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Orange is the new black, le ali spezzate della libertà da huffingtonpost.it

Post n°11705 pubblicato il 08 Settembre 2014 da Ladridicinema
 

OITNB

Fateci caso: nelle Rete si aggirano le foto, i disegni, le immagini, i fotogrammi, le clip e le caricature di donne meravigliose e distrutte da vite difficili. Indossano tutte una divisa carceraria. Arancione per lo più o grigia. Sono nere, bianche ispaniche. Giovani e vecchie. Grasse, magre, tossiche. Bellissime. Orientativamente tutte lesbiche. Senza manette, ma con quello sguardo impossibile da replicare se si possiede la libertà. E loro, per almeno un'altra stagione, la libertà l'hanno lasciata davanti al giudice che le ha condannate e trasferite nel carcere di Litchfield.

Sono le protagoniste di Orange is the new black, il cazzotto nello stomaco pubblicato dal servizio di streaming Netflix, ideata da Jenji Kohan e prodotta da Lionsgate Television. OITNB sta debordando dalla pura visione prendendo possesso di tutto ciò che incontra. Tre statuette al Critics' Choice Television Awards. Red Carpet. Fan club. Pagine e pagine sui social di spettatori imprigionati al grido di Orange Is The New Fetishism almeno quanto le prigioniere dietro le sbarre seriali (in Italia è online a pagamento sul portale Infinity e dal 25 settembre, prima e seconda stagione su Mya).

Difficile riassumere una trama che nella sua semplicità è quanto di più intrecciato si sia visto da lungo tempo.

Piper Chapman, biondina, secca, buona e cerulea deve scontare 15 mesi per aver trasportato denaro della sua amante Alex, una magnifica trafficante di droga alta 1.80 con degli occhiali da gatto difficili da dimenticare. Fine della trama. Tutto il resto, ossia 26 puntate da un'ora, sono solo il susseguirsi di un giorno dopo l'altro delle compagne di cella. Storie private di ogni singola donna, dentro e fuori dal carcere, in un alternarsi continuo tra il prima e il dopo dove si rimarca in ogni inquadratura la linea ben definita segnata dalla perdita di libertà.

Dal momento in cui si spogliano, si fanno perquisire, accovacciate e nude, e abbracciano il cuscino che viene loro consegnato, quella prima vita finisce in un lampo. E comincia la seconda, infinita, lentissima, scandita esclusivamente dalla luce del possibile rilascio.

E non importa che il carcere di The Orange is the new black sia di minima sicurezza, non importa che le guardie siano modestamente comprensive (seppure con le dovute eccezioni) non importa che che non si soffochi dentro lo scenario tipico che tutti possiedono dell'isola di Alcatraz (seppure non manchino pennellate di segregazione che rasentano l'orrore puro), non importa che le detenute siano pazze, psicotiche, assassine, stalker, depravate, violente e drogate (seppure ognuna di queste caratterialità accompagni ogni episodio), non importa che non ci sia spazio per la risata, per il ballo per il gioco (seppure si balli, si giochi e si rida anche parecchio). Non importa.

Perché in questa serie si racconta l'altra vita, quella che spegne lo sguardo, che ti fa lottare per uno spazzolino, che rende più importante una gallina in cortile di un business avanzato. L'universo carcerario per essere orribile non deve avere una scenografia orribile. La prigione devasta quelle protagoniste perché le costringe, loro malgrado, a reinventarsi al di là delle sbarre.

Ognuna nasconde tra i rimmel di contrabbando un bagaglio umano costruito pezzo per pezzo nel corso degli anni che tenta disperatamente di mantenere intatto, pulito e e ordinato. Ma mantenere lontane le pieghe è l'impresa che le accompagna ora dopo ora e l'essere sgualcite più dentro che fuori diventa il segno del tempo che passa più del formarsi delle rughe una accanto all'altra

In tutta la serie ci sono almeno tre costanti che tornano e ritornano. La prima è lasigla di testa, un montaggio sulle note di You've got time di Regina Spektor di volti in primissimo piano che appartengono a carcerate reali tra cui la vera Piper dal cui racconto nasce tutto questo ben di Dio. Un modo per dire, all'inizio di ogni puntata che sì, è una fiction ma là da qualche parte ci sono anche loro, quelle vere, donne che che stanno scontando la loro pena sul serio e ora, proprio ora, ti guardano negli occhi.

La seconda è il sesso. Inteso come voglia di farlo, disperata, assoluta, famelica. Sia per le lesbiche di fatto, che sono la maggioranza, e si cercano, si trovano, si amano. Sia per quelle occasionali, che si ritrovano a dover soddisfare l'urgenza del desiderio lì e subito, nelle docce o o sotto la croce della cappella carceraria, che non possono pensare di aver lasciato un uomo nel mondo 'di fuori', che preferiscono le mani di una donna a nessuna mano. Donne gay che si amano e si cercano, donne etero che diventano gay, donne gay che tornano etero e poi si innamorano di donne gay: inOITNB il corpo si mostra, tantissimo, e si esplora, si sviscera, si espone.

E la terza nota ricorrente, avvolgente traccia di carta moschicida che ti incolla alle immagini, è la perdita del controllo. Dal momento in cui entrano in carcere, con la libertà lasciano nel furgone che le ha trasportate anche ogni possibilità di decidere di loro stesse. Essere in balia (delle guardie, degli attacchi di ira, delle lotte tra bande, del turno per fare una telefonata, della droga di contrabbando, di un lucchetto, del capriccio occasionale, della visita mancata, del cibo avariato) è la condizione della vita d'ora in poi. Tutti possono decidere per te. Tranne te. Perché le manette ti stringono: la mente prima e i polsi poi.

 
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