GUERRA ETIOPIA
Carabinieri, Zaptiè e Ascari Eritrei.
Tratto da: www.carabinieri.it
CAMPAGNA ITALO-ETIOPICA (I Carabinieri nella- 1935/1936)
Un episodio della campagna italo-etiopica: nei pressi di Om Hager.Il riarmo tedesco, iniziato nel 1933 e reso effettivo il 6 marzo 1935 con il ripristino in Germania del servizio militare obbligatorio, in spregio alle clausole del trattato di Versailles, colse di sorpresa le Potenze europee e fece perdere ogni parvenza di autorità alla Società delle Nazioni. Di conseguenza i diversi governi cercarono, ciascuno per proprio conto, di garantirsi quella sicurezza che la Società delle Nazioni non poteva ormai più offrire.
L'Italia era combattuta tra i propri interessi nell'area balcanico-lanubiana, in antitesi con la Germania, e la ricerca verso l'Africa, in particolare l'Etiopia, di quegli sbocchi territoriali che avrebbero potuto costituire un'alternativa al freno imposto dai paesi d'oltremare alla forte emigrazione italiana. Tale progetto era però osteggiato da Francia ed Inghilterra, segnatamente da quest'ultima, che temeva di veder compromessa la posizione dei propri domini in Africa Orientale e paventava la possibile concorrenza dell'Italia nel commercio con l'Oriente.
Il Governo italiano si risolse a favore degl'interessi africani e decise di portare a compimento quella penetrazione in Etiopia abbandonata nel 1896. Per organizzare le forze che avrebbero dovuto attuare i piani del Governo, nell'aprile 1935 fu istituito il " Comando Superiore dell'Africa Orientale" di cui fece parte il "Comando Superiore Carabinieri".
Il 2 ottobre 1935 venne dato il via alle operazioni militari ed il 3 seguente le truppe italiane varcarono il fiume Mareb, che segnava il confine tra Eritrea ed Etiopia.
La manovra italiana era articolata su tre colonne avanzanti: ad Est il I Corpo d'Armata (gen. Ruggero Santini), al centro il Corpo d'Armata Eritreo (gen. Alessandro Pirzio Biroli), ad Ovest il II Corpo d'Armata (gen. Pietro Maravigna), con gli obiettivi rispettivi di Adigrat, Entisciò e Adua. Contemporaneamente varcava il confine somalo un Corpo misto (gen. Rodolfo Graziani). Tutte le Unità erano agli ordini del gen. Emilio De Bono.
10 marzo 1936: la 3^ Banda Carabinieri sbarca a Obbia, in Somalia, per raggiungere il fronte operativo.Per il "Comando Superiore Carabinieri" presso il Comando Superiore dell'Africa Orientale furono mobilitate cinque Sezioni, un Nucleo ufficio postale ed una Sezione zaptiè, dislocata presso il Comando del Corpo d'Armata Eritreo. Successivamente furono anche mobilitate 2 Sezioni Carabinieri da montagna, una Sezione a cavallo ed un Nucleo postale per ciascun Corpo d'Armata e Divisione destinati ad operare in Africa Orientale. In Somalia vennero costituite due "Bande" con truppe indigene, forti di 23 ufficiali e 1100 tra sottufficiali e militari semplici. Fu infine istituito un Comando Carabinieri di Intendenza, per il coordinamento dei servizi di polizia militare nelle retrovie e per compiti informativi.
Col progressivo affluire sul teatro operativo delle Grandi Unità, l'Arma portò i suoi reparti in Africa a 55 Sezioni da montagna, 6 a cavallo, 6 miste, 3 Sezioni zaptiè e 23 Nuclei, oltre a 3.143 zaptiè e 2.500 dubat somali, inquadrati in reparti diversi.
L'Esercito etiopico era diviso in sette masse al comando del Negus Hailè Selassiè, delle quali due terzi fronteggiavano l'Eritrea ed un terzo la Somalia, territori già acquisiti dall'Italia.
Gunu Gadu (Etiopia), aprile 1936.Le operazioni militari, iniziate come s'è detto il 2 ottobre 1935, portarono il 5 successivo alla caduta di Adua; l'8 novembre fu presa anche Makallè. In queste due città, tanto significative per la storia italiana, nuclei di Carabinieri entrarono per primi assieme ai reparti dell'84° e del 60° Fanteria.
Frattanto al Sud le truppe della Somalia avanzavano su due direttrici: Dolo-Filtù-Neghelli-Madarà-Scebeli; Ogaden-Harar-Dire Daua.
Il 15 dicembre l'armata di Ras Immirù tentò invano un'offensiva volta a minacciare l'Eritrea, superando i guadi dei fiume Tacazzè e cercando di risalire a Nord verso la zona di Selaclacà. In quella circostanza il maggiore dei Carabinieri Giuseppe Contadini costituì quattro Bande di irregolari indigeni da impiegare come ausiliari di polizia, per la vigilanza della frontiera; due di esse erano comandate da sottufficiali dell'Arma. In particolare la banda di Cohain, il cui nome derivava dalla zona di reclutamento, fu posta agli ordini del brigadiere Silvio Meloni. Questi, durante una ricognizione oltre il Mareb, nel corso della quale le bande si erano scontrate con un forte numero di nemici, resistette con il suo reparto per otto ore contrattaccando nuclei etiopici che cercavano di aggirare lo schieramento italiano. Infine, caduto l'ufficiale comandante lo scaglione di cui la banda di Cohain faceva parte, il Meloni prese il comando dei reparto; ferito a sua volta, fu sopraffatto e catturato insieme al carabiniere Domenico Palazzo, anche lui gravemente ferito. Tuttavia i superstiti riuscirono a rompere l'accerchiamento nemico e a ricongiungersi con il XXVII Battaglione eritreo.
Gunu Gadu (Etiopia), aprile 1936.Nello stesso episodio si distinsero anche il brigadiere Giovanni Amorelli, il quale, ferito tre volte, cadde in un assalto nel tentativo di spezzare il cerchio nemico, ed il carabiniere Angelo Alaimo, che venne colpito al cuore mentre anch'egli si lanciava all'attacco spronando i suoi commilitoni. Alla Memoria dei militari fu concessa la Medaglia d'Argento al Valor Militare.
Alle vittoriose operazioni contro Ras Immirù presero parte anche la 305a e 515a Sezione Carabinieri, attestate nella zona difensiva di Adì Qualà - Furdínai - Arresa - Tucul.
Gli indigeni, viste stroncate le loro manovre offensive sul fronte settentrionale, si asserragliarono nella regione del Tembien agli ordini di Ras Cassa, progettando di attaccare il fianco destro dello schieramento italiano ed infiltrarsi tra Makallè e Adua. Ma il gen. Pietro Badoglio, che aveva sostituito De Bono il 28 novembre 1935, prevenne la manovra nemica attaccando per primo. Il 20 gennaio 1936 le colonne italiane avanzarono nella regione occupando la località di Zeban Chercatà. Il 21 seguente le forze italiane che difendevano il passo Uarieu, importantissima porta del Tembien, si trovarono, nel corso di una sortita, improvvisamente attaccate da soverchianti forze nemiche. Si accese un combattimento che divenne particolarmente aspro quando i reparti nazionali, ritiratisi, dovettero difendere le posizioni del passo. L'assedio si protrasse sino al 24, allorché l'aviazione italiana ed i rinforzi del XXIV Battaglione eritreo misero in fuga gli assedianti. Alla battaglia parteciparono valorosamente la 302a e la 312a Sezione Carabinieri.
Gunu Gadu (Etiopia), aprile 1936.Frattanto sul fronte meridionale il gen. Graziani, pur non disponendo di molte forze, decise di attaccare gli etiopici di Ras Destà che avanzavano a Sud di Neghelli nell'intento di avvolgere le ali dello schieramento italiano alle spalle di Dolo. La battaglia divampò per tutto il gennaio 1936 tra i fiumi Daua Parma, Canale Doria e Vebi Gestro. Entro il 26 gennaio gli italiani occuparono tutta l'area compresa fra i tre fiumi ed una colonna mista. risalendo il Daua, si spinse sino a Malca Murri, a 210 km. da Dolo, base di partenza.
Va qui ricordato l'episodio d'eroismo che ebbe per protagonista il brigadiere Salvatore Pietrocola il quale, durante un combattimento a Malca Guba, nella zona di Neghelli, in un momento particolarmente critico dell'azione, caduto il proprio comandante, condusse i pochi superstiti all'assalto, pur ferito gravemente, sinché non cadde colpito a morte. Alla sua Memoria venne concessa la Medaglia d'Oro al Valor Militare.
Il successo ottenuto nel Tembien spinse il gen. Badoglio a colpire il nemico sull'Amba Aradam, zona di sutura tra le forze etiopiche del Tembien ed il grosso dislocato nell' Endertà al comando di Ras Mulughetà. Il vittorioso scontro che ne seguì, noto con il nome di battaglia dell' Endertà, costituì la premessa strategica della seconda battaglia del Tembien, con la quale le forze congiunte dei Ras Cassa e Sejum vennero definitivamente sconfitte tra il 27 ed il 29 febbraio 1936.
Avviata la campagna verso la fase conclusiva, furono istituiti 4 speciali reparti dell'Arma da impiegare in operazioni tattiche, denominati "Bande autocarrate". Esse vennero inquadrate a Roma ed articolate ciascuna su due Compagnie ed un Plotone comando, per un complesso di 1.000 uomini. Tali reparti s'imbarcarono il 25 febbraio 1936 e raggiunsero Obbia, in Somalia, il 10 marzo successivo.
Gunu Gadu (Etiopia), aprile 1936.Sul fronte settentrionale le truppe italiane, avanzando su Gondar e Socotà, occuparono il 28 febbraio la storica Amba Alagi, costringendo il Negus Hailè Selassiè a ritirarsi, con il grosso del suo esercito, a Sud del lago Ascianghi. Da qui il sovrano etiope tentò invano la controffensiva, ma le truppe italiane attestatesi a difesa presso lo stesso lago, sostennero dapprima l'urto nemico fra il 31 marzo ed il l' aprile 1936, poi passarono al contrattacco sbaragliando le forze etiopiche. Quest'ultima vittoria aprì al gen. Badoglio la via di Addis Abeba, capitale dell'impero negussita e, su quella via, il 15 aprile cadde la città di Dessiè.
A Sud, intanto, il 12 aprile fu costituito il Comando Raggruppamento Bande di cui facevano parte le "Bande autocarrate" dei carabinieri, le quali il 24 seguente ebbero modo di segnalarsi nell'aspro combattimento di Gunu Gadu. Questa località costituiva un formidabile baluardo avanzato dell'Ogaden, presidiato da circa 30.000 etiopici trincerati in caverne scavate tra gli alberi secolari, profonde tre metri e sistemate in modo da consentire un'azione incrociata di fuoco.
I Carabinieri attaccarono quelle posizioni con i loro autocarri allo scoperto, ingaggiando un durissimo scontro a fuoco durato dalle ore 7 alle ore 16 del 24 aprile e costellato da episodi individuali di valore. Tra i più salienti, quello del capitano dei Carabinieri Antonio Bonsignore, che si lanciò più volte sui trinceramenti nemici e, nonostante rimanesse ferito ad un fianco, rifiutò i soccorsi e continuò a guidare i suoi uomini sinché non cadde colpito a morte; quello del carabiniere Vittoriano Cimarrusti che, già ferito ad un braccio e medicato sommariamente torno sulla linea di fuoco attaccando gruppi di etiopi che tentavano di sorprendere di fianco la propria Compagnia; nuovamente ferito proseguì l'azione con il lancio di bombe a mano, finché venne sopraffatto dal numero dei nemici; infine, l'episodio del carabiniere Mario Ghisieni che, ferito gravemente alla gamba sinistra mentre attaccava le posizioni nemiche, continuò a combattere fin quando dovette essere soccorso per l'aggravarsi della ferita di cui poco dopo morì. Alla Memoria dell'ufficiale e dei due altri militari fu concessa la Medaglia d'Oro al Valor Militare.
Il 28 aprile 1936 cadde Sassabaneh. L'avanzata proseguì quindi per Dagabur, che fu occupata il 30 successivo; poi il 5 maggio fu la volta di Giggiga, l'8 seguente cadde Harar ed il giorno successivo Dire Daua.
Sul fronte settentrionale il 5 maggio 1936 le truppe italiane entrarono in Addis Abeba. Il 9 dello stesso mese il Negus Hailè Selassiè lasciò l'Etiopia per recarsi in esilio a Londra. Seguì l'occupazione del Goggiam e alla fine dei maggio 1936 le operazioni militari poterono dirsi virtualmente concluse.
Per le esigenze dell'intera campagna in Africa Orientale l'Arma aveva richiamato dal congedo circa 12.000 uomini ed i suoi reparti mobilitati giunsero a 78 Sezioni, oltre ai Nuclei, alle Bande autocarrate ed a quelle di irregolari indigeni.
I Carabinieri, oltre a partecipare a tutte le fasi del ciclo operativo combattendo con le altre truppe, si resero indispensabili nei servizi di loro specifica competenza, di polizia militare e civile. In particolare le Sezioni Carabinieri presso l'Intendenza curarono la sicurezza delle vie di comunicazione e la disciplina del traffico, esercitando inoltre un'azione di controllo e assistenza sui contingenti di operai che affluivano dall'Italia per la costruzione di strade e di altre strutture di supporto logistico alle truppe operanti.
Nel corso della guerra caddero 208 carabinieri; circa 800 furono i feriti. Vennero concesse a singoli militari 4 Medaglie d'Oro, 49 d'Argento e 108 di Bronzo al Valor Militare, oltre a 435 Croci di Guerra. La Bandiera dell'Arma fu insignita della Croce di Cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia (oggi d'Italia) con la seguente motivazione:
"Durante tutta la campagna, diede innumerevoli prove di fedeltà, abnegazione, eroismo; offrì olocausto di sangue generoso; riaffermò anche in terra d'Africa le sue gloriose tradizioni; diede valido contributo alla vittoria".