Creato da viscontina17 il 30/06/2012

Bisbigli d'onde

dolci richiami d'essenze

Messaggi di Novembre 2015

MONOPLACOPHORA

Post n°315 pubblicato il 24 Novembre 2015 da viscontina17

È la classe più di recente riconosciuta, e con una storia anche alquanto controversa. I paleontologi conoscevano da tempo delle conchiglie patelliformi al cui interno sono osservabili più impronte muscolari disposte in serie. Tale disposizione dei muscoli fece pensare ad un gasteropode intermedio fra poliplacofori e gasteropodi, di cui si parla più avanti, e la prima idea che venne in mente fu di collocare questi molluschi nella superfamiglia Patelloidea. I biologi, nei casi in cui si rinvengano resti di animali ora estinti, non possono fare altro che un atto di fede nei confronti della paleontologia. La posizione sistematica rimase quindi tale fino al 1952. In quell’anno, durante la spedizione oceanografica “Galathea”, da un campionamento al largo del Costa Rica, furono prelevate a diverse migliaia di metri di profondità alcune di queste conchiglie patelliformi, contenenti anche l’animale. Alla nuova specie trovata fu dato il nome di Neopilina galatheae.

I monoplacofori viventi sono molluschi grandi da 3 mm fino a 3 cm, schiacciati in direzione dorso-ventrale, ed hanno una conchiglia fragile a forma di scudo (come una patella) con l’apice rivolto anteriormente. Il piede ha conservato una struttura molto primitiva, tipo suola strisciante ed è nettamente separato dal capo dell’animale. Quest’ultimo è la prima effettiva conquista di questi animali, in contrapposizione alle classi precedenti (caudofoveati, solenogastri, poliplacofori: per maggiori dettagli v. l’articolo “I molluschi: i gruppi minori”) dove il capo non è ancora distinto dal resto del corpo. Il mantello è molto ampio e copre tutta la superficie dorsale del corpo; lo stesso tessuto delimita la cavità palleale che, come nei poliplacofori, circonda tutto il piede.

Nella cavità palleale si trovano 5-6 branchie per ciascun lato. In un primo tempo questo dato era stato interpretato come un residuo di metameria (il ripetersi lungo lo stesso asse di uno stesso organo). Per tale ragione si ipotizzò che i monoplacofori potessero costituire la classe più primitiva dei molluschi, diretta filiazione dello stesso ramo evolutivo da cui si sono originati gli anellidi policheti, animali tipicamente metamerici. Si è invece capito che la metameria delle branchie nei monoplacofori è un’acquisizione secondaria, evolutasi per permettere un più efficiente assorbimento dell’ossigeno, in quanto essa permette una più ampia superficie di scambio gassoso.

(web)

 
 
 

FORONIDEI

Post n°314 pubblicato il 18 Novembre 2015 da viscontina17

Gli organismi appartenenti a questa categoria fanno interamente parte della classe Phoronidea, appunto faronidei e sono tutti esclusivamente marini. Hanno tutti un corpo vermiforme e allungato, vivono in tubi con estremità posteriore ingrossata e una caratteristica corona tentacolare sull’estremità anteriore, sono facilmente confondibili con i policheti che vivono in tubi simili. Il movimento è limitato all’allungamento e allo spiegamento dei tentacoli, oltre che alla veloce ritrazione nel tubo. Si possono ritrovare fissi a costruzioni portuali e a rocce calcaree o infossati nella sabbia anche mista a fango. Possono essere solitari o riuniti in piccoli gruppi che costituiscono formazioni a rete o a tappeto. Presumibilmente hanno una vita media di un anno e la loro crescita è continua. Sono esclusivamente ermafroditi e durante la riproduzione uova e spermatozoi sono affidati all’acqua. Si nutrono prevalentemente di microrganismi come diatomee e protozoi che catturano grazie alle ciglia dei tentacoli e portati verso l’apertura boccale.(WEB)

 
 
 

BIVALVI

Post n°313 pubblicato il 09 Novembre 2015 da viscontina17

Il diverso stile di vita che questi primitivi monoplacofori intrapresero, produsse un profondo rimaneggiamento della morfologia. Non dovendo più andare a caccia di altre prede o cercarsi il cibo necessario alla loro sopravvivenza, la parte cefalica del corpo andò incontro ad involuzione, vale a dire persero la testa. Nelle specie recenti di bivalvi, la parte cefalica del corpo è riconoscibile solo per la presenza della bocca. La conchiglia diventò una vera e propria scatola nella quale l’animale si chiude completamente all’esterno. Il piede assume una forma ad accetta al fine di assicurare una più efficiente penetrazione nello spessore del sedimento. Alla cavità palleale è permesso di svilupparsi e va ad occupare tutto il volume della conchiglia. A questo punto, le branchie, non più costrette nell’angusta cavità palleale che caratterizza i gasteropodi, si allargano a dismisura e cominciano a svolgere una doppia funzione. Oltre a quella respiratoria, gli ctenidi dei bivalvi svolgono anche la funzione alimentare. Si cominciano a sviluppare sulla loro superficie cellule ciliate e mucose che hanno la funzione di trasportare il cibo (solitamente particelle organiche) direttamente all’apertura orale. Dal mantello si sviluppano dapprima due tubi, poi due sifoni attraverso i quali viene fatta entrare l’acqua nell’ampia cavità palleale (apertura o sifone inalante), poi è fatta passare attraverso le branchie e i materiali di rifiuto vengono espulsi attraverso l’apertura o il sifone esalanti.(web)

 
 
 

PESCA ECCESSIVA DI PESCI PREDATORI

Post n°312 pubblicato il 01 Novembre 2015 da viscontina17

La pesca eccessiva o l'uccisione dei grandi pesci predatori, tra cui gli squali, può avere un impatto sull'intera catena alimentare marina che si traduce in maggior carbonio rilasciato dal fondo degli oceani. A dirlo è una ricerca pubblicata su Nature Climate Change, che sottolinea così il ruolo dei predatori marini nel contrasto dei cambiamenti climatici. "Stiamo imparando che la perdita di questi animali potrebbe avere conseguenze di vasta portata sul ciclo del carbonio e, di conseguenza, sulla nostra capacità di contrastare i cambiamenti climatici", ha detto Trisha Atwood, ricercatrice alla Utah State University. Lo studio spiega come al calo del numero di questi predatori corrisponda un aumento delle loro prede (come ad esempio tartarughe, razze e granchi), animali che si cibano di alghe e altra vegetazione marina o costiera, considerata un vero e proprio 'magazzino' di stoccaggio per il carbonio. Alcuni ecosistemi marini e costieri, tra cui le mangrovie e le paludi salmastre, catturano infatti una quantità elevata di carbonio. "E' sempre più evidente che il declassamento trofico, cioè la perdita sproporzionata di specie nella catena alimentare, può avere effetti negativi sulla capacità di questi ecosistemi di sequestrare e immagazzinare il carbonio", ha detto ancora Atwood. Lo studio sottolinea come gli ecosistemi costieri 'immagazzinano' circa 25 miliardi di tonnellate di carbonio, pari al 50% del carbonio stoccato a livello globale nell'oceano. Secondo Atwood, grandi riduzioni della quantità di carbonio che l'oceano trattiene avrà effetti drammatici sui cambiamenti climatici. "Se il carbonio negli habitat costieri venisse rilasciato come anidride carbonica - avverte Atwoood - sarebbe pari a 91 miliardi di tonnellate di anidride carbonica". "Il risultato sarebbe catastrofico, aumentando e peggiorando gli impatti del cambiamento climatico". (ANSA) (web)

 
 
 

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