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Messaggi del 22/09/2014

 

Lilli Gruber, Giovanni Floris verso Ottoemezzo al suo posto da il fatto quotidiano

Post n°11753 pubblicato il 22 Settembre 2014 da Ladridicinema
 

Secondo l'Huffington Post il passaggio dalla fascia preserale a quella subito dopo il tg è cosa fatta. La Gruber non va in onda dalla settimana scorsa, ufficialmente per un'indisposizione, e negli ultimi giorni è stata sostituita da un approfondimento condotto da Enrico Mentana
Giovanni Floris

Dalle diciannovEquaranta alle Otto e mezzo. Secondo l’edizione italiana dell’Huffington Postla neonata striscia quotidiana di Giovanni Floris si sposterà dalla fascia preserale a quella che va dalla fine del tg all’inizio della prima serata (in gergo “access prime time”). Ovvero quella che fino a ora, sulla rete di Urbano Cairo, era presidiata da Lilli Gruber. Che però dalla scorsa settimana non va in onda, ufficialmente per un’indisposizione. E da mercoledì scorso è sostituita da un approfondimento del direttore di TgLa7 Enrico Mentana. Ora i rumors danno Floris (il cui esordio in prima serata su La7 con il talk DiMartedì è stato battuto dal Ballarò di Massimo Giannini) in fase di “trasloco”, anche se da La7 non arrivano conferme né smentite. Bocche cucite. Probabilmente sono in corso riunioni per stabilire la fattibilità del cambiamento, che, in caso di accordo, potrebbe intervenire già da questa sera.

 
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Siani, vittima di camorra e isolamento da articolo 21

Post n°11752 pubblicato il 22 Settembre 2014 da Ladridicinema
 

giancarlosiani

Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra il 23 settembre del 1985, era uno di noi: un giovane cronista che si affacciava al mondo del giornalismo, in quegli anni ’80, con la voglia di fare questo lavoro in profondità, onestà,senza dimenticare che il disvelamento  della realtà, con la semplicità del racconto documentato, era la base di questo”mestiere”. Entusiasmo e curiosità, capacità di narrazione e voglia di capire quel che succedeva in quella realtà di Torre Annunziata, ma senza dimenticare che l’impegno del giornalismo passa anche attraverso l’impegno civile,lo studio dei meccanismi criminali,ma anche politici della realtà dove si vive, soprattutto quando la criminalità si intreccia con schieramenti di interessi economici e politici. Così accadeva in quegli anni ’80, così accade ancora oggi.

Giancarlo Siani apparteneva ed appartiene nella memoria , a quella generazione di giornalisti oggi cinquantenni adulti che allora cominciavano questo viaggio di cronisti,passati attraverso inchieste e speranze,racconti di un mondo che cambiava e voglia di vedere realizzati quegli ideali di giustizia e legalità che attraversavano il giovane giornalismo italiano di quegli anni.
Appartenente ad una famiglia della borghesia medio-alta napoletana, Siani, aveva frequentato con ottimo profitto il liceo classico al “Giovanbattista Vico”.Si era iscritto all’Universita’ e, contemporaneamente, aveva iniziato a collaborare con alcuni periodici napoletani, mostrando sempre spiccato interesse per le problematiche sociali del disagio e dell’emarginazione, individuando in quella fascia il principale serbatoio della manovalanza della criminalita’ organizzata, “la camorra”.

Inizio’ ad analizzare prima il fenomeno sociale della criminalita’ per interessarsi dell’evoluzione delinquenziale delle diverse “famiglie camorristiche”, calandosi nello specifico dei singoli individui. Fu questo periodo che contrassegno’ il suo passaggio dapprima al periodico “osservatorio sulla camorra” rivista a carattere socio-informativo, diretta da Amato Lamberti e successivamente al quotidiano “Il Mattino”, come corrispondente da Torre Annunziata presso la sede distaccata di Castellammare di Stabia, Comune di oltre 90mila abitanti, distante una decina di chilometri da Torre Annunziata. E cosi Siani inizio’ a frequentare quella redazione, trattenendosi a scrivere lì i propri articoli, pur non potendo ufficialmente, essendo solo un corrispondente.

Ma era accettato e  si sapeva che era soltanto questione di pochi mesi, un anno al massimo e Giancarlo sarebbe stato assunto. Fu in questo lasso di tempo che Siani scese molto in profondita’ nella realta’ torrese senza tralasciare alcun aspetto, compreso e forse soprattutto quello criminale, che anzi approfondi’ con inchieste sul contrabbando di sigarette e sull’espansione dell’impero economico del boss locale, Valentino Gionta. Un’esperienza che lo fece diventare fulcro dei primi e temerari movimenti del fronte anticamorra che sorgevano. Scomodo per il crimine organizzato, d’incoraggiamento per chi aveva una coscienza civile, ma non aveva il coraggio per urlare.

Lui, invece, parlava con i suoi articoli, con umilta’, ma riusciva ad insinuarsi. Aveva capito che la camorra s’era infiltrata nella vita politica, della quale riusciva a regolare ritmi decisionali ed elezioni. La decisione di ammazzarlo fu presa all’indomani della pubblicazione di un suo articolo, su “Il Mattino” del 10 giugno 1985  relativo alle modalita’ con le quali i carabinieri erano riusciti ad arrestare Valentino Gionta, boss di Torre Annunziata (attualmente in carcere condannato all’ergastolo). Siani spiego’ che Gionta era diventato alleato del potente boss Lorenzo Nuvoletta  amico e referente in Campania della mafia  di Toto’ Riina.

Nuvoletta aveva un problema con un altro potente boss camorristico con il quale era giunto sul punto di far scoppiare una guerra senza quartiere. L’unico modo di uscirne era eliminare Gionta, come emerge dagli atti processuali. Nuvoletta che non voleva tradire l’onore di mafioso, facendo uccidere un alleato, lo fece arrestare, facendo arrivare da un suo affiliato una soffiata ai carabinieri. Siani venne a conoscenza di questo particolare  e lo scrisse, provocando le ire dei camorristi di Torre Annunziata. Per non perdere la faccia con i suoi alleati di Torre Annunziata, Lorenzo Nuvoletta, con il beneplacito di Riina, decretò la morte di Siani.
Siani intanto continuava con sempre maggior vigore la propria attivita’ giornalistica di denuncia  dei camorristi e dei politici loro alleati, proprio nel momento in cui piovevano in Campania i miliardi per la ricostruzione delle zone colpite dal terremoto del 1980. Fu ucciso il 23 settembre del 1985,pochi giorni dopo il suo 26esimo compleanno.

Questa e’ la verita’ giudiziaria dimostrata dagli inquirenti 8 anni dopo il delitto, con la collaborazione di alcuni pentiti e confermata per tutti gli imputati, (con la sola eccezione del boss Valentino Gionta,) nei tre gradi di giudizio con una serie d’ergastoli. Siani fu ucciso dunque perché aveva scritto e svelato quei meccanismi della camorra e dei suoi rapporti interni che dovevano,per i camorristi, restare segreti ,confinati nelle logiche criminali: ma che invece  devono essere conosciuti dall’opinione pubblica ,per capire dove e come si organizzano i malviventi mafiosi, come si intrecciano i loro rapporti interni con quelli esterni della politica e degli affari, appalti e speculazioni,contrabbando di sigarette e di droga. E soprattutto quei soldi della ricostruzione del dopo terremoto che furono terreno di caccia e di affari per politici e camorra.

Dovere dei giornalisti è scrivere quello che si deve sapere, spiegare  dove si annida il crimine: non chiudere le descrizioni ad un certo punto per non dar fastidio a qualcuno. Come si racconta nel film “Fort Apache” , la differenza tra chi decide di fare giornalismo-giornalismo e chi invece decide di fare i giornalisti tranquilli dietro la scrivania: una metafora che vale sempre, ieri come oggi; la “schiena dritta” del giornalista,ma soprattutto ,la solidarietà,lo spirito di gruppo delle inchieste,la scrittura parallela di chi sta sullo stesso fronte. Quello dell’inchiesta senza reticenze. Giancarlo Siani fu ucciso perché in quella realtà era ancora troppo isolato, perché di quei fatti si parlava ancora poco. Perché la denuncia giornalistica non aveva fatto ancora quei passi in avanti che diventarono poi patrimonio collettivo del giornalismo,anni dopo.

E questo ci deve far pensare,ancora oggi, su quanto sia necessario fare inchieste sulle mafie, denunciare i rapporti tra camorra, cosa nostra ,’ndrangheta e politica ed economia ; tenere accesi i riflettori sulle indagini  a proposito di mafie, corruzione, malaffare; riflettori accesi  che coinvolgono il giornalismo diffuso, dai grandi network nazionali ,ai giornali,radio e siti Web più piccoli  sul territorio; attenti a che nessuno sia isolato nelle proprie realtà. Nel nome di  Giancarlo Siani e dei tanti giornalisti uccisi dalle mafie in Italia in questi  ultimi 60 anni.

21 settembre 2014

 
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Ciprì: il mio omaggio alla commedia italiana e americana da cinecittà news

Post n°11751 pubblicato il 22 Settembre 2014 da Ladridicinema
 

Stefano Stefanutto Rosa18/09/2014
La buca è un film molto diverso dalle mie precedenti esperienze di regia, ma nello stesso tempo c’è un senso di continuità. In fondo il personaggio interpretato da Rocco Papaleo, Armando, che ha subito l’ingiustizia di anni di galera, potrebbe essere ‘il figlio’ del mio precedente lavoro”. Il regista Daniele Ciprì si riferisce a Busu, il ragazzo siciliano vittima destinata al carcere a vita in E’ stato il figlio, film importante, e non sufficientemente apprezzato, che oscillava tra il grottesco e il tragico.

Con La buca, in uscita con Lucky Red il 25 settembre, Ciprì sperimenta un’avventura artistica del tutto diversa, prossima alla commedia, a tratti surreale, costruita su una coppia comica maschile azzeccata, Rocco Papaleo Sergio Castellitto, affiancata dal personaggio della sensibile barista Carmen, Valeria Bruni Tedeschi.
Armando (Papaleo) e Oscar (Castellitto) sono due solitudini, due esistenze precarie che un simpatico cane randagio, un meticcio chiamato Internazionale, fa casualmente incontrare e insieme percorreranno un frammento di vita, aiutandosi a vicenda. Ma all’inizio la loro futura e un po’ improbabile amicizia non è così scontata.
Armando è appena uscito dal carcere dopo aver scontato ingiustamente una pena di quasi trent’anni, ma non cova alcuna vendetta o volontà di rivalsa. “E’ una specie di angelo, l’assenza di rancore è la sua anima e proprio questo suo sentimento mi ha guidato nella costruzione del personaggio”, spiega Papaleo.

Come in una favola il buono incappa nel cattivo di turno, cioè Oscar (Castellitto), un avvocato truffaldino e fallito, solitario e misantropo, pronto a intentare cause del tutto fittizie. Ci prova anche con Armando, per accorgersi presto che la vittima è nullatenente. O meglio un ‘tesoro’ Armando lo porta con sé ed è una causa, dal risarcimento milionario, ai danni dello Stato per l’ingiusta detenzione.
“Oscar è il cattivo per eccellenza e ed è stato un piacere interpretarlo per me spesso impegnato in ruoli drammatici. Mi ha consentito di scatenarmi fisicamente e di recitare in velocità, quasi al limite dell’inciampo”, dice Castellitto.

La storia de La buca sembra non avere né tempo né luogo, l'’ambientazione è indefinita, in una città immaginaria. Da tempo Ciprì desiderava esplorare un nuovo genere e allontanarsi dal suo mondo siciliano. Questa volta il punto di partenza non è stato un romanzo, come nel caso di E’ stato il figlio, ma la commedia sia nella versione italiana (Monicelli, Risi), sia in quella americana (Capra, Wilder, Edwards).
Insomma un omaggio alla commedia degli anni ’60, come lascia intuire la raffinata e deliziosa presentazione animata del film, per poi abbandonarla presto, ricercando la propria cifra stilistica.

“Quando racconto una storia parto da un’idea, da personaggi realistici, magari incontrati per strada, che poi colloco nel mio immaginario, in luoghi inventati - afferma il regista palermitano - Non ho mai tradito il mio passato artistico, non tornerei a fare Cinico TV, sarebbe impossibile. Ma non l’ho rimosso così mi viene naturale esasperare i toni grotteschi, non essere realista e ricercare un mondo astratto”.
Ciprì ci tiene infine a ricordare di aver girato in pellicola - “ho fatto un film in vinile'' - convinto che l’immaginario sia stato contaminato e distrutto dal digitale che ormai appartiene alla realtà quotidiana di tutti noi. 

 
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Avati: padre & figlio (con diva al seguito)

Post n°11750 pubblicato il 22 Settembre 2014 da Ladridicinema
 
Tag: news

Cristiana Paternò16/09/2014
Scritto con il figlio Tommaso, il nuovo film di Pupi AvatiUn ragazzo d'oro, in sala dal 18 settembre con 01, è quasi un testamento, storia in larga parte autobiografica di un regista che si considera un fallito, che dopo il suo suicidio lascia al figlio, con cui non è mai andato d'accordo, la pesante eredità del romanzo della sua vita rimasto incompiuto. E il giovane, un pubblicitario che vorrebbe diventare scrittore, si dedica al compito con sempre maggior identificazione nella figura paterna, di cui assume persino l'aspetto. "Questo Davide Bias è uno dei figli più belli che si possa immaginare, perché dona la sua salute mentale al risarcimento della figura paterna. Mi auguro che anche i miei figli raccolgano il testimone lasciato da me - dice il regista bolognese - come io ho fatto con mio padre, morto prematuramente quando avevo 12 anni. L'anno in cui morì era venuto a Roma con due amici e andò a Cinecittà perché avrebbe voluto produrre un piccolo film, pur essendo antiquario. Io sono riuscito a completare il suo progetto". Interviene Tommaso Avati: "E' vero, il figlio somiglia a me e il padre a lui. Abbiamo scritto la nostra storia, anche non ce lo dicevamo per un pudore ipocrita". 

Reduce dal buon esito al Festival di Montréal, dove ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura, Avati in conferenza stampa è affiancato da Giovanna Ralli (la madre) e Cristiana Capotondi (la fidanzata), assentiRiccardo Scamarcio (impegnato sul set a Londra) e Sharon Stone. Ma naturalmente si parla quasi solo della diva, la cui presenza ha "vampirizzato" mediaticamente il progetto. "Ho pensato immediatamente a lei per il ruolo dell'ex attrice canadese diventata editrice con attico a via Margutta. Doveva essere bella, carismatica e seducente. Il protagonista, non appena la vede in chiesa, al funerale del padre, deve restarne colpito. Sicuramente in America ci sono attrici più capaci di lei, ma poche sono autentiche icone", spiega Pupi. Mentre il fratello Antonio, produttore insieme a Rai Cinema e Flavia Parnasi, rievoca il lungo carteggio tra gli avvocati della star e quelli italiani per definire la partecipazione, copione alla mano. Appena sette giorni sul set assediati dai fotografi. "Sharon Stone - dice Antonio - è la classica attrice americana in fase di leggero declino. Quando l'abbiamo incontrata, a Firenze, dove era stata a trovare Bocelli, era da sola, seduta su una valigia sul binario sbagliato e nessuno l'aveva riconosciuta. Poi è arrivata a Roma e i suoi capricci hanno cominciato a crescere. L'ultimo giorno, quando doveva girare la scena del bacio sulla panchina con Scamarcio, è sparita perché non voleva le tv sul set e mi ha fatto chiamare dal suo agente dall'America". Pupi le attribuisce almeno un po' di autoironia. "Ha accettato di accavallare le gambe per citare Basic Instinct a cui deve tutto", ammette. E aggiunge: "Se ricapitasse, ci lavorerei di nuovo, e meglio. Anzi, sto pensando di richiamarla". 

Per Cristiana Capotondi quel tipo di divismo è anacronistico da noi. "Ma è stato divertente per me assistere allo scontro tra l'industria hollywoodiana e il cinema artigianale. Con lei che andava a fare shopping con la carta di credito di Antonio Avati, che terrorizzato la faceva seguire da un ragazzo della produzione per controllare dove avvenivano gli acquisti. Quando è entrata da Bulgari è sbiancato... Da Sharon Stone - prosegue Cristiana - ho imparato che ci vuole intelligenza nel gestire la propria bellezza, da Giovanna Rallil'umiltà di una grande attrice dotata di una grazia particolare e di una femminilità mai aggressiva".  

Un film per molti versi anomalo, nella carriera di Avati. A partire dalla scelta di nuovi collaboratori, tra cui l'autore delle musiche, dopo la morte di Ritz Ortolani. Sostituito in qualche modo dal giovane Raphael Gualazzi. "Lo vorrei come attore in un mio film", scherza Avati. E spiega: "Per trent'anni abbiamo avuto gli stessi tecnici e spesso anche gli stessi interpreti. Ma ad un certo punto succede che non c'è più la sorpresa, come in un vecchio matrimonio, allora bisogna rinnovarsi". 

 
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Gomorra-La serie, tanti premi al RomaFictionFest

Post n°11749 pubblicato il 22 Settembre 2014 da Ladridicinema
 

Nicole Bianchi22/09/2014
Il RomaFictionFest – 13 -19 settembre – nato nel nome del cinema si è concluso con coerenza rispetto al grande schermo, a partire dalle dichiarazioni del direttore Carlo Freccero che, nel chiosare l’evento e rispetto a polemiche e critiche createsi intorno, ha dichiaratamente citato “la follia”, secondo la visione di Truffaut, come esemplificativa del suo personale trasporto e punto di vista nella direzione di questo festival, condotto ripetendosi che si vive una volta soltanto e che dunque passione e follia, appunto, non potevano che essere i motori di questa sua edizione.

Il trionfo assoluto non si può che definire anch’esso cinematografico, pur trattandosi di una serie televisiva, che per qualità tutta, triplice direzione registica da parte di autori di consueto impegnati per il grande schermo, e produzione notoriamente cinematografica, fanno di Gomorra – La serie – diretta da Stefano Sollima, Francesca Comencini e Claudio Cupellini, prodotta da Sky, Cattleya, Fandango per Sky Atlantic HD – un prodotto di eccellenza internazionale che conferma il discorso, fortemente ribadito dagli addetti ai lavori durante gli incontri tematici organizzati dal festival, sulla contiguità tra buon cinema e buona serialità. Senza che prosegua ad imperversare la distinzione tra piccolo e grande schermo, ma piuttosto una interconnessione tra i due determinata dalla qualità dell’audiovisivo, con la considerazione del pubblico quale soggetto intelligente e critico, indipendentemente dalla dimensione del supporto. 

La giuria italiana – Alberto Sironi, Stefania Carini, Serena Dandini, Giovanni Di Rauso, Isabella Ferrari, Francesco Montanari, Pasquale Pozzessere – ha premiato Gomorra – La serie nelle categorie: Miglior Prodotto Italiano (assegnato a registi, produttori e broadcaster); Miglior Attrice Italiana, Maria Pia Calzonenel ruolo di donna Imma Savastano, “per aver interpretato una moglie e una madre che si scopre boss, conferendole una lucida e sensuale spietatezza”: questo premio è un ex aequo con Micaela Ramazzotti, per il ruolo interpretato in Un matrimonio di Pupi Avati; la giuria ha espresso una Menzione Speciale come Miglior Attore Non Protagonista per Salvatore Esposito, Genny Savastano in Gomorra – La serie: all’attore è stato riconosciuto anche il premio L.A.R.A. – Libera Associazione Rappresentanti di Artisti.
Le altre vittorie italiane: a Luca Zingaretti, Miglior Attore per Adriano Olivetti e Il giudice meschino; adAngelo Barbagallo, Miglior Produttore per Non è mai troppo tardi; al “piccolo” cast di Braccialetti Rossi, diretta da Giacomo Campiotti, è andato il premio Speciale.

La giuria internazionale, presieduta da Aldo Grasso, ha assegnato il premio alla Miglior Nuova Serie Tv Internazionale ad House of Cards, interpretata da Kevin Spacey; Miglior Interprete/Personaggio a Walter White (Bryan Craston) per Breaking Bad; Miglior Programmazione a Fox Crime; e la Menzione per l’Interpretazione Corale a Orange is the New Black. 100autori e WGI, per la miglior sceneggiatura, hanno assegnato il Premio Scardamaglia a Gomorra – La serie, con una Menzione Speciale per Altri Tempi. Il Premio Zap Social Score, ovvero la serie che ha avuto maggiore successo anche secondo il pubblico social, è stato ricevuto da Squadra Antimafia – Palermo Oggi Breaking Bad. Il Premio “TV Sorrisi e Canzoni”, decretato con il voto dei lettori sul sito del magazine, è stato assegnato a Luca Argentero, come interprete, e alla serie Furore – Il vento della speranza. L’Excellece Award assegnato dal Roma Fiction Fest è stato riconosciuto a Howard Gordon, creatore e produttore di 24, Homeland Tyrant; a Luca e Matilde Bernabei, Lux Vide; a Pietro Valsecchi, Tao Due.

Il Fest, nella persona della giuria nazionale, ha decretato infine di non assegnare il premio Miglior Canale dell’Anno per Programmazione di Fiction Italiana, un segnale specifico che non si è trincerato dietro scuse diplomatiche ma si è espresso esplicitamente nella motivazione: “… per mancanza di un canale capace di distinguersi per le sue scelte editoriali (…) Rai e Mediaset, pur con diversi segnali di miglioramento, restano ancora lontane da una programmazione che premi qualità e creatività, e troppo spesso si segnalano per produzioni di gusto medio. (…) Sky, pur dimostrando forte coraggio grazie a un prodotto come Gomorra, resta ancora lontana da un tipo di produzione continuativa (…). La scelta di non assegnare il premio vuole essere un incoraggiamento alle reti a fare di più, qualitativamente e quantitativamente, stimolando e talvolta sfidando i gusti del proprio pubblico”.

Un applauso inteso e piuttosto unanime ha “commentato” la lettura della motivazione. Carlo Freccero e Serena Dandini - mattatori complici, sarcastici e informali - dal palco della cerimonia di chiusura danno appuntamento alla nona edizione del Roma Fiction Fest, che torna nel 2015. 

 
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Ciak si gira: Passeggiate cinematografiche. La Roma papale da cinespresso

Post n°11748 pubblicato il 22 Settembre 2014 da Ladridicinema
 

Ciak si gira: Passeggiate cinematografiche. La Roma papale

Nella Roma papalina ed ecclesiastica, tra luoghi mistici e palazzi del potere, in una coesistenza tra sacro e profano che solo sulle rive del Tevere si declina alla perfezione

Impossibile visitare Roma prescindendo dall’influenza che la Chiesa ha avuto sul suo sviluppo e sulla sua arte. Chiese, fortificazioni, castelli, palazzi, collezioni d’arte.

Partiamo da Piazza Navona e da “Ieri oggi e domani” (1963). Proprio tra i tetti dei palazzi tra Piazza Navona e piazza di Tor Sanguigna si incontrano, si spiano, alimentando la reciproca curiosità, il giovane seminarista nipote di Tina Pica e la bellissima Mara (Sophia Loren) che riceve nel suo appartamento clienti facoltosi, tra i quali l’indimenticabile Rusconi, aliasMarcello Mastroianni al quale la Loren regalerà uno degli spogliarelli più famosi della storia del cinema.

La piazza, immortalata peraltro in tanti altri film (uno fra tutti “Il talento di Mr. Ripley” del 1996) è uno dei luoghi più famosi, “leggendari”  e ricchi d’arte della città.

Vanta origini antichissime, essendo ai tempi dell’antica Roma, lo Stadio di Domiziano dove si tenevano spettacoli di atletica (il nome originario della piazza era infatti “in Agone”). Il suo attuale aspetto si deve ai lavori commissionati da Papa Innocenzo X, il quale per celebrare i fasti della famiglia Pamphilj, a cui apparteneva, fece addirittura demolire alcuni isolati circostanti e ordinò la costruzione  del Palazzo Pamphilj, nonché della chiesa di Sant’Agnese in Agone e della Fontana dei Quattro Fiumi, autentici capolavori del barocco. Nella risistemazione della piazza si cimentarono gli artisti maggiori della Roma del Seicento:  Francesco Borromini e Girolamo Rainaldi (la chiesa di Sant’Agnese in Agone), Giacomo della Porta che scolpì la Fontana del Moro e Pietro da Cortona che affrescò la galleria di Palazzo Pamphilj. E soprattutto Gian Lorenzo Bernini, cui si deve la Fontana dei Quattro Fiumi: Danubio, Gange, Nilo e Rio della Plata, ovvero i quattro angoli della Terra. Leggenda metropolitana vorrebbe che, data la storica rivalità tra Bernini e Borromini, le statue della fontana dei Quattro Fiumi inorridiscano dinanzi alla chiesa di Sant’Agnese in Agone: storia priva di fondamento non foss’altro per il fatto che la fontana berniniana fu costruita prima della chiesa.

Cinematograficamente, la fontana costituisce un luogo decisivo dell’indagine di Langdon in “Angeli e Demoni” (2009). Proprio nella fontana, simbolo dell’Acqua, viene gettato il corpo del quarto cardinale rapito, che tuttavia si salva e suggerisce a Langdon dove deve recarsi nella successiva tappa sulla via dell’Illuminazione, ovvero Castel Sant’Angelo.

Al di là delle leggende, la piazza vanta altri palazzi di notevole pregio artistico ed è uno dei luoghi più vivaci del centro. Imperdibili, ai due lati opposti della piazza, la chiesa di San Luigi dei Francesi, che ospita nella Cappella Contarelli il ciclo caravaggesco sulla vita di San Matteo (“La Vocazione di San Matteo”,  “Il martirio di San Matteo” e “San Matteo e l’angelo”) e dall’altro, Santa Maria della Pace e il suo celebre Chiostro del Bramante.

Scendendo su via di Santa Maria dell’Anima e attraversando Corso Vittorio Emanuele in direzione Campo de’ Fiori (dove riconosciamo il Palazzo Braschi e il Palazzetto Le Roy, che compaiono in alcune scene de “Il marchese del Grillo”, 1981) arriviamo a Piazza Farnese. Consigliata, lungo il percorso, una sosta cineletteraria alla Libreria Altroquando (via del Governo Vecchio,80).

Palazzo Farnese, splendido esempio di architettura rinascimentale che ospita, dal 1936 l’Ambasciata di Francia, costituisce un’altra tappa cinematografica della nostra passeggiata.

È all’interno dei corridoi del  palazzo infatti che sono state girate alcune scene di “Habemus Papam” (2011) di Nanni Moretti, che ha utilizzato anche il cortile per il singolare campionato di pallavolo tra cardinali Il palazzo si può visitare con visita guidata . Altre scene sono state girate, nelle vicinanze, a Palazzo Muccioli e Palazzo Sacchetti su via Giulia (mentre la Cappella Sistina e la loggia della basilica di San Pietro sono state ricostruite a Cinecittà).

A due passi da piazza Farnese troviamo anche Palazzo Spada, con il capolavoro di trompe-l’oeil della falsa prospettiva creata da Borromini nell’androne dell’accesso al cortile, in cui la sequenza di colonne di altezza decrescente e il pavimento che si alza generano l’illusione ottica di una galleria lunga 37 metri (dove sono state girate scene de “La grande bellezza”, 2013). Percorrendo tutta via Giulia, senza dubbio una delle più belle di Roma, e attraversando via Paola sulla destra, arriviamo a Ponte Sant’Angelo.

Con una bellissima carrellata sugli angeli berniniani del ponte inizia “Nell’anno del Signore” film del 1969 di Luigi Magni con Alberto Sordi, Nino Manfredi e Claudia Cardinale, storia di carbonari ambientata durante il pontificato di Leone XII, le cui scene si svolgono in larga parte nelle segrete di Castel Sant’Angelo. Ma tanti sono i film con lo sfondo del Castello. Da“Lo sceicco bianco” di Fellini (1952) a “La dolce vita” (1960) e ancora “Angeli e Demoni” (2009)  per quel che interessa la nostra passeggiata odierna: tra queste mura il professor Langdon arriva a una svolta decisiva, perché in questo luogo si riunivano gli Illuminati, la setta a cui apparterrebbe il misterioso killer.

Nato come monumentale tomba dell’imperatore Adriano e per i suoi successori che fino a Caracalla furono sepolti qui, deve il suo nome a un episodio leggendario, secondo cui durante una processione guidata da Papa Gregorio Magno per scongiurare una terribile pestilenza nel 590, un angelo (l’arcangelo Michele) fu visto volare sopra il monumento, nell’atto di rinfoderare la spada: quella visione segnò la fine dell’epidemia di peste. Residenza papale e luogo di prigionia merita senz’altro una visita, così come il Passetto di Borgo, ovvero il camminamento che collega Castel Sant’Angelo al Vaticano fatto costruire nel XIV secolo per permettere ai pontefici di avere una via di fuga verso i palazzi vaticani, come è in effetti avvenuto durante il “Sacco di Roma”.

Tutta l’area tra Castel Sant’Angelo e San Pietro, ovvero il Rione Borgo, subì una trasformazione radicale negli anni Trenta del Novecento a seguito dei Patti Lateranensi e della riconciliazione tra la Chiesa e lo Stato italiano. Il rione, storica sede di comunità di stranieri, soprattutto sassoni (di qui il nome Burg) che costruirono chiese e ospizi, da cui nacquero ad esempio la Chiesa di Santo Spirito in Sassia e l’Ospedale Santo Spirito, si sviluppava in un fitto reticolato urbanistico denominato spina di Borgo. La costruzione dell’odierna via della Conciliazione (luogo della scena finale de “Lo Sceicco bianco”) per celebrare i Patti Lateranensi  distrusse purtroppo la “spina”, lasciando solo alcuni palazzi.

Attraverso via della Conciliazione arriviamo a Piazza San Pietro, cuore della cristianità e del Vaticano, nonché meta finale della nostra passeggiata.

Per arrivare alla basilica attraversiamo e ci lasciamo abbracciare dal colonnato di Bernini,  geniale soluzione architettonica per risistemare la piazza senza sovrapporsi agli edifici già esistenti, come la chiesa e i palazzi sul lato destro. Il risultato, i due emicicli con le 284 colonne è maestoso e produce inoltre l’effetto ottico di avvicinamento della facciata alla piazza, che è fu un’intuizione altissima.

Parlare della Basilica di San Pietro, con i suoi numeri da record (22 mila metri quadrati di area occupata,  45 altari, 11 cappelle, circa 10 mila metri quadri di mosaici) e la sterminata ricchezza di capolavori che contiene, richiederebbe un articolo, anzi una rubrica a parte. Ci limiteremo perciò ad alcuni cenni, per ricollegarci ai riferimenti cinematografici che ci interessano, dal momento che San Pietro compare in molti film (“L’avventura”, 1970, “Brutti sporchi e cattivi”, 1976, “Il Padrino parte III”, 1990, per citarne alcuni) anche se sempre ricostruita in altre location, da Cinecittà ai palazzi nobiliari sparsi per i Castelli, fino a Los Angeles.”.

La chiesa è il risultato di una stratificazione architettonica millenaria. In origine infatti il luogo ospitava una necropoli romana, dove fu sepolto l’apostolo Pietro, per divenire poi basilica sotto Costantino  nel 320, rimaneggiata nel Medioevo, ma totalmente ridefinita a partire dalla metà del 1400, con Papa Niccolò V e soprattutto Giulio II, che affidò il progetto del nuovo impianto della chiesa a Bramante. La storia dei progetti che si sovrapposero e con essi delle varie concezioni della basilica è essa stessa un film, con protagonisti d’eccezione, quali oltre allo stesso Bramante, Raffaello Sanzio, Antonio da Sangallo il Giovane e infine Michelangelo che recuperò il progetto originario e ideò la monumentale cupola.

Accedendo all’interno da uno dei cinque ingressi (o meglio dei quattro, aprendosi il quinto, ovvero la celebre Porta Santa, soltanto in occasione degli anni giubilari), arriviamo in un luogo probabilmente senza eguali, dalle dimensioni grandiose e da una concentrazione inverosimile di opere d’arte.

Nella prima cappella della navata destra si resta attoniti di fronte alla Pietà di Michelangelo, eseguita tra il 1498 e il 1499 dall’artista allora trentenne, che lasciò la sua forma sulla fascia posta sul petto della Madonna.

Troneggia, sotto la cupola e al di sopra della tomba di Pietro (dove in “Angeli e demoni” è posta la bomba che verrà fatta esplodere in cielo), il baldacchino in bronzo di Gian Lorenzo Bernini, alto quanto Palazzo Farnese e quintessenza dell’arte barocca.

E poi, la meraviglia dei mosaici: la Trasfigurazione di Raffaello, in copia, il magnifico mosaico della Navicella di Giotto. E poi statue, tombe e la stessa architettura, opera d’arte in sé: non si può non restare senza parole alzando gli occhi verso la cupola michelangiolesca, illuminata dai suoi sedici finestroni in uno straordinario gioco di luce.

Salendo i gradini del Cupolone, tra l’emozione e la vertigine che provoca il panorama su Roma, concludiamo questa passeggiata così come l’avevamo iniziata: insieme a Marcello Mastroianni, che ne “La dolce vita” (1960)  insegue Sylvia (Anita Ekberg) sulla salita alla cupola. Una volta in cima,  lui fa  per avvicinarsi alla donna, ma il vento gli ruba la scena facendo volare il cappello di Sylvia, che prorompe in una vitale e gioiosa risata, in una leggerezza che solo Fellini sapeva ricreare.

 
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"La buca", Daniele Ciprì torna con la strana coppia Castellitto-Papaleo da la repubblica

Post n°11747 pubblicato il 22 Settembre 2014 da Ladridicinema
 

"La buca", Daniele Ciprì torna con la strana coppia Castellitto-Papaleo
Pubblicato il 18 settembre 2014
Aggiornato il 18 settembre 2014

Dopo il successo del suo primo film senza Maresco, "È stato il figlio", il regista di Cinico Tv torna a proporre il suo mondo grottesco senza tempo né luogo definito. E' la storia dell'incontro tra un avvocato truffaldino e un innocente che si è fatto 27 anni di galera

Due anni dopo la presentazione alla Mostra di Venezia di È stato il figlio, vincitore dell'Osella per la miglior fotografia e il premio Mastroianni all'esordiente, Daniele Ciprì prosegue la sua carriera autonoma lontano dal coautore Franco Maresco con cui ha diviso tanti anni di tv e cinema e porta in sala il 25 settembre in 200 sale La buca, che vede nascere una nuova coppia comica: Sergio Castellitto e Rocco Papaleo. È la storia dell'incontro tra Oscar, avvocato fallito che vive di piccole truffe, e Armando, ex detenuto innocente appena uscito di galera dopo aver scontato 27 anni di carcere al posto di un altro. Oscar è convinto di poter far ottenere ad Armando un risarcimento milionario, così inizia una strana convivenza. Tra loro una barista dal cuore sensibile, Carmen (Valeria Bruni Tedeschi), e un bastardino, Internazionale, che nella vita vera è un cane-attore figlio d'arte, Sioux, i cui nonni e genitori sono già celebri su piccolo e grande schermo.{}

  • Presentazione del film di Daniele Ciprì "La buca" con un trio di attori: Sergio Castellitto, Rocco Papaleo e Valeria Bruni Tedeschi. Ma i flash sono scattati soprattutto per l'attore a quattro zampe Sioux che nel film interpreta il metticcio Internazionale. Per la prima volta sul grande schermo Sioux è figlio d'arte: il nonno ha recitato con Fiorello in uno spot, la nonna è star di piccolo e grande schermo ("Amore a prima vista") ma anche i genitori sono divi a quattro zampe


Dal bus al grande schermo passando da un cartoon. "Sono partito da un'idea realistica, io rubo caratteri che vedo girando per la città in bus o in metro poi però li porto nel mio immaginario, un luogo dove il cinema del passato è più frutto di un'evocazione che una citazione", dice Daniele Ciprì. "La mia intenzione di intenti ho voluto fosse chiara fin dai titoli di testa in forma di cartoon... volevo che la mia storia fosse chiaramente una favola in forma di disegno. Per questo ho scelto di girare in pellicola, possiamo considerare La buca il mio film in vinile. Con il mio cinema mi piace raccontare qualche cosa che esiste ma spostandolo in un contesto grottesco, surreale, che mi allontana molto dal resto del cinema italiano. Non sono mai stato realista, quando Wim Wenders è venuto a Palermo in cerca di sopralluoghi ha chiamato noi ma gli abbiamo spiegato che non siamo le persone giuste".

Nella strana coppia di "La buca", il nuovo film di Daniele Ciprì, c'è spazio anche per una donna. E' la barista Carmen dall'animo sensibile con un passato insieme all'uno e un possibile futuro insieme all'altro. In sala dal 25 aprile


Buoni e cattivi. "Per il personaggio di Armando ho tenuto a mente una frase di Nelson Mandela che uscito dopo tanti anni di prigione ingiusta è stato capace di non provare rancore. Con le dovute differenze il mio personaggio è così", spiega Rocco Papaleo. "Con Sergio abbiamo creato una certa chimica e anche un rapporto umano, i set cinematografici sono fatti di brevi accensioni e di lunghe attese e durante queste lunghe attese, in camerini poco riscaldati, di fronte a un piatto di spaghetti al sugo un po' aciduli, abbiamo scoperto di essere amici". "Oscar è cattivo, e cosa c'è più divertente per un attore che interpretare un cattivo. In fondo poi lui è uno che dà una spiegazione filosofica alle sue truffe, la chiama filosofia del diritto", interviene Castellitto. "Avevo appena finito di girare 35 episodi seduto su una poltrona (la serie tv In Treatment) e con questo ruolo mi sono potuto scatenare fisicamente mettendo in scena una recitazione veloce, al limite dell'inciampo".
  • Una nuova coppia per il cinema italiano, sono Sergio Castellitto e Rocco Papaleo nel nuovo film di Daniele Ciprì "La buca". Il regista palermitano torna con un suo film (intensa anche la sua attività di direttore della fotografia per altri da Bellocchio a Guzzanti) che racconta l'incontro tra un avvocato truffaldino e un innocente che ha scontato 30 anni di prigione ingiustamente. Tra loro anche la barista Valeria Bruni Tedeschi


Un po' Dino Risi, un po' Billy Wilder. Il film è ambientato in una città senza chiari riferimenti geografici (girato tra Cinecittà e la periferia romana) in un tempo sospeso che mutua costumi e scenografie del cinema americano degli anni Quaranta e Cinquanta. L'evocazione di cui parla Ciprì mette in campo due grandi scuole di cinema: la commedia all'italiana alla Vittorio De Sica, Dino Risi e Mario Monicelli e quella americana di Blake Edwards, Frank Capra, Billy Wilder. Una scena in particolare sembra richiamare La strana coppia con Jack Lemmon e Walter Matthau. "Naturalmente non li abbiamo rivisti perché questi film sono dentro di noi", assicura Castellitto, "e poi i iriferimenti sono comodi, utili, però mentre reciti te li devi dimenticare, magari tra cinquant'anni saremo noi a far da riferimento a qualcun altro. Certo è stato divertente pensare al boccolo di Walter Matthau o alla arguta innocenza di Jack Lemmon. C'è qualcosa di molto serio dietro a tutta questa risata, a questo sberleffo, c'è il racconto molto italiano che l'illegalità è una forma dell'intelligenza, e che invece la legalità è roba da coglioni. Sono appena tornato dal Canada (dove è stato presidente di giuria del festival di Montreal, ndr) dove ho trovato una maglietta che ha lo slogan perfetto per il personaggio di Oscar: 'un buon avvocato conosce la legge, un grande avvocato conosce il giudice'".
 
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European Film Awards 2014: tra i 50 film selezionati Paolo Virzì, Uberto Pasolini e Alice Rohrwacher da cineblog.it

Post n°11746 pubblicato il 22 Settembre 2014 da Ladridicinema
 
Tag: eventi, news

Scritto da: mercoledì 17 settembre 2014

 

Il Capitale Umano, Still Life e Le Meraviglie. Questi i 3 film italiani in corsa per gli European Film Awards 2014

 

 

 

Un anno dopo il trionfo de La grande bellezza, che battè tra le altre cose anche il 'nostro' La migliore offerta di Giuseppe Tornatore, tornano gli European Film Awards 2014, con i 50 titoli raccomandati per almeno una nomination finalmente diventati ufficiali. Tra questi, direttamente da Riga, Capitale Europea della Cultura 2014 che ospiterà la 27ma edizione degli EFA, spiccano 3 italiani. Ovvero Il capitale umano di Paolo Virzì (Italia), le coproduzioni Still Life di Uberto Pasolini (UK/Italia) e Le meraviglie di Alice Rohrwacher (Italia/Germania/Svizzera).

31 i Paesi europei rappresentati, per quello che potremmo definire uno spaccato della grande varietà del cinema europeo. Nei 20 paesi con il maggior numero di membri EFA, questi ultimi hanno votato direttamente un film nazionale da inserire nella lista di selezione. A completamento della lista, un Comitato di Selezione composto dai membri dell' EFA Board e da 6 esperti - Mark Adams (UK), Marit Kapla (Svezia), Stefan Kitanov (Bulgaria), Paz Lázaro (Spagna), Christophe Leparc (Francia) e Elma Tataragic (Bosnia & Herzegovina) - ha incluso altri film. Nelle prossime settimane, gli oltre 3.000 membri dell'European Film Academy voteranno per le nomination nelle categorie Film, Regista, Attore, Attrice e Sceneggiatore Europeo. Le nomination saranno annunciate l'8 Novembre al Seville European Film Festival, in Spagna. Ad una giuria composta da 7 membri spetterà, invece, il compito di assegnare i premi per le categorie Direttore della Fotografia, Montatore, Production Designer, Costume Designer, Compositore e Sound Designer Europeo.

La cerimonia di premiazione si terrà a Riga il 13 Dicembre prossimo. Dietro la Germania che ha vinto per ben 7 volte si trova proprio l'Italia, con 6 trionfi, seguita dai 5 della Francia e dai 4 dell'Inghilterra. Questi i 50 film in corsa per gli European Film Awards 2014.

 


LA LISTA DI SELEZIONE 2014

ALIENATION - ОТЧУЖДЕНИЕ (OTCHUJDENIE), Bulgaria
DIRETTO DA:Milko Lazarov

AMOUR FOU , Austria/Lussemburgo/Germania
SCRITTO& DIRETTO DA:Jessica Hausner

BEAUTIFUL YOUTH
 - HERMOSA JUVENTUD 
Spagna/Franceia 

DIRETTO DA:Jaime Rosales

BIRD PEOPLE 
Francia
DIRETTO DA:Pascale Ferran

BLIND 
Norvegia /Olanda
SCRITTO& DIRETTO DA:Eskil Vogt

BLIND DATES 
 - SHEMTKHVEVITI PAEMNEBI 
Georgia

DIRETTO DA:Levan Koguashvili

CALVARY 
Irlanda/UK

SCRITTO& DIRETTO DA: John Michael McDonagh

CANNIBAL
 - CANÍBAL Spagna/Romania/Russia/Francia 

DIRETTO DA:Manuel Martín Cuenca

CLASS ENEMY - 
RAZREDNI SOVRAŽNIK  Slovenia
DIRETTO DA:Rok Biček

CONCRETE - NIGHT 
BETONIYÖ  Finlandia/Svezia/Danimarca 

DIRETTO DA:Pirjo Honkasalo

DREAMLAND 
- TRAUMLAND 
Svizzera/Germania 

SCRITTO& DIRETTO DA:Petra Volpe

FAIR PLAY 
Repubblica Ceca/Slovacchia/Germania
SCRITTO& DIRETTO DA: Andrea Sedlackova

FORCE MAJEURE
 TURIST 
Svezia/Danimarca/Francia/Norvegia
SCRITTO& DIRETTO DA: Ruben Östlund

FRANK 
UK/Ireland
DIRETTO DA: Lenny Abrahamson

GIRLHOOD - 
BANDE DE FILLES 
Francia
SCRITTO& DIRETTO DA: Céline Sciamma

GOODBYE TO LANGUAGE 
- ADIEU AU LANGAGE 
Francia
SCRITTO& DIRETTO DA:Jean-Luc Godard

HOME FROM HOME, CHRONICLE OF A VISION 
- DIE ANDERE HEIMAT, CHRONIK EINER SEHNSUCHT 
Germania/Francia
DIRETTO DA: Edgar Reitz

IL CAPITALE UMANO  Italia
DIRETTO DA: Paolo Virzì

IDA Polonia/Danimarca
DIRETTO DA: Pawel Pawlikowski

IN ORDINE DI SPARIZIONE - 
KRAFTIDIOTEN 
Norvegia/Danimarca/Svezia

DIRETTO DA: Hans Petter Moland

KERTU. LOVE IS BLIND 
- KERTU 
Estonia
SCRITTO & DIRETTO DA: Ilmar Raag

LEVIATHAN - 
LEVIAFAN 
Russia 

DIRETTO DA: Andrey Zvyagintsev

LIFE IN A FISHBOWL 
VONARSTRÆTI 
Islanda/Svezia/Finlandia/Repubblica Ceca
DIRETTO DA: Baldvin Zophoníasson 


VIVERE E' FACILE COB GLI OCCHI CHIUSI - 
VIVIR ES FÁCIL CON LOS OJOS CERRADOS
 
Spagna
SCRITTO& DIRETTO DA:David Trueba

LOCKE 
UK
SCRITTO& DIRETTO DA: Steven Knight

MACONDO 
Austria 

SCRITTO& DIRETTO DA: Sudabeh Mortezai

MISS VIOLENCE 
Grecia
DIRETTO DA: Alexandros Avranas

MR. TURNER UK/Francia/Germania
SCRITTO& DIRETTO DA: Mike Leigh

NYMPHOMANIAC DIRECTOR'S CUT - VOLUME I & 2 
Danimarca/Germania/Francia/Belgio
SCRITTO& DIRETTO DA: Lars von Trier

OF HORSES AND MEN 
- HROSS Í OSS 
Islanda/Norvegia/Germania
SCRITTO& DIRETTO DA: Benedikt Erlingson

PAPUSZA 
Polonia
SCRITTO& DIRETTO DA: Joanna Kos-Krauze & Krzysztof Krauze

STARRED UP 
UK 

DIRETTO DA: David Mackenzie

STILL LIFE 
UK/Italia 

SCRITTO& DIRETTO DA: Uberto Pasolini

STRATOS 
TO MIKRO PSARI Grecia/Germania/Cipro
DIRETTO DA: Yannis Economides

THAT LOVELY GIRL
 - HARCHEK ME HEADRO  Israel
e
SCRITTO& DIRETTO DA: Keren Yedaya

THE DARK VALLEY 
- DAS FINSTERE TAL
 Austria/Germania
DIRETTO DA: Andreas Prochaska

THE KINDERGARTEN TEACHER 
- HAGANENET 
Israele/Francia
SCRITTO& DIRETTO DA: Nadav Lapid

THE LAMB
KUZU 
Turchia/Germania
SRITTO, DIRETTO & PRODOTTO DA: Kutlug Ataman

LA TRIBU'
 - PLEMYA 
Ucraina
SCRITTO & DIRETTO DA: Myroslav Slaboshpytskiy

LE MERAVIGLIE 
Italia/Germania/Svizzera
SCRITTO & DIRETTO DA: Alice Rohrwacher

DUE GIORNI UNA NOTTE 
 - DEUX JOURS, UNE NUIT 
Belgio
SCRITTO, DIRETTO & PRODOTTO DA: Jean-Pierre & Luc Dardenne

UNDER THE SKIN UK
DIRETTO DA: Jonathan Glazer 
SCRITTO DA: Walter Campbell & Jonathan Glazer

VIOLETTE 
Francio/Belgio
DIRETTO DA: Martin Provost

WALESA 
Polonia
DIRETTO DA: Andrzej Wajda

WE ARE THE BEST! 
- VI ÄR BÄST! 
Svezia/Danimarca
SCRITTO & DIRETTO DA: Lukas Moodysson

WHEN EVENING FALLS ON BUCHAREST OR METABOLISM 
- CÂND SE LASA SEARA PESTE BUCURESTI SAU METABOLISM 
Romania/Francia
SCRITTO & DIRETTO DA: Corneliu Porumboiu

WHITE GOD 
FEHÉR ISTEN 
Ungheria/Germania/Svezia
DIRETTO DA: Kornél Mundruczó

IL REGNO D'INVERNO 
- KIŞ UYKUSU  Turchia/Francia/Germania
DIRETTO DA: Nuri Bilge Ceylan 
SCRITTO DA: Ebru Ceylan & Nuri Bilge Ceylan

WOLF Olanda
SCRITTO& DIRETTO DA: Jim Taihuttu

WOUNDED 
LA HERIDA 
Spagna 

DIRETTO DA: Fernando Franco

 
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Tartarughe Ninja senza rivali

Post n°11745 pubblicato il 22 Settembre 2014 da Ladridicinema
 

Box Office Italia
In Italia le Tartarughe Ninja non hanno rivali e ottengono il primo posto con 1.6 milioni di euro, incassati in un weekend tutt'altro che memorabile. Al secondo posto resiste Sex Tape - Finiti in rete, che sfiora i 2 milioni complessivi, mentre al terzo posto scende Colpa delle stelle che può contare su 4.5 milioni totali. E le new entry? Bella domanda! Tutte deludenti. La migliore è La preda perfetta, che apre con 405mila euro, seguito da Un ragazzo d'oro con 371mila. L'Ape Maia - Il Film è settima, con 361mila euro, mentre Anime nere finisce nono con 247mila euro (ma ha un media per sala migliore delle altre new entry). Fuori dalla top ten finiscono Resta anche domaniLa nostra terraQuel momento imbarazzante e Jimi - All Is By My Side, che comunque ottiene una delle migliori media copia del weekend con 1854 euro per copia. Gli italiani veneziani sono già spariti dal radar. La prossima settimana arrivano La BucaL'incredibile storia di Winter il delfino 2Lucy (probabile numero 1) e Pasolini

Box Office Usa
Rivoluzione, finalmente, nell'asfittico box office americano, reduce da una delle peggiori estati degli ultimi anni, grazie alle tre new entry settimanali che vanno ad occupare interamente il podio. Stravince Maze Runner - Il labirinto(di cui è già stato annunciato il sequel nel 2015...) che chiude con oltre 32 milioni di dollari, mentre per un soffio A Walk Among the Tombstones, l'action con Liam Neeson che in Italia è stato ribattezzato La preda perfetta superaThis is Where I Leave You per 13 milioni a 11.8. Già in calo le nuove entrate delle ultime settimane, mentre resiste Guardiani della Galassia, arrivato a 313 milioni in America e 632 milioni in tutto il mondo (in Giappone è partito maluccio). Il Marvel movie dovrebbe superare senza problemi quota 700, ma gli 800 milioni sembrano difficili da superare a meno che in Cina il film non abbia un exploit. Da segnalare Lucy, arrivato worldwide a 377 milioni di dollari e certo di passare quota 400, uno dei migliori risultati di sempre per Luc Besson. La prossima settimana a sfidarsi saranno l'animato Boxtrolls - Le scatole magiche, nuova fatica dello Studio Laika e l'action The Equalizer - Il vendicatore con il sempiterno Denzel Washington

 
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L'arguzia e la saggezza di Tyrion Lannister da fantasymagazine.it

Post n°11744 pubblicato il 22 Settembre 2014 da Ladridicinema
 

Riunite insieme le migliori batture del personaggio più amato da George R.R. Martin.

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Come ben sa Tyrion Lannister, “Le menzogne migliori hanno sempre un pizzico di verità”. Così, anche se i libri delle Cronache del ghiaccio e del fuoco occupano da alcuni anni posizioni importanti nelle classifiche di vendita, se qualcuno dicesse che l’ultimo volume di George R.R. Martin arrivato in Italia è ciò che i fan aspettavano da tempo, mentirebbe.

L’arguzia e la saggezza di Tyrion Lannister, per quanto legato alle Cronache del ghiaccio e del fuoco, non è che un librettino di contorno alla saga che raccoglie le battute più divertenti pronunciate da Tyrion nel corso dei cinque romanzi fin qui pubblicati dallo scrittore americano.

Voluto e curato da Jane Johnson, l’editor inglese di Martin, il libro è illustrato da Jonty Clark, attivo come caricaturista e illustratore freelance dal 1997.

 

Più atteso è Il mondo del ghiaccio e del fuoco. L’enciclopedia del trono di spade, volume enciclopedico riccamente illustrato volto ad approfondire il mondo creato da Martin grazie a numerosi testi inediti. Coautori del libro insieme a George sono Elio Garcia e Linda Antonsson. L’enciclopedia è attesa per il 28 ottobre sia nell’edizione originale che nella traduzione italiana. Lo stesso giorno dovrebbero arrivare in libreria l’edizione in pelle di drago del quarto romanzo delle CronacheA Feast for Crows, e quella economica dell’antologia di racconti I re di sabbia.

 

Un ulteriore volume, che è provvisoriamente intitolato La principessa e la regina, è previsto per l’inizio del 2015. Il titolo del libro deriva dall’omonimo racconto pubblicato da Martin nel 2013 nell’antologia Dangerous Women. Al momento non è noto se Mondadori tradurrà l’intero volume o solo una parte, come già fatto in passato con altre antologie.

Non ci sono invece novità sul volume che i fan stanno davvero aspettando,The Winds of Winter. Tutto quello che si sa è che l'autore sta ancora scrivendo.

 

L’autore

 

 

George R.R. Martin (Bayonne, New Jersey, 1948) è diventato famoso per leCronache del Ghiaccio e del Fuoco, iniziate nel 1996 con A Game of Thrones. Sceneggiatore per il cinema e la televisione, ha pubblicato racconti e romanzi di fantascienza a partire dal 1971 vincendo numerosi premi tra cui l'Hugo, il Nebula, il Bram Stoker e il Locus. Con Mondadori ha pubblicato i libri delle Cronache del ghiaccio e del fuoco, le raccolte di racconti Le torri di cenereI re di sabbia e Il viaggio di Tuf, i romanzi Il Pianeta dei Venti (scritto con Lisa Tuttle) e Il drago di ghiaccio e la serie di romanzi a mosaico da lui coordinataWild Cards, mentre con Gargoyle ha pubblicato i romanzi In fondo il buioIl battello del delirio e Armageddon Rag.

 

George R.R. Martin, L’arguzia e la saggezza di Tyrion Lannister (The Wit and Wisdom of Tyrion Lannister, 2013)

illustrato da Jonty Clark

Mondadori — Oscar Varia — Pagg. 168 — 12,00 €

ISBN 9788804645597

 
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Il padrone della festa da rockol.it

Post n°11743 pubblicato il 22 Settembre 2014 da Ladridicinema
 

di Gianni Sibilla

Un disco inevitabile, persino prevedibile. Sapevamo che prima o poi sarebbe arrivato, chi segue Fabi Gazzé e Silvestri lo aspettava da anni. Il primo pensiero, ascoltando “Il padrone della festa” di Niccolò Fabi, Daniele Silvestri e Max Gazzé è: come mai solo ora? Suonano assieme da sempre - sulla cosiddetta “scuola romana” degli anni ’90 si è detto e scritto tutto quello che si poteva dire e scrivere. Si parlava di una loro partecipazione a Sanremo sei mesi fa - o almeno così desiderava Fazio. Ma in quel caso, come in questo disco, i tre si sono presi il loro tempo e aspettato il momento giusto. Un "progetto", si sarebbe detto una volta, che prevede anche un tour.
Il secondo pensiero è che questo disco è quasi come te lo aspetti: li conosciamo bene, conosciamo e apprezziamo la loro bravura. Conosciamo le loro diverse doti individuali nella musica: la grazia e la poetica di Fabi, l’inventiva di Silvestri e l’estro melodico di Gazzé. Ecco, questo è uno di quei casi in cui la prevedibilità è un piacere, fin dalle prime note. “Alzo le mani” è una dichiarazione di intenti, fatta con understatement, nei suoni come nelle parole: “Io non suonerò mai così/Posso giocare, intrattenere, far tornare il buon umore o lacrimare”, dicono dopo un elenco di immagini sonore che sostengono di non poter raggiungere con la loro musica.



Il vero pregio di questo album è proprio il suono. Caldo, minimale, curatissimo: hanno usato una strumentazione fatta arrivare dagli studi di Abbey Road. Non è questione di luddismo o di sostenere che le cose vintage suonano meglio a prescindere - non è sempre così. Però non c’è una nota fuori posto, in queste canzoni - ed è merito della lucidità degli arrangiamenti e anche degli amici che ci suonano: Roberto Angelini, Adriano Viterbini dei BSBE, Paolo Fresu, tra gli altri.
In realtà disco ha solo sei canzoni scritte a sei mani sulle dodici presenti. Queste canzoni seguono quasi sempre una struttura abbastanza consolidata e perfettamente funzionante ( raccontata bene in quest’intervista a Piero Negri su La Stampa): idea poetica di Fabì, divagazioni stilistiche di Silvestri e le svolte impreviste di Gazzé. Sono proprio le doti individuali di cui dicevamo sopra messe al servizio del collettivo, per trasformarsi in brani come "Life is sweet" e "L'amore non esiste".
Spiace che siano solo la metà del disco, queste canzoni scritte assieme. Le altre sono belle, ma sono più “tipiche” dei loro autori che le cantano individualmente con gli altri due a supporto: Fabi per “Canzone di Anna” e “Giovanni sulla spiaggia”; Gazzé per “Il dio delle piccole cose”, “Areenico” e “L’avversario”; Silvestri per “Zona Cesarini”.
Prevedibile, inevitabile, e tutti quegli aggettivi lì, dicevamo. Aggettivi che possono avere una connotazione non positiva, e che invece qua suonano benissimo. La classe non è acqua, non solo nelle canzoni, ma anche nello scegliere tempi e modi di un disco come questo: rimane solo da sperare che questo "progetto" vada avanti oltre i concerti di questo autunno.

TRACKLIST:

Alzo le mani
Life is sweet
L'amore non esiste
Canzone di Anna
Arsenico
Spigolo tondo
Come mi pare
Giovanni sulla terra
Il dio delle piccole cose
L'avversario
Zona Cesarini

 
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Cento anni fa nasceva Pietro Germi, il regista che raccontò i difetti degli italiani da optimaitalia

Post n°11742 pubblicato il 22 Settembre 2014 da Ladridicinema
 
Tag: news, STORIA

I suoi drammi e commedie offrono un ritratto perfetto dell’Italia ipocrita del dopoguerra. Per molti anni è stato sottovalutato dalla critica, perché non era comunista. E qualche diffidenza resta ancora oggi.

Pietro Germi, nato a Genova il 14 settembre di cento anni fa, è stato uno dei maestri del cinema italiano. L’affermazione oggi è banale, ma non è sempre stato così. Per lungo tempo, nonostante il successo di pubblico, la critica lo ha bistrattato, ritenendolo al massimo un buon artigiano. E qualcosa dell’antica diffidenza deve restare se, in occasione dell’anniversario, non si segnalano iniziative di peso: il festival del cinema di Venezia, appena concluso, avrebbe potuto cogliere l’occasione e dedicargli un omaggio.

Germi non piaceva: non andava bene il suo carattere taciturno e scontroso – “un capitano degli alpini”, diceva Mastroianni –, che in un ambiente come quello del cinema, avvezzo a personaggi estroversi alla Fellini, gli alienò non poche simpatie. Insospettiva poi che, negli anni del neorealismo, il regista preferisse ispirarsi al cinema di genere hollywoodiano, mescolando le sue storie profondamente italiane con modelli narrativi americani. Il film d’esordio Il testimone (1946), storia di un ex galeotto ingiustamente incarcerato che decide di uccidere il testimone che lo aveva fatto imprigionare, è un noir. In nome della legge (1949), ritratto in anticipo sui tempi della mafia siciliana, ha le cadenze di un western – la sua analisi del fenomeno, va detto, non è priva di ambiguità. Il cammino della speranza (1950), viaggio in Italia di un gruppo di minatori siciliani che vogliono emigrare in Francia, è debitore di Furore di John Ford: per come ritrae i diseredati, con rispetto e adesione; e per una cura formale, a partire dalla fotografia satura come il fondo di una miniera, che ha poco da invidiare al cinema americano.

Dalle trame si capisce che l’interesse di Germi andava agli stessi umiliati e offesi al centro delle pellicole neorealiste. Il problema è che Germi non era comunista. Era dichiaratamente socialdemocratico, amico di Saragat, e questo lo rese inviso alla critica, in larga parte ideologicamente vicina al partito comunista e maldisposta verso un autore che rappresentava sì la dura vita dei lavoratori, ma senza individuare nella lotta di classe la chiave per il riscatto. Nei racconti di ambiente operaio, come Il ferroviere (1956) e L’uomo di paglia (1958) – nei quali interpretò anche i ruoli principali – Germi si concentrò sulla crisi personale degli uomini e sulla disgregazione della famiglia, senza dare troppo peso, come avrebbe preteso la critica, alla coscienza proletaria. Non sarebbe difficile raccogliere un florilegio dei giudizi sui suoi film: quando andava bene lo accusavano di essere “volgare” – la stessa critica che facevano a Billy Wilder che, guarda caso, dichiarò che Germi era il regista italiano a cui si sentiva più vicino. Nel 1959 girò Un maledetto imbroglio (1959), riduzione molto libera di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda: e volle giustamente recitare la parte del protagonista, il commissario Ingravallo, che molto gli somigliava per scontrosità e pessimismo. Non si era mai visto un poliziesco così in Italia: per il compiuto ritratto d’ambiente romano e per come delineava la vita di commissariato, con gente che mescola toni spicci a una comprensione umana che deriva dalla praticaccia del mondo.

 

Con il passaggio alla commedia mise a segno i suoi capolavori. Divorzio all’italiana (1961), grande successo internazionale, è il ritratto al vetriolo di una Sicilia incardinata su riti tribali immodificabili, un film di corrosiva lucidità antropologica. Mastroianni, l’indimenticabile barone Fefé Cefalù, come un raisonneur pirandelliano fa leva sulle leggi di quel mondo per sbarazzarsi della moglie, costruendole un amante su misura e potendola quindi uccidere ai sensi della norma sul codice d’onore. Il che significa minimo della pena e coronamento del sogno d’amore per Angela, una giovanissima Sandrelli. Il giudizio di Germi, accentuato sino al grottesco nel meno calibrato Sedotta e abbandonata (1964), riguarda tutto il paese, e sbaglierebbe chi volesse leggere nello sguardo del genovese Germi pregiudizi antimeridionali. Lo confermò il film con cui vinse la palma d’oro a Cannes, Signore e signori (1966), radiografia della mutazione in corso nel Nord-est: il ritratto corale di una città – una riconoscibile Treviso – in cui gli intrecci di corna sono gli stessi dai tempi di Boccaccio, ma aggiornati e incattiviti dall’onnipresenza del denaro, che ritma le esistenze dei protagonisti, tutti stimati professionisti. Sesso e soldi come motore del mondo: la stessa “volgare” ricetta dei film di Wilder, cui si aggiunge, poiché siamo in Italia, la religione. Da Signore e signori la chiesa esce malissimo: “La chiesa non dovrebbe mai mescolarsi con le autorità; e lì invece lo fa più che altrove, e ciò rientra sempre in quel quadro di ipocrisia che è uno dei temi del film”, scrisse il regista.

L’Italia del boom e del capitalismo spiazzò l’umanesimo populista di Germi, più a suo agio con sanguigni contadini e proletari che con questa borghesia fatua e consumista. Forse per questo nelle ultime pellicole faticò a trovare la giusta misura: come in Serafino (1968), grande successo ma di retroguardia, anche formale, che di fronte all’impazzimento sociale preferisce chiudersi in uno scenario agreste. Con il merito però di trovare il primo ruolo adatto alla vena anarchica e ruspante di Adriano Celentano.

Gli ultimi decenni hanno ristabilito l’esatta misura delle cose. È finito il linciaggio ideologico e la critica oggi parla di Germi con crescente rispetto, a partire dal documentatissimo volume di Mario Sesti, Tutto il cinema di Pietro GermiResta almeno un rammarico: che il regista non sia riuscito a girare il progettato Amici miei, per la malattia a cui si sarebbe arreso a soli sessant’anni. Lo realizzò l’amico Mario Monicelli, che nei titoli di testa volle mettere, ed è più di un semplice omaggio, “un film di Pietro Germi”. Monicelli ne trasse un film bellissimo, funebre e ilare: ma chissà che cosa sarebbe stato capace di fare Germi.

 
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I Quattrocento colpi, il capolavoro di Truffaut tornerà in sala da il fatto quotidiano

Post n°11741 pubblicato il 22 Settembre 2014 da Ladridicinema
 

Da fine settembre 2014 e per un mese il film del maestro francese torna al cinema. Primo tassello della seconda stagione dei restauri della Cineteca di Bologna che veranno distribuiti in sala. A ottobre sarà la volta di Gioventù bruciata di Nicholas Ray e a dicembre Tempi Moderni di Charlie Chaplin
I quattrocento colpi

“Il film di domani sarà un atto d’amore”. L’ha scritto François Truffaut il 15 maggio del 1957 quando ancora era un ‘giovane turco’ della Nouvelle Vague, o meglio un combattivo critico cinematografico dei Cahiers du Cinema e della rivista più destrorsa Arts. Truffaut spiegava il cinema che sarebbe arrivato di lì a pochi anni: “Più personale di un romanzo, diario intimo (…) il film di domani sarà girato da avventurieri”. E infatti nel 1959 ecco il primo lungometraggio del più vulcanico e provocatore della truppa teorica dei Cahiers che diventerà fucina di cineasti – Godard, Rohmer, Rivette, Chabrol

I quattrocento colpi è l’opera prima per antonomasia, la gemma filmica che sboccia perché attesa, innaffiata, covata e voluta per anni. La sequenza di Antoine Doinel che corre a perdifiato verso il mare, carrellata/camera car che fa storia anche della tecnica cinematografica, è il manifesto del cinema che si trasforma e che non sarà più lo stesso, come volle la Nouvelle Vague e tutte le ‘nuove onde’ nazionali europee e non solo. Un lungo prologo della memoria per spiegare quanto sia importante che I Quattrocento colpi torni ad essere proiettato in una vera sala cinematografica, in prima visione, da Aosta a Palermo, da fine settembre 2014 e per un mese.

Il primo tassello della seconda stagione dei restauri della Cineteca di Bologna che vengono distribuiti in sala (a ottobre Gioventù bruciatadi Nicholas Ray e a dicembre Tempi Modernidi Chaplin) rimarrà il più importante e delicato esordio della storia del cinema. Le cronache raccontano di un accoglienza strepitosa alFestival di Cannes il 4 maggio 1959, con titoli di quotidiani e riviste che subito riconoscono il nuovo arrivato come colui che dalle parole e dalle colonne teoriche dei Cahiers è passato ai fatti. Distrutto con stile irriverente il “cinema di papà” bolso, da studio system e, badate bene, molto di ‘sinistra’ nella Francia dell’epoca, quello firmato Delannoy, Autant-Lara e Clement, Truffaut costruisce la sua opera del cuore e dell’anima, tecnicamente innovativa (anche se la summa della rottura estetica della Nouvelle Vague è Fino all’ultimo respiro di Godard, che arriverà l’anno dopo ndr), produttivamente avventurosa come aveva previsto su Arts anni prima. 47 milioni di franchi di budget (circa 50 mila dollari dell’epoca), I Quattrocento colpi vede la luce dopo il cortometraggio Les Mistons (1957), dopo che lo stesso Truffaut aveva scartato l’ipotesi di girare Temps Chaud, ma soprattutto dopo che il critico Truffaut era stato cacciato da Cannes come giornalista accreditato per via dei violenti strali lanciati sul festival l’anno precedente: “Se non intervengono cambiamenti radicali il festival è condannato”, scrisse su Arts. Solo che questa volta i cambiamenti li porta lui girando in piena Parigi e tra appartamenti prestati gentilmente da amici la storia autobiografica di Antoine Doinel, irrequieto fanciullo che non accetta le regole istituzionali di scuola, famiglia e società per finire poi in riformatorio.

I denari per iniziare li mette il neosuocero, Ignace Morgenstern. Poi arriva l’aiuto allo script dello scrittore Marcel Moussy, infine l’acquisto del direttore della fotografia di Melville: Henri Decae. Si gira rapidi tra angusti sottoscala e spazi scolastici lasciati vuoti per le vacanze di Natale. Dai primi di novembre del ’58 al 5 gennaio 1959 tra Place Clichy, Rue Marcadet a Montmartre e la trasferta a Villers sur Mer in Normandia, il film prende corpo. Un mese di montaggio e il capolavoro si chiude tanto da renderlo pronto per Cannes a nemmeno 60 giorni di distanza: tempistica che nell’era di Internet rimane insuperata.

I Quattrocenti colpi è anche un immediato successo commerciale non da poco che rientra delle spese e subito duplica e triplica gli incassi, fino ad essere venduto in tutto il mondo. L’attore allora quattordicenne Jean Pierre Leaud che interpreta Doinel, l’alter ego negli anni di Truffaut, protagonista di altre pellicole dirette dal nostro, diventa una star scontrosa ma popolare. La trasformazione è avvenuta. Tutti da Truffaut a Leaud diventano ‘grandi’ proprio mentre Andre Bazin, il vero ‘padre’ di Truffaut, colui che aveva diretto i Cahiers preconizzando teoricamente i cambiamenti del cinema mondiale, muore a 40 anni di leucemia. Dopo I Quattrocento Colpi il cinema non è davvero stato più lo stesso.

 
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Intervista a Ivano De Matteo: ” ‘I nostri ragazzi’ è un film che fa riflettere” da myreviews.it

Post n°11740 pubblicato il 22 Settembre 2014 da Ladridicinema
 

Scritto da  il 9 set 2014

Ivano-De-Matteo

Spesso criticato, spesso snobbato e troppo spesso sottovalutato. La triste storia del cinema italiano degli ultimi anni è fatta più che altro di facili etichette e di confronti inappropriati con le grandi produzioni americane non considerando però la grande differenza che c’è ad esempio nei budget e nei mezzi a disposizioni dei registi e dei produttori statunitensi. Il cinema italiano però riesce di tanto in tanto a regalare qualche piccola perla, un barlume di speranza per tutti coloro che vorrebbero ripristinare il blasone che esso vantava un tempo anche fuori dalla nostra penisola e in questo senso, se la vittoria agli Oscar de ‘La grande bellezza’ è stata un risposta affermativa del nostro cinema all’appello della cinematografia mondiale, tanti altri film rappresentano queste piccole ‘perle’ che di tanto in tanto ci troviamo sui nostri schermi. Tra queste figura anche ‘I nostri ragazzi‘, film di Ivano De Matteo che vanta un cast di tutto rispetto in cui figurano Alessandro Gassman, Giovanna Mezzogiorno, Luigi Lo Cascio e Barbora Bobulova. Presentato al Festival di Venezia il film ha riscosso numerosi consensi contribuendo così a sottolineare l’ottimo lavoro del regista che si era già segnalato in maniera molto positiva con ‘Gli Equilibristi’, film del 2002 con uno straordinario Valerio Mastandrea. Ivano De Matteo è un regista su cui l’Italia ha tante speranze, che regala film mai banali e con grande attenzioni alle dinamiche familiari, una delle questioni più scottanti e paradossalmente più “nuove”, per come vengono trattate, dei nostri tempi. Non solo regista perché De Matteo è stato ed è anche un noto attore: un Nastro d’Argento come ‘miglior attore in un cortometraggio’ e tante apparizioni in film e serie televisive, tra cui va citata la grande interpretazione in ‘Romanzo Criminale’ in cui vestiva i panni de ‘Er Puma’. Noi di MyReviews abbiamo contattato in esclusiva il regista e attore romano per parlare con lui del suo ultimo film e del suo lavoro.

 

‘I nostri ragazzi’ è da poco giunto al cinema. Ti ritieni soddisfatto del lavoro fatto e cosa puoi dirci del processo creativo che c’è stato dietro alla lavorazione del film?

Del prodotto finale sono molto soddisfatto, soprattutto perché è un film che ha avuto un ottima uscita e in questo primo fine settimana ha avuto un riscontro molto positivo. Io sto girando per diverse città come Torino, Milano, Bologna e Firenze per fare una sorta di piccola tournée in vari cinema e quello che ho notato è che è un film che fa pensare: a fine proiezione parte in automatico un dibattito che si prolunga per tanto tempo perché tutti si sentono coinvolti in questa storia. La storia poi in realtà nasce dal libro di Herman Koch ‘La cena’ che insieme alla mia compagna (l’autrice e sceneggiatrice Valentina Ferlan ndr) abbiamo voluto adattare e trasformare in una realtà più vicina a noi partendo soprattutto da una domanda: “Che cosa faresti se una bravata di tuo figlio si trasformasse in qualcosa di più grande?”

Fanno parte del cast attori di un certo spessoro come Alessandro Gassman, Luigi Lo Cascio e Giovanna Mezzogiorno. Come ti sei trovato a lavorare con loro?

Con alcuni dei sei attori che hanno partecipato al film avevo già lavorato, ad esempio con Barbora Bobulova ma anche Rosabell Laurenti Sellers, che è la più giovane insieme a Jacopo Antinori, ma che già vanta un curriculum di tutto rispetto (comparirà tra l’altro nella nuova stagione di ‘Game Of Throne’ ndr). Gli altri li conoscevo personalmente pur non avendo mai lavorato con loro, solo Giovanna invece non conoscevo se non come bravissima attrice. Sono riuscito a montare il cast che avevo in testa e posso dire che il film è stato scritto avendo già pensato a questi attori per i vari personaggi.

La pellicola è stata presentata anche a Venezia (in cui ha vinto il Label Europa Cinemas): in generale quale è stata l’accoglienza che ha ricevuto al Festival?

Purtroppo ero sul treno quando mi hanno avvertito del Label Europa Cinemas ma ero davvero molto contento perché è un premio importante che fa veicolare i film anche fuori dai confini della nostra nazione, poi quando sono tornato a Roma mi hanno pure detto che abbiamo vinto il premio Pasinetti per il ‘Miglior film’ assegnato dai giornalisti. La soddisfazione è stata massima non solo per i due premi ma anche per aver visto la sala piena e tanti applausi, e anche lì, come è successo poi in altre parti, è nato un dibattito fuori dalla sala. Io penso che l’obiettivo di un film sia far discutere, nel bene o nel male, e aprire appunto una discussione, e quindi non posso che essere molto orgoglioso.

i nostri ragazzi

Non solo regista perché, nel corso della tua carriera, hai avuto anche molti ruoli come attore. Regista o attore, come nasce la voglia di stare dietro la macchina da presa e c’è qualche modello nel corso degli anni a cui ti sei ispirato e a cui ti ispiri?

In realtà io vengo dalla regia perché ho iniziato come regista teatrale. Avevo una compagnia teatrale di cui ero capo comico e c’era una piccola produzione che mi sosteneva ed è partito tutto così, la mia compagna scriveva ed io facevo la regia e l’attore. Poi da lì è iniziata la regia dei documentari , il mio primo documentario vinse un premio speciale al Festival di Torino e mi contattò un produttore che mi propose di fare la regia del mio primo film, ‘Ultimo Stadio’ (2002). Da qui è partito tutto il percorso che mi ha portato ad essere quello che sono oggi, ma da allora le vesti di attore le ho usate soprattutto per cercare di “ammortizzare” gli spazi di tempo tra un mio film e un altro, perché all’inizio passavano più anni mentre adesso sto togliendo piano piano il ruolo di attore per dare più continuità alla mia natura di regista. Venendo dal teatro ho iniziato con un’impostazione tipica del teatro: ad esempio lavoro molto con gli attori, anche prima di un film passo circa un mese-venti giorni a lavorare con loro. Sto cercando di fare un cinema mio, molto personale, ma penso che un po’ tutti anche senza accorgercene ci ispiriamo a qualche modello particolare. Ci sono dei registi della vecchia scuola soprattutto italiana che mi piacerebbe più che “imitare” direi “raggiungere”, pensando ai traguardi a cui sono arrivati, come ad esempio Scola, che ho avuto il piacere di conoscere personalmente e che ho sempre apprezzato per la commedia tagliente e che fa pensare.

Archiviato il lavoro fatto con ‘I nostri ragazzi’ quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Mentre faccio la promozione del film la mia compagna è rimasta a Roma per terminare di scrivere il nuovo film che consegneremo entro il 30 di questo mese e che dovremo fare nel 2015. Dopo di questo, la produzione ha acquistato i diritti di un libro molto importante e dovrei girare un film per la TV, dopo però il progetto che già abbiamo per il cinema. Poi a me piacerebbe realizzare un film un po’ particolare, con pochi soldi ma molto libero, girare con gli attori ed una piccola troupe su un furgone e fare una pellicola un po’ più “underground” per così dire, con meno responsabilità e più libertà. E’ un’idea difficile da produrre, non so se la realizzerò mai, ma chissà, vedremo in futuro.

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Sergio Cammariere: domani torna sulle scene con l’album ‘Mano nella mano’ da radiowebitalia.it

Post n°11739 pubblicato il 22 Settembre 2014 da Ladridicinema
 

Domani, martedì 23 settembre, SERGIO CAMMARIERE ritorna sulle scene musicali con il nuovo album “MANO NELLA MANO” (Sony Music) dove raccoglie l’eredità migliore della grande scuola della Canzone d’autore, con arrangiamenti di alta classe e sonorità di grande atmosfera. Un Sergio Cammariere che va a fondo e scandaglia il senso della vita con atteggiamento positivo e attento. Che racconta, la ricerca di una serenità possibile, con una voce quasi narrante, sottolineata da composizioni musicali accattivanti e raffinatissime
L’album “MANO NELLA MANO” (disponibile in tutti i negozi di dischi e negli store digitali) si compone di undici tracce, dieci canzoni ed un brano strumentale. Gran parte dei testi è firmata da Roberto Kunstler, due intense incursioni liriche sono di Giulio Casale e tra le canzoni, un personalissimo omaggio al maestro e poeta Bruno Lauzi.

Cammariere ha come sempre scelto come compagni di viaggio musicisti di alto profilo, quali l’eclettico Antonello Salis alla fisarmonica, l’amico di sempre Fabrizio Bosso alla tromba e flicorno. Il contributo di due musicisti di autentica cultura brasiliana, Roberto Taufic alla chitarra e Alfredo Paixao al basso. L’incursione vocale di Gegè Telesforo e la sezione ritmica con Amedeo Ariano, batteria e Luca Bulgarelli, contrabbasso e l’arricchimento dato da un generoso Bruno Marcozzi a percussioni e batteria.

Dopo la data zero prevista il 14 Novembre al Teatro Gentile di Fabriano-AN (nell’ambito del progetto ‘Le Residenze d’Artista’ per Fabriano Città Creativa dell’UNESCO), il 22 novembre partirà dal prestigioso Teatro Petruzzelli di Bari, la nuova tournée teatrale di SERGIO CAMMARIERE.

 
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Un ragazzo d'oro

Post n°11738 pubblicato il 22 Settembre 2014 da Ladridicinema
 

Un ragazzo d'oro ultimo film di Pupi Avati, è da considerare probabilmente il suo film più cupo, lento e psicologico ma allo stesso tempo forse un film incompiuto e un'occasione sprecata per come ha deciso di sviluppare l'ottima storia creata e per molti quesiti che chi lo guarda si pone probabilmente alla fine del film sullo sviluppo degli eventi; così come molte domande possono essere poste nel chiedersi perchè abbia scelto alcuni attori. Tranne Scamarcio, forse alla sua più bella interpretazione; il resto è ampiamente sotto la sufficienza. Scamarcio, interpreta un ruolo molto complesso, ovvero la parte di un ragazzo in cura che abusa di psicofarmaci e con una sensibilità spiccata che scoperto di aver giudicato male il padre in vita, diventerà ossessionato dalla voglia di riabilitarlo agli occhi di tutti, ma soprattutto cerca di saziare il suo senso di colpa per averlo abbandonato; arrivando ad un'ossessione che lo porterà a trasformarsi nel ruolo del padre. Si capisce quindi che molte delle sue insicurezze, probabilmente create dalla sua mente; derivano dal rapporto con suo padre Achille Bias, sceneggiatore di film si serie B degli anni 70, che lui odia, e soprattutto teme di condividerne il destino che lui giudica fallimentare. Ancora un film incentrato sulla figura paterna e sul rapporto padre-figlio, vera ossessione del cinema di Pupi Avati che affronta in maniera intima al limite dell'introspezione questo rapporto tra generazioni

 
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