Il Leone d’Oro a La Forma Dell’Acqua era stato un indizio molto potente, confermato poi dagli Oscar. Il Leone d’Oro a Joker è un passo ancora più in là.

Il sistema cinema americano non ha ancora mai premiato i film tratti da fumetti con riconoscimenti artistici (al massimo tecnici), l’unica eccezione è l’Oscar postumo a Heath Ledger (curiosamente sempre grazie a un Joker) che tuttavia trovava anche altre ragioni nel decesso dell’attore. Invece la Mostra del Cinema di Venezia, di certo una legittimazione intellettuale maggiore dell’Oscar, per prima ne riconosce il valore. Il film di Todd Phillips (l’abbiamo scritto) somiglia molto poco ai cinecomic, non ne ha il linguaggio per immagini, e lavora invece sull’eredità della new Hollywood, su Taxi Driver e un’idea di cinema che peschi da quel bacino. Eppure rimane un cinecomic, probabilmente anche uno destinato ad essere legato alla nuova mitologia di Batman.
E in fondo lo sapevamo che se mai fosse arrivata questa legittimazione, sarebbe arrivata dal mondo del cavaliere oscuro, il più legato agli autori e alle evoluzioni del genere al cinema, tra Burton, Nolan e ora Phillips.

Questo Leone d’Oro a Joker è una sentenza che come spesso avviene arriva in maniera rocambolesca, da una giuria probabilmente non unanime né compatta, anzi molto divisa e litigiosa che tuttavia alla fine è riuscita ad accordarsi proprio su questo film. Probabilmente non è stato un plebiscito ad eleggerlo e in molti tra i giurati avrebbero preferito altro, lo stesso non c’è stato film in questa Mostra che li abbia messi d’accordo di più. Sarà divertente tra qualche decade andare a riguardare chi era in testa alla giuria e dentro la giuria che premiò Joker e leggere nomi come Virzì, Tsukamoto, Stacy Martin e Lucrecia Martel.

Adesso ci aspetta un’ondata di polemiche non da poco, ma è un bene. I cinecomic saltano al centro del dibattito intellettuale da che questo se n’era occupato a fatica e con ritrosia. Sono diversi anni che raccontiamo come la Mostra di Alberto Barbera abbia iniziato a far scivolare il concetto di “film da festival” verso un cinema più commerciale e di genere. GravityBirdmanArrivalIl caso Spotlight e La La Land ne sono stati dimostrazione ma anche film meno apprezzati come Acusada e Suspiria l’anno scorso o The Perfect Candidate quest’anno hanno dimostrato che questo metro così facile da applicare al cinema hollywoodiano viene applicato anche ad altre cinematografie.

Insomma senza dimenticare i grandi nomi del cinema d’autore, da sempre presenti al festival, la gestione Barbera gli sta affiancando anche altro. E questo “altro” sta cominciando a vincere sempre di più, sta cominciando a incontrare i favori delle giurie.

Se Venezia tiene in grande considerazione Hollywood vedendo nei suoi movimenti qualcosa di importante a livello mondiale (e nei suoi film ovviamente qualcosa di importantissimo per sé, per la partecipazione del pubblico, l’attrazione anche di altri registi e di stampa), Hollywood però non è detto che tenga così tanto in considerazione Venezia. Per quanto dal Lido partano le campagne Oscar più vincenti degli ultimi anni, questo non significa che senza una legittimazione dell’Academy i cambiamenti indicati qui in Italia possano influenzare la produzione lì a Los Angeles. In parole povere Joker non è già un successo, avrà lo stesso bisogno del botteghino e dell’Oscar, Venezia può solo essere un aiuto, un buon calcio d’inizio. È bene capire il cambiamento in corso ma non esagerarne la portata.

È evidente da qualche anno che il cinema di supereroi sta iniziando a cercare anche un altro pubblico, sta sperimentando con contenuti più adulti e i divieti ai minori diventano un titolo di merito invece che uno spauracchio. Il pubblico è assetato finalmente di contenuti maturi e non necessariamente solo di quelli più quieti. Deadpool ne è stata la prova definitiva ma la DC lo sperimenta con più o meno fortuna, con più o meno successo, da molto tempo, fin da Christopher Nolan. Batman ha il carattere, la personalità e l’universo narrativo che si adattano meglio ad un simile sguardo ma di certo non è l’unico che subirà questo trattamento. È un segno ancora più forte del fatto che i nuovi autori americani (o stranieri che vanno a lavorare in America) sono ricercati e desiderati dalle major. E se Disney (cioè Marvel, Lucasfilm…) ha un atteggiamento ambivalente, li cerca ma poi li irregimenta, vuole la loro creatività ma fatica quando esprimono una personalità troppo grande, la Warner pare lasciare maggiore libertà e, chissà, potrebbe essere il punto da cui iniziano i cambiamenti.

Non si sentano violati nelle loro passioni i fan storici dei cinecomic nel momento in cui i film che prima in molti attaccavano (ma non così tanti visti gli incassi che fanno) ora vengono accolti nei salotti buoni, semmai si sentano finalmente al centro del dibattito senza bisogno di mascherarsi da altro, si sentano accettati da un mondo che ha capito quel che loro sentivano già da tempo. Perché nonostante il linguaggio da New Hollywood, nonostante i riferimenti sofisticati e la presenza ingombrante ma magnifica di Joaquin Phoenix, Joker è una grande origin story da fumetto. Forse non una che avrebbe trovato spazio nei numeri regolari di una serie e più una da miniserie o, parola abusatissima, da graphic novel particolare. Nondimeno da oggi è il campione intellettuale dei cinecomic.