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Messaggi di Ottobre 2015

*°*Naipì*°*

Post n°499 pubblicato il 19 Ottobre 2015 da fragolozza
 

Secondo la leggenda, c’era una volta un dio serpente, di nome M’boy, innamorato della bellissima figlia del capo della tribù a lui devota. Ma la ragazza, che si chiamava Naipì, non se lo filava di pezza e, nonostante M’boy gli avesse promesso ori, incensi, birra (rigorosamente Skol) e tanto altro, un giorno decise di prendere il largo col suo amante, Tarobà, per nulla dio, ma forse molto più serpente, e insieme, a bordo di una canoa, si avventurarono nelle acque del fiume Iguaçu, con l’intenzione di raggiungere la confluenza con il Paraná, tirare dritto fino a Buenos Aires e trascorrere allegramente la vita ballando il tango e mangiando empanadas. Ma M’boy li colse sul fatto, spaccò la terra, deviò il fiume e creò le famose cascate di Iguaçu, trasformando la ragazza in roccia ed il suo amante in palma. Si racconta che ancora adesso i due amanti si guardino da lontano, senza mai riuscire ad abbracciarsi.


LETTERA A NAIPÌ , la ragazza che rifiutò il dio serpente,  scappò con il canottiere, provocò la creazione delle cascate e fu trasformata in roccia.
Cara Naipì, come stai? Sicuramente un po’ acciaccata, considerate le bordate d’acqua che ti accolli da millenni. Lo so, col senno di poi, ti sei resa conto che, forse forse, non è stata tanto geniale l’idea di rifiutare un dio per scappartene con un comune mortale, che sarà stato pure un fusto, prima di ragazzo, poi di palma, ma che, contrariamente a quanto solo gli stolti pensano, ormai da tempo è stato trascinato via dalla corrente ed è marcito chissà dove. Perché le rocce sono immortali, ma le palme no.
Te ne stai lì, immobile da un’eternità, coperta di muschi, bagnata dal fiume e molestata dai turisti, che nemmeno si accorgono di te, perché nessuno si è mai premurato di indicare loro quale di quelle migliaia di rocce sei tu. Anzi,  la maggior parte  nemmeno conosce il tuo nome o la tua storia. E ti senti sola, sempre e comunque, anche quando ripensi all’incipit della canzone che ti ha insegnato quell’italiano che è venuto a girare il video dalle tue parti. “Io lo so che non sono solo anche quando sono solo.”
Tu sei sola, cara Naipì, ma hai di che essere fiera. Se fossi stata solo un po’ meno ribelle e diversamente egoista, adesso il mondo avrebbe una meraviglia in meno. Quindi, tirate le somme e considerato il servizio che hai prestato per l’umanità, alla fine ti è andata anche bene. Ma solo perché sei nata milioni di anni fa. Al giorno d’oggi, scelte come la tua non generano alcuna cascata… Semmai qualche caduta. E ti assicuro che non c’è nulla di meraviglioso in questo.

  

 
 
 

***il_resto ***

Post n°498 pubblicato il 15 Ottobre 2015 da fragolozza
 

Prendo cose per una spesa totale di sedici e ventisei. Porgo alla ragazza in cassa una banconota da cinquanta e le chiedo se ha bisogno degli uno e ventisei spicci, giusto per agevolarla con le operazioni di resto e farmi dare i trentacinque tondi. Accetta volentieri e mi sorride. Scopro di non avere monete contate, quindi gliene porgo uno e trenta e lei prontamente le getta nel cassetto, senza nemmeno contarle. Ma si tratta di quattro centesimi, quindi fa niente. Poi mi dà il resto. La prima cosa che noto, sono due banconote da due. Avrebbe dovuto darmene una da cinque, o aggiungere alle due una moneta da uno, quindi resto un po' perplessa. L'istinto, ma in realtà è abitudine, mi invita a far finta di niente, infilare i soldi nel portafogli e andare. Del resto, manca solo una moneta.... Ma stavolta non vince l'abitudine. Stavolta me ne resto ferma lì, con le banconote in mano ad indicarle che qualcosa non mi torna. 

"Ah! Mi scusi!" dice lei e chiama una collega per farsi riaprire il registratore di cassa. 

Lo riapre e, con mio non poco stupore, mi porge una banconota da dieci, perché in realtà la mancanza nel resto era ben più alta di quanto avessi notato.

A quel punto, sempre consapevole che avrei dovuto ricevere trentacinque di resto, conto i soldi che mi ha dato. È un totale di trentaquattro e manca sempre quella moneta da uno. L'istinto, ma in realtà è sempre quella maledetta abitudine, mi suggerisce di nuovo di far finta di niente e di andarmene. Ma stavolta non è come le altre. Stavolta mi arriva come una mancanza ben più grave. Una mancanza di gratitudine per il semplice fatto di aver perso tempo a mettere insieme delle monete per agevolare lei, che in fondo è un'estranea e che peraltro si è pure presa quattro centesimi in più; una mancanza di attenzione nei confronti della mia attenzione; una mancanza che si riduce a una moneta che non mi ripagherà mai, nè per quello che ho perso, nè per quello che non ho mai avuto, ma che non per questo sono disposta a trascurare. Non oggi. 

Perciò le faccio nuovamente notare che i conti non mi tornano, lei si ravvede, mi chiede ancora scusa, mi dà la moneta e finalmente me ne vado.

Al contrario di quanto si possa supporre, dall'episodio non è scaturita alcuna forma di soddisfazione, nè di orgoglio, anzi...

Perché quando ti rendi conto della facilità con cui chiunque sarebbe in grado di sottrarti una banconota da dieci, mentre tu sei in imbarazzo persino nel far notare la mancanza di una moneta (e non perché i soldi ti siano mai usciti dalle orecchie, ma forse proprio per il contrario), allora devi anche renderti necessariamente conto che hai un problema. E non solo con la matematica. 

L'ammissione della disistima che si prova verso se stessi, talvolta, passa attraverso il riconoscimento del numero di crediti accumulati e insoluti, sparsi in giro come titoli di merito che non maturano, bensì marciscono. 

E non importa se è per incapacità di chiedere o per convinzione di non meritare. Alla fine dei conti, inevitabilmente, perdi. 

Perdi tutte quelle cose che hai prestato e non hai il coraggio di reclamare; perdi il denaro per cui hai lavorato e che ti hanno convinta di non meritare; ma soprattutto perdi tutto il bene, tutto l'amore e tutti quei cacchio di sentimenti che hai profuso in quantità industriale, solo perché gli altri non si accorgessero di quanto poco ti sentissi (fossi) all'altezza.

E capisci- finalmente ci arrivi- quanto sia decisamente meglio essere in debito.

I debitori, fintanto che non saldano, non sono mai soli e godono di auguri di lunga vita. I creditori/benefattori, invece, pensano di ricompensare con un presunto vantaggio morale la propria solitudine e le altrui mancanze, salvo capire poi che "sei proprio una brava persona!" non è una ricompensa, ma un'eufemistica definizione della loro stupidità. 

 
 
 

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Le cloache di notte somigliano
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Scommetti che a perdere il cuore
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Sul banco dei pegni
ho impegnato
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Palpebre nude non chiudo
per cogliere il resto
di quello che resta
sul conto in sospeso
dei nostri sospesi.

Le formiche al tramonto ricordano
grani di pepe.
Sai contare al contrario, partendo
da cifre irrisorie?
Sotto l’arco
s’inarca in trionfo
la triade imperfetta.
Me stessa, quell’altra o la stessa
si chiudono a riccio.
Per capriccio
mi cavo d’impiccio.
Mi sento di troppo.

 

 

 

 
 

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