Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it
Storia. Anni ANNI 1896-1897. Parte prima.
GUERRA D'AFRICA - ADUA (POLEMICHE) - TRATTATO DI CASSALA
DOPO ADUA - IL SECONDO MINISTERO DI RUDINÌ - SUO PROGRAMMA - DISEGNO DI LEGGE PER LE SPESE DI GUERRA NELL'ERITREA - DISCUSSIONE PARLAMENTARE
Abbiamo già visto - nella precedente puntata- lo "spettacolo" dopo l'arrivo della triste notizia del massacro di Adua.
Indegno di una grande nazione fu quello che diede l'Italia. Si tumultuò, si gridò "Abbasso Crispi ! Via dall'Africa!" e, purtroppo, anche "Viva MENEDICK !" l'autore del massacro.
Invece di accogliere la notizia della sconfitta con la calma dei forti ed esprimere energici propositi di rivincita (che è forse irrazionale ma è spontaneo in un popolo), alcuni si lasciano vincere dalla viltà; perfino approvando un massacro, che indubbiamente non proveniva da un sentimento "sentito" nella profondità dell'anima; perché allora voleva dire rinunciare alla tutela dei propri interessi morali e materiali del proprio paese.
Giusta o sbagliata che fosse la "spedizione in Africa", nel momento del dolore, qualsiasi recriminazione o discussione in quel momento non doveva essere fatta. Anche perché spesso si cambia opinione; infatti, l'errore della politica colonialista crispina, sarà ripetuto in Libia da chi aveva in questo periodo attaccato Crispi, cioè da Giolitti. E sarà poi curioso constatare -proprio con Giolitti- come alla testa dei "socialisti rivoluzionari", contrari alla "sua" guerra di Libia, ci sarà un certo Benito Mussolini, che darà vita in Romagna a violente dimostrazioni di piazza, proprio lui che sarà di lì a pochi anni un interventista acceso, e poi l'incarnazione stessa del nazionalismo e imperialismo fascista, rispettivamente nei confronti dell'Austria (nella Prima Guerra Mondiale) e poi più tardi in Africa (nella Seconda)..
A Milano e a Pavia si tentò di smuovere i binari per impedire la partenza delle truppe; a Napoli si ebbe una dimostrazione di protesta da parte degli studenti, capitanata dal prof. F. SAVERIO NITTI e a Bologna gli studenti universitari votarono un ordine del giorno contro l'espansione in Africa.
Certa stampa -lo abbiamo visto nelle pagine precedenti- riportava più che il sentimento addolorato di una popolazione per i suoi figli morti, riferiva l'opinione di alcuni gruppi insofferenti agli alti costi economici e sociali delle avventure coloniali; gruppi paradossalmente legati con un perverso connubio, la nuova borghesia e i socialisti rivoluzionari; i primi miranti ad accelerare i tempi del processo di sviluppo economico, i secondi, il processo di sviluppo sociale.
Il fenomeno si ripeterà nel 1920, quando il foglio mussoliniano muta il sottotitolo del Popolo d'Italia da "Quotidiano Socialista" a "Quotidiano dei combattenti e dei produttori". Poi il 1° gennaio del '21, sarà ancora più esplicito (quando arriveranno i finanziamenti dei "siderurgici"), e metterà il motto di Blanqui "Chi ha del "ferro" ha del pane". Il patto dell'ex rivoluzionario, con la borghesia industriale, era ormai senza più sottintesi".
Dunque, mentre i gruppi che abbiamo citato, gioivano, e gridavano perfino "Viva Menelick", nel frattempo anche in Francia e in Russia si gioiva dello scacco italiano. La stampa della vicina repubblica parlava dell'incapacità militare degli Italiani, faceva l'apoteosi di MENELICK, esaltava il valore degli Abissini e dava a Crispi dell'avventuriero; così in Russia dove i giornali si compiacevano dell'insuccesso italiano, si celebravano funzioni religiose per la vittoria delle armi abissine ed erano accolte con grandi feste, a Pietroburgo e a Mosca, due missioni etiopiche.
Diverso ma ipocrita invece fu il contegno dell'Inghilterra, della Germania e dell'Austria-Ungheria. Lord CURZON, segretario inglese degli Esteri, disse: "Abbiamo tutti fede nella forza riparatrice e nel coraggio delle truppe italiane, e nutriamo speranza che si rialzeranno dalla sventura e rivendicheranno l'onore della bandiera".
I sovrani (della Triplice) alleati espressero il loro vivo dispiacere agli ambasciatori italiani a Berlino e a Vienna per gli avvenimenti d'Africa, e l'imperatore GUGLIELMO II, anziché rimandare il viaggio che aveva stabilito di compiere in Italia, lo affrettò e, dopo avere visitato Genova, Napoli e la Sicilia, in compagnia dell'imperatrice, s'incontrò l'11 aprile a Venezia con UMBERTO I.
Il ministero CRISPI, dimessosi il 5 marzo 1896, rimase in carica fino al 9 marzo. Il giorno 7 il Re dopo le manifestazioni dentro e fuori il Parlamento, si era reso conto che era impossibile affidare il compito di costituire un nuovo governo sia agli uomini della sinistra costituzionale e del centro che avevano fatto parte del governo Crispi, sia all'opposizione anticrispina. Incaricò così un generale, CESARE RICOTTI a costituire il nuovo ministero, che però non guiderà lui, trattiene per sé solo il ministero della guerra e indica il presidente del consiglio.
Il 10 marzo 1986, fu costituito il nuovo Gabinetto. La presidenza del Consiglio e il portafoglio dell'Interno furono dati al Di RUDINÌ, il ministero degli Esteri al duca ONORATO CAETANI di Sermoneta, quello delle Finanze ad ASCANIO BRANCA, quello del Tesoro a GIUSEPPE COLOMBO, quello dei Lavori Pubblici a COSTANTINO PERAZZI, quello delle Poste e dei Telegrafi a PIETRO CARMINE, quello di Grazia e Giustizia a GIACOMO GIUSEPPE COSTA, quello della Pubblica Istruzione ad EMANUELE GIANTURCO; quello della Marina a BENEDETTO BRIN e quello dell'Agricoltura a FRANCESCO GUICCIARDINI.
Tutti benché la maggior parte di loro appartengono alla destra, hanno il sostegno della sinistra zanardelliana e giolittina e della maggioranza dei radicali, in quanto tutti i ministri erano stati ostili a Crispi e alla sua politica coloniale.
Il sostegno è ulteriormente rafforzato dalla concessione dell'amnistia ai condannati dai tribunali militari crespini.
Infatti, il primo atto politico del Gabinetto Di RUDINÌ fu l'amnistia completa concessa il 14 marzo, genetliaco di Umberto I, a tutti i condannati politici per i moti della Sicilia e della Lunigiana, considerati vittime del governo di Francesco Crispi.
Il 17 marzo Di Rudinì, presentando il nuovo Gabinetto alla Camera, rivolse un saluto ai prodi caduti in Africa e dichiarò che i nostri soldati erano stati sul campo di battaglia con la più scarsa preparazione e in condizioni tali che qualsiasi esercito si sarebbe trovato soccombente.
Disse quindi che "il ministero dimissionario aveva lasciato arbitro il generale BALDISSERA di prender tutte le misure necessarie per far fronte alla difficile situazione in Eritrea, abbandonando anche, se le circostanze lo avessero richiesto, Adigrat e Cassala". Per di più -fu riferito- che "fin dall'8 marzo era stato ordinato a BALDISSERA di trattare la pace in quelle migliori condizioni che egli avesse creduto "prescrivere per la salute della colonia ed il decoro d'Italia". Inoltre il presidente del Consiglio annunciò che "il corpo d'occupazione era bene animato e fiducioso, che non era necessaria la seconda metà dei rinforzi non ancora partita e che si sarebbero continuate le ostilità "fino a quando non si fosse fatta una situazione tale da soddisfare agl'interessi della colonia e al sentimento del popolo italiano".
Quanto alla politica dichiarò che mai si sarebbe accinto a farne una di espansione, che avrebbe rifiutato il Tigrè se lo stesso Negus l'avesse offerto e che in un trattato non avrebbe mai messo come condizione il protettorato sull'Abissinia. Quanto alla pace affermò che le trattative sarebbero state condotte con prudenza e con fierezza, che "sarebbero state respinte le proposte contrarie al nostro decoro e ai nostri interessi e, infine, che il Governo voleva, sì, la pace, ma non aveva fretta di stipularne una qualsiasi e che per conseguirla quale il nostro interesse e il nostro prestigio imponevano, occorreva prepararsi a continuare la guerra". Pertanto, d'accordo con i ministri della Guerra, della Marina e del Tesoro, presentava un disegno di legge, con il quale si chiedeva la somma di 140 milioni (dai fatidici 9 milioni si è già passati ai 140! Ndr.) per provvedere a tutte le spese che avrebbero potuto essere necessarie fino al dicembre, somma che doveva esser procurata mediante l'emissione di titoli del consolidato 4.50 % netto, e, data la massima urgenza, pregava la Camera di acconsentire che il suo presidente nominasse una Commissione di 9 membri cui sarebbe stato deferito l'esame del disegno.
A far parte della Commissione il presidente della Camera chiamò gli onorevoli BIANCHERI, BOVIO, CADOLINI, COPPINO, DI SAN GIULIANO, FORTIS, LUZZATTI, MARTINI e TITTONI, che nella seduta stessa dichiararono di accogliere la richiesta del Governo.
Aperta la discussione, l'on. IMBRIANI dichiarò che avrebbe approvato qualunque azione del Governo contraria alla politica d'espansione, affermò che sarebbe stato meglio, molto più decoroso, prudente e nobile ritirarsi assolutamente dall'Africa ed espresse la speranza che il passato ministero sarebbe stato messo in stato d'accusa.
L'on. CAVALLONI, dopo aver tributato un plauso alle parole del presidente del Consiglio, disse che non era il momento dell'esame delle responsabilità, urgendo altri doveri, ed affermò che, esaminati i libri verdi del precedente Ministero, aveva visto come i documenti posti innanzi alla Camera non fossero che "un infelice travisamento dei documenti veri, stampati in segreto nella tipografia del ministero degli Esteri. Concluse, esprimendo il desiderio che mai più si doveva ripetere l'esempio di quel modo d'informare la rappresentanza nazionale, un modo che si poteva chiamare reato".
L'on. SONNINO, che aveva fatto parte del passato Gabinetto, essendo assente dalla seduta Crispi, volle prender la parola per rilevare alcuni punti delle dichiarazioni governative che gli sembravano d'intonazione polemica. Dichiarò non esser vero che il Ministero Crispi, dopo Adua, avesse ordinato al Baldissera di trattar la pace; ma di essere stato invece Baldissera, il quale, informando di voler mandare SALSA al campo del Negus per trattare la questione dei feriti e dei prigionieri, aveva chiesto al Governo se per mezzo del suddetto ufficiale, poteva intavolare negoziati di pace.
L'on. MOCENNI, ex-ministro della Guerra, affermò che attendeva serenamente il giudizio del suo operato, che non voleva per il momento difendersi dalle accuse di scarsa, preparazione, ma desiderava che la Camera prendesse visione del carteggio passato tra lui e i generali Baratieri e Baldissera.
L'on. Tortis disse che gli interessi italiani non sarebbero stati efficacemente tutelati da un Governo che anticipatamente dichiarava che avrebbe rifiutato il Tigrè e il protettorato sull'Etiopia ed avrebbe abbandonato Adigrat e Cassala. "Io credo fermamente - concluse - che non riusciremo a mantenere il nostro grado in Europa, se ci, lasceremo annientare da una sconfitta in Africa. Non basta una pace onorata per conservare in Europa il prestigio della nostra potenza militare: importa superare tutte le difficoltà dell'impresa che abbiamo affrontato".
Prima di togliere la seduta, fu data lettura di due mozioni. La prima, firmata dagli onorevoli FERRI, AGNINI, BADALONI, BERENINI, CASILLI, ANDREA COSTA, DE MARINIS, PRAMPOLINI, SALSI E ZAVATTARI, diceva:
"La Camera, ritenuto che la responsabile dell'ultimo disastro in Africa è tutta intera del Governo, il quale, violando la costituzione e ingannando il paese sul carattere e l'importanza dell'impresa, ha dato alla conquista militare un'espansione non voluta dal Parlamento ed ha sacrificato alla sua politica il sangue e gli interessi vitali della nazione; ritenuto che l'impresa africana, favorevole soltanto ai militaristi, agli speculatori ed agli avventurieri politici, è contraria alla civiltà ed incompatibile con le condizioni economiche d'Italia; delibera di richiamare immediatamente le truppe dall'Africa, e secondo l'art. 47 dello Statuto, di porre il Ministero in stato d'accusa".
La seconda, firmata dagli onorevoli SACCHI, A. GAETANI, PIPITONE, TASSI, MUSSI, DE CRISTOFORIS, SOCEI, CAROTTI, MOSCIONI, BOVIO, DILIGENTI, PANTANO, A. MARESCALCHI, VENDEMINI, TARONI, ZAVATTARI, ZABEO, BARZILAI, ENGEL, CREDARO, BUDASSI, PENNATO, S. SANI, BASETTA, CELLA, MARCORA, MERCANTI, IMBRIANI, POERIO, SEVERI, PRIARIO, CALDESI, PANSINI, PINNA, RAMPOLDI E GAVARETTI, diceva: "La Camera, augurando che il popolo con calma e con finezza sappia fare giustizia di tutti i colpevoli dell'impresa africana, contraria al diritto ed agli interessi del paese, delibera di provvedere al richiamo delle truppe dall'Africa e di porre in stato d'accusa il Ministero".
Nella seduta del 18 marzo il presidente VILLA inviò in nome della Camera un saluto plaudente e affettuoso all'esercito, cui appartenevano i prodi che si erano misurati con un nemico soverchiante, e una parola di conforto non infecondo d'aiuto alle famiglie angosciate; gli onorevoli MARAGHI, PINCHIA e TOZZI commemorarono il generale Dabormida, l'on. FALCI inviò un saluto alle due batterie siciliane e l'on. LAUSETTI espresse l'augurio che il generale Arimondi fosse scampato alla morte. Quindi continuò la discussione sulle comunicazioni del Governo.
GIOVANNI BOVIO osservò che, "dopo le guerre nazionali, non era più possibile nel soldato italiano il senso della conquista e che dall'infausta guerra d'Africa sarebbe derivata all'Italia miglior coscienza di sé e della sua missione", e aggiunse che "la salvezza del paese sta al di sopra dei partiti politici e perciò consiglio di ritirarsi in tempo da un'impresa che consuma uomini e sostanze" e concludeva col dire che, "quando in Africa non si è vinto e non si può vincere, non si può neppure rimanere".
L'on. PRINETTI, lodata la franchezza del Governo, pur ripetendo di essere stato contrario a qualunque espansione della nostra colonia, sostenne che "l'Italia aveva nel Mediterraneo la base della sua forza e il limite della sua espansione" e concluse affermando che "la nostra posizione di grande potenza in Europa esige che non si continui un'avventura così infelice e che i vincoli contratti in Eritrea e gl'impegni che ne derivavano costituiscono una grande debolezza per tutta la nostra politica europea, le impediscano la duttilità e la pieghevolezza necessaria e ci conducono ad amicizie e inimicizie forzate".
L'on. FERRI, dopo aver parlato contro la politica di conquista ed avere affermato che, dopo l'eroico contegno degli ufficiali, era salvo l'onore della bandiera, disse che "nella miseria e nelle tristi condizioni economiche d'Italia stava il disonore del paese. Il partito socialista reclamava il ritiro immediato delle truppe dall'Africa e, l'accertamento di tutte le responsabilità del Governo."
Dopo Ferri parlarono gli onorevoli De NICOLI e FILÌ-ASTOLFONE; quindi la Camera deliberò di chiudere la discussione sulle comunicazioni del Governo. Prima che si chiudesse la seduta fu letta una mozione, firmata dagli onorevoli MOCENNI, SAPORITO, MECOCCI, SQUITTI, SANTINI, SCOTTI, MATTEINI, TEALDI, DE GIORGIO, VALLE e AGUGLIA, che chiedeva si distribuissero ai deputati i documenti che costituivano la corrispondenza tra Baratieri e il passato ministro della Guerra.
Con un'altra mozione s'inviava "un ringraziamento alla Camera dei Comuni d'Inghilterra ed all'assemblea nazionale rumena per le recenti solenni dimostrazioni d'amicizia e di simpatia verso l'Italia".
Il 19 marzo cominciò alla Camera la discussione del disegno di legge per le spese di guerra nell'Eritrea. Presero la parola l'on. COLAJANNI che sostenne la responsabilità dei fatti d'Africa del passato Gabinetto; l'on. FRANCHETTI, il quale espresse il parere che causa dei disastri africani fossero i criteri parlamentari con cui si era fatta la guerra e l'ignoranza profonda e costante delle condizioni della nostra colonia; l'on. IMBRIANI, il quale dichiarò che la presa di Cassala aveva creato una condizione strana e pericolosa e affermò che "il ministero passato non aveva avuto affatto conoscenza di ciò che rappresentava per un popolo la tradizione e la storia", e concludeva che "la necessità di conoscere il vero era ormai sentita dal paese che voleva un tribunale per giudicare i responsabili"; e l'on. Di SAN GIULIANO che disse di accettare i due concetti fondamentali delle dichiarazioni governative: "non abbandonare l'Africa e non farvi politica d'espansione, e sostenne la costituzione del Tigrè sotto un capo indigeno ma che non fosse Mangascià, la necessità d'impedire che l'Abissinia si mettesse sotto il protettorato di un'altra potenza e l'inutilità del possesso di Cassala; infine concluse esprimendo la speranza che "l'Italia trarrebbe ammaestramento dalle dure lezioni dell'esperienza".
La discussione continuò il 20 marzo. Parlarono il De MARINIS che sostenne la rinuncia a qualsiasi impresa africana e il richiamo delle truppe concedendo al Governo i mezzi puramente necessari per l'attuazione di questo programma; mentre l'on. SONNINO, invitò l'assemblea a votare concorde i fondi per la prosecuzione della guerra.
Dopo alcune dichiarazioni del Tittoni e del ministro del Tesoro, cominciò lo svolgimento degli ordini del giorno TECCHIO, CALVI, TARONI, POZZI, SPIRITO, BARZILAI; quindi parlarono FERDINANDO MARTINI e l'on. MURATORI, che continuò il suo discorso nella seduta del 21 marzo, difendendo il Gabinetto Crispi dall'accusa d'impreparazione. Seguirono gli onorevoli IPPOLITO LUZZATTI, BORSARELLI, TOZZI, PANDOLFI, MUSSI, CAVALLOTTI, FORTIS, FANI, PANTANO e CANZI che svolsero i loro ordini del giorno. Dopo che il ministero della Guerra ebbe dichiarato che la preoccupazione dell'onor militare non doveva influire sulle decisioni del Governo e della Camera intorno all'Africa, il presidente del Consiglio parlò dei rapporti italo-inglesi, delle trattative di pace con Menelick e del protettorato sull'Etiopia e pregò i vari proponenti degli ordini del giorno di volerli ritirare. Soltanto SONNINO e De MARINIS li mantennero, ma i loro ordini non furono approvati. Approvato fu invece il disegno di legge, che riscosse 214 voti favorevoli e 57 contrari alla Camera e, il 25 marzo, 109 favorevoli e 6 contrari al Senato.