Donna.
Donna Figlia, alle volte Sorella, spesso Madre, Amante, Sposa.
Donna Angelo, Donna Demone, Fata o Strega.
Ombre di un universo rimasto immutato, ombre arcaiche e moderne che ancora si uniscono, si mischiano...confondendosi...e il Tempo non esiste...non è mai esistito per Noi...
A Te Pallade,
Glaucopide Vergine dallo scudo dorato
Figlia di Zeus, partorita dalla sua augusta fronte,
a Te protettrice delle città, Tritogeneia,
Divina, affido il mio Tempio,
dove Tu, Eterna, sarai somma Guardiana delle mie porte, o Atena!
"Omnia Mala Exempla Ex Rebus Bonis Orta Sunt" G. Sallustio Crispo [De Coniuratione Catilinae]
[...] E sarò musica, sostanza invisibile ed evanescente che entrerà impetuosa negli animi di chi mi ascolterà rapito...e ancora una volta sarò lì, con ciascuno e nessuno...com'è sempre stato nel mio esserci, ovunque e da nessuna parte. [...]
Se non mi si fossero gonfiate le caviglie, i polsi e le ginocchia, oggi sarei andata volentieri a farmi una bella corsa all’aria aperta. Invece devo rimanere chiusa in questo letamaio, a respirare il malsano che io stessa butto fuori pesantemente. E’ un circolo vizioso, e la mia pelle è così dilatata che sono troppo pesante per reggermi sui miei stessi piedi, quindi rimango immobile accasciata sul letto che si piega sempre di più verso il basso ogni ora che passa… Se il mio viso non si fosse macchiato di chiazze rosse sarei uscita questo pomeriggio e avrei visto il sole. Ma sto diventando un pesce credo, i miei pori non sono più lisci, l’epidermide è squamosa e avverto un certo fastidio nel toccarla, anche gli occhi sono più piccoli e rossi… Certo ora sarà un bel pasticcio uscire da qui…dovrò sgattaiolare piano a notte fonda in modo tale che nessuno possa vedermi e accorgersi di me, odio le urla improvvise, mi fanno sempre spaventare terribilmente. Se non mi avessero avvelenato o mi fossi avvelenata da sola avrei potuto continuare a fare ciò che ho sempre fatto con noia e incostanza, cioè un’emerita mazza, avrei ancora parlato e parlato e parlato come una gallina di ciò che non mi piaceva degli altri e di ciò che mai avrei odiato di me, avrei scassato le palle con i miei soliti capricci del cazzo, avrei continuato a dormire fino alle due del pomeriggio; invece dovrà cambiare tutto a partire dal fatto di dovermi sbattere per arraffare qualche topo che passerà furtivo nelle stradicciole se non vorrò morire di fame, senza contare il fatto di dovermi abituare alla mia nuova faccia, se mai ne avrò una (chissà). “ Vivi i cambiamenti come dei piccoli traumi!”, Mimmo me lo diceva sempre e aveva ragione. Ma oggi tutto questo non mi preoccupa e mi viene da ridere. Non sempre si diventa come si vorrebbe, o si rimane come si è. Spesso è il peggio di noi che fuoriesce all’improvviso ad affascinarci e a farci amare quello che in fondo siamo: piccoli mostri operosi su tele di ragno cadenti. . |
Non sono pane né vino, sono solo acqua. Non nutro e riempio pance vuote, nè rendo ebbri corpi e menti abbandonate.
Scambiamoci i ruoli una volta ogni tanto. Per vedere o sentire la differenza e quel brivido di non so che. Cambiamo anche il nostro mondo, prendiamo spunto dalla materia già esistente per poi riformare quella nostra di materia, come più ci piace. Così io ti spavento, cambiando faccia, una faccia che non è di nessuno, che non è né uomo né donna, e lo faccio rincorrendoti e agitando le mani come una bimba molesta, ridacchiando e gridando il tuo nome con scherno, e ci prendo gusto, e lo faccio più forte. Provo piacere, un sottile piacere nel farti del male. Facciamo che ti sei stancata di essere inseguita da me, che le mie grida ti hanno infastidita, ma non me lo dai a vedere, continui la commedia, rendendoti ancora più ridicola di quanto già tu lo sia, così lunga e deforme, così diversa da me. Intanto taci, fuggi dalla mia isteria che ormai non controllo più, piccolo delirio di onnipotenza che scema quando d’un tratto cado tra l’erba viola. Tutto si ferma. Con me. Mi guardi dall’alto, io distesa allungo le gambe osservando la tua forma. Sghignazzo. Decido di riprendermi la faccia che mi è caduta in terra. E tu ti allunghi verso di me. E lo fai lentamente. E provi piacere, un sottile piacere nel sapere che mi farai del male. .
Non sono pane né vino, sono solo acqua. Disseto, quasi sempre. Non sono morbida nè purpurea, ma incolore, come un niente sussurrato piano. . .
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Corro, corri, corre, all’impazzata, senza pause o sospensioni alcune. E mentre l’aria si fa più pesante e fredda, sul selciato la nebbia adagia i piedi. Corro, corri, corre ancora, fino a restare senza fiato, fino a che i polmoni pieni non scoppiano, facendo un gran rumore per la strada vuota. Ho dimenticato, hai frainteso, ha perduto qualcosa di poco conto in questa giornata grigia, e rimane un piccolo vuoto, un buco, una parte mancante che pesa poco, e non vale la pena contare tra ciò che è stato fatto, detto, ricordato. Se io avessi giocato, se tu avessi sperato, se avesse guardato con calma e senza paura, come al solito, il ripetersi di luci e ombre in questa casa nera oggi avrebbe portato una novità. Ma le novità, si sa, sono poco mondane, e allora si aspetta, con poca pazienza. Dormo, dormi, dorme sul letto del fiume, mentre l’acqua scorre ridente, cancellando l’attesa di un passato-presente-futuro mai sopito, tra coperte di fiori e nuvole d’aria scostante che si annidano tra le fessure di questo vecchio muro, dove le lucciole stanotte hanno smesso di cantare. . |
E io che non credevo più… I vagoni dei treni così pieni, e dentro il mio vuoto incolmabile. Quante volte avrò visto quei colori, eppure non mi sono mai abituata. Immaginare, per poi perdersi all’infinito dentro una bottiglia quasi vuota, sperare per ricredersi, ma inutile, tutto troppo facile e così estenuante nelle sue contraddizioni. E io che ci credevo. Pensavo fosse tutta una farsa gentile e accomodante, questo grande teatro della confusione, dove si beve, si ride, si parla per poi conoscersi e camminare insieme. Ma sono ancora una volta sola, coccolata, viziata, amata, ma sola. Aveva piccole mani, affusolate un poco, quasi da pianista. Tre dita macchiate di caffè, ormai il suo marchio, e se penso che un giorno forse, giunte come fanno ai morti un poco avrebbero sfigurato, le avrei guardate con un sorriso, fotografandole per tenerle sempre con me. Pensavo anche alle sue scarpe nere, di certo l’avrebbero vestita e lavata con cura, dentro quel suo vestito mai usato. Ma perché in fondo tutto questo? Alla stanchezza si unisce il frusciare del vento. E penso in fondo che un senso non ci sia. E penso ad ogni mio respiro e suo. E penso che vivere sia un po’ come chiudere gli occhi e perdersi e lasciarsi cullare. E penso di non credere alle mie preghiere tanto amate, e penso a chi forse mi pensa un po’ meno, e penso di pensare troppo e di divagare su tutto. E penso di sentirmi io. E penso di essere in fondo fortunata per questo. . |
I giardini della mia infanzia non erano con rose ai viali, ma viole blu e tulipani gialli… Perché per un daltonico il mondo è diverso da quello che sembra a tutti. Ma non me ne sono mai fatta un cruccio, si diceva che in fondo avessi un modo differente di vedere e sentire le cose. Ecco perché in quel ponte il riflesso era di un grigio così puro che specchiarmi mi faceva stare bene. Ecco perché quel tuo occhio storto mi faceva impazzire. E non potevo non sentirmi appagata e felice, e non potevi sembrarmi che il più bello fra tutti. Mi battevi sempre a scacchi, e io non desistevo, dopo che pazientemente mi avevi insegnato il gioco, era diventata per me una sfida riuscire a vincere. “Scacco al re!” lo dicevo quasi gridando, sentendo la vittoria vicinissima. E tu non parlavi, non guardavi che la scacchiera e quel cavallo imbizzarrito che correva verso la tua regina. Poi la pioggia. Di sabato pioveva sempre, di sabato quando non ti avrei voluto lasciare mai più e cancellare le distanze che si erano poste fra di noi. Avevo solo quel sabato. E piangevo, insieme alla pioggia. Non sei più come ti ricordavo. E mi sembra di non averti neanche mai conosciuto. Sempre magro, ma diverso. Mi hai detto di non esserti mai sentito capito da me, di non essere mai stato felice in fondo. Lo hai fatto con la calma di sempre. Guardando la strada. Scacco matto. Un’altra volta. Definitivo. A mia totale insaputa. O quasi. E oggi non avrei neanche voluto giocare, e forse neanche vincere a tutti i costi, come avevo sempre fatto. . |
Come bianca spina nell’alba dei tuoi giorni, io accarezzo le linee dei tuoi suoni, danzando, impacciata come foglia d’autunno.
Nell’aria ascolti il vagare, mio muto, di solitudine e inconsistenza, materia del mio corpo, assente, scostante, mutevole…
Io, io e il salire calmo della sera, in questo intreccio di ombre e luci, quasi opache, voglio stringerti, sentire il calore che ti copre.
Respirami. Sarò tuo padre, sarò tua madre, sarò il tuo amante. Sarò tua. Oggi. . |
Ho sempre dato scandalo a modo mio da piccola. Grandi sensi di colpa che il tempo ha cancellato per dare spazio ad altri nuovi scandali interiori. A due anni e mezzo, massimo tre, sono stata vista mentre innocentemente mi toccavo nel mio lettino. Una sgridata, tanta vergogna. Dal giorno sono diventata più furba. Niente palpeggiamenti nel pomeriggio quando in casa c’era movimento, avrei aspettato non troppo pazientemente la calma piatta. Mi piaceva stare supina, era molto eccitante. Una sera d’estate, mentre ballavo, mi sono sollevata la gonna per strada e tutti hanno visto le mie mutandine bianche, l’ho fatto senza malizia e non me ne sono neanche accorta, ma questo ha scatenato l’ira di mia nonna, che mi ha fatto sentire una piccola isolente impudica bambina. Niente punizione, ma le sue prediche severe si sono avvinghiate su di me come una “macchia” indelebile che mi sono portata addosso per qualche settimana. Ho sempre odiato le Barbie, sono così terribilmente perfette, ne avevo parecchie e hanno fatto tutte la stessa fine: venivano cavalcate selvaggiamente per morire soffocate in mezzo alle mie gambe. Lo facevo con violenza e attenzione, mia madre non doveva sentire i miei respiri pesanti. Ma un giorno mi beccò sul fatto, tentai di coprire la cosa non riuscendoci affatto. A cinque anni mi sono sposata con una bambina conosciuta in una delle tante gite che facevo con mia zia. E’ stato amore a prima vista credo, ci siamo scambiate gli anellini dietro una vecchia casa cantoniera abbandonata, verso sera, poco dopo il tramonto. Siamo dovute scappare di corsa perché ci avevano scoperto. Per molto tempo ho ricordato il suo nome. In prima elementare, all’uscita da scuola, nascosta sotto il sottoscala della cartolibreria e davanti alle mie amichette che scommettevano e facevano un gran chiasso nel parlare, mi divertivo parecchio a dare bacini a stampo sulle labbra dei miei primi fidanzatini, e in seconda Marco ha deciso di portarmi fuori il suo pisello per farmelo vedere compiaciuto. Fatto che naturalmente turbò le madri facendomi diventare famosa nella scuola. Pare che nessuna si capacitasse del perché fosse accaduto questo. Il perché è molto semplice invece: i bambini la vedono assai lunga, anche più dei grandi alle volte. In ogni caso si giocava. Anche quella volta. Ma qualcuna iniziò a guardarmi con sospetto o con invidia da quel giorno forse perché a diventare famosa ero stata io e non lei. A nove anni ho quasi ucciso mia sorella. E l’ho fatto giocando. Le ho preso il collo tra le mani. Forse non mi sarei fermata se non si fosse accorta mia madre che la stavo la strozzando. Ma non l’ho detto al prete in confessione, pensavo non fossero affari suoi, mi ero già pentita ed io e Dio lo sapevamo, inutile dirlo a lui. Così qualche giorno dopo vestita di bianco ricevevo l’Eucarestia per la prima volta con l’anima completamente pulita e leggera. Ho sempre traviato le mie compagne nei miei di giochi, lo facevo in maniera sottile, perché non si insospettissero e si divertissero, così stavano alle mie perversioni diventando amanti, figlie, mogli tradite e sfruttate. Ho sempre temuto che parlassero, ma forse non erano così maliziose quanto lo ero io e tanto da vedere quello che vedevo io nei miei film. Sapevo che il problema era mio, ma non me ne sono mai preoccupata abbastanza. Lo facevo anche con la mia migliore amica. Con lei ci limonavo proprio. Ci siamo esercitate abbastanza, cosicché al primo bacio non siamo arrivate certo sprovvedute e inesperte. C’è stato poi il periodo mistico. A casa mi prendevano per pazza, e non solo perchè giravo con i rosari di mia nonna o costruivo altarini e cappelle, o perchè facevo girare madonnine di Lourdes piccole, medie, grandi per tutta casa, o accendevo ceri e candele che trafugavo dai cassetti, ma perché giocavo spesso sola e parlavo spesso sola e mi divertivo parecchio, e questo faceva sì che mi osservassero con sospetto. Il vizio mi è comunque rimasto: tutt’ora parlo spesso sola, tra lo sgomento di mia madre. Un periodo ho pensato anche di farmi suora, ma questo molto prima di vedere i simulacri dei santi piangere. Poi sono cresciuta. Ho fatto il salto. I capelli mi avevano stancato, fino al culo erano troppo lunghi così me li sono rasata a zero tra le urla di mio padre che infieriva dietro dicendomi che così li portavano le puttane durante la guerra quando venivano arrestate. Pazienza, gli dicevo, la guerra ora è finita ed io (purtroppo) sono ancora vergine. Se quel deficiente di mio fratello non fosse morto a due anni bevendo varechina, quando io ancora ero dentro la pancia di mia madre, credo che mi sarei divertita di più. Questa cosa non gliel’ho mai perdonata, ci ho litigato spesso e per molto tempo durante la notte, rimproverandogli di essersene andato senza neanche avermi voluto conoscere almeno un po’. Ho pensato che me lo sarei procurata io un fratello, ma la ricerca si è rivelata piuttosto deludente, ho quindi lasciato perdere. Ma ci penso di continuo, mi sarebbe davvero piaciuto avere un fratello più grande di me. Forse sono stata troppo precoce per certe cose o forse no, è roba normale. Ma tutto questo me lo sono portata dietro in modo ambiguo, piacendomi e odiandomi, più piacendomi che odiandomi in realtà. Ecco perché non mi turba sapere che tutte le persone che mi hanno conosciuta mi trovino un po’ strana, so di esserlo in fondo, so di esserci nata, di non averlo voluto io. In ogni caso sono sempre stata considerata una brava bambina ed anche un po’ stupida, cosa che mi ha sempre fatto estremamente sentire a mio agio, perché nessuno in fondo mi prendeva sul serio il che mi ha sempre permesso di agire indisturbata, fino a quando mi sono stufata e ho deciso di darmi ad altro. Avevo sedici anni. .
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Questo sporco mondo mi aveva proprio stancata. In realtà ero già molto stanca da parecchio, da quando ero completamente uscita fuori di testa, e avevo messo in crisi quei fottutissimi progetti nei quali sarei dovuta essere una brava mogliettina e forse anche una brava madre. Mi sono data una calmata, ho messo la testa a posto giusto in tempo e poi ho ripreso a giocare mentre lui si rifaceva una vita alle mie spalle sostituendo solo il pezzo marcio con uno sano. Ho chiuso a chiave ciò che ormai non aveva più senso, anche se la porta è ancora piena di buchi, troppi topi continuano a rosicchiarla, ed io odio i topi, mi fanno pena e schifo. C’è voluto un po’, ma finalmente mi sono decisa. Ho sempre saputo che prima o poi lo avrei fatto. Ma nessuno mi ha mai presa sul serio quando lo accennavo più o meno ridendo. A torto. Ora è uguale a prima, solo ho diversi punti di vista, e mi posso guardare meglio senza usare la testa. Ma non ho molto tempo per potermi scrutare dall’alto in basso, da destra a sinistra, da sotto a sopra, quindi non ho resistito: deformazione professionale…E mi sono fatta una foto. Sono sempre la solita egocentrica del cavolo! Quando verranno gli altri facendo un gran casino, contaminando le mie cose e ciò che rimane di me, sarà tutto diverso. E’ ovvio d’altronde, devo sempre e solo pensare io a me stessa, sono una fissata per certe cose… .
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Ho due occhi grandi come i fari di una trebbia. Ho due labbra carnose e morbide come mollica di pane fresco. Non ho cicatrici sulla pelle. Ho denti bianchi e capelli viola.
Ho più dell’età che dimostro. Sono meno nera di quel che sembro.
Ma tutto questo non è poi importante. Tutto questo è importante.
Sono e non sono.
Sembro…e questo è il peggio.
Sono e non sono.
Io. . |
UNTITLED Leccami solo la punta delle dita che sanno ancora di miele e come un orso, calmo e ghiotto, saziati fino a stancarti. Mordile piano, senza farmi troppo male, ma non spingerti oltre i polpastrelli. Sentirò per l'ultima volta la ruvidezza della tua lingua, bagnata e avida, e la forza dei tuoi denti. Ti guarderò dall'alto nutrirti delle mie mani, paradisi incerti, piccole matite del tuo giardino artificiale. Distruggi così chi ti ha regalato bugie, perchè nulla di ciò che hanno disegnato è diventato reale. Però ti prego, fermati alla punta delle dita. Non voglio vedermi al mio specchio monca, ma solo un poco diversa e se qualcuno mi chiederà cosa è successo alle mie mani, beh risponderò : “Nulla. Colava del miele ieri notte, come cera calda. Si sono consumate piano costruendo un sogno...” . |
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Sorgerà l'Alba
e sarà di sospiri e sbadigli
questa notte...
“ Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.”
ALDA MERINI
Muse, Muse mie,
quando la mia mano
chiederà di voi
non potrà il vostro corpo rifiutarsi ai miei
desideri.
Voi che siete il mio desiderio
Voi che riempite e accarezzate
le ombre del mio mondo
Voi che siete
per mio volere quelle stesse
ombre...
Dancing...
...Alle porte della mia Primavera è sbocciata la mia follia...
...poi lentamente ha chiuso gli occhi...
...addormentandosi nel mio ventre...
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