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Fabrizio De André, l’ultimo concerto: in esclusiva per FQ Magazine la clip del docufilm che arriverà al cinema

Post n°12366 pubblicato il 10 Maggio 2015 da Ladridicinema
 

da il fatto quotidiano

S'intitola “Faber in Sardegna e L’ultimo concerto di Fabrizio De André” il documentario diretto dal regista cagliaritano Gianfranco Cabiddu: tra passato e presente, con rare immagini d’archivio che ritraggono il cantautore all’Agnata, con fotografie e spezzoni di filmati familiari uniti alle testimonianze inedite

Fabrizio De André, uno dei più grandi cantautori italiani di tutti i tempi, a giudizio insindacabile di critica e pubblico, quello stesso pubblico che, anche a distanza di 16 anni dalla sua morte, continua ad amare la sua musica e la persona dietro di essa. “Faber“, come era stato soprannominato dall’amico d’infanzia Paolo Villaggio, per via della sua predilezione per pastelli e matite Faber-Castell, che in quarant’anni di carriera ha pubblicato tredici album in studio, diversi singoli e tantissime antologie, molte delle quali edite postume.

La musica, i pensieri, gli aneddoti e le storie di emarginati, ribelli, prostitute, considerate vere e proprie poesie, tanto da essere inserite nei testi scolastici di letteratura, sono i protagonisti indiscussi di “Faber in Sardegna e L’ultimo concerto di Fabrizio De André”, il concerto documentario che arriverà nelle sale cinematografiche solo il 27 e 28 maggio, distribuito da Microcinema. Un film tributo dalla doppia anima che, in due ore immagini, raccoglie sia la storia del rapporto tra De André e un luogo speciale come l’Agnata e la Sardegna, sia l’ultimo memorabile concerto del cantautore genovese, ripreso dal vivo al Teatro Brancaccio di Roma nel 1998 e disponibile ora in una versione mai vista prima, restaurato e rimasterizzato in ultra HD con audio 5.1.

Diretto dal regista cagliaritano Gianfranco Cabiddu, “Faber in Sardegna” si alterna tra passato e presente, con rare immagini d’archivio che ritraggono il cantautore all’Agnata, con fotografie e spezzoni di filmati familiari uniti alle testimonianze inedite di varie personalità della cultura e della musica, così come di molti amici sardi del cantautore, che raccontano un De André privato e intimo, mettendo in luce la vita di un uomo che, smessi i panni dell’artista conosciuto da tutti, indossa quelli dell’allevatore e del contadino. Per quanto riguarda il presente, invece, Cabiddu ha scelto di concentrarsi sulla sua musica, suonata oggi dai tanti musicisti che ogni anno all’Agnata danno vita a dei concerti unplugged, tra cui, insieme a Cristiano De André, ancheMorgan, già autore di una versione di “Canzone dell’amore perduto” suonata al pianoforte, così come Paolo Fresu, Danilo Rea, Gianmaria Testa, Lella Costa, Maria Pia De Vito e Rita Marcotulli. “Mi sembra proprio di raccontare una bellissima favola: c’era una volta, e per fortuna c’è ancora, una follia tanto tanto amata che si chiama Agnata” ha commentato Dori Ghezzi alla prima del film.

 

Nella seconda parte della proiezione si arriva, dopo aver ripercorso la vita di Faber, a “L’Ultimo concerto di Fabrizio De André”, l’ultima performance dal vivo interamente ripresa dalle telecamere al Teatro Brancaccio di Roma, nel febbraio 1998, a poco meno di un anno dalla sua scomparsa. Un concerto indimenticabile, che rievoca brani celebri come Crêusa de mä, Dolcenera, Khorakhané, A Cumba, Anime Salve, Il testamento di Tito, Tre Madri, Via del Campo e Il Pescatore, introdotti da un De André emozionato di fronte al pubblico entusiasta nell’ascoltare i suoi pensieri tradotti in parole e musica. Sul palco si alternano insieme al cantautorealcuni ospiti, tra cui i suoi figli, Cristiano, alla sua destra, al violino, e Luvi, tra le voci femminili, che interpreta la poesia in lingua Rom al termine di Khorakhané. Un concerto indimenticabile, rimasto nel cuore di appassionati e fan che sbarca al cinema dando la possibilità per chi era presente e vuole rivivere quelle emozioni e per le nuove generazioni che vogliono conoscere “il più grande poeta che l’Italia ha avuto negli ultimi 50 anni”, come amava definirlo Fernanda Pivano.

 
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