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Messaggi del 15/10/2015

***il_resto ***

Post n°498 pubblicato il 15 Ottobre 2015 da fragolozza
 

Prendo cose per una spesa totale di sedici e ventisei. Porgo alla ragazza in cassa una banconota da cinquanta e le chiedo se ha bisogno degli uno e ventisei spicci, giusto per agevolarla con le operazioni di resto e farmi dare i trentacinque tondi. Accetta volentieri e mi sorride. Scopro di non avere monete contate, quindi gliene porgo uno e trenta e lei prontamente le getta nel cassetto, senza nemmeno contarle. Ma si tratta di quattro centesimi, quindi fa niente. Poi mi dà il resto. La prima cosa che noto, sono due banconote da due. Avrebbe dovuto darmene una da cinque, o aggiungere alle due una moneta da uno, quindi resto un po' perplessa. L'istinto, ma in realtà è abitudine, mi invita a far finta di niente, infilare i soldi nel portafogli e andare. Del resto, manca solo una moneta.... Ma stavolta non vince l'abitudine. Stavolta me ne resto ferma lì, con le banconote in mano ad indicarle che qualcosa non mi torna. 

"Ah! Mi scusi!" dice lei e chiama una collega per farsi riaprire il registratore di cassa. 

Lo riapre e, con mio non poco stupore, mi porge una banconota da dieci, perché in realtà la mancanza nel resto era ben più alta di quanto avessi notato.

A quel punto, sempre consapevole che avrei dovuto ricevere trentacinque di resto, conto i soldi che mi ha dato. È un totale di trentaquattro e manca sempre quella moneta da uno. L'istinto, ma in realtà è sempre quella maledetta abitudine, mi suggerisce di nuovo di far finta di niente e di andarmene. Ma stavolta non è come le altre. Stavolta mi arriva come una mancanza ben più grave. Una mancanza di gratitudine per il semplice fatto di aver perso tempo a mettere insieme delle monete per agevolare lei, che in fondo è un'estranea e che peraltro si è pure presa quattro centesimi in più; una mancanza di attenzione nei confronti della mia attenzione; una mancanza che si riduce a una moneta che non mi ripagherà mai, nè per quello che ho perso, nè per quello che non ho mai avuto, ma che non per questo sono disposta a trascurare. Non oggi. 

Perciò le faccio nuovamente notare che i conti non mi tornano, lei si ravvede, mi chiede ancora scusa, mi dà la moneta e finalmente me ne vado.

Al contrario di quanto si possa supporre, dall'episodio non è scaturita alcuna forma di soddisfazione, nè di orgoglio, anzi...

Perché quando ti rendi conto della facilità con cui chiunque sarebbe in grado di sottrarti una banconota da dieci, mentre tu sei in imbarazzo persino nel far notare la mancanza di una moneta (e non perché i soldi ti siano mai usciti dalle orecchie, ma forse proprio per il contrario), allora devi anche renderti necessariamente conto che hai un problema. E non solo con la matematica. 

L'ammissione della disistima che si prova verso se stessi, talvolta, passa attraverso il riconoscimento del numero di crediti accumulati e insoluti, sparsi in giro come titoli di merito che non maturano, bensì marciscono. 

E non importa se è per incapacità di chiedere o per convinzione di non meritare. Alla fine dei conti, inevitabilmente, perdi. 

Perdi tutte quelle cose che hai prestato e non hai il coraggio di reclamare; perdi il denaro per cui hai lavorato e che ti hanno convinta di non meritare; ma soprattutto perdi tutto il bene, tutto l'amore e tutti quei cacchio di sentimenti che hai profuso in quantità industriale, solo perché gli altri non si accorgessero di quanto poco ti sentissi (fossi) all'altezza.

E capisci- finalmente ci arrivi- quanto sia decisamente meglio essere in debito.

I debitori, fintanto che non saldano, non sono mai soli e godono di auguri di lunga vita. I creditori/benefattori, invece, pensano di ricompensare con un presunto vantaggio morale la propria solitudine e le altrui mancanze, salvo capire poi che "sei proprio una brava persona!" non è una ricompensa, ma un'eufemistica definizione della loro stupidità. 

 
 
 

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di quello che resta
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dei nostri sospesi.

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Sai contare al contrario, partendo
da cifre irrisorie?
Sotto l’arco
s’inarca in trionfo
la triade imperfetta.
Me stessa, quell’altra o la stessa
si chiudono a riccio.
Per capriccio
mi cavo d’impiccio.
Mi sento di troppo.

 

 

 

 
 

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