È molto difficile poter dire di aver inciso sullo spirito del proprio tempo o, ancora di più, sulla cultura del proprio paese, di aver lasciato un segno così tangibile che chiunque sia costretto ad ammetterlo.
Paolo Villaggio, morto oggi ad 84 anni, è stato così evidentemente incisivo, così apertamente capace di modificare come immaginiamo, pensiamo e concepiamo i rapporti di forza nella nostra società, da aver fatto la storia della cultura italiana dopo aver fatto quella del costume. E averla fatta dal basso, in tutti i sensi.

 

Se alcuni dettagli, alcune espressioni e alcune immagini sono facilmente riconducibili a lui e alla sua creazione più nota, Fantozzi (ne abbiamo parlato tanto quando il primo film ha compiuto 40 anni), ci sono però altri modi più sottili, meno noti o anche solo meno celebrati in cui il nostro paese ancora risente della sua influenza. Non tutti sono stati necessariamente dei mutamenti che possono essere definiti “positivi” in toto, ma certamente sono riconducibili alle sue creazioni, alle sue storie e a come il mondo in cui le ambientava ci parlava e ci parla del nostro.

1. La lingua

È senza dubbio la cosa di cui vado più fiero, aver cambiato un po’ la maniera in cui le persone parlano

È l’elemento più forte, il dettaglio più evidentemente riconducibile a Paolo Villaggio. Solitamente indicata come una rivoluzione portata da Fantozzi, in realtà il lessico di Villaggio nasce prima, già in tv e poi viene perfezionato in Fantozzi. Una lingua fatta di superlativi e di abbinamenti inusuali tra aggettivi e azioni o tra aggettivi e sostantivi.
L’uso di aggettivi legati al campo semantico del dramma come “tragico”, “agghiacciante”, “mostruoso” o anche “feroce”, per eventi che solitamente non ne necessiterebbero nasce già in tv, con Fracchia o con le prime gag, l’idea espressa tramite la lingua che esiste un mondo così piccolo in cui una brutta vacanza in campeggio sia una tragedia, in cui un cambiamento sul posto di lavoro sia agghiacciante anche se possono non sembrare tali. Prima di Fantozzi l’iperbole era una figura retorica dallo scarso utilizzo, oggi è all’ordine del giorno.
Poi con Fantozzi arriveranno i congiuntivi sempre sbagliati, i titoli nobiliari tramutati in insulti, il suffisso “mega” utilizzato per cose che non lo sono, come se il mondo visto dal ragionere fosse tutto deformato verso il grande e lo spaventoso, enfatizzato da quell’inflessione che Villaggio dava alla voce fuoricampo, quella che caricava di gravità i suddetti aggettivi o suffissi, come se fossero in grassetto.
Ancora più in profondità però c’è una maniera sottile in cui il ragioniere e i suoi pari non padroneggiano bene il registro formale dell’italiano, in cui non riescono mai ad interagire con cortesia senza commettere errori che è incredibile e ha cambiato la maniera in cui vediamo noi stessi.

 

 

2. Cinismo comico

Non ero bello come Gassman o come Tognazzi, per farmi notare avevo bisogno di essere diverso

È iniziato tutto in televisione, con il professor Kranz con una specie di strana forma di comicità in cui il comico si esibisce non tanto nella battute ma nel creare un mood, un’atmosfera tra lo strano e il rischioso, tra l’imbarazzo e l’anticonvenzionale, un mood in cui non si può che ridere degli stessi eventi che forse, ci avessero protagonisti, farebbero piangere. È in realtà un umorismo molto moderno e internazionale, messo a punto dagli stand up comedian e solo recentemente arrivato al cinema, ma Villaggio era già lì, creava situazioni in cui le persone erano maltrattate per finta, portando tutto così avanti da creare un po’ di disagio. Disagio comico. Come si vede nella clip qua sotto, questo cinismo nasce con una specie di stand up comedy e poi finisce al cinema.

 

 

 

In seguito questo cinismo maturato negli spettacoli televisivi, così fortunato e originale, l’ha tradotto in letteratura e poi in film con Fantozzi. Da lì è rimasta sempre la chiave delle sue trovate migliori: spingere la cattiveria umana un pochino più verso la follia per renderla comica pur restando molto riconoscibile. Il cinismo comico di Villaggio era ed è la definizione migliore di Fantozzi: maltrattare gli altri involontariamente svelando le proprie difficoltà e inadeguatezze, le proprie paure e i propri timori.
È la cattiveria di chi ci è intorno, quella che prima era condannata e basta mentre oggi fa ridere oltre ad essere disprezzabile, perché da Villaggio in poi dietro ogni piccola meschinità clamorosa siamo inclini a vedere le debolezze.

 

 

3. La religione

Trovo che gli italiani siano abbastanza sudditi. Si lamentano ma non alzano la testa per protestare. Prendi Roma, hanno subito i papi e poi hanno continuato ad essere sudditi

C’è un filo sottile che corre lungo tutti i migliori film di Fantozzi ed è il rapporto di sudditanza nei confronti della religione. Mai al centro delle gag, mai parte di una delle molte storie di Fantozzi ma sempre incombente. La religione cattolica è l’immaginario di riferimento del ragioniere, ed è, dal suo punto di vista, ancora una volta un immaginario di sudditanza, potere e vessazione.
Questo modo di concepirla era, nel 1975, un cambio radicale rispetto al passato, una liberazione per tutti, perché rappresentava ciò che pareva indicibile e mutava la maniera in cui “non possiamo non dirci cattolici”. È difficile immaginare qualcosa di più religiosamente sovversivo nel mondo del cinema mainstream dell’epoca di un povero impiegato nel cui mondo la religione è fatta solo di cardinali e vescovi, alteri e schivi, malvagi e distanti, forme di potere clericale a braccetto con quello industriale. Un mondo in cui i megadirettori più abietti e cinici si presentano con la tranquillità dei prelati, in pace con il mondo nel loro ufficio semplice come una cella di un monaco, dotato anche di un inginocchiatoio su cui chiaramente finirà Fantozzi.

 

 

 

Un mondo in cui l’iconografia religiosa che esce fuori dall’inconscio del ragioniere è sempre e solo una di sofferenza, in cui il cattolicesimo è punizione e dolore, la narrazione che giustifica e avalla la sua vita di sofferenza. Quando il megadirettore gli dice “Uccidiamo il vitello grasso” Fantozzi istintivamente risponde terrorizzato “Io?!!?”. Vedrà San Pietro sulla traversa della porta in una mortale partita di calcio, un angelo gli annuncerà la sua prossima maternità in una visione delirante, vedrà Gesù camminare sulle acque mentre è in preda ai deliri da sete, irretito in mezzo al lago.
Un mondo insomma in cui esiste moltissima cattiveria e sopraffazione e in cui quando questa arriva ai vertici massimi prende la forma del potere religioso, l’unica leva che pare superiore a quella aziendale. Lo stesso Fantozzi quando farà la sua scalata al potere, truffato dal potere che lo usa come prestanome, a furia di essere promosso riceverà il potere temporale e girerà vestito da Papa.

 

 

4. La coscienza impiegatizia

Oggi ai direttori si dà del tu, non c’è più quel tipo di distanza e gerarchia, ed è molto meglio così. Ai tempi miei c’era un distacco enorme tra proletariato e alta borghesia, era inavvicinabile

Prima che arrivasse il ragionier Fantozzi semplicemente non esisteva in Italia una coscienza impiegatizia, nel senso di una profonda riflessione popolare sulla maniera in cui nuove forme di organizzazione del lavoro stavano cambiando le persone e quindi la società. Non c’era al cinema (l’unico tentativo serio, ma inevitabilmente d’autore e per pochi era stato Il Posto di Olmi), non c’era in televisione, non c’era nella cultura di massa. Partendo da Gogol, Fantozzi ha di fatto creato la base che ancora oggi costituisce lo scheletro per leggere la vita d’azienda, per capire come la mentalità aziendale ha perpetuato forme di potere e vessazione ben più antiche (lo straordinario rapporto che c’è in quell’immaginario tra funzionari e titoli nobiliari) e ne ha create di nuove (le gite aziendali, la bontà dei superiori).
Fantozzi è lo sfruttato per antonomasia, l’uomo a cui il potere concede pochissimo e da cui prende tantissimo, a differenza di tutti gli altri però Villaggio aveva compreso la maniera in cui questo sopruso quotidiano è perpetrato attraverso una forma di paradossale bontà, una propaganda buonista che promuove l’affetto per gli impiegati, espressione che in sé tradisce come non sia che un modo alternativo di perpetuare le differenze di classe. “Cari inferiori” è l’espressione che meglio sintetizza quest’approccio ma anche la maniera in cui il lavoro è visto come un privilegio concesso: “Ho visto che nel suo acquario degli impiegati manca la triglia. Posso?”. Tutto è cambiato perché nulla cambi in Fantozzi, gli impiegati sono valvassini o valvassori sfruttati ma in più costretti anche a terribili attività ludiche a loro scapito come le Olimpiadi aziendali o la coppa di ciclismo, un rapporto così squilibrato che emerge in toto quando Fantozzi scopre il comunismo e di colpo realizza: “Ma allora mi ha sempre preso per il culo! […] Per 20 anni m’han lasciato credere che mi facevano lavorare solo perchè sono buoni!“.

 

 

5. Il rapporto con la cinefilia e la cultura 

La frase sulla Corazzata è stata una liberazione per tutti

Non poteva non essere affrontato qui infine una delle conseguenze più controverse dell’influenza di Paolo Villaggio sulla cultura di massa.
Soprattutto per il personaggio di Fantozzi la cultura è solo un’altra forma di vessazione. Non è una possibilità di liberazione dell’impiegato come all’epoca si sognava ma un codice padroneggiato da pochi che mette ancora più in ginocchio l’impiegato, utilizzato per creare altre differenze di classe. E questo avviene sia nella maniera in cui Franchino fa domande nozionistiche a Fantozzi costringendolo ad ammettere la propria ignoranza, sia ovviamente con il potentissimo professor Guidobaldo Maria Riccardelli e il suo cineforum.

 

 

 

È complicato dare un giudizio sugli esiti di quella che è la più controversa ma anche duratura delle influenze di Villaggio sulla società contemporanea. Perché è vero da un lato che la maniera in cui Fantozzi subisce la cultura o ci si ribella raramente ha una componente di necessaria liberazione, è vero che in tantissimi settori la cultura era ed è intesa come una punizione, un giogo imposto dall’alto, ma è anche vero che le conseguenze di questa liberazione sono state nefaste tanto quanto positive.
Se da un lato è sacrosanto che la cultura da cineforum, per fare l’esempio a noi più vicino, in alcuni casi e settori (si badi bene: ALCUNI CASI E SETTORI) è stata solo violenza e ha fatto più danni che altro, imponendo con la forza e con l’umiliazione qualcosa che invece andrebbe scoperto per poter essere amato. Dall’altro ha autorizzato chiunque a non essere curioso, a chiudersi di fronte a ciò che è ora autorizzato a percepire come lontano, con un pregiudizio avallato dall’umorismo. La Corazzata Potemkin ne ha fatto le spese più di tutti ed è il simbolo di tutto ciò. Il film di Eisenstein, che in Fantozzi diventa La Corazzata Kotionkin, è la “cagata pazzesca” la cui lunghezza micidiale è misurata in “bobine” e che scatena l’applauso quando oltraggiata apertamente senza vergogna. Ma se è legittimo che chiunque possa odiare il film è anche vero che Villaggio ne ha modificato molti tratti (non è un film lungo, anzi è molto breve, non è noioso, anzi è cinema di guerra con un montaggio rapidissimo molto moderno) ad uso della sua ribellione. Ad oggi dunque La Corazzata Potemkin è il simbolo di ciò che va odiato come lotta al potere, per affermare il diritto ad un’avversità verso una cultura alta che spesso nemmeno si conosce. Oggi che l’imposizione culturale non esiste più rimane solo la convinzione che quel cinema (ma più in grande quella cultura) fosse davvero brutta, giustamente da dileggiare e che chi la loda lo faccia per comodo.
Quella che nasceva come giusta ribellione è diventata chiusura mentale, la forma più deteriore dell’antielitarismo che scorre dentro Fantozzi.