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Il triangolo di Garrone, tra "Psicho" e realtà

Post n°134 pubblicato il 15 Febbraio 2006 da Pars1fal
Foto di Pars1fal

"L'imbalsamatore", Italia 2002, di Matteo Garrone, con Ernesto Mahieux, Valerio Foglia, Elisabetta Rocchetti.

Peppino Profeta, un cinquantenne tassidermista, incontra il giovane Valerio e lo assume come aiutante nel suo laboratorio. L'incontro con Deborah renderà instabile il precario equilibrio tra i due.

Ispirato da un fatto vero accaduto a Roma, "il nanetto della stazione Termini", il film, già dal titolo, mi aveva fatto immaginare atmosfere alla Hitchcock, in particolar modo riferite a "Psicho". Senza la presunzione di paragonare le due opere, alcuni elementi sono ricorrenti. Il titolo, dicevo, rimanda a Norman Bates, anch'esso tassidermista, ed alle sue vertiginose ossessioni di natura sessuale. Facile così rivederlo in Peppino, ai problemi dovuti alla sua bassa statura, all'ambiguità repressa del suo essere, al mal'affare che si ripropone come una spada di damocle sulla sua testa. Se la storia procede, passando dal mare alla nebbia grigia di Cremona, pesante fardello di un mistero che non si vuole svelare, il finale inverte i ruoli, vediamo l'auto affondare, lentamente, ma al suo interno, questa volta, c'è Norman.

Le musiche della banda Osiris accentuano queste mie sensazioni, presenti nei momenti culminanti e presenti nel loro essere assente, come fossero un preludio alla tempesta. Il film si basa molto su concetti sfumati, appena accennati ma molto affilati. Intuiamo un rapporto omosessuale tra Peppino e Valerio, ma non abbiamo la certezza (sinceramente neanche alla fine) se questo sia realmente avvenuto. Tutto ciò contribuisce ancora maggiormente ad aumentare l'isolamento del pubblico, che non si identifica ma che vaga alla ricerca di un senso tra delirio e senso di colpa. Se l'interpretazione di Mahieux è eccellente, nella sua inquietudine e nel suo morboso attaccamente ad un rapporto "border line", Foglia e la Rocchetti, pessimi, ci ricordano che siamo di fronte ad un film italiano, ad una provincialità che molti registi italiani faticano a togliersi di torno, nonostante, come in questo caso, le qualità siano enormi.

 
 
 
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