La Battaglia dell'Ascianghi.
Ordine del Giorno
Anche la battaglia dell'Ascianghi, dopo cinque giorni di accanite lotte, è stata vinta, come le altre, nel nome del Re, per virtù di capi e di gregarie.
La vittoria è dovuta anche allo spirito nuovo che anima la nostra gente, allo spirito che il Duce ha infuso nella gioventù e che sul campo di battaglia si è affermato in inflessibile volontà e in indomito valore.
La mia ammirazione e il mio elogio di comandante non si arrestano ai capi ed alle truppe, ma si rivolgono alla Nazione tutta, inspirata e sorretta dall'idea fascista.
Enda Jesus, 6 aprile 1936 - XIV
Il Maresciallo d'Italia
Pietro Badoglio
Il memorabile contrattacco degli Ascari nella Battaglia del lago Ascianghi ecc...
Relazione riassuntiva sulla battaglia dell'Ascianghi
Dopo la battaglia dell'Endertà l'occupazione dei passi di Alagi e le battaglie del Tembien e dello Scirè, la situazione dell'avversario poteva così riassumersi:
- completo dissolvimento delle armate battute;
- morte di ras Mulughietà, ucciso dagli azebù-galla durante la ritirata;
- incertezza sul da farsi da parte di ras Cassa e di ras Sejum, ridotti con pochi armati al seguito
- ritirata di ras Immirù con scarse forze verso il Semien, preoccupato, forse, del Goggiam in rivolta;
- esistenza di un'armata di forza imprecisata, in via di raccolta fra Cobbò e Quoram, e della quale molto probabilmente avrebbe assunto il comando il Negus;
- spirito della popolazione a noi favorevole
In tale situazione che mi apriva ovunque le porte, tranne sulla via di Quoram, poteva avere completa attuazione il mio primitivo concetto d'azione e cioè condurre battaglia decisiva senza dar posa al nemico, fino al suo completo annientamento.
Mentre ancora erano in corso le battaglie del Tembien e dello Scirè pensavo al nuovo schieramento che le grandi unità avrebbero dovuto assumere e concretavo un vasto, completo e organico programma di lavori difensivi, stradali e di organizzazione politica.
Tali lavori erano ispirati al seguente concetto: "assicurare ad un tempo il solito possesso e l'ordinato assetto del vasto territorio conquistato; addensare sulle due principali vie di penetrazione le truppe necessarie allo sviluppo delle operazione e costruire le strade necessarie al loro movimento".
In base a tale concetto impartivo tra il 4 ed il 12 marzo i seguenti ordini:
- al I corpo d'armata di predisporre l'occupazione di Mai Ciò e di Corbettà e ciò sia allo scopo di prevenire il nemico che accennasse da Cobbò a risalire verso nord, sia perchè ritenevo tali posizioni favorevoli per la nuova battaglia che intravedevo possibile;
- al corpo d'armata eritreo di concentrarsi nella zona di Buiè a mia disposizione;
- al II corpo d'armata di passare il Tacazzè, di stabilire una testa di ponte nella zona Haidà - Adi Arcai e di studiare l'avanzata su Debarech - Dacua;
- al III corpo d'armata di raggiungere al più presto la sua nuova dislocazione nella zona Samrè - Fenaroa e di preparare l'occupazione di Socotà;
- al IV corpo d'armata di assumere il presidio del settore Adua-Tembien e di organizzare a difesa tale tormentata regione.
Contemporaneamente e a conclusione di una metodica e felice azione politica svolta, ordinavo alle truppe dislocate nel bassopiano occidentale di procedere all'occupazione dell'Uolcait e alla colonna, appositamente preparata nel bassopiano orientale, di penetrare nell'Aussa. Infine, riunivo in Asmara, dove erano stati già preparati adeguati mezzi automobilistici, il 3º reggimento bersaglieri, il battaglione cc. nn. "Benito Mussolini", un gruppo di artiglieria autotrainato, uno squadrone autoblindo-mitragliatrici, nonchè elementi vari del genio e dei servizi per costituire una colonna celere autocarrata destinata ad occupare Gondar.
Mentre si svolgevano i suaccennati preparativi la mia attenzione si fermava sulla zona del lago Ascianghi, ove la situazione nemica era in pieno sviluppo, e sulla battaglia che avrebbe dovuto inevitabilmente svolgersi contro l'ultimo residuo degli eserciti del Negus.
* * *
Il giorno 6 marzo avevano inizio i primi movimenti. Fra il 6 e il 17 il I corpo d'armata occupava Corbettà e le alture fra monte Bohorà ed il passo Mecan, assicurando così il possesso della conca di Mai Ciò. Fra il 6 ed il 28 il II corpo d'armata guadava il Tacazzè ed occupava dopo lunga e faticosa marcia, Debarech e Dacua. Tra il giorno 6 ed il giorno 12 il III corpo d'armata si raccoglieva nella zona Samrè-Fenaroa e fra il 20 e il 28 raggiungeva ed occupava Socotà. Fra il giorno 8 ed il 12 le truppe del bassopiano orientale occupavano Sardò nell'Aussa. Fra il 10 ed il 13 marzo la colonna celere autocarrata si concentrava e si costituiva nei pressi del lago d'Acria, per poi, fra il 15 ed il 19, trasferirsi ad Om Hager. Tale colonna, preceduta dalle truppe del bassopiano occidentale, che fra il 12 ed il 14 avevano occupato Noggara e Abd el Rafi, il giorno 20 guadava il Setit e si dirigeva su Gondar, mentre al suo tergo le truppe del bassopiano occidentale, con l'occupazione di Cafta, Sola e Adi Remoz, assicuravano il possesso di tutto l'Uolcait e dello Tzeghedè. Il giorno 1º aprile la colonna celere e la III brigata eritrea, proveniente da Dacua, occupavano Gondar.
Le popolazioni della zona del Dessiè ecc...
Così a circa tre settimane dalle battaglie del Tembien e dello Scirè erano occupate: dopo marce di 50 chilometri le alture a sud della conca di Mai Ciò, sulle quali si preparava una nuova battaglia; dopo marce di duecento chilometri Socotà, capoluogo dell'Uagg, all'incrocio di importanti carovaniere irradiantesi verso Dessiè, Addis Abeba, la regione del Tana e del Goggiam; dopo marce di 150 chilometri Debarech, capoluogo dell'Uogherà e importante mercato di quell'alta regione e più a sud Dacus, sulla via di Gondar; dopo marce di 350 chilometri Sardò nei pressi del fiume Auasc, residenza eventuale del sultano dell'Aussa; dopo marce di 300 chilometri tutto l'Uolcait e lo Tzeghedè e, infine, dopo una faticosissima marcia di 320 chilometri, in terreni boscosi e assolutamente proibitivi al transito degli automezzi, si occupava Gondar, centro etcnico commerciale e storico importantissimo.
Così senza colpo ferire venivano aggiunti circa sessantamila chilometri quadrati di terreno ai quarantamila conquistati con le operazioni precedenti. Ovunque le popolazioni, ormai conscie della nostra forza e della nostra potenza, accoglievano le nostre truppe molto benevolmente. L'avanzata contemporanea di così numerose colonne su di un arco di circa seicento chilometri e con obbiettivi lontani oltre trecento chilometri importavano lavori e predisposizioni molto complessi, la cui attuazione, se studiata sulla base di dati e concetti teorici, ne avrebbe sicuramente esclusa ogni possibilità. Occorreva quindi non soffermarsi sullo studio, ma passare senz'altro alla pratica esecuzione così com'è stato fatto. Le truppe ed i servizi avevano compiuto, nel precedente ciclo operativo, sforzi che potevano essere giudicati superiori ad ogni possibilità, ma io sapevo di poter sempre fare sicuro affidamento sulla perfetta organizzazione raggiunta in ogni campo, e soprattutto sull'alto e indomabile spirito di tutti, esaltato dalla vittoria, sulla volontà di ognuno di giungere alla meta, sull'orgolio di tutti che la meta assegnata fosse lontana e dura la fatica per raggiungerla.
Per dare un'idea dello sforzo compiuto, non occorre dilungarsi. Basti accennare ai secento chilometri di pista automobilistica aperta alle truppe; alle centinaia di chilometri percorsi su terreni asprissimi ed in talune zone ad altitudini superiori ai tremila metri; ai ponti celermente gettati dal genio; agli ingenti quantitativi di munizioni, di viveri e di materiali di ogni genere trasportati con ogni mezzo, dall'aereo all'autocarro ai portatori (oltre sessanta tonnellate di viveri sono state portate a spalla da quattromila soldati per quaranta chilometri); allo schieramento di numerose batterie da posizione, tra le quali molte issate a forza di braccia su inaccessibili ed impervie vette; al percorso di un'autocolonna con circa cinquecento autocarri da Om Hager fino a Gondar lungo la carovaniera da noi aperta fin dal 1905, ma mai percorsa da neppure un solo automezzo.
Questi sono tutti sforzi che hanno del prodigioso e tutti sono stati felicemente e ordinatamente superati con animo lieto, col più confortante buon umore, con una insuperabile resistenza fisica ad ogni fatica e ad ogni disagio, con uno spirito sempre elvato anche sotto l'inclemenza del tempo e della pioggia che sovente e per intere giornate tormentava uomini e cose: fattori questi che costituiscono una particolare caratteristica dell'attuale campagna.
* * *
Allo scopo di prevenire gli armati etiopici che alla fine di febbraio risultavano dislocati tra Cobbò e Quoram, il giorno 28 febbraio, mentre era ancora in corso la battaglia del Tembien, venivano occupati i passi di Alagi. Frattanto, si accentuava lo spostamento verso nord dell'avversario, la cui consistenza aumentava sempre più. Il 12 marzo i primi elementi apparivano sul passo di Agumbertà e dopo la metà del mese la sua forza complessiva, secondo quanto riferivano le varie fonti di osservazione, veniva valutata dai 30 ai 50.000 armati. Il giorno 21 marzo il Negus si spostava da Dessè a Quoram ed assumeva il comando diretto delle truppe. Contemporaneamente al movimento del Negus, avveniva l'occupazione della conca di Mai Ciò da parte di truppe del I corpo d'armata e lo spostamento del corpo d'armata eritreo dalla piana di Buiè alla zona Mai Ciò - Corbettà, a disposizione del Comando Superiore. Alle forze del Negus contrapponevo così due corpi d'armata. Circa le intenzioni operative dell'avversario non risultava ancora chiaro se intendesse opporsi alla nostra ulteriore avanzata oppure tentare la sorte delle armi attaccando le nostre posizioni. Quest'ultima ipotesi, però, trovava una maggiore rispondenza nelle notizie più recenti pervenute da fonti attendibili.
Il giorno 28 marzo la situazione reciproca poteva essere così riassunta:
- da parte avversaria: 15.000 armati schierati sulle posizioni di Ajà; 30-35.000, compresa la guardia del Negus, nella zona di Agumbertà ed altre forze, probabilmente, nella zona di Quoram;
- da parte nostra: il I corpo d'armata occupava, con la 5ª divisione Alpina Pusteria e l'8º gruppo battaglioni eritreo, le posizioni tra passo Mecan e monte Bohorà, mentre le rimanenti forze stavano assumendo la seguente dislocazione: divisione Sabauda tra Belagò e passo Dubbar; 4ª divisione cc. n.. e 6º gruppo battaglioni cc. nn. tra passo Dubbar ed i passi di Alagi; divisione Assietta nella zona a nord dei detti passi; il corpo d'armata eritreo tra Mai Ciò e Corbettà.
Frattanto, sul tergo delle nostre posizioni fervevano i lavori per completare la costruzione delle piste automobilistiche e la costituzione dei depositi di munizioni e viveri. La nostra situazione poteva considerarsi ottima sotto tutti i punti di vista, e mentre tutto era pronto per ricevere l'attacco nemico, anche la preparazione per il nostro attacco aveva raggiunto un buon grado di efficienza. In tale situazione emanavo l'ordine di operazione, col quale, a seguito delle predisposizioni di carattere logistico, disponevo il perfezionamento dello schieramento difensivo, atto a respingere qualsiasi attacco avversario, e davo gli ordini per la nuova battaglia, e precisamente:
- il I corpo d'armata, con azione metodica, atta a sviluppare la maggiore quantità di fuoco, doveva procedere all'attacco della fronte tra passo Mecan e monte Bohorà;
- il corpo d'armata eritreo, a mia dispozione, schierato tra l'altipiano e la sottostante piana di Corbettà, doveva tenersi pronto per intervenire nella battaglia o manovrare a largo raggio sulle retrovie nemiche per sfruttare il successo mediante l'inseguimento spinto a fondo ed il più lontano possibile.
Il nostro attacco era predisposto per il giorno 6 aprile. Nelle prime ore del mattino del 31 marzo, l'attacco degli armati del Negus, preveduto da precisi indizi e da fondatissime notizie e quindi atteso, si pronunciava contro le nostre munite posizioni di passo Mecan e di monte Bohorà. Diretto dapprima sulla destra del nostro schiramento contro la 5º divisione alpina Pusteria, l'attacco principale si sferrava violento e insistente specialmente contro il corpo d'armata eritreo, mentre altri attacchi secondari si delineavano su tutta la fronte e segnatamente sul fianco destro. Le nostre truppe resistevano bravamente e contrattaccando ributtavano il nemico ovunque. A tali azioni si sommavano quelle svolte dagli azebù-galla, da noi attratti e armati, che, con ripetuti attacchi sul fianco, infliggevano all'avversario notevoli perdite. Fallito il primo attacco, verso mezzogiorno e verso le ore sedici, il Negus lanciava nuovamente le sue truppe contro il corpo d'armata eirtreo, impegnando in questo nuovo sforzo, gran parte delle sue forze, compresa la guardia imperiale, che nella sua mente, forse, sperava poter riservare, ad attacco riuscito, ad arditi progetti offensivi. Il piano piano del Negus, basato sulla convinzione che le nostre truppe eritree, classiche nello slancio offensivo, mal resistessero contro attacchi reiterai ed insistenti, era fallito. Le truppe nemiche, bene addestrate e abbondantemente armate di moderne mitragliatrici, di artiglierie e di bombarde, avevano bravamente combattuto, ma il Negus ormai, alla fine della cruenta giornata, doveva convenire che era vano lottare contro la potenza del nostro esercito.
A parte episodi di scarsa importanza e aggressioni brigantesche, senza alcuna caratteristica militare, che non possono davvero considerarsi azioni offensive, l'esercito etiopico, dopo le sconfitte subite nelle sue tre grandi battaglie difensive, veniva altrettanto decisamente battuto nella sua prima ed unica battaglia offensiva.
Dopo che i suoi ras erano stati sconfitti al comando dei loro eserciti, anche il Negus subiva la stessa sorte alla testa del suo esercito personale e modernamente armato, perdendo molte migliaia di uomini, numerosi capi e sottocapi e abbandonando sul campo di battaglia ingenti quantità di armi, di munizioni e di materiali di ogni genere. La prova poteva considerarsi, ormai, decisiva. Il giorno 1º aprile alcuni attacchi si delineavano su vari tratti della fronte e ciò allo scopo evidente di mascherare il ripiegamento. Alle prime luci dell'alba del 2 aprile l'esercito del Negus, sconfitto, demoralizzato, decimato dalle gravi perdite e dalle numerose diserzioni avvenute durante la battaglia, appariva ritirato sulle posizioni di Adi Assel Gherti, ove veniva tormentato dall'azione veramente terrificante della nostra infaticabile aviazione.
Senza indugio diramavo l'ordine per l'inseguimento. Nella giornata del 2 aprile il I corpo d'armata si attestava con le sue divisioni sulle posizioni di passo Mecan, mentre il corpo d'armata eritreo ridiscendeva a Corbettà pronto per poter agire sul tergo dell'avversario. Il giorno tre i due corpi d'armata procedevano verso sud. A sera, il I corpo d'armata, dopo aver superato tenaci resistenze raggiungeva il colle di Ezbà, mentre il corpo d'armata eritreo si attestava al torrente Agumbertà in condizioni di far sentire la sua azione aggirante. Il nemico forse ignaro dell'accerchiamento che lo minacciava permaneva ancora con una forte massa sulle aspre posizioi di Adi Assel Gherti. Il giorno 4 i due corpi d'armata riprendevano l'avanzata, dando all'avversario la sensazione della sua completa rovina. Premuto di fronte, minacciato di fianco, inseguito dagli azebù-galla, inesorabilmente battuto da tutta l'aviazione, che pronta ed ardita come sempre lanciava fino all'ultimo suo apparecchio senza distinzione di tipo purchè potesse recare a bordo la sua offesa e farla dall'alto piombare, il nemico iniziava la sua ritirata che man mano si tramutava in fuga caotica e disordinata. E così nell'accelerazione della fuga si acceleraba la rovina degli ultimi resti dell'esercito imperiale. Del Negus nessuna notizia.
Lo spettacolo di questo suo esercito, che armato con armi moderne e addestrato con istruttori europei credeva di aver reso imbattibile; di questo suo esercito che si era dimostrato di tanto effimero valore non per il deficiente ardimento individuale, ma per la scarsa intrinseca capacità dei capi barbari, mascherati dalla anacronistica veste civile; lo spettacolo di questo suo esercito in fuga frantumato più che battuto, doveva forse, in quel momento, farlo pensare alla caducità del suo impero fittizio.
Mappa: dalla battaglia dello Scirè alla battaglia di Ascianghi