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Post n°5 pubblicato il 25 Ottobre 2015 da atisha.sun
È una sensazione che comincia una notte in cui il ricordo del caldo è ancora vicino.
Ti svegli, ma non di soprassalto, come dopo un brutto sogno. Ti ritrovi, semplicemente, a guardare il riquadro nero della finestra, come se l’infisso fosse la cornice al dipinto del Nulla.
Ti alzi e, in bagno, ti accorgi di una ruga che la mattina non avevi notato. Ti convinci che sia una piega del viso, dovuta ad una cattiva posizione sul cuscino. - Sparirà, domani! – pensi, ma nel profondo sai che è una in più e resterà, come una nuova tacca, a segnare la chiusura di un altro decennio di vita.
Sai che non riprenderai sonno.
Te ne vai in cucina a versarti un’altra goccia di caffè freddo, ancora nella moka dalla sera.
Esci sul terrazzo a fumarti la sigaretta d’obbligo, mentre ti godi il primo fresco notturno di settembre. La leggera pelle d’oca sulla spalle nude è la carezza che ti aspettavi; il brivido che ti sale leggero dalla schiena è, invece, inaspettato e ti lascia un nuovo senso di vulnerabilità cui non sei abituato.
Ascolti il mormorio degli alberi, con ancora la segreta e infantile speranza di carpirne l’arcano linguaggio. Lasci che l’aspetto rude e solido dei tronchi ti pervada della loro stessa energia, del loro senso di imperturbata longevità, mentre cerchi ancora di scacciare quella nota malinconica che ti ha svegliato.
Il vento continua ad istigare la sommessa protesta delle fronde a cui strappa, di tanto in tanto, qualche foglia che già per metà ha indossato i colori bruni. Tu immagini di poter affidare ad ogni foglia che vola via lontano un tuo pensiero negativo, così da poter lasciare nella mente solo il verde puro della speranza.
Ti cattura, invece, il vecchio platano maculato proprio di fronte a te, fratello nell’aspetto e nel destino, attorniato da tanti fratelli simili ma ancorato alla sua immobile solitudine con robuste radici. Da esso, una folata porta via per prima la foglia della Fiducia Negli Altri, un’altra quella Speranza, un’altra ancora quella dell’Autostima… Quando una di esse si appoggia leggera sulla tua mano, come ad invitarti a riprendere con lei la sua danza finale col vento, allora comprendi che è davvero cominciato l’AUTUNNO.
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Post n°4 pubblicato il 19 Luglio 2015 da atisha.sun
Una Community come Digiland è una Comunità!!!
- Che scoperta… - potrebbe dire qualcuno – Questo qui ci mette un anno dall’ultima pubblicazione nel suo blog per scrivere questa genialata?-
Eppure la “quaestio”non è banale come potrebbe sembrare, anzi non è banale proprio un par de ciufoli. Provate soltanto a pensare allo sforzo di sceneggiatori e registi che Libero ha dovuto produrre, per inventarsi tutto ciò che, all’occhio dell’utente medio, sembra una “normale” comunità virtuale.
Partiamo dalla struttura stessa della comunità: le mitiche STANZE! Divise per regione, per argomento, per mezzi tecnici impiegati, per accessori, per foglio catastale. A ben guardare, l’unica che ha il tasso di densità di popolazione pari al centro di Tokyo è il Punto di Partenza, che quasi sempre diventa il Punto di Parcheggio definitivo: hai voglia a girare per Vicolo Corto o Parco della Vittoria, se vuoi stare in compagnia devi ripassare dal VIA e ritirare i 20 euro.
Creata la struttura, un buon manager sa che deve affidare il Condominio ad amministratori capaci. Ecco che nasce la figura del CHATLEADER (fuochi d’artificio ed effetti laser di sottofondo).
In tanti si impegnano da anni per rivelare il rituale massonico che porta ad individuare i criteri in base ai quali si sceglie tale fondamentale figura, scrivendo e pubblicando di tutto sull’argomento, ricorrendo persino ai Codici del Mar Morto e alle Centurie di Nostradamus. Eppure il Sacro Graal è sempre stato sotto i nostri occhi, l’uovo marcio di Colombo: utilizzano i quiz per l’arruolamento dei carabinieri!!! Ovviamente, in rispetto alla Benemerita, sono stati ampiamente semplificati, ma facciamo un esempio concreto di procedura standard.
Degli ardimentosi, che hanno gli stessi impegni quotidiani di un ex dipendente della Fincantieri in pre-pensionamento da 35 anni, con l’intensità di vita privata di un eschimese divorziato a cui abbiano tagliato anche la radio portatile, presentano richiesta per fare i chatleaders della stanza FILOSOFIA E STORIA DELLE CIVILTA’ PREINCAICHE. Gli anonimi e misteriosi membri della Sacra Triade di Digiland analizzano con attenzione le candidature, scartando immediatamente i malcapitati che hanno avuto l’ardire di indicare nel curriculum anche soltanto il titolo di studio di aspirante assistente shampista. Dopo questa prima scrematura, l’aspirante leader viene contattato nelle segrete di Digilandia da un Caronte-tutor, il quale si assume la responsabilità nei confronti della Triade di testare che l’aspirante corrisponda esattamente alle aspettative:
- Quoziente intellettivo con segno negativo, possibilmente da -16 a calare; - Capacità di utilizzo della lingua italiana non superiore a quella di un magrebino appena immigrato e con difetti di pronuncia su almeno 4 consonanti; - Capacità di analisi del comportamento degli utenti assolutamente inferiore ad un giudice di Corte Costituzionale affetto da Alzheimer da testo di patologia generale.
E’ chiaro che, oltre ai requisiti generali, saranno poi testati quelli specifici inerenti alla stanza che sarà affidata al nuovo chatleader. Poniamo, ad esempio, il caso che gli si voglia affidare una stanza a tematica canora: il chatleader, per mantenere la più assoluta imparzialità nei confronti degli utenti visitatori, dovrà assolutamente avere la conoscenza tecnico-musicale di un gibbone del Madagascar e la capacità canora di un pezzo di gesso rigido su una lavagna. In coerenza con tutto quanto sopra, all’aspirante che aveva scelto di essere il chatleader della stanza MUSICA sarà sicuramente affidata la gestione della stanza FISICA QUANTISTICA E DINTORNI.
Dopo un periodo di prova di circa 6 mesi, durante i quali l’aspirante sarà incatenato alla stanza da gestire, con ceppi che sarebbero stati oggetto dei più turpi sogni di Torquemada, costretto ad un isolamento che non meriterebbe neanche un pedofilo pluri-omicida, temprato come un novello Rambo, all’aspirante verrà finalmente consegnata la CHIAVE DELLA STANZA (via coi laser alla Pink Flloyd), che resterà sua finchè resisterà all’assedio quotidiano di trolls al soldo dello stesso tutor che lo aveva amorevolmente accudito.
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Post n°3 pubblicato il 11 Dicembre 2014 da atisha.sun
Quanto illusoria può essere la nostra capacità di sentire? Ed invece, d'improvviso come era apparsa... lei non c'è più per me. Passeggio stancamente per sentieri mentali percorsi insieme che a malincuore cancello, infittendo i cespugli dell'oblio come giardiniere negligente. |
Post n°2 pubblicato il 23 Novembre 2014 da atisha.sun
L’inconscio senso del dovere mi sta guidando automaticamente verso il mio unico appuntamento di lavoro. Ascolto il mio cliente come dietro un vetro, annoto e archivio mentalmente le sue richieste con un sorriso d’ordinanza ben stampato in viso, la mente serena ma rivolta altrove.
Riprendo la strada verso l’appuntamento, il cellulare sempre ostinatamente spento, l’occhio volutamente distolto dall’orologio: non abbiamo fissato un orario preciso, per cui ogni ora è buona dopo mezzogiorno.
Evito l’autostrada, percorro strade diritte e pianeggianti, paesini e chiesette che mutano leggermente le loro strutture man mano che muta l’orizzonte ed il sole sale a rimpicciolire le ombre. Mezzogiorno è perso alle mie spalle, mentre la meta comincia a riempire il mio sguardo. È ora di chiamarla, conosco solo il suo nome, non saprei dove cercarla.
Anche la sua placida risposta esisteva già da qualche parte nella mia mente, non è affatto una sorpresa: senza chiedermi nessun perché, mi indica uno storico ed elegante caffé del centro. Non mi chiede come sono, chi deve riconoscere, non glielo chiedo io: senza capire il perché, entrambi già sappiamo cosa vedremo e ci riconosceremo.
Lascio l’auto in un luogo dove so che potrà sostare tranquilla ben più che per lo spazio di un caffè, ma senza che tale idea sia passata attraverso la ragione.
Mi avvio per strade percorse forse una o due volte, ma stranamente familiari.
Non mi occorre chiedere dov’è il locale, non può essere altro che quello…
L’atmosfera pacata e calda di un calmo pezzo da piano bar mi saluta all’ingresso. Pochi discreti clienti che chiacchierano sommessamente, una generale idea di raffinatezza d’altri tempi e…lei.
Di spalle, immersa in una lettura, sente il mio sguardo, ne sono certo. Il suo taglio di capelli, dove l’ho visto? L’ho visto con gli occhi della mente o con quelli del corpo?
Non si gira, non si esalta, attende che le sia di fronte.
Si alza, sorride del sorriso mai visto eppur così familiare, mi tende una mano perfetta e liscia come quella di una adolescente, mi inebria del profumo mai sentito eppure così visceralmente, intimamente mio.
La guardo negli occhi e, finalmente, comprendo.
La realtà si scompone istantaneamente in miriadi di frammenti, riflettenti ognuno un attimo della mia vita, un mio sogno, un mio anelito. Poi si ricompone a formare il suo volto, che è anche il mio, il suo sorriso che è anche il mio, il suo respiro che è anche il mio. La consapevolezza latente di tutto il giorno ora riempie totalmente la mia anima: non sto salutando una donna qualsiasi, o una donna da amare o la donna della mia vita.
Davanti a me, in ogni sua piega mentale, c’è il mio alter ego femminile: oggi ho incontrato te, l’altra parte di me stesso.
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Post n°1 pubblicato il 15 Novembre 2014 da atisha.sun
Da moltissimo tempo progettavo di voler pubblicare qualche mio scritto, in particolare quello che segue.
Le motivazioni sono tante, ma due in particolare: - Innanzitutto mi sembrava il caso, oramai, di rivendicarne la paternità, perché dopo averlo bonariamente affidato alla lettura di alcuni amici, una parte di questi aveva “ben” pensato di adottarlo come figlio del proprio estro creativo e lo hanno spacciato per loro creazione; se ritengo, di norma, spregevole appropriarsi di cose materiali appartenenti ad altri (dicasi comunemente rubare), il rivendicare come proprie le idee altrui per me è segno del massimo abbrutimento mentale, dovendo ricorrere al furto per sopperire alle proprie carenze creative; - Mi sembrava anche il caso, finalmente, per quei pochi che hanno avuto la sfortuna di incappare nella lettura di tale brano e si sono fatti tutta una serie di strane idee, chiarire che non è un brano autobiografico, non ha muse ispiratrici reali, non ha dediche verso alcuno/a, ma è solo il frutto di una serata di febbricitante influenza, in cui il meglio da fare era lasciarsi andare ad accozzagliare quattro chiacchiere.
E’ un brano abbastanza lungo, per cui lo pubblicherò in più parti e chissà che, nelle pause tra una pubblicazione e l’altra, se ci fosse qualche commento interessante, non possa arrivare l’ispirazione per delle variazioni e delle integrazioni in corso d’opera.
Per il momento un abbraccio a quanti avranno la pazienza di cominciare a leggerlo da
Atisha
Un effimero punto di luce cattura, nella penombra, gli ultimi brandelli di un sonno ansioso di tornare ad essere consapevolezza: una lama perlacea di alba invernale ha, per un istante, illuminato un granello di pulviscolo, per svanire poi istantaneamente, come un pensiero mai espresso.
Recupero frammenti sparsi di realtà e li riverso sul mio viso, insieme all’acqua.
È il giorno dell’ appuntamento.
Cerco di far cadere nella doccia un fastidioso, insistente tarlo di ansia, un vago senso di anticipazione.
< Devo incontrarla dopo mezzogiorno, c’è tutto il tempo che voglio!!> cerco di ripetermi, facendo solo ingigantire il quadro dell’aspettativa. L’impulso irrefrenabile è di telefonarle, chiederle di anticipare l’orario dell’incontro, inventarmi magari una scusa plausibile a giustificazione, un impegno imprevisto che mi costringe a modificare l’ordine degli appuntamenti, ma…. Una goccia d’acqua senza origine cade sulla mia mano: il suono prodotto è innaturale, impossibile, fortissimo, fa vibrare tutte le corde del mio corpo come un diapason percosso con forza.
Spengo il cellulare.
Ogni emozione è improvvisamente azzerata, tranne una nuova indefinita consapevolezza.
La doccia continua a scorrere, ma come in lontananza, da un’altra dimensione.
Il grigio dell’alba nel frattempo si è mutato in un’ esplosione di colori dai nitidi contorni, quale solo un gelo raramente così cristallino in una fredda giornata invernale, può donare al paesaggio.
È un incontro semplice, casuale, del tutto improvvisato e senza altra aspettativa che un buon caffé insieme, per lasciare fuori dalla porta, per qualche minuto, la girandola della quotidianità.
È una persona che conosco poco, troppo poco ancora, qualche scambio di battute al telefono, un sorriso delle cui fattezze sono assolutamente ignaro.
Quante altre volte mi è già capitato, per lavoro o per diletto, lasciando sempre che il mio eterno sorriso interiore lavorasse per la mia fiducia nel mondo, affrontando dunque l’imprevedibile con la serena gravità di un seminarista che contempla un giardino.
Eppure una leggera alterazione, come quando si osserva a lungo un oggetto e qualcosa sembra turbare il suo essere sempre uguale a sé stesso, torna ad impegnare la mente: cos’era quella strana, vaga consapevolezza che mi ha indotto a spegnere il cellulare?
Mi accorgo di essere arrivato nel parco.
Un leggero vento rovista tra le residue foglie, le spinge, abbracciate, a danzare verso il cielo fino a perdersi alla vista, destinate ad un invisibile olimpo di eterno amore: quale pesante trama di comprensione impedisce agli uomini di volare così?
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