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Messaggi del 25/05/2015
Post n°12401 pubblicato il 25 Maggio 2015 da Ladridicinema
Tag: film in uscita
Post n°12400 pubblicato il 25 Maggio 2015 da Ladridicinema
Tag: trailer
Post n°12399 pubblicato il 25 Maggio 2015 da Ladridicinema
CANNES – Era pronto da impalmare già dalla vigilia di questo 68° Festival di Cannes Jacques Audiard, il cui nuovo film Dheepan era dato tra i favoriti sulla carta. Dodici giorni dopo, sul palco del Grand Théatre Lumière, ci arriva in effetti lui – che ebbe il Gran Premio Speciale della Giuria nel 2009 per Il profeta - per ringraziare di questa Palma d'Oro la giuria guidata dai fratelli Coen, nonché il suo collega Michael Haneke "per non aver girato film quest'anno". Con Il nastro bianco prima e Amour (2012) poi, il cineasta austriaco ha vinto la Palma proprio nelle due precedenti occasioni in cui Audiard ha partecipato al concorso. Il premio a Dheepan celebra il cinema francese tra qualche polemica – su twitter qualcuno ironizza, "ma sono i César o è il festival di Cannes?" - in un'edizione in cui i tanti titoli transalpini messi in concorso hanno fatto spesso storcere il naso alla critica per poi conquistare, alla fine, ben tre riconoscimenti sui sette disponibili, a tutto svantaggio del cinema italiano, che con Moretti, Garrone e Sorrentino aveva fatto una gran bella figura sulla Croisette ma è costretto a tornare a casa a bocca asciutta. Oltre alla Palma di Audiard - che con Dheepan racconta l'odissea di un ex tigre Tamil (combattente separatista dello Sri Lanka) che cerca di costruirsi una nuova vita nella banlieue francese con una famiglia fittizia – la Francia si è aggiudicata il premio per la miglior interpretazione maschile, andato a Vincent Lindon per La loi du marché e quello per la miglior interpretazione femminile, ottenuto ex-aequo daEmmanuelle Bercot per Mon roi di Maïwenn e Rooney Mara per Carol. Accolto da un applauso lunghissimo e molto caloroso, Lindon si è lasciato scappare qualche lacrimuccia nel ricordare che è "La prima volta che ricevo un premio in vita mia". Poi ha citato Faulkner, che "diceva di fare sogni immensi per non perderli di vista mentre li si inseguono" e sottolineato l'atto politico compiuto dal Festival nel mettere in concorso il dramma di Stéphane Brizé sul mondo del lavoro e il film di apertura di Emmanuelle Bercot La Tête Haute, "due film che parlano dei nostri contemporanei". Infine l'attore ha dedicato il riconoscimento "a tutti quelli che non sono considerati all'altezza di cio che meritano". Altrettanto commossa Emmanuelle Bercot, che tra le lacrime ha dichiarato: "E' un premio troppo grande per me sola, ed è un onore dividerlo con un'altra attrice, anche se in questo momento non è qui". A ritirare il premio per Rooney Mara, impegnata a New York, è stato infatti il suo regista Todd Haynes. L'attrice e regista francese ha poi ringraziato il suo co-protagonista Vincent Cassel e la sua regista Maïwenn: "Amo la sua audacia e il suo anticonformismo – dice - poteva avere le attrici più grandi e ha scelto una sconosciuta di 46 anni". Il Gran Premio (una sorta di Palma d'Argento) è andato all'ungherese Laszlo Nemes per il durissimo Son of Saul - Saul fia, un'opera prima tutta ambientata in un campo di concentramento che uscirà in sala conTeodora: "Sono grato a chi mi ha permesso di fare questo film che parla di cose molto gravi – ha detto il regista – E sono contento di averlo potuto fare in pellicola, la mia generazione ha ancora voglia di vivere l'anima e la magia della pellicola". All'Oriente va invece la Palma per la Miglior Regia, conquistata da Hou Hsiao Hsien con The Assassin, primo film di arti marziali del regista taiwanese, mentre è il Messico ad aggiudicarsi il riconoscimento per la miglior sceneggiatura, andato a Michel Franco per Chronic, "un film nato a Cannes, quando fui premiato da Tim Roth, che qui è il mio protagonista", sottolinea il regista. Per questa Palma molti davano per certo il greco Yorgos Lanthimos, che invece ha ottenuto il Premio della Giuria per The Lobster, dramma grottesco e originalissimo in cui Colin Farrell è un single costretto alla deportazione in un hotel dove trovare una compagnia entro 45 giorni, pena la trasformazione in un animale di sua scelta (l'aragosta, appunto). In una cerimonia che ha lasciato abbondante spazio ai momenti di intrattenimento - la bella performance iniziale di danza a tema cinematografico; John C. Reilly che ha intonato "Just a Gigolò" con l'orchestrina e un omaggio musicale ai fratelli Coen e al loro Inside Llewin Davis - è stato un bel momento quello della Palma d'onore alla carriera per Agnès Varda (Cléo dalle 5 alle 7), prima donna a ricevere questo riconoscimento (dopo Woody Allen, Clint Eastwood e Bernardo Bertolucci) che infatti ha ricordato commossa: "Sono donna, sono francese e i miei film non hanno fatto soldi né li hanno fatti guadagnare, eppure sono qui". La Camèra d'Or per il miglior esordio nelle varie sezioni è andata, infine, a La tierra y la sombra del colombiano César Augusto Acevedo, presentato alla Semaine de la Critique.
Post n°12398 pubblicato il 25 Maggio 2015 da Ladridicinema
CANNES – Chiude il concorso il Macbeth dell’australiano Justin Kurzel, interpretato da Michael Fassbender eMarion Cotillard, ultime star a sfilare sul red carpet. Il film è una trasposizione pressoché letterale dell’opera shakespeariana, molto evocativa dal punto di vista visivo, grazie anche alle genuine ambientazioni scozzesi, che lo stile ricco fino all’esasperazione del regista – tra filtri, ralenti, intensi e duraturi primi piani e l’ormai immancabile scena di nudo di Fassbender, dopo i fasti di Shame – contribuisce a trasfigurare fino a riportarli a una dimensione tragica, onirica ed epica. L’opera è impegnativa, e anche un po’ autocompiaciuta. Non ha convinto tutti. La sala si è divisa tra fischi e applausi, più o meno in egual misura. “La cosa più entusiasmante – ha detto Fassbender in conferenza – è che puoi scegliere tra mille modi di rifare Shakespeare, ci sono tante sfumature. Da un lato è stressante, ma dall’altro assolutamente straordinario. Ho visto chiaramente i precedenti film ispirati a Macbeth. Polanski, Orson Welles… per me è soprattutto una storia d’amore. L’ambizione e la violenza sono un tentativo di rimettersi in pari per una coppia che ha perso tutto e inizia anche a perdere la sua sanità mentale. Per questo Marion è stata straordinaria nell’aggiungere quel desolante senso di solitudine nel personaggio di Lady Macbeth. Lei è la migliore, porta grazia a tutto ciò che fa, ma al tempo stesso è molto umana. Si tratta di una relazione che deraglia. Inoltre Macbeth è fuori ruolo, molti pensano che possa essere un buon re, ma lui è solo un soldato, non un politico”. “Il personaggio di Lady Macbeth – dice Cotillard – mi intimidiva. Temevo di non essere all’altezza di rendere a Shakespeare il giusto omaggio. Ho avuto problemi a lasciarmi andare perché per la prima volta interpreto un personaggio completamente lontano dalla luce, senza speranza, che perde ogni controllo. Inoltre era la mia prima volta in Scozia, non avevo mai avuto occasione di andarci e l’ho trovata misteriosa e potente come la immaginavo. Non ho sofferto per il vento e il freddo, servivano alla storia”. “Non potevo allontanarmi dall’idea di realizzare questo film – ha detto il regista – e soprattutto dalla possibilità di realizzarlo in Scozia, con quegli scenari che avrebbero fatto venire voglia di rivedere il film più volte. L’ho fatto rispettando il linguaggio dell’opera originale, ma introducendo il tutto allo spettatore con una scena di battaglia che potesse portarlo dentro l’azione. Quello che mi interessava era soprattutto il concetto di dolore, qualcosa che ho provato anch’io nella mia vita. La disperazione ti porta a un vuoto, e per riempire questo vuoto i personaggi utilizzano una profezia. Si tratta certamente di una storia sull’amore e sulla famiglia”. In Italia il film uscirà con Videa nella prossima stagione.
Post n°12397 pubblicato il 25 Maggio 2015 da Ladridicinema
Quest’anno sono stato al Festival di Cannes per la trentacinquesima volta. Più della metà delle edizioni del festival (68). L’ho vissuto da produttore e distributore e da qualche anno da una posizione di vertice del cinema pubblico. Sulle decisioni delle giurie inutile soffermarci. Si può condividerle o meno ma pretendere di sapere come devono comportarsi è da ingenui. Dobbiamo essere soddisfatti che nell’edizione appena finita il cinema italiano e in generale l’industria audiovisiva si è presentata più compatta, con nuovi strumenti per la promozione e l’attrazione di investimenti e soprattutto con un’offerta di film pieni di talento e molto diversi tra loro. Segno di vitalità dei nostri registi sceneggiatori e attori e dell’industria (senza dimenticare il lavoro straordinario di costumisti, direttori della fotografia, scenografi…). La prova sta nell’andamento molto positivo delle vendite nei mercati stranieri. E poi ricordiamoci l’importante premio della Semaine de la Critique vinto dal corto Varicella di Fulvio Risuleo. Un buon auspicio per il futuro. Vorrei però segnalare alcuni cambiamenti significativi nel DNA del Festival più importante del mondo. Il direttore Thierry Frémaux ha indubbiamente voluto una selezione italiana molto forte giocando su nomi ben conosciuti a Cannes e di indubbio valore. Non ha invitato in giuria un rappresentante del nostro paese e se questo può rispondere ad una logica di “equilibrio” sulla presenza nazionale al Festival, non può non balzare agli occhi la disparità di trattamento con i padroni di casa che con ben 5 film in concorso avevano una giurata forte come Sophie Marceau. Ma non sono certo che la responsabilità ricada interamente su di lui. E’ stato il primo anno di presidenza diPierre Lescure, succeduto a Gilles Jacob che peraltro non è mai stato citato in alcuna cerimonia ufficiale (forse l’ha chiesto proprio lui per non enfatizzare l’uscita dopo quasi 40 anni di guida del Festival). Pierre Lescure, fondatore nel 1984 di Canal+, imprenditore di enorme successo, coproduttore per trent’anni di quasi tutti i film più importanti e non solo francesi, ha fortemente determinato alcuni aspetti di questa edizione del festival. Amico di molte star e dei più importanti produttori, attraverso il sistema di finanziamento al cinema instaurato da Canal+ è stato l’uomo più potente del cinema francese. Poteva iniziare questa nuova avventura senza dare un segnale forte verso il cinema nazionale? Pierre Lescure non ha il tratto di uomo di mondo di Gilles Jacob. E’ un vero uomo d’affari, che ama il cinema (come sanno fare i francesi) ma non ne trascura gli aspetti industriali. Un primo sintomo l’abbiamo avuto nella conferenza stampa di presentazione del Festival. Ha parlato 40 minuti (molti dei quali dedicati agli sponsor, che certo sono i benvenuti) lasciando Thierry Frémaux (mattatore delle precedenti edizioni) silente ad ascoltarlo prima di dargli la parola. Clamorosa la presenza dei cinque titoli francesi in concorso due dei quali annunciati alla vigilia del Festival come se Frémaux avesse esitato fino all’ultimo ad includerli. Poco elegante (a mio giudizio) lo stop all’afflusso del pubblico in sala per dare spazio sul tappeto rosso a una sfilata di modelle in abiti da sera presentati da sponsor. Non estranea a questa filosofia la regia delle cerimonie di apertura e chiusura costellate di numeri (di ottima qualità ma non necessari) di intrattenimento (musica, balletti, installazioni multimediali). Non voglio creare equivoci. Non sono queste le ragioni per cui i film italiani non hanno vinto. Né sto sospettando una qualsiasi forma di pressione verso la giuria (Nanni Moretti che ne è stato Presidente sa che ci sono regole ferree che nessuno può infrangere). Ma voglio semplicemente segnalare che Cannes sta diventando sotto la nuova Presidenza una pedina importantissima di strategia industriale in difesa del proprio cinema, che nulla nega all’attenzione per le altre cinematografie, ma che non rinuncerà in nessun modo a rafforzare la propria. Sarà interessante vedere come Frémaux, fondatore del Festival superautoriale di Lione, saprà arginare un percorso che rischia di diventare troppo franco-francais, inducendo forse alcuni autori a non puntare più solo su Cannes ma a prendere in considerazione altre vetrine ugualmente prestigiose anche se meno “glamour”.
Post n°12396 pubblicato il 25 Maggio 2015 da Ladridicinema
Palma d’Oro
Dheepan di Jacques Audiard Gran Premio Laszlo Nemes per Son of Saul (Saul fia) Miglior sceneggiatura Chronic di Michel Franco Migliore attrice ex aequo Rooney Mara per Carol e Emmanuelle Bercot perMon roi
Vincent Lindon per La loi du marché Premio della giuria The Lobster di Yorgos Lanthimos Caméra d’orLa tierra y la sombra di César Augusto Acevedo (Semaine de la Critique) Palma d'oro al cortometraggio
Post n°12395 pubblicato il 25 Maggio 2015 da Ladridicinema
Tag: film in uscita CANNES - Doveva essere l’anno dell’Italia e invece sarà ricordato come l’anno della Francia, che con cinque film in concorso (di cui almeno tre non certo memorabili) porta a casa la Palma d’oro – andata a Dheepan di Jacques Audiard - e altri due premi “pesanti”: a Vincent Lindon perLa loi du marché e all’attrice e regista Emmanuelle Bercot per Mon Roi di Maiwenn. Niente di niente per Nanni Moretti, Paolo Sorrentino eMatteo Garrone, nonostante l’apprezzamento della critica non tanto, non solo, italiana, ma internazionale. Quella francese schierata a favore di Mia madre, che ha fatto il pieno di “palmette” su Le Film Francais, quella americana osannante Youth La giovinezza, che ha fatto il pieno di vendite estere, ma affascinata anche dal mondo sanguinario e barocco di Tale of Tales. È chiaro che le giurie sono sovrane e non necessariamente si lasciano influenzare dal clima che si respira durante il festival né dai desiderata dei festivalieri. Ed è chiaro che i Fratelli Coen hanno pilotato questa giuria verso i propri, ben definiti, gusti. Ma anche lasciando fuori ogni discorso sul cinema italiano, che non nasce da una presa di posizione nazionalista ma da una valutazione del livello del concorso nel suo complesso, bisogna dire che i nostri tre film spiccavano. Adesso evitiamo di passare dall'esaltazione alla depressione, incassiamo i risultati raggiunti, ripartiamo da lì per continuare un discorso che ci ha portato in un pugno di anni a un evidente rinnovamento. Semmai guardiamo al modello dell'industria francese, che spesso non vince niente ma è solida ed esportabile. E comunque di questi tre film sentiremo ancora molto parlare. A proposito di premi non sempre scontati: cinque anni fa il 63enne Jacques Audiard vinse il Grand Prix con Il profeta, film che fu per molti una folgorazione e a cui qualcuno avrebbe dato la Palma; tre anni dopo non ebbe niente con Un sapore di ruggine e ossa. Adesso ha conquistato i Coen con un film duro ma pieno di tenerezza, storia di una tigre Tamil che per raggiungere l’Europa mette insieme una finta famiglia insieme a una giovane donna che vuole scappare a quegli orrori e a una ragazzina rimasta orfana. I tre arrivano nella banlieue parigina dallo Sri Lanka infiammato dal conflitto e trovano una realtà altrettanto violenta, il quartiere marginale è dominato dalle gang dello spaccio. L’ex soldato Dheepan, che si è visto strappare e uccidere moglie e figli, che ha ucciso lui stesso, vuole rifarsi una vita andando contro il destino che sembra perseguitarlo. Ed è chiaro il parallelismo tra due realtà apparentemente così lontane, ma segnate dal sangue e dall'odio. Del resto il protagonista, Antonythasan Jesuthasan, è testimone vivente di simili fatti: arruolato a 16 anni tra i guerrieri Tamil divenne un ragazzo soldato e fuggì in Francia solo nel ’93. Dopo mille umili mestieri oggi è diventato scrittore. Molti la Palma l’avrebbero data a Hou Hsiao Hsien e al suo estetizzante, magnifico, ma anche indecifrabileThe Assassin che soddisfa i palati cinefili più esigenti e che ha ottenuto “solo” il premio per la regia. Ma il vero outsider è Saul fia, l’opera prima dell’ungherese Laszlo Nemes che vince il secondo premio, il Grand Prix, con un’idea di regia molto forte, mostrare l’orrore del lager sfocato e confuso, stando tutto il tempo addosso al protagonista, che cerca di dare sepoltura al cadavere del figlio. Sconcertante è l'ex aequo tra la straordinaria Rooney Mara di Carol (love story lesbica firmata Todd Haynes che nella sua assoluta perfezione avrebbe meritato ben di più) e la modesta prova di Emmanuelle Bercot, in Mon roi di Maïwenn dove è una donna qualsiasi che si innamora dell’affascinante narciso Vincent Cassel e poi impiega tutto il film per disintossicarsi sentimentalmente. Pienamente condivisibile la scelta diVincent Lindon, che in La loi du marché di Stephane Brizé – dove è l’unico attore professionista - dà una bella prova nei panni di un operaio disoccupato che ce la mette tutta per rimettersi in piedi in una società che ha perso ogni rispetto per l’essere umano. Il messicano Michel Franco incassa il premio alla sceneggiatura di Chronic, dove un bravissimo Tim Roth è un infermiere che si occupa di malati terminali e li aiuta anche ad andarsene: il film ricorda un po’ Miele e chissà che proprio la sceneggiatura non sia la cosa più originale. Una conferma arriva per il talento del greco Yorgos Lanthimos, che sempre qui a Cannes aveva vinto Un Certain Regard con Kynodontas e stavolta ottiene il Premio della Giuria con l’inquietante ma compiaciuto The Lobster, che parte bene nel mettere in scena un mondo distopico dove i single hanno un pugno di giorni per trovare un partner, e sennò saranno trasformati in animali, ma finisce per esagerare in una seconda parte meno controllata e assai contorta. Grande assente Jia Zhang-ke e il suoMountains May Depart, che dalla vecchia Cina di Fenyang ci porta nel futuro più che mai oscuro della globalizzazione selvaggia.
Post n°12394 pubblicato il 25 Maggio 2015 da Ladridicinema
Tag: film in uscita Youth La giovinezza, il nuovo film di Paolo Sorrentino, si svolge in un elegante albergo ai piedi delle Alpi dove Fred e Mick, due vecchi amici alla soglia degli ottant'anni, trascorrono insieme una vacanza primaverile. Fred è un compositore e direttore d'orchestra in pensione, Mick un regista ancora in attività. Sanno che il loro futuro si va velocemente esaurendo e decidono di affrontarlo insieme. Guardano con curiosità e tenerezza alla vita confusa dei propri figli, all'entusiasmo dei giovani collaboratori di Mick, agli altri ospiti dell'albergo, a quanti sembrano poter disporre di un tempo che a loro non è dato. E mentre Mick si affanna nel tentativo di concludere la sceneggiatura di quello che pensa sarà il suo ultimo e più significativo film, Fred, che da tempo ha rinunciato alla musica, non intende assolutamente tornare sui propri passi. Ma c'è chi vuole a tutti i costi vederlo dirigere ancora una volta e ascoltare le sue composizioni.
NOTE: Presentato in concorso al Festival di Cannes 2015.
Post n°12393 pubblicato il 25 Maggio 2015 da Ladridicinema
Tag: film in uscita
Post n°12392 pubblicato il 25 Maggio 2015 da Ladridicinema
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