Post n°105 pubblicato il 26 Luglio 2008 da pro_mos
Si avvicinò alla finestra che ancora non montava le tende, e guardò al di là del vetro. Vedeva casa poco lontane, altri palazzi e poi, un poco oltre una strada di grande traffico. Ma si sentiva sereno come se attorno a lui ci fosse la campagna aperta, e gli alberi ed il frusciar di foglie l’unico rumore. -“Già, pensò Giorgio, - il frusciar di foglie”- e la memoria gli corse al vecchio tiglio delle sue estati passate, le notti percorse con un libro in mano su quel terrazzo che non avrebbe mai più rivisto come allora ed i discorsi e le storie che il vecchio tiglio gli avevano narrato. Ed ora anche quella era storia forse l’ultima che l’albero gli aveva regalato, il suo ricordo diventava racconto. Distolse l’attenzione dal ricordo. Guardò di nuovo la strada piena di macchine che scivolavano a gruppi, secondo il ritmo dei semafori, lungo la retta via poco più sotto. Pensò al nome di Elena e immaginò in un’auto fra le tante. Anche lei scorreva, forse, un poco più sotto. Magari era su un autobus altrove. Molto più distante, però. “Nessun posto è lontano”(1) così aveva letto anni ed anni addietro immaginando che un punto ed un altro dell’universo potessero esser contigui solo che il cuore li avesse resi vicini. Poi il traffico caotico della vita, degli incontri, gli ingorghi di parole che s’intrecciano, s’avviluppano lo sbocciar di nuove strade, toglieva spazio al libero fluire dei sentimenti. O li rendeva impossibili. Pensò al nome di Elena. Anche quella cosa lo colpì. Non pensava ad Elena, bensì al “suo nome”. Quella dei nomi era diventata un’ossessione degli ultimi giorni. Le cose hanno un nome, le persone, i sentimenti, e bisognava dosarli attentamente. Sceglierli per descriverli in modo esatto, per farsi comprendere. Per cercar di capire. Così quando si scoprì a pensare al nome di Elena si domandò cosa volesse dire. Elena era un nome si, ma anche una persona. S’intorbidì il pensiero, come preso da una paura nuova, quella che il senso del nominare stesse a poco a poco sopravanzando l’importanza del nominato stesso. Elena allora doveva valer per questo più come nome che come persona? Si provò a pensare a lei, ad immaginarla senza nome. Era allora quelle parole scarne comparse sopra un video, o il telefono che da tempo non squillava con il suo numero che appariva, era quelle ore d’amore trascorse in quel letto che era anch’esso soltanto un ricordo. Elena, si risolse, era una serie di punti dentro ad un complesso passato. Non gli mancava Elena in quell’oggi, non gli sarebbe mancata pensandoci il giorno appresso. Non l’amava più. Ecco perché allora pensandola in verità, pensava al suo nome. Gioca d’anticipo l’inconscio, sulla ragione, e ci vuol del tempo poi per farsene una, per portare alla luce, per capire. S’era risolto. Non amava più Elena, e non gli importava a quel punto se era stato lui ad allontanarsi o lei ad essersene andata, o il traffico di altri incontri di altre parole, ad averla portata via. Non gli importava più nemmeno di capire il suo passato o i motivi di lei. “si diventa grandi a toccarle il culo, si diventa vecchi a sentirsi soli, e col passare del tempo non ti importa nemmeno chi le bacia gli occhi chi le tocca il seno, senza di lei soltanto un anno prima credevi di morire e all’improvviso non ne vale più la pena nemmeno di capire” (2) Se li era cantati nel passato quei versi ma in quel momento gli ritornarono prepotentemente dentro. Non aveva più pensieri da dedicarle. Sue erano state le mille parole del ieri, i racconti, le fiabe. Sue le notti trascorse a parlare, a fare sogni, a costruire parabole, a tendere linee infinite. Suoi erano stati gli anni, e prima i mesi ed i giorni, le ore, i minuti, tutti i secondi. Persino gli attimi. A poco a poco Elena s’era dissolta in lui, come un granello di zucchero in un bicchiere colmo d’acqua. Riguardò la finestra ma non per vedere oltre, no. Si soffermò sul vetro. Elena era diventata come quel vetro. Trasparente ma non per farsi compenetrare e leggere dentro. Trasparente perché invisibile. Era sparita. Giorgio si sentiva guarito. Muto. Senza rimorsi. Era stato con lei solo se stesso. Tutto se stesso. Era tempo di lasciar scorrere quella scia. -“Addio Elena”- pensò mentalmente –“ti tolgo dal mio presente per diventar ricordo. Senza rimpianti o vergogna alcuna.”- poi, sottovoce, intonò un motivetto di molto, molto tempo prima -“…oggi è un nuovo giorno, ho visto al mercato vendere ali”. (3) (1) Richard David Bach – Nessun luogo è lontano – 1976 (2) Roberto Vecchioni “Carnival” – Il Grande Sogno – 1984 (3) Le Orme “Un angelo” – Storia o Leggenda - 1977
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