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Cineforum 2017/2018 | 21 novembre 2017

Post n°346 pubblicato il 19 Novembre 2017 da cineforumborgo
 
Foto di cineforumborgo

FRANTZ

Regia: François Ozon
Sceneggiatura: Philippe Piazzo (collaborazione), François Ozon
Fotografia: Pascal Marti
Musiche: Philippe Rombi
Montaggio: Laure Gardette
Scenografia: Michel Barthélémy
Arredamento: Catherine Jarrier-Prieur, Maresa Burmester
Costumi: Pascaline Chavanne
Effetti: Mikael Tanguy, Umedia
Interpreti: Pierre Niney (Adrien), Paula Beer (Anna), Ernst Stötzner (Hoffmeister), Marie Gruber (Magda), Yohann von Bülow (Kreutz), Anton von Lucke (Frantz), Cyrielle Clair (Madre di Adrien), Alice de Lencquesaing (Fanny)
Produzione: Eric Altmayer, Nicolas Altmayer, Stefan Arndt, Uwe Schott per Mandarin Production/X. Filme et Foz
Distribuzione: Academy Two
Durata: 113'
Origine: Francia, 2016
Data uscita: 22 settembre 2016

Dopo la fin della guerra 14-18, in una piccola città tedesca, Anna si reca ogni giorno presso la tomba del suo fidanzato Frantz, morto al fronte in Francia. Un giorno, arriva in città il giovane francese Adrien, anche lui desideroso di rendere omaggio alla tomba dell'amico tedesco. La presenza di Adrien, vista la sconfitta dei tedeschi, provocherà una serie di reazioni molto forti e sentimenti estremi tra i cittadini.
Germania, 1919. La Prima Guerra Mondiale è finita da poco e, oltre alle macerie, il paese deve fare i conti con un’elaborazione di massa del lutto. In ogni famiglia c’è un figlio o un marito che non ha fatto ritorno dal fronte. Frantz, unico figlio di un medico, è morto in guerra lasciando in agonia i genitori e Anna, la sua promessa sposa, che è stata praticamente adottata da quelli che dovevano diventare i futuri suoceri. Ma se per gli anziani il dolore è ormai l’unico quotidiano immaginabile, per la giovane la vita dovrebbe continuare. Lei, però, di fronte alla corte di un pretendente, afferma dura di non voler dimenticare Frantz; che per lei il futuro è il tempo del ricordo. Ma quando, recandosi come tutti i giorni sulla tomba del fidanzato, incontra un misterioso giovane francese, il suo orizzonte sembra cambiare. L’uomo, inizialmente respinto solo per il fatto di essere francese, un nemico a priori, pian piano si incunea nelle resistenze della famiglia, si presenta come amico di Frantz, compagno di spensierate passeggiate in una Parigi solo immaginata.
In “Frantz”, François Ozon prende ispirazione da un film del 1932 di Ernst Lubitsch, “L’uomo che ho ucciso” (“Broken Lullaby”), per rimettere in scena, con occhio nuovo, molte ossessioni tipiche del suo cinema. La scelta di raccontare la storia dalla parte degli sconfitti, e quindi di girare il film in una lingua non sua, spinge sin dall’inizio verso una forma di straniamento che informa e definisce i personaggi. Il tormentato giovane francese viene rifiutato e poi accettato in un avvicinamento che è linguistico prima ancora che sentimentale. Gli sforzi comunicativi sfumano le tensioni e il racconto di un passato condiviso con il defunto Frantz, vero o falso che sia, sa riavvicinare gli opposti. Specularmente, quando è Anna a volere lasciare la Germania per provare a ritrovare a Parigi l’amico che ha smesso di scriverle, sarà lei a trovarsi trapiantata in un contesto nuovo, lost in translation, ma capace grazie alla sua conoscenza della lingua, di farsi strada nel mondo.
Un altro tema, più direttamente legato alla natura melodrammatica del racconto, riguarda la colpa e il perdono. Adrien vive nel rimorso, cerca il perdono perché non riesce a sopportare il peso della colpa, entra nel cuore di Anna con la sua fragilità, spinge la ragazza a scegliere - proprio e ancora grazie alla sua padronanza delle lingue - le regole d’ingaggio del loro rapporto, a poter decidere cosa dire e cosa lasciare non detto. Ma quando i due giovani sembrano finalmente potersi trovare, come spesso accade in Ozon, l’ambiguità indefinibile dei sentimenti si manifesta: la sincronia emotiva non è un corollario dell’amore né, tanto meno, della volontà.
Ozon costruisce un film stratificato, che spazia dal calore sentimentale del mélo - per quanto raffreddato nei toni e nei modi - alla riflessione sulla necessità di costruire dei ponti sui baratri - emotivi, linguistici, storici - che altrimenti potrebbero inghiottirci. Il risultato è un’opera elegante, non priva di qualche eccesso di calligrafismo, che sfuma il gusto estetizzante dell’autore con alcune trovate di messa in scena, che letteralmente scolora e riaccende lo schermo seguendo le onde emotive dei protagonisti e degli occhi umidi della bellissima Paula Beer. Un film ondivago ma dal profondo (e niente affatto scontato) animo umanista.
Federico Pedroni, Cineforum

Al ritmo di un film all’anno, François Ozon riesce comunque a presentarsi, puntuale, all’appuntamento con critica e pubblico senza ripetersi, con opere ogni volta diverse e spiazzanti. (……). Il regista francese è sbarcato a Venezia, in Concorso, con “Frantz”, suo primo film di guerra, in bianco e nero e parlato in tedesco. Ozon cambia pelle, lo fa in modo radicale: recupera un lavoro teatrale di Maurice Rostand già portato al cinema nel 1932 da Ernst Lubitsch con “L’uomo che ho ucciso”; gli dà una patina da mélo contemporaneo; sperimenta sequenze al fronte e, in definitiva, realizza una delle sue opere più emozionanti. Ozon gioca con temi, tipicamente melodrammatici, come la colpa e il perdono per poi ‘virare verso la desincronizzazione dei sentimenti’. Cosa significa? Che ogni movimento di Anna, la bellissima 21enne Paula Beer, tradisce le sue reali intenzioni: lascia il cimitero per tornare a casa e rientrare nella dimensione del ricordo del fidanzato scomparso, ma in realtà sta camminando verso Adrien, prende il treno per ritrovare quest’ultimo ma sa benissimo che lo sta per perdere. Una desincronizzazione non solo dei gesti, ma soprattutto del montaggio che rompe continuamente le leggi di continuità (la ragazza cammina da sinistra e destra e nell’immagine successiva rientra dalla destra del quadro) e della macchina da presa espressiva che riprende le leggi del cuore (……), entrambi sintomi di un’interiorità debordante, di sentimenti più forti del cinema stesso. Prima del finale hitchcockiano (anche qui movimento in asincrono rispetto a “Vertigo”) che ribalta le aspettative aprendosi ad un nuovo genere, il thriller sentimentale, Ozon racconta e dirige, con coerenza estrema, un melodramma anti-nazionalista, in opposizione ai trattati di Versailles, pacifista, in opposizione a tutte le guerre, e profondamente europeo, in opposizione a Hollywood e alla magniloquenza deflagrante con cui racconta ogni conflitto.
Michele Galardini, Mediacritica

FRANÇOIS OZON
Filmografia:
Sitcom (1998), Amanti criminali (1999), Gocce d'acqua su pietre roventi (1999), Sotto la sabbia (2000), 8 Donne e un mistero (2002), Swimming pool (2003), CinquePerDue - Frammenti di vita amorosa (2004), Il tempo che resta (2005), Angel - La vita, il romanzo (2006), Un lever de rideau (2006), Il rifugio (2009), Ricky - Una storia d'amore e libertà (2009), Potiche - La bella statuina (2010), Nella casa (2012), Giovane e bella (2013), Una nuova amica (2014), Frantz (2016), L’amant double (2017)

Martedì 28 novembre 2017:
IL CLIENTE di Ashgar Farhadi, con Shahab Hosseini, Taraneh Alidoosti, Babak Karimi, Farid Sajjadihosseini, Mina Sadati
 

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 29/09/2007
 

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