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Totò peppino e la dolce vita da antoniodecurtis

Post n°13560 pubblicato il 16 Gennaio 2017 da Ladridicinema
 

"Totò, Peppino e la dolce vita" 1961 di Sergio Corbucci. Soggetto Lucio Fulci, Sceneggiatura Sergio Corbucci, Giovanni Grimaldi, Mario Guerra. Produttore Mario Mariani e Gianni Buffardi per M.B. Cinematografica RI.RE., Direttore della fotografia Alvaro Mancori, Musiche Armando Trovajoli, Montaggio Renato Cinquini, Sceneggiatore Piero Filippone, Direttore di produzione Danilo Marciani, Aiuto regista Nino Zanchin, Fonico Kurt Doubrawski.

Interpreti: Totò (Antonio Barbacane/il nonno), Peppino De Filippo (Peppino suo cugino), Mara Berni (la moglie di Gugo), Francesco Mule (Gugo), Antonio Pierfederici (il drogato), Mario Castellani (il presidente), Tanya Beril (Alice), Gloria Paul (Patrizia), Rosalba Neri (Magda), Peppino De Martino (il ministro), Daniele Vargas (il marchese), Gio' Staiano (un gay), Dina Perbellini (Luisa Giovanna), Giancarlo Zarfati (Renatino), Irene Aloisi (Renata Francesca), Franco Rossellini (Franco), Jacqueline Pierreux (Jacqueline), Mimmo Poli (un ladro), Sergio Corbucci (un signore che vuole telefonare).

Trama: Peppino, segretario comunale di un paesino del sud, giunge a Roma per ottenere la deviazione dell'autostrada e rintraccia il cugino Antonio che precedutolo in questa missione si è invece dato alle bellezze di via Veneto. I due si danno alla "dolce vita". Giunge il severo nonnetto che prima di occuparsi personalmente dell'autostrada decide anch'egli di fare una capatina a Via Veneto.

 

Critica: Al solito l'invenzione è tanto povera e la comicità così grossolana, che ci pare superfluo trattenerci sull'accozzaglia di casi che vi tengono luogo di vicenda. Eppure la risata il filmetto la strappa piuttosto spesso; e non tanto per la rozza caricatura di alcuni personaggi del film felliniano e molto meno per la solita macchietta degli equivoci, quanto per il duetto quasi sempre spassoso dei due protagonisti, Totò e Peppino. Il regista si è affidato a loro a occhi chiusi. Leo Pestelli, La Stampa, Torino 20 aprile 1961.

È uno dei film nei quali l'intento parodistico non si esaurisce più o meno nel titolo, ma investe praticamente l'intera struttura scenica del racconto, ripercorrendo, in chiave comica e satirica, i nodi e i paesaggi fondamentali del film originale, che in questo caso è "La dolce vita", capolavoro assoluto che fotografava nella forma più alta e poetica tutti i fermenti di quel passaggio storico nella società italiana e di questo forniva perfino una diagnosi profetica.

Nelle mani di Corbucci, di Steno e Lucio Fulci, la parodia diventa pretesto per mettere insieme per contrasto l'ormai collaudatissima coppia del clown Augusto Totò e del clown bianco Peppino (ovviamente nominati nel titolo), rispettivamente scialacquatore ed avaro, in uno schema narrativo fragilissimo, che richiama fortemente i precedenti "Totò, Peppino e la malafemmina", "'Totò, Peppino e le fanatiche" e "Signori si nasce", con le classiche "incursioni" nei tabarin, dove tutto viene messo a soqquadro, in un numero di schietto sapore circense, con rovesciamenti di tavoli, risse, dialoghi assurdi con i camerieri, urla e rincorse, proprio come nelle comiche finali.

Le sequenze fondamentali del film, strettamente collegate a "La dolce vita" e rielaborate in chiave comica, sono la donna eccentrica (Rosalba Neri) che vuoi fare l'amore in una baracca. E ancora la caricatura surreale del bagno nella fontana di Trevi, la visita al night club, la seduta spiritica in casa degli aristocratici e l'orgia finale, unitamente alle atmosfere, quali quella di via Veneto, i paparazzi, le risse tra attori e fotografi, la passerella di belle donne e aristocratici.

La più riuscita, da un punto di vista dell'ironia e della comicità, è quella della donna eccentrica nella casa allagata di Totò (che rende anche penoso il personaggio), sviluppata attraverso un'esagerazione satirica dei dettagli, fino a farla diventare una sorta di ingrandimento spiritoso della sequenza originale.

Il film aggiunge un elemento per così dire "politico", che stride con il tessuto narrativo, diventando una zeppa: lo sciopero dei posteggiatori abusivi, guidati da Totò, che vogliono ottenere la licenza.

In questo ruolo del provinciale Antonio Barbacane, de Curtis richiama fortemente la tipologia dell' Antonio Bonocore de "La banda degli onesti" (praticamente è vestito nello stesso modo), con la sua conoscenza e accettazione dell'umanità, ma anche con la sua scaltrezza bonaria, messa a frutto per sopravvivere.

La recitazione appare pertanto calibrata sul registro di un fondamentale realismo, talora compromesso da una gestualità ipertrofica (torna persino il Totò prima maniera, il cosiddetto "uomo di gomma", che balla al night come una marionetta snodata) e da un modulo recitativo tendente alla tipizzazione. Gustosa è l'aria "La donna è mobile...", cantata con ironia da Totò.

 
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