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Il commissario Pepe da https://www.debaser.it/ettore-scola/il-commissario-pepe/recensione

Post n°13761 pubblicato il 19 Aprile 2017 da Ladridicinema
 

La sirena di una volante dei Carabinieri echeggia nelle strade di una città, mentre una bambina attraversa la strada, saltellando con un pallone: brusca frenata, ma lei transita come se niente fosse. Le forze dell'ordine iniziano già a fermarsi e lo faranno per tutto il film.

Comincia così una fervida, malinconica, pungente e amara rappresentazione delle miserie, dei vizi e delle virtù annacquate di una città italiana del 1969, più precisamente una cittadina veneta che un attento osservatore riconosce, nelle sue piazze e nelle sue vie, dapprima come Vicenza e poi come Bassano del Grappa; in realtà la cittadina del film è un insieme delle due. Gli ambienti, gli umori e le vicissitudini delle due città si mescolano e si rincorrono, sovrapponendosi ai pensieri del protagonista del film, il commissario Pepe, divenendo tessuto delle sue divagazioni oniriche, dei suoi soliloqui, delle sue ansie, del lucido e chiaroveggente scavo interiore che esegue su di sé e sulla gente che lo circonda.

Questi due centri veneti, fusi per esigenze cinematografiche in una cittadina immaginaria, rappresentano l'emblema di un'area qualunque, che uno smaliziato racconto verista e senza falsi moralismi dipinge come depositaria di segreti peccati sessuali, veniali ma anche ripugnanti, che si frappongono ai tranquilli ritmi lavorativi ed esistenziali degli abitanti, dalle canoniche otto ore alla messa alla domenica. Come le Sturmtruppen di Bonvi erano il simbolo di tutti gli eserciti del mondo e delle loro peripezie, questa cittadina è il catalizzatore delle ansie, delle urgenti risposte a domande mai poste, delle prospettive di un qualunque villaggio del mondo.

Il Commissario Pepe, un eccellente Ugo Tognazzi, è un malinconico, intelligente e disingannato funzionario di Polizia, che si trova ad affrontare un'inchiesta sul malcostume locale, un compito ingrato che vorrebbe assolutamente evitare ("...questo è un piccolo centro, abbiamo sempre fatto la politica dell'occhio chiuso..."- rivela ai suoi collaboratori), ma che poi, spinto dal suo superiore affronta con fermezza, trovandosi così immerso in un mondo fatto di prostituzione in condominio, nella pensione gestita da coniugi traviati, di pulsione omosessuale a cura di un "illustre clinico", di figlia del prefetto che mantiene l'amante a suon di marchette, di suora che circuisce le sue allieve del corso di danza; la ricerca del piacere viene descritta dal commissario fin dalle prime battute con l'analisi della sua voce narrante, "una città che si fa il segno della croce" e nasconde nella religione di facciata le sue piccole perversità. Attorno al commissario si muovono altre piccole figure, che si fondono con le vie della città, negli interni chiaroscuri delle abitazioni, dei luoghi pubblici, rappresentati col gusto del bozzetto. Sono il vicecommissario Cerveteri, ignaro della prostituzione della sorella trentenne, l'amante dello stesso commissario Pepe, Matilde Caroni, che parte spesso per Milano a "fare quel poco di male", il carabiniere ossequioso che vive di espedienti per tirare avanti la famiglia, quali l'arresto dell'ubriacone Garibaldi a scopo di curare l'orto nel cortile del commissariato.

Ma l'attore non-protagonista per eccellenza è l'invalido Nicola Parigi (ottimamente interpretato da Gaetano Maffioli, noto gastronomo) che il 20 luglio del 1943 ha perso l'uso delle gambe in guerra e da allora percorre le stradine della città con una motocarrozzina e urla la sua disperazione ai cittadini, li mette in guardia da un nuovo conflitto, disprezza perfino le lotterie che sente dalle televisioni serali ("...cani rognosi alla ricerca dell'osso d'oro alla ricerca dell'osso d'oro...") e spedisce lettere anonime alla Polizia (sono un bravo cittadino e cerco di aiutare la povera Polizia, dirà al commissario) denunciando tutta la corruzione imperante.

In questa discesa agli inferi il commissario porta con sé molta indignazione, ma anche una pizzico di compassione per i suoi indagati, ma anche pragmatismo che lo accompagna nelle sue indagini; lo stesso suo rapporto d'amore con Matilde si rivela ambiguo, agli occhi dello spettatore, visto che si incontrano in libreria fingendosi di non conoscersi: anch'egli fa parte di quel mondo fatto di sottili trame nascoste che si fondono con la nebbia invernale ai piedi dei Colli Berici. La sapiente regia di Ettore Scola assomiglia ad un romanzo di Svevo, laddove una Trieste fervidamente rappresentata era depositaria dello scavo interiore dei personaggi, a volte abulici, a volte disperati. In questo film Scola utilizza i primi piani, le inquadrature a campo lungo, i sogni ad occhi aperti del commissario, le vedute da cartolina delle due cittadine per prendere tempo, per immergere lentamente lo spettatore nel pantano della città o meglio nel quotidiano vivere bifronte, pulito all'esterno e sporco all'interno. A rafforzare le immagini, poi, provvede uno splendido commento musicale di Armando Trovajoli, molto anni '60, che sottolinea sia le scene d'azione concitate, sia le immagini iniziali che ritraggono il commissario nel suo quotidiano andare al lavoro.

Il percorso del commissario lo porterà faccia a faccia con il questore che, pur apprezzando il suo lavoro, lo rimprovera di eccesso di zelo, ne deplora la mancata obliterazione, nella lista degli indagati, degli intoccabili: sotto lo sguardo attonito del commissario il questore snocciola la ragion di stato : "...la sorella di un vicecommissario, (il suo vice), il figlio di un conte che dà lavoro a 2000 operai, un illustre chirurgo, un professore di liceo (stimato umanista), la figlia del prefetto...certo sono colpevoli.. ma ci conviene creare un simile terremoto...?". Il rituale si è compiuto, occorre togliere i pesci grossi dalla rete ed arrostire invece i pesci piccoli. Il commissario non ci sta e nel dubbio brucia il fascicolo, chiede il trasferimento e chiude il film in un totale pessimismo, che potrebbe non finire mai. Percorrendo il viale della stazione dei treni, dopo aver voltato le spalle all'amante corrotta, tornata da Milano, il commissario ci guarda esclamando bonariamente : "Perché? Voi siete dei leoni?".

 
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