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Ascari: I Leoni d' Eritrea. Coraggio, Fedeltà, Onore. Tributo al Valore degli Ascari Eritrei.

 

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L'Ascaro del cimitero d'Asmara.

Sessant’anni fa gli avevano dato una divisa kaki, il moschetto ‘91, un tarbush rosso fiammante calcato in testa, tanto poco marziale da sembrare uscito dal magazzino di un trovarobe.
Ha giurato in nome di un’Italia che non esiste più, per un re che è ormai da un pezzo sui libri di storia. Ma non importa: perché la fedeltà è un nodo strano, contorto, indecifrabile. Adesso il vecchio Ghelssechidam è curvato dalla mano del tempo......

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Storia: Anni 1896-1897. Parte seconda.

Post n°63 pubblicato il 18 Agosto 2008 da wrnzla

Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it

Storia: Anni 1896-1897. Parte seconda.

IL GENERALE BALDISSERA IN ERITREA - ORGANIZZAZIONE DELLA DIFESA - RITIRATA DEGLI ABISSINI - OPERAZIONI CONTRO I DERVISCI - SCONTRO DI GULUSIT COMBATTIMENTO DI SABDERAT - COMBATTIMENTI DI MONTE MOCRAM E DI TUCRUF RITIRATA DEI DERVISCI - OPERAZIONI PER LA LIBERAZIONE DI ADIGRAT - SGOMBRO DI ADIGRAT E DELL'AGAMÈ - SEPPELLIMENTO DEI MORTI DI ADUA - LA SORTE DEI PRIGIONIERI ITALIANI - COMITATI E SPEDIZIONI DI SOCCORSO - LA DURA LETTERA DI

IL GENERALE BALDISSERA IN ERITREA
ORGANIZZAZIONE DELLA DIFESA - RITIRATA DEGLI ABISSINI
OPERAZIONI CONTRO I DERVISCI - COMBATTIMENTI DI GULUSIT, DI SABDERAT, DI MONTE MOCRAM E DI TUCRUF - RITIRATA DEI DERVISCI OPERAZIONI PER LA LIBERAZIONE DI ADIGRAT - SGOMBRO DI ADIGRAT E DELL'AGAMÈ

Quando il generale BALDISSERA giunse in Eritrea - a sostituire come abbiamo detto in precedenza- la situazione della colonia appariva abbastanza grave; infatti, l'Agamè era in piena rivolta, il forte di Adigrat era assediato dalla bande di ras Sebath e di Agos Tafari (prima queste erano con gli italiani, poi quando il 13 febbraio Menelik con i suoi 100.000 uomini, aveva sferrato l'attacco, queste bande passarono dalla sua parte e non solo abbandonarono gli italiani ma vi si gettarono contro), i dervisci, imbaldanziti dallo scacco delle armi italiane, minacciavano Cassala e il Negus accennava ad avanzare con l'esercito su Gura per invadere la colonia.
Il 5 marzo BALDISSERA sbarcato il giorno prima a Massaua, tolse il comando a BARATIERI, si trasferì all'Asmara e diede disposizioni per raccogliere le truppe del corpo d'operazione sparse in tutta la colonia, organizzare i rinforzi e apprestare la difesa. Disponeva di circa 13.000 italiani, 4000 indigeni e 14 cannoni e stavano per giungere i primi battaglioni della divisione Heusch; tuttavia ritenne opportuno di far giungere dall'Italia altre truppe e chiese d'urgenza l'invio di altri sei battaglioni e di altre 6 batterie da montagna.
Una delle prime disposizioni date dal nuovo governatore per parare la minaccia del Negus di invadere la colonia fu quella di concentrare all'Asmara le forze disponibili, fra cui il presidio di Cassala; ma questa città era già stata investita dai dervisci. Contemporaneamente, allo scopo di guadagnar tempo, mandò al campo di MENELIK il maggiore SALSA per negoziare la pace ed ottenere la liberazione dei prigionieri e il seppellimento dei morti di Adua.

L'8 marzo BALDISSERA decise di sgombrare l'Acchelè Guzai e di organizzare la difesa sulla linea Asmara-Ghinda-Baresa. Pertanto lasciò come truppe di copertura i presidii di Saganeiti, Chenafenà, Adi Ugri e Adi Qua-là; mandò 4 dei 5 battaglioni di Adì Caiè a Sabarguma e uno e uno a Decamerè; dislocò 6 dei 12 battaglioni concentrati all'Asmara a Schichet e 6 a Auxià, mise la divisione Heusch tra Ghinda e Baresa e pose in stato di difesa le piazze di Massaua e Asmara e i forti di Archicò e Saati.

Verso la metà di marzo BALDISSERA apprese che ras MAKONNEN, che con i suoi 20.000 uomini si trovava nell'Entisciò, si era congiunto a Menelik a Faras Mai. Evidentemente il Negus, impressionato dalle enormi perdite subite a Adua, impossibilitato ad avanzare rapidamente su Asmara e indotto dalle posizioni occupate dagli Italiani, dal loro numero sempre crescente, dalla penuria dei viveri, dal diffondersi delle epidemie nel suo esercito e dall'approssimarsi della stagione delle piogge, rinunciava all'offensiva. E così era.
Infatti, il 20 marzo iniziava la ritirata verso il sud e lasciava nel Tigrè soltanto gli armati di ras Mangascià, ras Alula, ras Sebath ed AoTos Tafari.
Ritiratosi il Negus, il generale Baldissera poté pensare a liberare Cassala, difesa dal II battaglione Indigeni, da una sezione d'artiglieria da montagna e da distaccamenti di artiglieri, genio e sussistenza, in complesso 20 ufficiali, 82 soldati italiani e 1225 ascari, sotto il comando del maggiore HIDALGO, che il 22 febbraio si erano scontrati, in un'azione di avamposti, con i dervisci a Gulusit e il 16 marzo avevano ricevuto da Agordat una carovana di rifornimenti di 500 cammelli scortata da 450 indigeni e da un plotone di cavalleria agli ordini del capitano Speck.

La decisione del generale Baldissera di liberare Cassala veniva in buon punto, perché i dervisci avevano occupato Tucruf, il monte Mocram e la Cadmia e il 18, in gran numero, avevano attaccato per la seconda volta Sabderat da cui però, dopo cinque assalti, la guarnigione italiana li aveva respinti.
Di portare aiuto a Cassala fu incaricato il colonnello STEVANI, ai cui ordini fu messa una colonna composta dei battaglioni III (cap. ZOLI), VI (cap. VIGNOLA), VII (cap. De BERNARDIS) e VIII (maggiore AMADASI) e di una sezione indigena d'artiglieria da montagna (ten. RACINA): in tutto circa 2500 uomini.

Queste truppe, partite da Agordat il 15, il 19 e il 21 marzo, giunsero a Sabderat il 28, il 29 e il 31. Nel pomeriggio del 1° aprile, lasciati a Sabderat 300 uomini di Milizia Mobile con il capitano Heusch, il colonnello Stevani mosse con il III, VII ed VIII battaglione, con la sezione d'artiglieria e con la 3° compagnia Bramanti del II e, girato a nord di monte Mocram, entrò a Cassala due ore dopo la mezzanotte.
Mezz'ora dopo il V1, battaglione, giungendo alle falde meridionali di monte Mocram, era attaccato dai dervisci. Questi, di fronte all'efficace resistenza degli italiani e minacciati dalla pronta sortita dal forte di Cassala degli altri battaglioni, si ritirarono lasciando sul campo numerosi morti e feriti.
Nel pomeriggio del giorno 2 aprile, una carovana di circa 2.000 persone, costituita delle famiglie degli ascari, fu fatta uscire da Cassala e avviata, sotto la scorta di due compagnie, verso Sabderat ed oltre.
La mattina del 3 aprile, i cinque battaglioni italiani, quattro pezzi di montagna e un plotone di cavalleria, uscirono dal forte e, formati in quadrato, marciarono contro i trinceramenti nemici di Tucruf, che furono assaliti poco dopo le ore 8; ma non fu possibile far sloggiare il nemico fortemente trincerato e, dopo mezz'ora circa di violentissimo combattimento, furono costretti a ripiegare abbastanza ordinatamente, respingendo pure alcuni tentativi d'inseguimento. L'azione Tucruf costò agli italiani 4 ufficiali morti e 7 feriti, 157 ascari morti e 344 feriti; gli ufficiali morti furono i tenenti UMBERTO PARTINI, AUGUSTO BENETTI, GIUSEPPE STELLA e GAETANO di SALVIO.

Dato lo sfinimento delle truppe, il colonnello Stevani non rinnovò l'attacco com'era intenzionato fare.
Il giorno dopo, da BALDISSERA, gli giunse l'ordine di sgombrare Cassala e di ripiegare su Agordat. Si cominciò il 6 aprile con il mandare indietro una carovana di feriti leggeri; poi non potendo trasportare tutte munizioni che erano nel forte, invece di distruggerle, le usarono in abbondanza per cannoneggiare il campo nemico di Tucruf.
Questo massiccio bombardamento fece credere ai dervisci in un prossimo secondo attacco italiano e li persuase a ritirarsi; ripiegamento che avvenne nel corso della notte del 7.

Nei giorni successivi il colonnello STEVANI distrusse i campi nemici di Tucruf e Gulusit. Lo sgombro impartito da Baldissera , dopo la ritirata dei dervisci, non fu più, per ordine del ministero, effettuato. A Cassala rimasero di presidio il III e VI battaglione; altre truppe della colonna Stevani furono scaglionate tra Cassala e Cheren.

Liberata, Cassala, il generale BALDISSERA rivolse il pensiero al forte di Adigrat. Disponeva di forze imponenti: 40 battaglioni italiani, 7 indigeni, 10 batterie da montagna (60 pezzi), 7 compagnie del genio; in complesso 1300 ufficiali, 41.550 soldati e 10.250 quadrupedi. Circa 15.000 uomini di tali forze erano raggruppati in due divisioni. La 1a, al comando del generale Del MAYNO, comprendeva la 1a brigata di fanteria (gen. BISESTI), la 2a brigata di fanteria (gen. BARBIERI), la 1a brigata di artiglieria, il V Battaglione Indigeni, 2 compagnie del genio ed una sezione di sanità; la 2a al comando del generale HEUSCH, comprendeva la 3a brigata di fanteria (gen. GAZZURELLI), la 5a brigata di fanteria (gen. MAZZA), la 2a brigata di artiglieria, il 1° battaglione Indigeni, 3 compagnie del genio ed una sezione di sanità.

Nella prima decade di aprile la Prima divisione avanzò su Mai-Serau, e la II su Adi Caiè, dove le truppe rimasero per tutto il resto del mese. Il 28 aprile le bande dell'Hamasien e dell'Acchelè Guzai furono mandate, per un'azione dimostrativa, verso Coatit e Debra Damo; contemporaneamente il colonnello PAGANINI con il VI e VII battaglione bersaglieri, con un battaglione di fanteria, una sezione di artiglieria e le bande del Seraè, fu mandato con lo stesso scopo verso Adua. Le dimostrazioni ottenero l'effetto di richiamare verso Debra Damo ras SEBATH e il Degiac AGOS TAFARÌ, che stavano presso Adigrat, e verso Adua ras ALULA, che si trovava vicino Bizet.
L'avanzata verso Adigrat del corpo d'operazione fu iniziata il 30 aprile: la Ia divisione si trasferì ad Adi Caiè e la II a Senafè; il l° maggio la Iª si portò a Senafè, la IIª ad Efesit ed Adi Ceffà; il 2 maggio l'intero corpo avanzò su Barachit: nel pomeriggio di quel giorno, il V battaglione Indigeni, recatosi in avamposti sul ciglione di Guna Guna fu assalito dalle truppe dei due capi ribelli dell'Agamè, ma le respinse e le inseguì.
Il 3 maggio continuò l'avanzata del corpo, che alle ore 11 raggiunse la piana di Gullabà, ammassandosi con la Iª divisione a destra e la IIª a sinistra della strada che conduce a Mai Maret e alle ore 16 si accampò lungo il Mai Musreb, provocando lo sgombro di Dongollo, occupato dalle genti di ras Sebath e Agos Tafarì.
Il 4 maggio, tutto il corpo (eccetto la colonna Stevani - I, II e V Indigeni. III bersaglieri e una batteria mandata per proteggere la marcia sul fianco est dei monti Dongollo e Focadà) giunse e s'accampò nella conca di Adigrat, fra Legat e Chereber, stabilendo le comunicazioni col forte.
La avanzata italiana su Adigrat, preceduta dalle operazioni contro i Dervisci, produsse grande impressione sugli Abissini, che continuando la campagna sarebbe stata utile, anzi bisognava sfruttare; ma il Governo, interpellato dal generale Baldissera, ordinò di sgombrare Adigrat e l'Agamè.

BALDISSERA, prima di ritirarsi, pensò di trarre profitto dalla situazione per farsi restituire i prigionieri da ras Mangascià, da ras Sebath e da Agos Tafarì e punire questi ultimi due (i due che al momento critico per gli italiani erano improvvisamente passati nelle file avversarie).
Contro ras SEBATH fu mandato, il 7 maggio, il colonnello STEVANI con tre battaglioni indigeni, uno di bersaglieri e una batteria, che lo fece sloggiare da Devra Matzò, lo inseguì uccidendogli alcuni armati, catturandogli molto bestiame e gl'incendiò quattro villaggi; contro AGOS TAFARÌ e DEBRA DAMO andò il 9 maggio lo stesso STEVANI con la sua colonna rinforzata dalle bande del tenente SAPELLI e sostenuta dalla brigata Mazza. Allora i ribelli restituirono i pochi prigionieri che avevano.

Dopo lunghe trattative, il giorno 18, ras MANGASCIÀ restituì i prigionieri italiani rimasti nel Tigrè (6 ufficiali e 90 soldati); pochi altri furono restituiti alcuni giorni dopo. Lo stesso giorno18 il presidio di Adigrat abbandonò il forte, che l'indomani, per ordine di Mangascià, fu distrutto; quindi il corpo d'operazione iniziò il ripiegamento portandosi, tra il 15 e il 22 maggio, vicino il confine, tra Barachit e Senafè.

CRISPI

SEPPELLIMENTO DEI MORTI DI ADUA
LA SORTE DEI PRIGIONIERI ITALIANI: COMITATI DI SOCCORSO
LA DURA LETTERA DI CRISPI


Da Barachit, in seguito a trattative tra il generale BALDISSERA e ras MANGASCIÀ, il 27 maggio, partirono, sotto il comando del tenente colonnello FRANCESCO ARIMONDI, fratello del generale caduto, due compagnie del genio con medici e frati cappuccini dirette al campo di Adua per seppellire i morti. La colonna, compiuto il suo pietoso ufficio, rientrò il 7 giugno ad Adi Qualà.
Mentre in Eritrea ci si impegnava per la liberazione di Cassala e di Adigrat, Menelik si ritirava verso lo Scioa, portandosi dietro circa 1500 prigionieri, che durante la lunghissima marcia furono afflitti da inenarrabili sofferenze e lasciarono non pochi compagni, caduti lungo la via. La, sorte di questi prigionieri commosse la nazione, dando luogo a manifestazioni pietose, ma non certo virili, e alla formazione di comitati, destinati a soccorrere i prigionieri. Fra questi comitati uno ve ne fu di dame romane presieduto dalla Contessa di SANTAFIORA, che fece appello alla carità pubblica affinché con offerte di danaro, viveri, medicine e indumenti lenisse le sofferenze dei prigionieri.

Ma ben altro occorreva. Occorrevano dimostrazioni di forza e propositi di rivincita anziché sentimentalismi demagogici e opere di pietà di dubbio esito. Anche allora FRANCESCO CRISPI levò la sua voce ammonitrice, scrivendo alla contessa ERSILIA CAETANI-LOVATELLI, che faceva parte del comitato romano:
"Quando l'Italia era spezzata in sette Stati, e i barbari esercitavano la tratta anche sulle nostre spiagge, i nostri padri, costretti dalla loro impotenza, costituirono una società per la redenzione degli schiavi. Oggi siamo una nazione di 32 milioni e ben altro è il metodo da seguire per esplicare i nostri doveri e farci rispettare. I nostri fratelli, fatti prigionieri ad Abba Garima, aspettano ansiosi l'esercito liberatore, e le donne italiane, come nel 1848 e nel 1860, dovrebbero ispirare il coraggio di organizzare la vittoria. La pietà è santa, ma nell'animo abissino oggi sarebbe interpretata paura e debolezza .... Consigli alle gentili sue compagne di mutare lo scopo del Comitato. Rialzino a più alti propositi i cuori dei nostri concittadini e rompano questa nube paurosa, che con poca prudenza tentano di addensare sul popolo alcuni falsi apostoli di libertà".

Ma neppure questa volta la voce del grande statista fu ascoltata. L'incarico di portare i soccorsi fu affidato al sacerdote polacco WERSOWITZ-REY, il quale partì da Napoli per Gibuti il 20 maggio, ma, colto da una insolazione, morì presso questa località il 2 luglio. La spedizione di soccorso fu allora guidata dal prete francese CARLO OUDIN che riuscì a giungere allo Scioa e compiere la sua missione.
Anche il Pontefice s'interessò dei prigionieri e inviò al Negus Monsignor CIRILLO MACARIO, vicario patriarcale dei Copti della chiesa di Alessandria, il quale giunse ad Addis-Abeba l'11 agosto con una lettera di LEONE XIII, ma Menelick, pur promettendo di alleviare le condizioni dei prigionieri, consigliato dall'ingegnere LLG, non volle cedere gli ostaggi così preziosi per le "sue" trattative di pace.

Il Negus aveva motivato il suo rifiuto al Pontefice con il preteso contegno ostile del Governo italiano; ma in verità il contegno dell'Italia era tutt'altro che ostile e ne faceva fede il ritiro da Adigrat e il rimpatrio, subito dopo iniziato, delle truppe. E prima ancora che monsignor MACARIO giungesse alla capitale etiopica, il Governo italiano, per trattare della pace e della liberazione dei prigionieri, aveva mandato in Abissinia il maggiore CESARE NERAZZINI.
Nerazzini, partito da Napoli il 3 giugno, dovette dal 23 giugno al 23 agosto rimanere fermo a Zeila ad aspettare che gli pervenisse la licenza del Negus di recarsi nello Scioa, e non riuscì a giungere ad Addis-Abeba che il 6 ottobre.

 
 
 
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   Agli Ascari d'Eritrea 

- Perchè viva il ricordo degli Ascari d'Eritrea caduti per l'Italia in terra d'Africa.
- Due Medaglie d'Oro al Valor Militare alla bandiera al corpo Truppe Indigene d'Eritrea.
- Due Medaglie d'Oro al Valor Militare al gagliardetto dei IV Battaglione Eritreo Toselli.

 

 

Mohammed Ibrahim Farag

Medaglia d'oro al Valor Militare alla Memoria.

Unatù Endisciau 

Medaglia d'oro al Valor Militare alla Memoria.

 

QUESTA È LA MIA STORIA

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A DETTA DEGLI ASCARI....

...Dunque tu vuoi essere ascari, o figlio, ed io ti dico che tutto, per l'ascari, è lo Zabet, l'ufficiale.
Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un cavallo.
Lo zabet turco sa il coraggio, non sa la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un somaro.
Lo zabet egiziano non sa il coraggio e neppure la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un capretto da macello.
Lo zabet italiano sa il coraggio e la giustizia, qualche volta disturba le donne e ti tratta come un uomo...."

(da Ascari K7 - Paolo Caccia Dominioni)

 
 
 
 

 
 
 
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