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Post n°13445 pubblicato il 13 Ottobre 2016 da Ladridicinema
| Andrea è un adolescente innamorato della poesia e della madre, giovane e gioiosa che vede spegnersi lentamente a causa del cancro. Ma prima di sua madre è il padre a congedarsi, stroncato da un ictus e dal male senza guarigione della sua compagna. Rimasto solo con le sue parole e l'ingestibile lutto materno, Andrea smette di 'funzionare' e interrompe ogni azione, ogni volontà di vita. Un incidente domestico 'deflagra' però la sua esistenza, costringendolo a lasciare il letto e a scivolare di nuovo sul suo skateboard e dentro la vita. Ottenuto un posto in un patronato scolastico con il suo talento e l'intervento del suo professore d'italiano, Andrea si trasferisce a Milano, dove medita il suicidio, perseguendolo con metodo, disciplina, psicofarmaci, cocaina e sesso bulimico. Ma diversamente dal suo ispiratore, il poeta austriaco Georg Trakl, Andrea non ha ancora finito con la vita. Trasposizione del dolente e sovvertente romanzo di Aldo Nove, La vita oscena conferma l'interesse di Renato De Maria per i personaggi che vanno incontro al nulla avendo come unica colpa l'innocenza. Ma questa volta il protagonista, nonostante il divorante bisogno di sperimentazione e di ordalie iniziatiche, sopravvivrà, trascendendo l'aneddoto e muovendosi verso l'universale. Dopo aver messo in schermo la vita perfetta e al contempo inadeguata di Andrea Pazienza (Paz!), De Maria traduce in immagini trattenute e allentate la biografia di Antonio Centanin, in arte Aldo Nove. Scampato alla morte, ambita e lambita in seguito alla dipartita dei genitori, lo scrittore ha consegnato diversi anni dopo al linguaggio letterario la propria traiettoria esistenziale, ripatteggiando, ricucendo e riconciliandosi col presente. E il magma lavico dell'esperienza patita da Nove è quello che manca alla sua versione cinematografica, che si trattiene al di qua dell'osceno e dello scarto destabilizzante della parola scritta, capace di narrare ma soprattutto di aprire lo spazio di fronte a sé. Quella dimensione nel film di De Maria resta inesplorata e il feroce spasimo fuori scena, forse per non urtare lo spettatore, forse per scoraggiarne il voyeurismo, forse per non rischiare la pornografia del dolore. Gli 'effetti speciali', funzionali a interpretare i fantasmi di Andrea e a riprodurre il mondo allucinato dalla droga, impediscono al film di 'soffrire', di incarnare l'abuso di piacere e afflizione. Nondimeno La vita oscena diventa stimolo per una liberazione, un'occasione di fuga dal mondo uniformato e uniformante del cinema italiano, trovando un linguaggio instabile, uno sguardo eccitato e un protagonista ardente e credibile nel convertire la maledizione in elezione. Clément Métayer, giovanissimo fenomeno del cinema francese, dischiuso dal maggio di Olivier Assayas (Qualcosa nell'aria), incarna straordinariamente il pensiero autobiografico di Nove e le sue derive intimistiche, trasformando in corpo la dimensione informe del dolore. Se Andrea Pazienza trasfigurava vita e rifiuto col disegno, l'Andrea di De Maria lascia che la memoria di chi ha amato attraversi l'imbuto stretto del linguaggio, producendo pagine di poesia e una corsa febbrile, che è il grande motivo del film. Una corsa che dietro l'apparenza della resa urla (dentro) la volontà del protagonista di restare nel flusso della vita e nella sua circolarità (im)perfetta. Ipercinetico e avviato verso il consumo incontinente di oggetti perfetti e già morti il giorno dopo il loro trionfo, il film è ambientato nella Milano da bere e negli anni della Marlboro's way of life, La vita oscena è un 'romanzo' di formazione rincorso dal dolore di un lutto e alla ricerca di un confine con cui marcare la propria esperienza e il proprio mondo. Con cui testimoniare la vita, che è poi la vita (oscena) di tutti. |
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