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Ascari: I Leoni d' Eritrea. Coraggio, Fedeltà, Onore. Tributo al Valore degli Ascari Eritrei.

 

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L'Ascaro del cimitero d'Asmara.

Sessant’anni fa gli avevano dato una divisa kaki, il moschetto ‘91, un tarbush rosso fiammante calcato in testa, tanto poco marziale da sembrare uscito dal magazzino di un trovarobe.
Ha giurato in nome di un’Italia che non esiste più, per un re che è ormai da un pezzo sui libri di storia. Ma non importa: perché la fedeltà è un nodo strano, contorto, indecifrabile. Adesso il vecchio Ghelssechidam è curvato dalla mano del tempo......

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Storia. Anni 1886-1887. Parte prima.

Post n°47 pubblicato il 11 Agosto 2008 da wrnzla

Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it

Storia. Anni 1886-1887. Parte prima.
AFRICA: NUOVE OCCUPAZIONI - ECCIDIO DOGALI - I TRATTATI

ECCIDIO DELLA SPEDIZIONE PORRO - NUOVE OCCUPAZIONI ITALIANE IN AFRICA E PROTESTE DEL NEGUS - INTIMAZIONE DI RAS ALULA - COMBATTIMENTO DI SAATI - COMBATTIMENTO DI DOGALI - DISEGNO DI LEGGE PER AUTORIZZAZIONE DI SPESE STRAORDINARIE E PER LA SPEDIZIONE DI RINFORZO IN AFRICA - DIMISSIONI DEL GABINETTO - OTTAVO GABINETTO DEPRETIS. - CRISPI MINISTRO DELL'INTERNO-IL " CORPO SPECIALE D'AFRICA" - ACCORDO ITALO-BRITANNICO - RINNOVAMENTO DELLA TRIPLICE ALLEANZA

NUOVE OCCUPAZIONI ITALIANE IN AFRICA E PROTESTE DEL NEGUS
ECCIDIO DELLA SPEDIZIONE PORRO
COMBATTIMENTI DI SAATI E DOGALI

Verso la metà di agosto 1885, il comando italiano di Massaua estendeva l'occupazione verso l'interno prendendo possesso e mettendo un presidio a Saati a 30 chilometri da Massaua.
Il 6 settembre era richiamato il colonnello SALETTA e nominato comandante superiore in Africa il generale GENÈ, che, alla fine dello stesso mese, assumeva anche la direzione e i servizi amministrativi, proclamava la sovranità italiana, faceva abbassare la bandiera egiziana ed imbarcava per l'Egitto i 180 soldati regolari di questo paese, gli ultimi che fino allora erano rimasti a Massaua. Proteste dall'Editto nessuna, Recriminazioni invece del Negus di Abissinia, al quale l'Inghilterra aveva assicurato questi territori ex egiziani, dopo che gli stessi inglesi erano ormai diventati arbitri di tutti i possedimenti dell'Egitto.

Nel nuovo Gabinetto Depretis del 29 giugno 1855, era stato chiamato come ministro degli Esteri il generale DI ROBILANT. Questi, volendo rassicurare il NEGUS GIOVANNI che il Governo italiano non nutriva propositi aggressivi contro l'Abissinia, nel gennaio del 1886 gli inviò -guidata dal generale POZZOLINI- una missione. Ma l'atmosfera non era favorevole, essendo stata resa torbida dalle trame del viceconsole francese SOUMAGNE, residente a Massaua (con due soli cittadini francesi ivi residenti), e il Pozzolini, da questa città, fu richiamato in Italia; temevano a Roma che i membri della missione, inoltratisi in un paese ostile, erano troppo esposti a dei pericoli.
(ma di questo Soumagne, e delle sue trame, parleremo ancora nel prossimo capitolo)
Questo fatto aumentò le diffidenze abissine e inasprì i rapporti italiani con l'Etiopia, specie con RAS ALULA, governatore dell'Hamasien, donde frequenti scorrerie furono effettuate contro alcune tribù locali che dal giorno dello sbarco erano state costrette loro malgrado ad andare sotto la protezione italiana.
I rapporti italo-abissini divennero più tesi nella successiva primavera, a causa dell'eccidio avvenuto presso Gildessa sulla via da Zeila ad Harrar il 9 aprile 1886 della spedizione del conte GIAN PIETRO PORRO, della quale facevano parte il conte CARLO COCASTELLI di Montiglio, il prof. GIOVANNI LICATA, i dott. GIROLAMO GOTTARDI, GUGLIELMO ZANNINI, UMBERTO ROMAGNOLI, PAOLO BIANCHI e GIUSEPPE BLANDINO.

Anche questo massacro commosse il paese. Nella seduta parlamentare del 15 giugno 1886, l'on. DI BREGANZE interrogò il nuovo ministro degli Esteri "riguardo al disastro della spedizione del conte Porro nell'Harrar ed agli intendimenti del Governo circa la tutela degl'interessi dell'Italia sulle coste orientali d'Africa"; l'on. PANTANO svolse un'interpellanza "sugli ultimi episodi della politica coloniale in Africa e sui criteri" a cui questa s'ispirava, domandando "a cosa giovava il tributo di uomini e di denaro che l'Italia rendeva alla politica africana?; in quale modo il Governo intendeva tutelare il decoro italiano in Africa?; perché la "missione Pozzolini" aveva avuta una soluzione così diversa da quella del capitano Schmidt?; se l'occupazione nostra era definitiva o provvisoria?; se quella di Massaua era un'occupazione militare o commerciale? e se il Governo aveva già calcolato la gravità di una occupazione militare e gli svantaggi di una occupazione commerciale".

Il ministro Di Robilant rispose che il Governo declinava ogni responsabilità sull'eccidio della spedizione Porro, "avendola in precedenza già avvertita di non poter assecondare la loro impresa; dichiarò in nome del Governo che "...l'iniziativa di pochi cittadini non poteva assolutamente impegnare quella del paese; e quanto al contegno del Governo in seguito all'eccidio sostenne che non si poteva pensare ad un'azione armata contro l'Harrar. 1° perché il paese dei Somali che avrebbe dovuto esser base dell'operazione non era "res nullius" e perciò l'azione militare doveva esser preceduta da un'azione diplomatica; 2° perché in quel momento l'attenzione nostra sarebbe potuto essere rivolta altrove con più opportunità; 3° perché una spedizione nell'Harrar avrebbe richiesto 6.000 uomini, 25 milioni di spesa ed un anno almeno di tempo; 4° perché, anche a spedizione compiuta, il soggiorno nell'Harrar sarebbe costato 6 od 8 milioni l'anno senza contare le spese per la costruzione di una strada o di una ferrovia.

"E così -dissero gli oppositori alla politica governativa- per la grettezza degli uomini di Governo e per un male inteso proposito d'economia, noi lasciamo invendicati otto connazionali e ci lasciamo sfuggire all'occasione di occupare un'importantissima regione.

(Continuavano intanto le razzie a danno delle tribù "sottoposte" alla protezione italiana e il generale Genè (per difenderle!) nel novembre del 1886 fece occupare da una centuria costituita con gli stessi indigeni, il villaggio di Uaà, 40 km. a sud di Massaua, allo sbocco della valle dell'Haddos, cioè in un territorio ex egiziano, ma sotto la recente dominazione inglese lasciato agli abissini.
Prima l'occupazione di Saati ora di Uaà, provocarono le proteste del Negus e di RAS ALIDA. Quest'ultimo anzi non si limitò alle proteste, ma con numerose truppe si portò a Ghinda, a 60 km. ad ovest di Massaua, e il 10 gennaio del 1887 mandò ad intimare al generale GENÈ di sgombrare Uaà e Saati, minacciando, in caso di rifiuto, di decapitare i tre viaggiatori italiani conte SALIMBENI, maggiore PIANO e tenente SAVOIROUG, che, accingendosi ad esplorare il Goggiam, erano stati trattenuti dalle autorità abissine.

Il generale GENÈ non si lasciò intimorire dalle minacce, e all'intimazione rispose che avrebbe respinto ogni attacco; quindi rinforzó i presidi di Uaà e di Saati e dislocò a Moncullo una colonna di riserva al comando del ten. colonnello TOMMASO DE CRISTOFORIS composta di tre compagnie di fanteria, due mitragliere e due "buluc" indigeni, della forza totale di circa 500 uomini.

Il 24 gennaio 1887 (le notizie "volavano" ed erano piuttosto serie) l'on. DE RENZIS interrogò alla Camera il ministro degli Esteri "sulle notizie, indicanti come possibile un attacco abissino contro le nostre truppe d'Africa". Il DI ROBILANT rispose che da un telegramma del GENÈ, giunto il 18, risultava che una colonna abissina si proponeva di attaccare le nostre posizioni, che però erano state rafforzate; e aggiunse che "...non era il caso d'impensierirsi di tali notizie e, appellandosi alla serietà della Camera, affermò che "non gli pareva che nel momento attuale convenisse - e non conveniva certamente - dare tanta importanza a quattro predoni che si avevano tra i piedi in Africa".

Proprio il giorno dopo, il 25 gennaio 1887, con ras ALULA alla testa di 10.000 uomini (e non "quattro predoni"), attaccava violentemente il fortino di Saati, presieduto dal maggiore BORETTI con due compagnie di fanteria, una sezione d'artiglieria e trecento indigeni; ma dopo tre ore di combattimento era costretto a ritirarsi con perdite rilevanti. Il 26 gennaio la colonna di riserva del ten. Colonnello TOMASO DE CRISTOFORIS partì da Moncullo per portare soccorso a Saati, ma a mezza strada, vicino l'altura di Dogali, fu sorpresa dagli uomini di ras Alula. Ritiratisi sul colle, furono accerchiati e con valore incredibile resistettero prima con i fucili, poi, terminate le munizioni, con le baionette. Il De Cristoforis fu anche lui eroe tra gli eroi. Colpito ben quindici volte, meravigliato dall'eroismo dei suoi, all'ultimo drappello che era ancora in piedi, ordinò che fossero presentate le armi ai caduti; quindi continuò a resistere ma poco dopo fu travolto con tutti gli altri; non ne rimase in piedi nemmeno uno. Gli Abissini perdettero circa un migliaio di uomini; gli italiani morti furono 430, e circa novanta feriti che dati per morti e abbandonati dal nemico sul campo, furono, il giorno dopo, salvati dalle truppe italiane giunte in soccorso da Massaua.

Nella seduta parlamentare del 10 febbraio del 1887, il presidente del Consiglio
DEPRETIS dava lettura del drammatico telegramma del generale GENÈ così concepito: "Il 24 ras Alula lasciò Ghinda accampandosi a sud-est di Saati che attaccò il 25, ma fu respinto dopo tre ore di combattimento. Nostre perdite quattro feriti e cinque morti. Le perdite degli Abissini sono sconosciute. Il 26, tre compagnie e 50 irregolari partiti da Moncullo per vettovagliare Saati furono attaccati a mezza via. Dopo parecchie ore di combattimento la colonna fu distrutta. Novanta feriti sono già ricoverati all'ospedale di Massaua. Mi riservo di spedire particolari esatti circa le perdite ed i feriti. Causa l'eccessiva estensione delle nostre linee, ho richiamato i posti di Saati, Uaà ed Arafali.
Ras Alula sembra essere rientrato a Ghinda a causa delle gravi perdite e i numerosi feriti e probabilmente anche per attendere rinforzi e l'arrivo del Negus che si dice essere in marcia".

In seguito a queste gravi notizie, DEPRETIS, in nome dei ministri della Guerra, della Marina e delle Finanze, presentava un disegno di legge per autorizzare una spesa di 5 milioni sui bilanci della Guerra e della Marina per la spedizione urgente di rinforzi militari sulle coste del Mar Rosso.
L'on. BACCARINI faceva pervenire un saluto a quei prodi che avevano combattuto contro un nemico meno miserabile ("i quattro predoni") di quello che pochi giorni prima aveva presentato il ministro degli Esteri; diceva di non ritenere opportuno per il momento di giudicare l'opera del Governo ed esprimeva il desiderio che la domanda dei crediti fosse approvata subito per confortare almeno quelli che esponevano la loro vita per l'onore italiano; e la domanda di credito del Depretis l'approvava in pieno.
Il disegno di legge fu discusso alla Camera il 3 febbraio. Parlarono MUSSI, che affermò "…essere necessario ritirarsi dall'Africa, ma la ritirata doveva conciliarsi con l'onore della bandiera e non avere l'aspetto di una fuga; PAIS-SERRA, ripeté lo stesso concetto, e che "….il solo accennare a un ritiro in quei momenti sarebbe stato lo stesso che proporre una fuga"; LAZZARO deplorò l'imprevidenza del Governo nell'ordinare e condurre la spedizione in Africa; DI BREGANZE si preoccupò dell'insufficiente organizzazione del corpo d'esercito d'Africa; infine COSTA parlò contro la chiusura della discussione proposta dal Di Rudini e da Spaventa.
Ma la chiusura fu approvata e si passò allo svolgimento degli ordini del giorno.
Che furono cinque: quelli cioè degli onorevoli NAPODANO, FERRARI, FORTIS, ODESCALCHI e PELLEGRINI che deploravano la condotta del Governo; quello di COSTA che invitava il Governo a richiamare le truppe dall'Africa, lanciando la famosa frase "né un uomo né un soldo per l'impresa africana"; quello di PATERNOSTRO che acconsentiva al credito richiesto e riservando ad una prossima tornata la discussione sull'insufficienza politica ed amministrativa del ministero; quello DI CAMPOREALE che voleva che si provvedesse con energia alla tutela del prestigio e alla sicurezza delle truppe d'Africa; quello di POZZOLINI che confidava che il ministero avrebbe saputo prendere "le misure atte a tenere alto in Africa il nostro prestigio militare e la nostra influenza politica"; BACCARINI che proponeva "l'ordine del giorno sopra tutti gli ordini del giorno" e osservava che se il disegno fosse stato votato senza la questione di fiducia avrebbe dato il voto favorevole e in caso diverso lo avrebbe dato contrario.
L'ultimo o.d.g. era quello di CAVALLOTTI che inviava "un pensiero di onoranza" ai Caduti, e pur accusando violentemente il governo a causa della sua politica interna e della scelta a favore della Triplice, accordava "i crediti e i sacrifici richiesti per rinforzare i presidi in Africa e per le necessità presenti della bandiera" e si riservava di "deliberare circa la responsabilità dei ministri, la cui politica e la cui insufficienza e leggerezza, avevano condotto al recente disastro".

La frase del Costa ("né un uomo né un soldo") diventa la parola d'ordine e sarà fatta propria dal movimento socialista durante le successive imprese coloniali. Alcuni deputati radicali, fra cui ACHILLE TEDESCHI ed ETTORE FERRARI, si mantengono sulle stese posizioni.

La discussione continuò il 4 febbraio 1887, e parlarono Bonghi, Bovio e il Di Robilant, che riconobbe infelici le sue parole dette nella seduta del 24 gennaio. La Camera accordò la fiducia al Governo con 215 voti favorevoli e 181 contrari. Il Senato il credito di 5 milioni lo approvò il giorno dopo all'unanimità. Il ministro degli Esteri, giudicando la votazione poco favorevole alla sua politica, si dimise, provocando le dimissioni dell'intero Gabinetto, annunciate dal capo gabinetto alla Camera l'8 febbraio, a causa delle critiche provenienti non solo dall'estrema sinistra e dal gruppo dei "Pentachi", ma anche da diversi esponenti della destra dissidente.


OTTAVO MINISTERO DEPRETIS -CRISPI MINISTRO DELL'INTERNO
IL "CORPO SPECIALE d'AFRICA" -
ACCORDO ITALO-BRITANNICO
RINNOVO TRIPLICE ALLEANZA - ACCORDO ITALO-SPAGNUOLO.

La crisi ministeriale fu travagliata: il conte di ROBILANT, BIANCHERI e FARINI si rifiutarono di formare il nuovo ministero e allo stesso DEPRETIS riuscì quasi impossibile formarne un altro.
Allora il Re respinse le dimissioni e il DEPRETIS, il 10 marzo 1887, annunciando alla Camera questa decisione dichiarò che il Sovrano attendeva dal Parlamento un voto deciso ed esplicito. CRISPI allora chiese la vera ragione della crisi e, non soddisfatto delle dichiarazioni del presidente del Consiglio, presentò una mozione che però fu respinta con 214 voti contro 194. DI ROBILANT tornò a dimettersi e DEPRETIS, accordatosi con CRISPI, il 4 aprile, formò il suo VIII ed ultimo gabinetto che risultò così composto: Presidenza ed Esteri: DEPRETIS; Interni: CRISPI; Finanze: MAGLIANI; Istruzione Pubblica: COPPINO; Grazia e Giustizia: ZANARDELLI; Guerra: BERTOLÈ-VIALE; Marina: BRIN; Lavori Pubblici: SARACCO: Agricoltura: GRIMALDI (riprenderemo più avanti questo discorso)

Prima e durante la crisi furono inviati a Massaua più di 2000 uomini con i quali fu costituito un "Corpo speciale d'Africa" che nell'estate raggiunse la cifra di 5000 uomini (2 reggimenti di cacciatori a piedi, 1 squadrone di cacciatori a cavallo, 2 compagnie di artiglieria da fortezza, 1 batteria da campagna, 1 batteria da montagna, 1 compagnia Genio, 1 compagnia di Sanità, 1 compagnia di Sussistenza ed 1 compagnia treno). Il 18 marzo 1887, il generale GENÈ fu richiamato e sottoposto ad un'inchiesta formata da un consiglio di generali che però non lo trovarono colpevole dei tristi avvenimenti d'Africa.

I TRATTATI

Durante questa crisi ministeriale avvennero due fatti importantissimi di politica estera: un accordo italo-britannico e il rinnovamento della Triplice Alleanza.

Il trattato ITALO BRITANNICO

Fu stipulato il 12 febbraio su queste basi:
1° - Si manterrà, per quanto è possibile, lo "status quo" nel Mediterraneo come nell'Adriatico, nell'Egeo e nel Mar Nero. Si avrà perciò cura di sorvegliare e, in caso di bisogno, impedire ogni cambiamento che, sotto forma d'annessione, occupazione, protettorato o in qualunque altra maniera tocchi la situazione attuale con detrimento delle due potenze.
2° - Se il mantenimento dello "status quo" divenisse impossibile, si farà in modo che non produca una qualsiasi modifica se non in seguito ad un accordo preventivo tra le due potenze;
3° - L'Italia è pronta ad appoggiare l'opera della Gran Bretagna in Egitto. A sua volta la Gran Bretagna è disposta, in caso d'invadenza da parte di una terza potenza, ad appoggiare l'azione dell'Italia sopra qualunque altro punto del litorale settentrionale dell'Africa e particolarmente nella Tripolitania e Cirenaica.
4° - In generale, e in quanto le circostanze lo comporteranno, l'Italia e l'Inghilterra si promettono mutuo appoggio nel Mediterraneo per ogni divergenza che sorgesse fra una di loro e una terza potenza".

A questo patto, il 24 marzo, aderì l'Austria-Ungheria.
Il trattato, che rinnovava la Triplice Alleanza fino al maggio del 1892, fu stipulato a Berlino il 20 febbraio del 1887. Inoltre, furono firmati due altri trattati, il primo fra l'Italia e l'Austria-Ungheria, il secondo tra l'Italia e la Germania.

Il primo (ITALIA-AUSTRIA-U.) era formato di quattro articolo:

1° - Le Altre Parti contraenti, non avendo di mira che il mantenimento, per quanto è possibile, dello "status quo" territoriale in Oriente, si impegnano ad usare la loro influenza per prevenire ogni modifica territoriale che rechi danno all'una od all'altra delle potenze firmatarie del presente trattato. Esse si comunicheranno tutte le informazioni capaci di illuminarle mutualmente sulle loro disposizioni, come su quelle delle altre potenze.

Tuttavia, nel caso che per forza degli avvenimenti il mantenimento dello "status quo" nei Balcani o delle coste o isole ottomane nell'Adriatico e nel mare Egeo divenisse impossibile, e che, sia in conseguenza dell'azione di una terza potenza, sia altrimenti, l'Austria-Ungheria o l'Italia si vedessero nella necessità di modificarlo con un'occupazione temporanea o permanente da parte loro, quest'occupazione non avrà luogo se non dopo un accordo preventivo fra le due sopraddette potenze; accordo basato sul principio di un compenso reciproco per ogni vantaggio territoriale o altro che ciascuna di esse ottenesse in più dello" status quo" attuale, e tale da dare soddisfazione agli interessi e alle pretese ben fondate delle due parti.

2° - Le alte parti contraenti si promettono naturalmente il segreto sul contenuto del presente trattato.
3° - Il presente trattato entrerà in vigore dal giorno dello scambio delle ratifiche e lo resterà fino al 30 maggio 1892.
4° - Le ratifiche saranno scambiate a Berlino in quindici giorni e più presto se si può fare.
In fede di che i rispettivi plenipotenziari hanno firmato il presente trattato e vi hanno apposto i loro sigilli.

Il trattato tra ITALIA e GERMANIA,
sempre del 20 febbraio, firmato da BISMARK e dal conte DE LAUNAY, comprendeva i seguenti sette articoli:

1°Le Alte Parti contraenti, non avendo di mira che il mantenimento, per quanto è possibile, dello "status quo" territoriale in Oriente, s'impegnano ad usare della loro influenza per prevenire, sulle coste e isole ottomane nel mare Adriatico e nel mare Egeo, ogni modifica territoriale che porti danno all'una o all'altra delle potenze firmatarie del presente trattato. A questo effetto esse si comunicheranno tutte le informazioni atto ad illuminarle mutualmente sulle loro disposizioni, come su quelle delle altre potenze.
2° - Le stipulazioni dell'articolo 1° non si applicano in alcun modo alla questione egiziana, circa la quale le Alte Parti contraenti conservano rispettivamente la loro libertà d'azione, avendo sempre riguardo ai principi su cui riposano il presente trattato e quello del 20 maggio 1882.
3° - Se avvenisse che la Francia facesse atto di estendere la sua occupazione o il suo protettorato o la sua sovranità sotto qualunque forma, sui territori nordafricani, sia del villayet di Tripoli, sia dell'impero marocchino, e che in conseguenza di tale fatto l'Italia, per salvaguardare la sua posizione nel Mediterraneo, credesse dovere essa stessa intraprendere un'azione sui detti territori nord-africani, oppure ricorrere, sul territorio francese in Europa, ai mezzi estremi, lo stato di guerra che ne seguirebbe tra l'Italia e la Francia costituirebbe "ipso facto", su domanda dell'Italia e a carico comune dei due alleati, il "casus foederis" con tutti gli effetti previsti dagli articoli 2° e 5° del suddetto trattato del 20 maggio 1882, come se simile eventualità vi fosse contemplata espressamente.
4° - Se la fortuna di qualunque guerra intrapresa in comune contro la Francia portasse l'Italia a cercare delle garanzie territoriali verso la Francia, per la sicurezza delle frontiere del Regno e della sua posizione marittima, come anche in vista della stabilità della pace, la Germania non vi porrà alcun ostacolo, e al bisogno, e in misura compatibile con le circostanze si applicherà a facilitare i mezzi di raggiungere un tale scopo.
5° - Le alte Parti contraenti si promettono mutualmente il segreto sul contenuto del presente trattato.
6° - Il presente trattato entrerà in vigore dal giorno dello scambio delle ratifiche e lo resterà fino al 30 maggio 1892.
7° - Le ratifiche saranno scambiate a Berlino in quindici giorni o più presto se si può fare".

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   Agli Ascari d'Eritrea 

- Perchè viva il ricordo degli Ascari d'Eritrea caduti per l'Italia in terra d'Africa.
- Due Medaglie d'Oro al Valor Militare alla bandiera al corpo Truppe Indigene d'Eritrea.
- Due Medaglie d'Oro al Valor Militare al gagliardetto dei IV Battaglione Eritreo Toselli.

 

 

Mohammed Ibrahim Farag

Medaglia d'oro al Valor Militare alla Memoria.

Unatù Endisciau 

Medaglia d'oro al Valor Militare alla Memoria.

 

QUESTA È LA MIA STORIA

.... Racconterà di un tempo.... forse per pochi anni, forse per pochi mesi o pochi giorni, fosse stato anche per pochi istanti in cui noi, italiani ed eritrei, fummo fratelli. .....perchè CORAGGIO, FEDELTA' e ONORE più dei legami di sangue affratellano.....
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A DETTA DEGLI ASCARI....

...Dunque tu vuoi essere ascari, o figlio, ed io ti dico che tutto, per l'ascari, è lo Zabet, l'ufficiale.
Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un cavallo.
Lo zabet turco sa il coraggio, non sa la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un somaro.
Lo zabet egiziano non sa il coraggio e neppure la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un capretto da macello.
Lo zabet italiano sa il coraggio e la giustizia, qualche volta disturba le donne e ti tratta come un uomo...."

(da Ascari K7 - Paolo Caccia Dominioni)

 
 
 
 

 
 
 
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