Dalla a allo zen
Piccola raccolta di storie zenUn libro scritto dal mio Lama. Lo consiglio davvero a tutti. E' un libro sull'amore, ma che offre una panoramica completa del buddhismo. Da leggere!
Ulteriori informazioni quì
Buona lettura
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Quando la monaca Chiyono studiava lo Zen con Bukko di Engaku, per molto tempo non riuscì a raggiungere i frutti della meditazione. Finalmente, in una notte di luna piena, stava portando dell'acqua in un vecchio secchio tenuto insieme con una cordicella di bambù. Il bambù si ruppe e il fondo del secchio cadde, e in quel momento Chiyono fu liberata. Per commemorare l'evento, scrisse una poesia:
In questo modo e in quello cercai di salvare il vecchio secchio
Poiché la corda di bambù era logora e stava per rompersi.
E poi tutt'a un tratto il fondo si staccò e cadde
Niente più acqua nel secchio! Niente più luna nell'acqua!.
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Un maestro stava per iniziare il suo sermone quando un uccellino attaccò a cantare. Il maestro non parlò e tutti ascoltarono l'uccellino. Cessato il canto, il maestro disse: "Bene, il sermone è terminato", e così se ne andò.
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Il maestro Pai-chang voleva scegliere un monaco cui affidare l'incarico di aprire un nuovo monastero. Convocò i suoi discepoli, pose una brocca sul pavimento e disse loro: "Sceglierò chi saprà descrivere questa brocca senza nominarla". "È un vaso di forma rotondeggiante, con un manico e un becco" rispose il più colto dei suoi allievi. "È un recipiente di colore grigio e serve per contenere acqua o altri liquidi" disse un altro. "Non è uno zoccolo" intervenne un terzo più spiritosamente. Gli altri monaci non dissero nulla, perché erano convinti di non poter escogitare definizioni migliori. "Non c'è nessun altro?" domandò il maestro. Allora si alzò Kuei-shan, che nel monastero era un semplice inserviente. Egli prese la brocca in mano e la mostò a tutti senza dire nulla. Pai-chang dichiarò: "Kuei-shan sarà l'abate del nuovo monastero".
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Circa 3 anni fa dovetti andare dall'oculista per una congiuntivite allergica. Premetto che non avevo mai avuto bisogno di occhiali, e supponevo di avere una buona vista. In realtà dalla visita emerse che avevo un difetto visivo da correggere con opportuni occhiali (ndr: sono astigmatico-ipermetrope). Alla mia obiezione che io ci vedevo benissimo, l'oculista rispose che il mio difetto può essere corretto autonomamente dai muscoli degli occhi, ma che a lungo andare essi si affaticano troppo. Mi fidai della sua diagnosi, e mi feci prescrivere delle lenti correttive.
Quando gli occhiali furono pronti, li inforcai con grande curiosità: volevo proprio vedere cosa c’era da correggere. Risultato: tutto mi sembrava “più largo”…ossia la dimensione orizzontale mi veniva amplificata. Sorrisi, e dissi fra me: "I miei occhi mi hanno preso in giro fino ad adesso...oppure lo ha fatto l'oculista". Gli astigmatici infatti non riescono a percepire il loro difetto, e quando viene loro corretto hanno difficoltà ad abituarsi alla nuova "visione" delle cose.
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Su una montagna, un panieraio lavorava accanto al fuoco, intrecciando un cestino.
All'improvviso appare la vecchia della montagna:
«Fa un freddo cane!» esclama.
Il panieraio dice tra sé: «È la terribile vecchia della montagna: bisogna gettarle addosso della cenere». la vecchia gli domanda: «Stai meditando di gettarmi addosso della cenere?».
L'uomo è sconcertato. Dice tra sé: «Le farò assaggiare la mia accetta». E lei gli dice: «Stai meditando di decapitarmi con la tua accetta?».
Dice tra sé il panieraio: «Indovina qualsiasi cosa io pensi. Mi divorerà». E la vecchia ancora una volta gli ripete quel che ha pensato.
L'uomo decide allora di non pensar più e di dedicarsi intensamente al proprio lavoro, in silenzio.
E poi, d'improvviso, senza riflettere, le scaglia contro una manciata di cenere, e la vecchia fugge, sconfitta.
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Al di là di Ghor si estendeva una città i cui abitanti erano tutti ciechi. Un giorno, un re arrivò da quelle parti, accompagnato dalla sua corte e da un intero esercito, e si accamparono nel deserto. Ora, questo monarca possedeva un possente elefante, che utilizzava sia in battaglia sia per accrescere la soggezione della gente.
Il popolo era ansioso di sapere come fosse l'elefante, e alcuni dei membri di quella comunità di ciechi si precipitarono all'impazzata alla sua scoperta.
Non conoscendo ne la forma ne i contorni dell'elefante, cominciarono a tastarlo alla cieca e a raccogliere informazioni toccando alcune sue parti.
Ognuno di loro credette di sapere qualcosa dell'elefante per averne toccato una parte.
Quando tornarono dai loro concittadini, furono presto circondati da avidi gruppi, tutti ansiosi di conoscere la verità.
Posero domande sulla forma e l'apparenza dell'elefante, e ascoltarono tutto ciò che veniva detto loro al riguardo. Alla domanda sulla natura dell'elefante, colui che ne aveva toccato l'orecchio rispose: "Si tratta di una cosa grande, ruvida, larga e lunga, come un tappeto".
Colui che aveva toccato la proboscide disse: "So io di che si tratta: somiglia a un tubo dritto e vuoto, orribile e distruttivo".
Colui che ne aveva toccato una zampa disse: "È possente e stabile come un pilastro".
Ognuno di loro aveva toccato una delle tante parti dell'elefante. Nessuno lo conosceva nella sua totalità: tutti immaginavano qualcosa, ma la conoscenza non appartiene ai ciechi.
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Un giorno l'asino di un contadino cadde in un pozzo.
Non si era fatto male, ma non poteva più uscirne.
L'asino continuò a ragliare sonoramente per ore,
mentre il proprietario pensava al da farsi.
Finalmente il contadino prese una decisione crudele:
concluse che
l'asino era ormai molto vecchio e che non serviva
più a nulla, che
il pozzo era ormai secco e che in qualche modo
bisognava chiuderlo.
Non valeva pertanto la pena di sforzarsi per tirare
fuori l'animale
dal pozzo.
Al contrario chiamò i suoi vicini perché lo
aiutassero a seppellire
vivo l'asino.
Ognuno di loro prese un badile e cominciò a buttare
palate di terra
dentro il pozzo.
L'asino non tardò a rendersi conto di quello che
stavano facendo con
lui e pianse disperatamente.
Poi, con gran sorpresa di tutti, dopo un certo
numero di palate di
terra, l'asino rimase quieto.
Il contadino alla fine guardò verso il fondo del
pozzo e rimase
sorpreso da quello che vide.
Ad ogni palata di terra che gli cadeva addosso,
l'asino se ne liberava,
scrollandosela dalla groppa, facendola cadere e
salendoci sopra.
In questo modo, in poco tempo, tutti videro come
l'asino riuscì ad
arrivare fino all'imboccatura del pozzo,
oltrepassare il bordo e
uscirne trottando.
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Quello del vegetarianismo è un tema interessante e dibattuto. Durante la meditazione giornaliera, che ho appena terminato, mi è balenato per la mente di scriverne qualcosa in merito. Non sono vegetariano, anche se quello di cominciare a non mangiare carne è uno dei miei propositi per il futuro (per adesso mi accontento di aver smesso di fumare...una cosa alla volta).
Mi interessava più che altro pubblicare quì ciò che il buddha Sakyamuni disse in merito al vegetarianismo:
Non si puo' vivere in un corpo fisico senza danneggiare gli altri. Persino per fare una tazza di te', la terra prima deve essere stata arata, e molti piccoli animali saranno morti. Se pensate veramente che meno animali saranno uccisi se smettete di mangiare carne, allora e' meraviglioso.
Cio' che il Buddha ha detto a proposito del mangiare carne e' molto interessante. Ha detto di mangiare cio' che ci possiamo permettere, senza farne un problema, ma di non lasciare che degli animali vengano uccisi proprio per noi. Dal punto di vista buddhista, la principale ragione per l'uccisione e' la cattiva connessione karmica tra l'animale ed il macellaio. Questo karma sarebbe venuto a galla prima o poi a prescindere dalla vostra presenza e anche non mangiando le bistecche prodotte da questo cattivo incontro.
(Tratto dal sito del Buddhismo della via del Diamante)
Questo non significa chiaramente che noi possiamo mangiare carne a nostro piacimento...e impunemente, ma semplicemente che non possiamo e non dobbiamo intromentterci nel rapporto, che è tutto personale, tra chi uccide e chi viene ucciso! Ciò che possiamo fare è manifestare sentimenti di compassione verso quanto accade...ma questo esula da quanto avevo intenzione di raccontare in questo post, e riguarda più il punto di vista buddhista, che mi rendo conto possa essere condivisibile o meno.
Ciò che più mi interessava sottolineare è l'impossibilità di sopravvivere senza danneggiare altri esseri viventi, che ritengo una riflessione fondamentale. Possiamo limitare consapevolmente al minimo i nostri danni, ma esistiamo...
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Un saggio, dopo anni e anni di vita nel mondo al servizio degli uomini, sapendo che di lì a poco sarebbe morto, decise di ritirarsi su una montagna per passare lì gli ultimi mesi della sua vita.
Un giorno, mentre questi gustava rapito in estasi la profondità della Vita Universale, si presentò nella sua grotta un angelo.
La creatura alata gli disse:
"Sei stato un uomo esemplare, hai agito nel mondo come pochi avrebbero potuto, sei la gloria di Dio.
Egli mi ha mandato qui per concederti un ultimo desiderio. Dimmi ciò che desideri ed io te lo darò".
L'uomo sorrise e disse:
"Vattene allora, cosa potrei desiderare ancora? Non posso certo cadere in questa trappola! Addio".
Quando l'angelo scomparve, il saggio disse tra sé e sé: "Le prove non finiscono mai… "
Rovescia ogni idolo
Se avesse accettato
Si sarebbe perduto.
Tratto da Tu sei Quello
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Il Buddha Shakyamuni passeggiava un giorno nei Cieli, lungo le rive del lago del Fior di Loto. Negli abissi del lago, il Buddha vedeva gli inferi. E scorse un uomo chiamato Kantaka, morto da alcuni giorni, che si dibatteva e soffriva tra i tormenti infernali. Shakyamuni era animato da una compassione profonda, amava soccorrere le anime dannate che avessero compiuto anche una sola buona azione durante la loro esistenza. Kantaka era stato un ladro e aveva condotto una vita dissoluta. In una circostanza, tuttavia, aveva agito generosamente. Un giorno aveva visto sulla sua strada un grosso ragno e, nonostante la voglia di schiacciarlo, l'aveva lasciato in vita. proseguendo il cammino. Shakyamuni lesse, in quell'azione generosa, uno spirito buono, e fu preso dal desiderio di aiutarlo. Fece dunque discendere nelle profondità del lago un lungo filo di ragno, che penetrò negli inferi, fino a raggiungere Kantaka. Quando Kantaka vide quel filo, come una robusta corda d'argento, si disse che certamente sarebbe stato difficilissimo salire lungo di esso, ma che doveva tentare, tanto era ardente il suo desiderio di uscire dall'abisso. Prese dunque a salire; sempre più in alto.... sempre più in alto.... aiutandosi con le mani e con i piedi, e facendo immandi sforzi per non scivolare. L'ascesa era lunga. Giunto a metà del cammino, il ladro guardò verso gli inferi ormai lontanissimi. In alto scorgeva la luce, e non aveva altro desiderio che raggiungerla. Salì ancora e poi, volgendosi in basso con un ultimo sguardo, il ladro vide una gran folla che si arrampicava lungo la corda, sin dagli infimi abissi dell'inferno. Kantaka fu allora colto dal panico: la corda poteva a malapena reggere il suo peso e dunque avrebbe certamente ceduto, e tutti, lui compreso, sarebbero preciptati nuovamente negli abissi! "Voi dovevate rimanere nell'inferno! Perchè dunque mi avete seguito?" urlò verso coloro che stavano salendo dietro di lui. In quel preciso istante il filo si spezzò, esattamente sopra le mani di Kantaka, e tutti sprofondarono negli abissi tenebrosi. Nello stesso istante, il sole risplendette sopra il lago, sulla cui riva il Buddha stava passeggiando.
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Subhuti era discepolo di Buddha. Era capace di capire la potenza del vuoto, il punto di vista che nulla esiste se non nei suoi rapporti di soggettività e di oggettività. Un giorno Subhuti, in uno stato d'animo di vuoto sublime, era seduto sotto un albero. Dei fiori cominciarono a cadergli tutt'intorno. « Ti stiamo lodando per il tuo discorso sul vuoto » gli mormorarono gli dèi. « Ma io non ho parlato del vuoto» disse Subhuti. « Tu non hai parlato del vuoto, noi non abbiamo udito il vuoto» risposero gli dèi. E le gemme cadevano su di lui come una pioggia..
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Maledetti professori mai contenti del tuo lavoro, maledetto il giorno in cui ho deciso di andare all'estero per fare la tesi, maledetto tutto il tempo impiegato in quel progetto che con gli occhi di oggi mi sembra perso, maledette le aspettative che mi ero creato e che avevo creato, maledetto ultimo esame che aspetta da due anni....e maledetto me che non riesco ad accettare le sconfitte, che non digerisco quella domanda "come? non ti sei ancora laureato?" che orgogliosamente vorrei sciorinare l'elenco delle difficoltà che ho incontrato...ciò che in fondo sto facendo anche adesso mentre scrivo.
E' inutile, scrivo di zen, cerco l'equilibrio, ma sono ancora così stupidamente al centro del mio universo...
Cosa mai cambierà nella mia vita se mi laureo più tardi del previsto? "vedremo" direbbe il saggio contadino che perse il suo cavallo di cui ho scritto in questo blog. Eppure io non riesco proprio a perdonarmelo. E cerco capri espiatori, i professori, le difficoltà e bla bla bla. Se una cosa non viene più bene, un motivo ci sarà.....
Tutto questo perchè oggi il relatore mi ha chiesto di aggiugere l'ennesimo capitoletto al mio elaborato....vaglielo a spiegare che un capitoletto non cambia l'esistenza; che la mia e sua crescita spirituale non dipendono da quanto lunga è la mia tesi...ma forse è il caso di spiegarlo a me per primo...
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Inviato da: silvia79dgl1
il 17/05/2013 alle 17:03
Inviato da: silvia79dgl1
il 02/05/2013 alle 21:21
Inviato da: silvia79dgl1
il 28/04/2013 alle 18:27
Inviato da: IlfolledelloZen
il 15/06/2012 alle 21:56
Inviato da: IlfolledelloZen
il 15/06/2012 alle 21:45