all'appoggio dell'artiglieria, le tre cime più occidentali Pyramid, Whaleback e Elephant .

Nelle prime ore del giorno successivo, 5 maggio, con una rapida avanzata dall'Elephant coperta dal tiro delle artiglierie, si assicurò il possesso di Middle Hill, ma non poté avanzare più oltre, perché il 1° reggimento Worcestershire che era all'avanguardia fu bloccato dal fuoco intenso e preciso delle mitragliatrici italiane. Perciò il generale Mayne si affrettò a formare un raggruppamento di brigata dipendente dal comando della 9ª brigata indiana di fanteria e lo mandò di rinforzo al colonnello Fletcher per un nuovo tentativo contro il passo Falagà.

Intanto la 29ª brigata di fanteria indiana, dopo una marcia di avvicinamento notturna, fece una rapida conversione a sud del fianco occidentale e occupò due alture periferiche indifese lungo gli accessi sud occidentali dell'Amba Alagi. Gli italiani furono tratti in inganno dalla manovra e, nella confusione che segui, l'attacco del colonnello Fletcher contro il passo Falagà condotto dal III battaglione del 12° reggimento Frontier Force non solo riuscì, ma i suoi uomini poterono compiere una conversione a ovest e occupare la cima Gumsa, a 4 km dal valico verso l'Amba Alagi. Però dopo Gumsa il reparto fu costretto a fermarsi definitivamente, per le insuperabili difficoltà del terreno e per la tenacissima resistenza degli italiani che difendevano il crinale.

Mentre l'operazione era arrivata a questo punto morto, giunse il raggruppamento di brigata sudafricano, a conclusione della lunga marcia da Dessiè , insieme con due gruppi di armati etiopici che si gettarono contro Twin Pyramids alla fine gli italiani dopo una tenacissima resistenza furono respinti. Il trattamento che gli abissini riservarono ai prigionieri depresse profondamente il morale degli italiani ma rafforzò nei difensori della vetta vicina Triangle la decisione di lottare fino alla morte contro gli etiopi. Infatti quando gli abissini tentarono di gettarsi contro questo picco da Twin Pyramids furono ricacciati, nel corso di una delle più violente azioni difensive italiane di tutta la battaglia.

Il giorno seguente, 14 maggio, i sudafricani attaccarono Triangle. Gli italiani resistettero tutta la giornata, ma dopo che fu calata l'oscurità si ritirarono verso l'Amba Alagi, inseguiti dall'avversario che si precipitò direttamente verso il passo e il forte Toselli distante soltanto 1.600 m dall'Amba Alagi. Da questo lato l'Amba Alagi non era fortificata e i sudafricani speravano di conquistare il forte e di lanciarsi quindi all'attacco del fianco esposto del viceré. Ma il duca d'Aosta e il generale Frusci sapevano che la caduta di Triangle aveva seriamente indebolito la loro posizione e comprendevano qual era l'obiettivo degli attaccanti. Per di più dovevano tener conto di un nuovo fattore altrettanto grave: la volontà di resistenza degli italiani aveva subito un profondo mutamento dopo quello che gli etiopi avevano fatto ai prigionieri di Twin Pyramids. I comandanti italiani compresero che i loro uomini molto probabilmente avrebbero colto ogni occasione per arrendersi alle truppe nemiche regolari, dalle quali potevano aspettarsi di essere trattati correttamente. Perciò il viceré approfittò della presenza dei sudafricani per discutere i termini della resa.

Fu convenuto che gli inglesi avrebbero accordato l'onore delle armi. Il 19 maggio il duca d'Aosta e i 5.000 superstiti dell'Amba Alagi si arresero, mentre un reparto britannico rendeva gli onori. La battaglia dell'Amba Alagi era durata esattamente due settimane. Con la cattura dei suoi difensori il numero dei prigionieri fatti dalle truppe britanniche nei tre mesi e mezzo dall'inizio della campagna ammontava a poco meno di 230.000 uomini. Rimanevano ancora 80.000 italiani in armi, al comando del generale Gazzera nel settore sud occidentale e del generale Nasi in quello nord occidentale. Ciononostante la maggior parte delle unità britanniche fu trasferita con la massima rapidità possibile nel Medio Oriente.

L'ultima fase della campagna dell'Africa Orientale si svolse in due operazioni separate. La prima fu l'offensiva lanciata dal generale Cunningham contro la provincia del Galla Sidamo a sud ovest di Addis Abeba, tenuta dal generale Gazzera. La seconda, quella lanciata dal generale Platt contro le forze del generale Nasi attestate a nord del lago Tana, poté avere inizio soltanto dopo la conclusione della prima.

Le forze britanniche rimaste in Etiopia erano troppo esigue, per poter impegnarsi in una battaglia decisiva, perciò gli inglesi intendevano semplicemente contenere gli italiani nelle remote regioni nelle quali erano confinati. A sud ovest il generale Gazzera aveva circa 40.000 uomini, una scorta di riserve non abbondante ma comunque sufficiente e oltre duecento pezzi d'artiglieria con base a Gimma, circa 320 km a sud ovest di Addis Abeba. A nord ovest, con base a Gondar, il generale Nasi aveva più di 40.000 uomini e un'ottantina di cannoni distribuiti in roccaforti naturali sulle montagne, ma era in situazione precaria riguardo ai viveri.

Le fasi precedenti della campagna si stavano concludendo quando la stagione delle piogge torrenziali cominciò a rendere quasi impossibili i movimenti, questo costituì un grosso problema per il generale Cunningham. Quest'ultimo aveva a propria disposizione l'equivalente di circa quattro brigate: la 22ª brigata estafricana e due battaglioni sudafricani (distaccati) inquadrati nell'11ª divisione africana al comando del maggior generale Wetherall; la 21ª brigata estafricana e la 24ª della Costa d'Oro nella 12ª divisione africana al comando del maggior generale Godwin Austen. L'11ª divisione africana si trovava nella zona di Addis Abeba; la 12ª aveva una brigata a Neghelli, circa 600km a sud di Addis Abeba, dov'era arrivata dalla Somalia, e l'altra a Iavello, situata 240 km più lontano in direzione sud ovest lungo una pista che partiva da Mega e conduceva verso nord. Alla fine di aprile l'11ª divisione africana incominciò a muovere verso sud per raggiungere Sciasciamanna base di una divisione italiana situata grosso modo a mezza strada fra Addis Abeba e Neghelli. Dopo aver sostenuto scontri di scarsa importanza arrivò all'obiettivo quando gli italiani lo avevano evacuato. La 12ª divisione africana aveva ricevuto nel frattempo l'ordine di avanzare lungo la direttrice nord ossia verso Sciasciamanna muovendo dalle sue due posizioni di Neghelli e di Iavello. Da informazioni raccolte risultava che dopo Sciasciamanna le forze italiane si stavano raggruppando nuovamente nelle vicinanze di Soddu una località circa 112 km a sud ovest della prima. Perciò il generale Cunningham ordinò all'11ª divisione africana di procedere seguendo due direttrici: a ovest verso Soddu e a nord ovest verso Gimma mentre la 12ª divisione africana quasi completamente immobilizzata doveva tentar di avanzare come meglio poteva per occupare le zone retrostanti e cedere altre truppe all'11ª divisione africana.

Anche questa volta gli ostacoli più duri che l'11ª divisione africana incontrò per raggiungere l'obiettivo furono il maltempo e il terreno. Tuttavia il 22° raggruppamento di brigata estafricana sostenne un aspro combattimento sconfiggendo la forte resistenza opposta dagli italiani a Goluto, 72 km a ovest di Sciasciamanna sulla strada di Gimma. Soddu fu conquistata dopo una disordinata battaglia in cui furono fatti prigionieri gli stati maggiori di due divisioni italiane.

Data la situazione il generale Gazzera ordinò alle sue forze attestate nella zona di Soddu di spostarsi come meglio potevano a ovest dell'Omo Bottego che era straripato conducendo con sé la popolazione civile. Egli aveva deciso di tentare la resistenza in quel punto; ma le condizioni veramente insostenibili e le continue piogge torrenziali frustrarono il tentativo degli italiani. In questa fase dell'offensiva gli inglesi fecero complessivamente 18.000 prigionieri. L'impresa stava però logorando le truppe del generale Cunningham il quale per rafforzare l'11ª divisione africana, le aggregò la 23ª brigata nigeriana e la mandò lungo la strada che da Addis Abeba porta direttamente a Gimma, affinché forzasse l'Omo Bottego ad Abalti. La 22ª brigata estafricana doveva compiere un tentativo analogo all'altezza di Sciolo. Entrambe le operazioni si conclusero con buon esito, specialmente a Sciolo dove furono catturati 4.000 italiani dopo aspri combattimenti.

La 23ª brigata nigeriana, che aveva l'ordine di avanzare su Lekenti dove in base a quanto era stato riferito, si stavano concentrando due divisioni italiane, fece un'immediata conversione a nord seguendo una delle poche strade in discrete condizioni di viabilità. Contemporaneamente la 22ª brigata estafricana doveva avanzare su Gimma sede del comando di Gazzera, che si trovava 96 km più a ovest. Ma nel frattempo gli indigeni della zona di Gimma, stimolati dai successi degli inglesi, si erano già raccolti in bande e conducevano la guerriglia per conto proprio. A Gimma vi erano parecchie migliaia di profughi civili italiani fra i quali anche donne e bambini, e il generale Gazzera si rendeva conto che un problema essenziale era quello della loro salvezza. Perciò rivolse un appello urgente al generale Cunningham, esponendogli la gravità del pericolo e invitandolo ad occupare Gimma.

La 22ª brigata estafricana avanzò il più rapidamente possibile e il 21 giugno entrò in Gimma accettando la resa dell'intero presidio. Il generale Gazzera si era ritirato, lasciando in città e negli immediati dintorni 15.000 soldati che furono fatti tutti prigionieri. La brigata estafricana senza quasi concedersi una sosta, riprese la faticosa avanzata dirigendosi a nord ovest di Gimma per appoggiare i nigeriani che stavano compiendo buoni progressi su una strada in condizioni migliori: avevano occupato Lekenti debellando una debolissima resistenza e adesso inseguivano gli italiani in ritirata verso ovest. A Dembi una località a 64 km da Ginima la 22ª brigata estafricana sconfisse un reparto italiano di retroguardia facendolo prigioniero mentre i nigeriani occupavano quasi contemporaneamente Ghimbi 96 km a ovest di Lekenti dopo aver sostenuto un vittorioso combattimento con la retroguardia nemica.

A questo punto le brigate estafricana e nigeriana assieme alle bande etiopiche dovevano dar la caccia a due divisioni italiane pressoché intatte che si stavano ritirando a nord ovest. Ma le condizioni meteorologiche peggiorarono nuovamente e gli inseguitori furono ostacolati anche dalle abili interruzioni stradali effettuate dagli italiani che però si stavano precipitando in una trappola. Un contingente belga composto da due battaglioni, appoggiati da una batteria di mortai pesanti rinforzato da un battaglione estafricano avanzava per unirsi al generale Platt nel settore nordoccidentale

In questo momento le forze belghe si trovavano circa nel punto esatto sul quale si dirigevano gli italiani e il maggior generale Gilliaert comandante delle truppe del Congo stava ispezionando il settore. Il 3 luglio egli ordinò alle sue truppe di entrare in azione contro gli italiani. Il generale Gazzera stretto improvvisamente dai belgi freschi e ben equipaggiati, comprese che questa era la fine. Il generale Gilliaert accettò la resa concedendo a Gazzera e a quanto era rimasto delle sue forze 5.000 uomini dell'esercito regolare e 2.000 etiopi irregolari l'onore delle armi.

Le ultime, consistenti forze italiane in Africa Orientale erano rappresentate dal gruppo del generale Nasi. Saldamente arroccato in una fortezza montuosa a nord del lago Tana con i suoi 40.000 uomini attestati sulla cresta dei pendii a un'altitudine di oltre 3.000 m, su posizioni naturali pressoché inespugnabili. Il comando di Nasi si trovava a Gondar a 2.100 m sul livello del mare. L'unica strada effettivamente transitabile che vi conduceva partiva dall'Asmara quasi 480 km a nord est; e passava a 112 km da Gondar attraverso il passo Uolchefit unica via di transito in una barriera naturale alta 3.000 m. Per arrivare al valico la strada si snodava a zigzag lungo una regione quasi interamente rocciosa superando un dislivello di 1.200 m. Circa 5.000 italiani presidiavano il passo e la zona circostante. Ma fra Uolchefit e Gondar si trovavano bande etiopiche ostili agli italiani e i due presidi erano tagliati fuori l'uno dall'altro.

A sud est una pista praticabile soltanto durante la stagione asciutta univa Gondar a Dessiè distante 400 km; a cavallo della pista a circa 160 km da Gondar e a 2.700 m di altitudine si trovava un villaggio montano Debra Tabor difeso da una forte guarnigione italiana come l'altro villaggio che dominava la pista, Culcabera 40 km da Condar. Un altro sentiero di montagna che conduceva al confine con il Sudan era sbarrato da un presidio italiano a Celga 48 km a ovest di Gondar. Il generale Nasi pur disponendo di questo notevole spiegamento di forze difensive aveva scarse riserve di viveri e non poteva ricevere nulla da fuori. Gli mancava inoltre l'appoggio dell'aviazione sicché quando il tempo non era proibitivo le sue posizioni erano esposte agli attacchi aerei nemici.

In maggio il battaglione sudanese che in precedenza aveva fatto parte della Gideon Force aveva attaccato Celga a ovest di Gondar ma era stato duramente battuto e respinto da un deciso contrattacco italiano e due tentativi intrapresi dai gruppi etiopici contro le posizione di Uolchefit erano falliti nella stessa maniera. In giugno la posizione di Debra Tabor aveva subito un incessante violentissimo martellamento dall'aria, tanto che le difese erano crollate completamente e il comandante si era arreso insieme con i suoi uomini oltre 5.000 alle bande indigene guidate da ufficiali inglesi senza opporre ulteriore resistenza.

In luglio il III battaglione del 14° reggimento Punjab, sceso lungo la strada proveniente dall'Asmara aveva ritentato la conquista del passo di Uolchefit ma era stato respinto anch'esso subendo forti perdite. La 25ª brigata estafricana della 12ª divisione africana passata agli ordini del maggior generale C. C. Fowkes avendo il generale Godwin Austen assunto il comando di un corpo d'armata nel deserto occidentale egiziano, aveva raggiunto Massaua via mare; alla fine di settembre arrivò di fronte al passo Uolcheflt per tentare un nuovo assalto. Non vi fu battaglia perché il presidio italiano aveva esaurito le ultime riserve di viveri e il 27 settembre fu costretto a arrendersi per fame. In settembre sir William Platt promosso da poco tenente generale fu destinato al comando di nuova costituzione dell'Africa. Il generale Cunningham si era già trasferito nel deserto occidentale egiziano al comando dell'8ª armata. Le piogge che erano cadute senza interruzione per cinque mesi non potevano ormai durare molto più a lungo per cui si potevano preparare i piani per la battaglia che avrebbe segnato la conclusione della campagna nell'Africa Orientale.

La 26ª brigata estafricana che adesso faceva parte della 12ª divisione africana e che nel frattempo era stata portata a Dessiè si spinse più avanti, fino a Debra Tabor e si attestò lungo la rotabile che conduceva a Gondar mentre la 25ª brigata estafricana rimasta a Uolchefit si dispose a sud per collaborare all'offensiva. Oltre a queste forze anche quelle abissine raccolte adesso in quattro gruppi ebbero l'ordine di convergere su Gondar, il battaglione sudanese invece fu portato avanti per un altro assalto a Celga.

 
 
 
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...Dunque tu vuoi essere ascari, o figlio, ed io ti dico che tutto, per l'ascari, è lo Zabet, l'ufficiale.
Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un cavallo.
Lo zabet turco sa il coraggio, non sa la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un somaro.
Lo zabet egiziano non sa il coraggio e neppure la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un capretto da macello.
Lo zabet italiano sa il coraggio e la giustizia, qualche volta disturba le donne e ti tratta come un uomo...."

(da Ascari K7 - Paolo Caccia Dominioni)

 
 
 
 

 
 
 
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