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Nino Di Matteo: Il mio atto d’accusa ai collusi da micromega

Post n°12734 pubblicato il 09 Novembre 2015 da Ladridicinema
 

di Angelo Cannatà

“Il vero volto della mafia l’ho intravisto per la prima volta una mattina di vent’anni fa. Ero un giovanissimo magistrato della procura di Caltanissetta…”. Comincia così il racconto del pubblico ministero Nino Di Matteo, raccolto dal giornalista Salvo Palazzolo (Collusi, Rizzoli). Un testo lucido e toccante come sanno essere i racconti quando hanno il sapore della verità: il magistrato ricorda l’incontro decisivo col collaboratore di giustizia Cancemi: “Dottore, lo sa cosa mi ripeteva Riina? ‘Senza i rapporti con il potere, Cosa nostra sarebbe solo una banda di sciacalli’. Se non lo capite, non potrete mai contrastarla” (p.20). Parole decisive. Ho scoperto in quella occasione – dice Di Matteo – “il vero volto della mafia”: la sua potenza sta nel legame con la politica. 

La ricostruzione del libro è precisa. Su Totò Riina: la verità è che anche la trattativa con gli uomini dello stato – di cui parlò la prima volta Brusca (1996) – gli sta stretta: “Io non cercavo nessuno, erano loro che cercavano me.” Le esternazioni del boss hanno un obiettivo: “ribadire il ruolo che ha svolto negli ultimi trent’anni e allontanare l’idea che sia stato un pupo nelle mani di forze occulte annidate dentro lo Stato” (p. 8).

Temi delicati, sui quali in Italia si è creato un clima ostile. Lo affermano Claudio Fava e Don Luigi Ciotti, in via Ripetta, a Roma – il 12 maggio – alla presentazione del libro. C’è come un isolamento dei magistrati che si occupano del legame mafia-politica (“Ancora questa trattativa!...”). Ne è consapevole Di Matteo: “subito dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio sembrava iniziata una vera e propria rivolta contro la mafia, a tutti i livelli”. Ora c’è un riflusso “una sorta di stanchezza e di fastidio nei confronti di quelle indagini che miravano a scoprire in che modo la mafia sia ancora ben presente dentro le stanze del potere.” E’ l’amarezza più grande. (pp. 23-24). 

Troppe persone, anche all’interno delle istituzioni - dice Di Matteo - hanno recepito il messaggio lanciato da Berlusconi: quelle indagini dei magistrati di Palermo sono tempo sprecato, uno sperpero di risorse pubbliche. Molti esponenti delle forze di polizia: “tendono a concentrare le loro migliori risorse umane e tecnologiche sui pesci piccoli dell’organizzazione, quelli che è più facile processare senza creare troppi fastidi alla rete delle complicità” (pp. 25-26) Questo accade. E non è una denuncia di poco conto. La rende esplicita Don Ciotti nel suo accorato intervento: “Il problema non è solo l’illegalità, ma la legalità che agisce in modo illegale”. L’attacco non è solo al crimine organizzato, ma a chi dentro le maglie della legge – distorta, vilipesa, manipolata – favorisce la mafia, ne è connivente, la utilizza. 

La utilizza è espressione precisa. Ascoltandola, non possiamo non pensare (anche) a quei leader politici che potevano intervenire per bloccare l’ingresso in lista di candidati inquisiti, ma non l’hanno fatto, hanno chiuso un occhio, forse tutti e due, perché, infondo, i voti dei candidati impresentabili fanno comodo. Meglio utilizzarli: mafia, candidati, voti. Poi, però, sempre pronti a partecipare alle cerimonie funebri dei morti ammazzati dalla mafia (da Mattarella a Pio La Torre… a Falcone e Borsellino). Don Ciotti è amareggiato: “troppe lapidi ci sono in Italia, e troppe strade e scuole intestate ai martiri uccisi dalla mafia.” E Claudio Fava: è incredibile che ancora oggi – oggi, non trent’anni fa – molti politici facciano salotto, discutano in società, con chi traffica illegalmente e ordina omicidi.

La lotta alla mafia in realtà viene ostacolata. La si combatte a parole, nei fatti ci si muove in altra direzione. Basti pensare che Nino Di Matteo, uno dei maggiori esperti del legame mafia-politica, è ufficialmente scaduto da suo incarico alla Direzione distrettuale antimafia. Annota Palazzolo: “E’ stato assegnato a un altro gruppo di lavoro in procura. Così, mentre continua a scavare nei segreti dei rapporti fra mafia e potere, deve occuparsi anche di verande abusive e di contravvenzioni al codice della strada. Dove non è arrivata la mafia, per fermarlo, ha colpito certo l’antimafia”. 

E’ un punto che meriterebbe tutti i giorni la prima pagina dei giornali. Tutti i giorni. Una campagna martellante. In Italia c’è una norma, secondo cui i pubblici ministeri possono occuparsi solo per dieci anni d’indagini sulla mafia. Tradotto: “Hanno appena il tempo di acquisire competenze, avviare una strategia giudiziaria e coglierne qualche risultato. Poi sono costretti a passare ad altro. Se negli anni Ottanta ci fosse stata questa regola, anche Falcone e Borsellino avrebbero rischiato di occuparsi di verande abusive. La lotta alla mafia deve fare ancora molta strada” (p.17). E’ una vergogna che quella norma sia ancora lì, mentre Renzi scrive i suoi tweet ipocriti (e complici, finché la norma resta ancora in vigore). 

Un passaggio importante del testo di Di Matteo è strutturato intorno a questa catena deduttiva: “Torniamo a domandarci: chi erano e cosa rappresentavano le vittime dei delitti eccellenti? Erano esponenti politici come il presidente della Sicilia Piersanti Mattarella, che voleva mettere in discussione i collaudati meccanismi di spartizione politico-mafiosa degli appalti”. Erano grandi uomini come Gaetano Costa, Rocco Chinnici, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Ninì Cassarà... L’assassinio di queste persone “ha avuto un unico comune denominatore: la rimozione chirurgica di quelle anomalie che rischiavano di mettere in discussione l’operatività del sistema.” Poi arrivarono le stragi del 1992-1993. Con lo stesso obiettivo: eliminare chi metteva in pericolo il sistema. Dimenticare ciò, come fanno troppi politici, significa “sostenere la lotta alla mafia solo a parole” (p. 30).

Si è fatto un gran discutere sulle accuse mosse agli uomini delle istituzioni. In realtà Di Matteo indica fatti precisi: “la condotta che contestiamo ai soggetti istituzionali e politici – dice – è quella di aver assunto il ruolo di cinghia di trasmissione tra Cosa nostra e il governo nel prospettare i desiderata dell’organizzazione mafiosa, così concorrendo al vero e proprio ricatto che i boss stavano portando avanti nei confronti delle istituzioni” (p. 109). Parole inequivocabili. E infatti, alcune pagine dopo: “Cosa nostra non verrà sconfitta in modo definitivo fino a quando ci sarà anche un solo mafioso che trova in un esponente del potere la disponibilità al compromesso” (p. 114). 

Quanti compromessi ci sono, oggi, alla vigilia delle elezioni regionali, è inutile dire. E tuttavia è proprio questo il punto. Si continua a pensare che i voti non puzzino. E invece il tanfo si sente. Eccome! Soprattutto quello dell’antimafia di facciata. Don Ciotti dice frasi definitive: “Ci hanno rubato le parole. Sono ladri di parole. ‘Antimafia’, per esempio, è parola logora, abusata. Cambiamola. Cambiamola per favore! – grida –, la usano persone che non lottano davvero la criminalità, ma se ne servono come pennacchio.” Applauso forte e commosso della sala. E’ l’immagine che porterò con me, per tanto tempo. Ci penso ancora mentre esco dal salone di via Ripetta. Uomini come Di Matteo e Don Ciotti fanno sperare che l’Italia possa farcela: se riprende a combattere, se non perde la capacità di indignarsi. A chi ha perso l’appuntamento – davvero interessante – della presentazione di Collusi, non resta che leggere il libro per ritrovare un clima di lotta civile e ricerca della verità. Di Matteo è stanco? Impossibile non esserlo. Ma: “Io resto al mio posto. Non mi rassegno a questo stato di cose” (p. 178). Anche per questo ha la stima e la fiducia di tutte le persone oneste.

Post scriptum. Leggo che il senatore Macaluso ha sdoganato la parola “cazzo” per recensire Collusi, che dichiara di non aver nemmeno sfogliato: c’era bisogno che ce lo venisse a raccontare Di Matteo il rapporto mafia-politica. Osservo che il magistrato Di Matteo, il legame mafia-politica non si limita a raccontarlo: lo indaga, lo contrasta, lo combatte, ogni giorno, rischiando la vita. Lì, in trincea. Con l’angoscia di lasciare orfani i figli. Ci pensino i sacerdoti della Verità. Senza fretta: con comodo. Mentre a casa, in pantofole, bevono il the.

(15 maggio 2015
)

 
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Box Office Italia, ai piedi di Bond: SPECTRE fa 5 milioni di euro all’esordio. E 7mila euro di media per sala!

Post n°12733 pubblicato il 09 Novembre 2015 da Ladridicinema
 

 

Box Office Italia, ai piedi di Bond: SPECTRE fa 5 milioni di euro all’esordio. E 7mila euro di media per sala!

In linea con le previsioni della vigilia, SPECTRE (qui la nostra recensione) ha dominato il weekend cinematografico italiano. Il film di Sam Mendes ha incassato 5 milioni di euro in quattro giorni, con un media per sala altissima, di oltre 7mila euro per schermo (era distribuito in 707 sale). Grossi numeri, degni di un personaggio come James Bond, ma non abbastanza alti da superare il debutto di Skyfall, il capitolo precedente, che tre anni fa – complice un ponte festivo – incassò 6 milioni di euro, per terminare la sua corsa vicino ai 20 milioni di euro.

In America il film ha portato a casa 73 milioni di dollari, mentre in Inghilterra ha registrato il miglior debutto di sempre. Lo slancio in Italia, nonostante il “peso” delle cifre del predecessore, sembra più che buono: vedremo nei prossimi giorni che tenuta avrà.

L’altra grande new entry della settimana era Snoopy & Friends – Il film dei Peanuts, che si piazza al terzo posto sfiorando il milione di euro, ma a precederla, al secondo posto, resiste la commediaBelli di papà, con Abatantuono continua a essere un richiamo irresistibile per il pubblico italiano: in due settimane il film ha incassato più di tre milioni di euro, di cui 1,1 milioni di euro nell’ultimo fine settimana.

Nessuna grossa sorpresa nel resto della top ten: The Last Witch Hunter con Vin Diesel scende alla quarta posizione con 691mila euro, mentre Alaska, con Elio Germano, è settimo con 356mila euro in 4 giorni.

Curiosità: chiude la classifica Firenze e gli Uffizi 3D/4K, film evento che esplora il celebre museo: un buon segno di come il cinema sappia farsi anche veicolo di promozione della profonda cultura artistica del nostro Paese.

Curiosità bis: 45 anni, il film con Charlotte Rampling e Tom Courtenay, ha incassato 131mila euro in 4 giorni, piazzandosi in tredicesima posizione, ma cosa ben più notevole ha ottenuto una media schermo (è stato distribuito in 20 copie)  di 6.585,00 euro, seconda solo a SPECTRE. Per questo dal prossimo week end le sue copie saranno triplicate.

Di seguito, la top ten italiana completa dal 5 all’8 novembre 2015:

  1. SPECTRE (5 milioni di euro; new entry)
  2. Belli di papà (1,185 milioni di euro; 3 milioni di euro in 2 settimane)
  3. Snoopy & Friends – Il film dei Peanuts (999.826; new entry)
  4. The Last Witch Hunter – L’ultimo cacciatore di streghe (691mila euro; 2 milioni e 434mila euro in 2 settimane)
  5. Hotel Transylvania 2 (377mila euro; 9 milioni e mezzo di euro in 5 settimane)
  6. Io che amo solo te (365mila euro; 3 milioni e 145mila euro in 3 settimane)
  7. Alaska (356mila euro; new entry)
  8. Freeheld – Amore, giustizia, uguaglianza (215mila euro; new entry)
  9. Crimson Peak (196mila euro; 1,9 milioni di euro in 3 settimane)
  10. Firenze e gli Uffizi 3D/4K (548mila euro; new entry)

 
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Facebook blocca la nuova pagina del leader di Donetsk... dopo un giorno! DA IT.SPUTNIK.COM

Post n°12732 pubblicato il 09 Novembre 2015 da Ladridicinema
 

È censura a tempo di record per la nuova pagina Facebook di Alexander Zakharchenko: 2500 segnalazioni in 24 ore, quindi il blocco. Al solito, senza spiegazioni.

Dal campo di battaglia ai social media. Dalla guerra vera e propria a quella dell'informazione. Il leader dell'autoproclamata repubblica popolare di Donetsk (DPR), Alexander Zakharchenko, spiegava così, mercoledì 28 ottobre, il suo esordio su Facebook:

"Durante la tregua, le questioni di ricostruzione economica e politica si fanno pressanti. Se abbiamo meno guerra, abbiamo più politica. La parola diventa un'arma. La gente pone molte domande, che devono trovare risposta."

 

"Ma la lotta contro gli stereotipi creati e diffusi dalla propaganda di Kiev è molto difficile senza un'attiva politica dell'informazione che includa l'impiego dei social media".

 

A dare entrambe le notizie, del lancio e dell'immediato blocco della pagina Facebook di Zakharchenko, è stata l'agenzia stampa internazionale del Donbass, DoniNews.

"Il blocco è avvenuto subito dopo la pubblicazione del mio appello agli ucraini in occasione dell'anniversario della liberazione del Paese dagli invasori nazisti [1945-2015]", ha spiegato ieri Zakharchenko, "è come se le mie parole avessero ferito il loro orgoglio, leso il loro onore e la loro dignità".

"È strano," ha aggiunto il leader della DPR, "perché nel mio appello ho deliberatamente evitato parole o termini che potessero causare una reazione da parte degli amministratori di Facebook".

 

"Ma evidentemente le mie parole hanno immediatamente ferito quelli che ho chiamato 'alleati dei nazisti', ovvero i discendenti di chi allora aveva seguito Bandera e Shukhevich e quanti oggi si ispirano a loro".

 

Sul perché di una così rapida censura, Zakharchenko risponde:

"A mio parere, il messaggio è uno: Kiev teme non solo le forze del Donbass, ma anche le sue parole. Kiev ha dimenticato di che pasta siamo fatti: noi vinceremo anche questa battaglia dell'informazione".



Leggi tutto: http://it.sputniknews.com/opinioni/20151030/1444738/Facebook-Zakharchenko-blocco.html#ixzz3r09rux3T

 
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Due libri sconvolgenti che parlano romano: “Roma Brucia” e “Pasolini massacro di un poeta” DA VIOLA POST.IT

Post n°12731 pubblicato il 09 Novembre 2015 da Ladridicinema

“Ora io dico: quest’immagine che mi perseguita, di Pasolini che fugge a piedi, è inseguito da qualche cosa che non ha volto e che è quello che l’ha ucciso, è un’immagine emblematica di questo Paese. Cioè un’immagine che deve spingerci a migliorare questo Paese come Pasolini stesso avrebbe voluto.” (Alberto Moravia, orazione funebre per Pier […]


“Ora io dico: quest’immagine che mi perseguita, di Pasolini che fugge a piedi, è inseguito da qualche cosa che non ha volto e che è quello che l’ha ucciso, è un’immagine emblematica di questo Paese. Cioè un’immagine che deve spingerci a migliorare questo Paese come Pasolini stesso avrebbe voluto.”

(Alberto Moravia, orazione funebre per Pier Paolo Pasolini, 5 novembre 1975)

Questa storica citazione che viene riportata sul libro di Pietro Orsatti “Roma Brucia” è la congiunzione perfetta che deve poi portarvi a leggere il libro di Simona Zecchi “Pasolini massacro di un poeta”. Di solito mi soffermo poco a consigliare libri ma questi davvero lasceranno il segno.

In uscita il 22 ottobre (Pasolini massacro di un poeta) e 29 ottobre (Roma Brucia) grazie a due case editrici piccole e coraggiose, questi due libri meritano davvero interesse, curiosità e approfondimento.

Pietro Orsatti e Simona Zecchi, si due cronisti romani poco conosciuti ma che pur non avendo gli onori della cronaca hanno svolto un eccellente lavoro d’inchiesta che ha portato alla luce due libri da leggere tutti d’un fiato, due libri che vi sconvolgeranno raccontandovi della Roma di Pasolini, di quella di Mafia Capitale e della Banda della Magliana e delle storie più oscure che si sono radicate nei muri di questa città e del litorale.  Pietro Orsatti pubblica con la casa editrice Imprimatur insieme alla giornalista Floriana Bulfon “Grande Raccordo Criminale”, cronista di vecchio corso, questo libro è il seguito di questa inchiesta iniziata già parecchio tempo prima che scoppiasse Mafia Capitale.  

Per Simona invece si tratta dell’epilogo di una inchiesta, quella sul grande intellettuale del nostro secolo iniziata sulle pagine dell’Ora di Palermo e portata avanti con grande tenacia. E se dovessi sintetizzare questi lavori verrebbe fuori un resoconto breve che non da risalto invece al lavoro di inchiesta, che troppo spesso gli editori di quotidiani e case editrici dimenticano essere molto lungo e meticoloso. Detto ciò buona lettura.

 
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