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Messaggi del 18/05/2016

 

Film nelle sale da domani

Post n°13194 pubblicato il 18 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Locandina: Queen: A night in Bohemia
Queen: A night in Bohemia
Queen A night in Bohemia
  • DATA USCITA: 16/05/2016
  • GENERE: Musicale, Documentario
  • NAZIONALITA': Gran Bretagna
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Simon Lupton, Rhys Thomas
  • CAST:

Locandina: La Pazza Gioia
La Pazza Gioia
La pazza gioia
  • DATA USCITA: 17/05/2016
  • GENERE: Commedia, Drammatico
  • NAZIONALITA': Italia, Francia
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Paolo Virzì
  • CAST: Valeria Bruni Tedeschi, Micaela Ramazzotti, Valentina Carnelutti

Locandina: Si Vis Pacem Para Bellum
Si Vis Pacem Para Bellum
Si Vis Pacem Para Bellum
  • DATA USCITA: 18/05/2016
  • GENERE: Thriller
  • NAZIONALITA': Italia
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Stefano Calvagna
  • CAST: Stefano Calvagna, Francesca Fiume, Massimo Bonetti

Locandina: X-Men: Apocalisse
X-Men: Apocalisse
X-Men: Apocalypse
  • DATA USCITA: 18/05/2016
  • GENERE: Azione, Avventura, Fantasy
  • NAZIONALITA': USA
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Bryan Singer
  • CAST: Jennifer Lawrence, James McAvoy, Michael Fassbender

Locandina: Mortadello e Polpetta contro Jimmy lo Sguercio
Mortadello e Polpetta contro Jimmy lo Sguercio
Mortadelo y Filemón contra Jimmy el Cachondo
  • DATA USCITA: 19/05/2016
  • GENERE: Animazione
  • NAZIONALITA': Spagna
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Javier Fesser
  • CAST:

Locandina: My Father Jack
My Father Jack
My Father Jack
  • DATA USCITA: 19/05/2016
  • GENERE: Commedia
  • NAZIONALITA': Italia
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Tonino Zangardi
  • CAST: Francesco Pannofino, Matteo Branciamore, Eleonora Giorgi

Locandina: Oggi insieme domani anche
Oggi insieme domani anche
Oggi insieme domani anche
  • DATA USCITA: 19/05/2016
  • GENERE: Documentario
  • NAZIONALITA': Italia
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Antonietta De Lillo
  • CAST:

Locandina: Whiskey Tango Foxtrot
Whiskey Tango Foxtrot
Whiskey Tango Foxtrot

  • DATA USCITA: 19/05/2016
  • GENERE: Commedia, Drammatico, Guerra
  • NAZIONALITA': USA
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Glenn Ficarra, John Requa
  • CAST: Tina Fey, Margot Robbie, Martin Freeman

 
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Folli e vitali, Valeria a Micaela sono La Pazza Gioia di Paolo Virzì da cameralook

Post n°13193 pubblicato il 18 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

BY  / 

Dopo l’ottima accoglienza avuta al Festival di Cannes (10 minuti di applausi!), selezionato nella Quinzaine, è da oggi al cinema La Pazza Gioia, il nuovo film diretto da Paolo Virzì che lo ha anche scritto insieme a Francesca Archibugi. Folli e straordinarie protagoniste sono Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti.


Beatrice Morandini Valdirana (Valeria Bruni Tedeschi) è una chiacchierona istrionica, sedicente contessa e a suo dire in intimità coi potenti della Terra. Donatella Morelli (Micaela Ramazzotti) una giovane donna tatuata, fragile e silenziosa, che custodisce un doloroso segreto. Sono tutte e due ospiti di una comunità terapeutica per donne con disturbi mentali, dove sono sottoposte a misure di sicurezza. Il film racconta la loro imprevedibile amicizia, che porterà ad una fuga strampalata e toccante, alla ricerca di un po’ di felicità in quel manicomio a cielo aperto che è il mondo dei sani.

Vi presentiamo ora l’intervista rilasciata da Paolo Virzì.

Dopo aver fatto un thriller noir, dai toni freddi e beffardi, come Il Capitale Umano, sembra di poter dire, vedendo le prime immagini di questo tuo nuovo film che sei tornato ad una commedia dai toni più caldi. O invece, visto che affronti temi come la malattia mentale, si tratta di un film ancora più drammatico?

Avevamo tra le mani una dozzina di pagine di soggetto con protagoniste due pazienti psichiatriche dai caratteri opposti che si ritrovano, un po’ per caso, a scappar via dalla struttura clinica che le ospita. Una fuga dalle regole, dalle misure di sicurezza, dalle costrizioni della cura che diventa un girovagare sconclusionato ed euforico nel mondo fuori.

Valeria Bruni Tedeschi

Valeria Bruni Tedeschi

Quindi, possiamo definirlo una commedia avventurosa?

Volevamo che fosse una commedia, divertente ed umana, una storia che ad un certo punto non avesse paura persino di tingersi di fiaba, o addirittura di trip psichedelico, ma che non fosse campata in aria. Volevamo raccontare anche l’ingiustizia, la sopraffazione, il martirio di persone fragili, di donne stigmatizzate, disprezzate, condannate, recluse. E però senza farlo diventare un pamphlet, un documentario di denuncia – ce ne sono già in giro di eccellenti. Cercavamo, semmai, tracce di felicità, o perlomeno di allegria, di eccitazione vitale, anche nel momento della costrizione, dell’internamento. Si può sorridere o addirittura ridere raccontando il dolore, o è qualcosa di impudico, di scandaloso? Speriamo di sì, che si possa, perché è la cosa che preferisco, nel fare un film, in fondo è l’unica cosa che m’interessa. Per esempio in questo film, ad un certo punto, che vorrei svelare il meno possibile, mettiamo in scena un episodio tra i più feroci che mi sia capitato di filmare. Eppure mi rendo conto di aver cercato di raccontarlo con un tono persino felice. Mi è sembrato che fosse l’unico modo autentico che avevo a disposizione per avvicinarmi ad un mistero altrimenti impenetrabile.

Ci vuoi raccontare il lavoro sulla sceneggiatura, che stavolta hai scritto con Francesca Archibugi?

Francesca dice per scherzo che è stata la mia Lucy dei Peanuts, col suo banchetto che offre Psychiatric Help a 5 cents. Prima di buttarci a scrivere il copione lei ed io abbiamo cominciato col rompere le scatole a psichiatri e psicoterapeuti veri, dei quali avevamo adocchiato libri ed articoli, in libreria, sulle riviste, nei blog. Abbiamo chiesto loro di prenderci per mano e di accompagnarci nel mondo della strutture cliniche, delle loro storie di terapie. Abbiamo incontrato, nei luoghi della cura, i più diversi tipi di pazienti: i catatonici, gli eccitati, i melanconici, gli impiccioni, i sospettosi, i logorroici. Mi viene da aggiungere: come nella vita di tutti i giorni. Tra loro c’erano anche persone che le istituzioni, i giudici, i servizi sociali avevano sancito come pericolose, per aver compiuto gesti tali da condurle alla reclusione negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Ed in questa esplorazione ci sono subito passate sotto gli occhi una gran quantità di Beatrici e di Donatelle. Interessandosi alle vicende di ciascuna, ficcando il naso in quei vissuti spesso tumultuosi, abbiamo trovato tanta di quella trama che ci siamo appassionati proprio nel non definire l’identità di quelle persone con un referto medico, con il nome del loro disturbo, con i farmaci da prendere, col piano terapeutico. Volevamo soprattutto stare dalla loro parte. E stare dalla parte di Beatrice e di Donatella, con tutti i loro pasticci e le loro cazzate, significava riaffermare invece l’importanza, la totale preminenza della loro storia, fatta di tribolazioni, abusi, subiti e perpetrati, ma in tanti lati anche buffa, delirante, comica, scombiccherata. Le abbiamo amate scrivendole, le ho amate filmandole, perché ci facevano ridere, perché anche sul set, nel momento in cui sono diventate due esseri in carne ed ossa, nel loro stare insieme trasmettevano una misteriosa, irresistibile, contagiosa allegria. E quindi posso dire che se è vero che in questo film abbiamo messo in scena momenti cupi, sconsolati ed anche violenti, mi è sembrato per altri versi di non aver mai filmato tanta esaltazione, tanta ebbrezza, tanta ilarità.

Micaela Ramazzotti

Micaela Ramazzotti

Raccontaci di Villa Biondi, la “comunità psicoterapeutica ad alta intensità di cura” che avete messo in scena nel film. È una struttura che esiste davvero o è un tuo sogno?

Nella nostra esplorazione durante i sopralluoghi di sceneggiatura e poi in quelli più tecnici, con i reparti di scenografia e di casting, abbiamo visto posti sconsolanti, dove i pazienti vengono custoditi in modo sbrigativo: sedati dai farmaci, a volte contenuti da fasce e lacci, a volte dimenticati. Abbiamo seguito con attenzione il momento di cambiamento che è in corso, con la legge che finalmente chiude gli OPG entrata in vigore, dopo anni di rinvii, proprio mentre stavamo girando il film, nell’aprile scorso. Finora però non è stata cancellata la sostanza concreta delle cose, e solo una parte degli internati ha trovato accoglienza in strutture davvero alternative alla segregazione. Ma abbiamo anche scoperto posti molto belli, se così si può dire; col loro contenuto travagliato, eppure carichi di energia vitale, dove si cerca di mettere in piedi progetti di riabilitazione ottimistici, che vanno oltre la custodia, dove veniva persino voglia di rimanere, di implorare di poter essere ricoverati per qualche giorno, volendo anche per sempre. E soprattutto abbiamo conosciuto tanti operatori – medici, psichiatri, psicoterapeuti, tecnici della riabilitazione, paramedici, volontari – motivati, competenti ed appassionati, dalla dedizione totale e commovente, spesso a dispetto di una gravissima carenza di strutture, di organici adeguati.

Come l’hai resa sul grande schermo?

Villa Biondi è un’invenzione, con le suore, gli psichiatri appassionati, il giardinaggio, le canzoncine coreografate, la stanza del setting variopinta, ma dove abbiamo messo insieme elementi che avevamo osservato dal vero, nelle situazioni cliniche più disparate. Siamo sulle colline pistoiesi. Intorno c’è il mondo dei vivai, dove peraltro davvero può capitare di vedere al lavoro, in quota sociale, persone con un vissuto problematico che appunto escono da comunità di recupero. Certo, a Villa Biondi, c’è anche un assistente sociale scettico e ottusamente normativo, ci sono steccati e regole, piogge di farmaci, e può venir voglia di scappare. Ma abbiamo voluto immaginare che fosse un posto anche accogliente, dove potesse venir voglia di tornare. Io sento di aver bisogno di una Villa Biondi, dove cercare un riparo dalla ferocia del mondo, nei momenti di sconforto. Mi piacerebbe che esistesse davvero, proprio lì nella tenuta agricola abbandonata dove abbiamo creato il set, perché ormai conosco bene la strada.

Donatella e Beatrice

Donatella e Beatrice

Parlaci delle due interpreti di Beatrice e Donatella, ovvero Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti: hai pensato fin dall’inizio a loro come protagoniste?

La Pazza Gioia non sarebbe stato neanche pensabile per me senza Valeria e Micaela. Sono due attrici molto diverse, portatrici di mondi forse distanti, ma entrambi totalmente anticonvenzionali e del tutto istintive. Valeria è un’attrice-autrice generosa e geniale, che ha il coraggio di portare sempre qualcosa di se stessa nel personaggio che crea, prendendosi in giro con sofisticatissima autoironia e calandosi in quel che sta mettendo in scena con slancio temerario. Poi personalmente ho un debole per i suoi film da regista, divertenti, sinceri, spudorati, sempre in bilico tra dramma ed ilarità. Micaela è quella creatura stranissima che vedete: sembra piombata sulla terra da un pianeta sconosciuto, e nonostante teoricamente dovrei conoscerla molto bene, è in realtà tuttora un mistero per me, ed in fondo preferisco che sia così. Quando la vedo al cinema mi capita di non riconoscerla, tanto si trasforma ogni volta, e la sua dolcezza, la sua vulnerabilità, non le impediscono, se lo vuole, di incarnare la fierezza selvatica di una tigre. Messe insieme sulla scena, queste due, mi sembra che sprigionino un’energia potente, divertente, toccante, che non vedi l’ora di catturare con la macchina da presa.

Due protagoniste femminili, una clinica che ospita solo donne… è anche per questo che hai voluto scrivere il film con una co-sceneggiatrice donna?

Innanzi tutto, per rispondere accuratamente a questa tua domanda, vorrei dire che a me sono sempre interessati molto i personaggi femminili, anche come lettore e come spettatore. DaMadame Bovary a Anna Karenina c’è una letteratura che trae una speciale ispirazione dal racconto dell’animo femminile. Mi viene in mente anche Carlo Cassola, e nel cinema Pietrangeli, Scola, Woody Allen… Non lo sto facendo apposta, ma mi rendo conto che sto citando tutti autori maschi, che hanno raccontato vicende di femmine. Poi a volte sento dire: lo “sguardo al femminile”, e probabilmente esiste anche quello, ma non chiedetelo a me, non saprei da che parte cominciare. Però non c’è dubbio che avere Francesca come partner per me è stato utile, oltre che divertente. Era un desiderio che avevamo da tempo, e in fondo in forma non ufficiale lo avevamo già fatto, da quando eravamo insieme giovani allievi di Furio Scarpelli, freschi di Centro Sperimentale: Francesca era la sorella maggiore, quella che nell’87 aveva già girato il suo primo film, quando io ero ancora a scuola. Insomma, quando io ero solo il galoppino di Furio lei era già una giovane regista famosa, ma eravamo abituati a scambiarci i copioni, a volte anche a metterci il becco sopra e abbiamo continuato a farlo, nel tempo. Però non avevamo mai firmato la sceneggiatura di un film insieme e questo sembrava il progetto giusto per poterlo fare. Non solo perché Francesca è una donna, sarebbe riduttivo, ma soprattutto perché è intelligente, colta, divertente e brava “come ‘n ‘omo” (scherzo!).

Beatrice e Donatella

Beatrice e Donatella

Possiamo definire quindi La Pazza Gioia un film terapia?

In fondo è la storia di un accudimento e di una cura, tra due pazienti psicotiche ritenute pericolose. Alla fine tutti i film sono una terapia, aiutano non dico a guarire, ma almeno a sopportare meglio le cose della vita, specie se vanno a scovare la commedia proprio nel cuore del dramma e della tragedia. Forse il piacere di raccontare viene proprio da questo mettere il naso nei pasticci anche tremendi, nella accettazione senza riserve della natura umana, coi suoi lati sconvenienti e a volte spaventosi. Nel cercare la luce dentro quello che sembra buio.

 
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ARIANNE MARTELL E IL NUOVO CAPITOLO DI “THE WINDS OF WINTER” da isolaillyion

Post n°13192 pubblicato il 18 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

di Federico Brajda il 12 maggio 2016

 
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Michael Moore invade il meglio dell’Europa da internazionale

Post n°13191 pubblicato il 18 Maggio 2016 da Ladridicinema
 
Tag: news

Where to invade next. - OutnowWhere to invade next. (Outnow)

Cos’è. Where to invade next è il nuovo film di Michael Moore, il polemista di 62 anni di Flint, Michigan, premio Oscar nel 2003 con Bowling a Columbine e Palma d’oro a Cannes due anni dopo con Fahrenheit 9/11. Questa volta Moore visita diversi paesi europei (con una piccola tappa in Tunisia) con l’idea di “invaderli” e rubare le loro migliori idee da adottare negli Stati Uniti.

Con il pretesto giocoso di tradurre in ambito civile l’impeto militare statunitense, nel corso delle due ore del film Moore invade e saccheggia Italia (umanità del lavoro, ferie e maternità pagate), Francia (mense scolastiche ed educazione sessuale), Finlandia (scuola pubblica senza test standard di valutazione), Slovenia (educazione gratuita anche per studenti stranieri), Germania (qualità della vita e autocoscienza storica), Portogallo (depenalizzazione del consumo di droga), Norvegia (sistema penale che recupera e non punisce), Tunisia (conquista dei diritti delle donne), Islanda (parità assoluta di genere e gestione democratica della crisi finanziaria), per finire il suo viaggio lungo i resti del muro di Berlino.

WHERE TO INVADE NEXT 

Com’è. A differenza dei film americani di Moore, che documentano il problema e poi cercano una soluzione a volte rocambolesca, Where to invade next ribalta gli equilibri. Moore non è quello che chiede conto ai colpevoli, ma mostra una condizione virtuosa e positiva quasi per tutto il tempo, e assume la sua solita aria da cinegiornale solo a tratti, durante i confronti con la realtà statunitense.

Il tono della parte europea, cioè della gran parte del film, è esotico, divertito, ammirato, quasi turistico, da speciale leggero per la tv. Questo rende il film più curioso e lieve, anche se Dean Martin canta Nel blu dipinto di blu mentre si parla dell’edonismo e delle doti amatorie degli italiani. Al di là degli stereotipi, il film è poco strutturato: ha una scansione da inventario di situazioni in fila, più che da racconto unitario con uno svolgimento. A sequenze in cui Moore visita i luoghi e interagisce con le persone, si alternano snodi con voce fuori campo e montaggi con immagini di repertorio, al solito molto efficaci. Il film è lungo ma non pesa.

Perché vederlo. Il numero e la natura degli intervistati chiama Moore meno in causa del solito, e comunque con un ruolo meno di contrasto. La telecamera non è usata come arma per estorcere verità scomode, quindi non c’è quel populismo dell’imboscata di altri suoi film. Non c’è nemmeno grande approfondimento sui temi, nel senso che vengono esposte le leggi e le usanze con ammirazione e meraviglia, con una retorica automaticamente un po’ celebrativa, ma senza mostrare punti di vista alternativi.

Eppure il cuore del documentario sono i contenuti, le scelte editoriali, la qualità delle interviste e della loro scansione narrativa, e da questo punto di vista il film è generoso. Se lo si vede come una puntata di Report girata con mezzi enormi e un tono sopra le righe, Where to invade next è un film che racconta tante cose interessanti con chiarezza. Le scene nelle carceri norvegesi e il dialogo con il padre di una delle vittime di Anders Breivik non si dimenticano facilmente. Questa campionatura di usi e costumi virtuosi europei è interessante anche per gli europei, ed è rassicurante: la somma delle eccellenze di tutti fa un certo effetto.

Perché non vederlo. Per prendersi gioco della destra nazionalista statunitense bisogna trovare uno stile retorico che non sia, per ribaltamento sarcastico o meno, a tratti simile a quello del bersaglio. Invece ci sono momenti in cui Michael Moore sembra la copia speculare di Fox News, perché è altrettanto perentorio e liturgico.
Per quanto riguarda il Moore protagonista dei suoi film, se siete tra chi trova fastidiosi i suoi modi beffardi e determinati, probabilmente non vi piacerà nemmeno questa volta, anche se è più contenuto. Infine la struttura del film è esile.

Una battuta. L’astinenza per noi non è un metodo contraccettivo. Ci sono troppi rischi. (Un’insegnante francese).

 
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