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DIRE O NON DIRE
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CI VUOLE UN FISICO BESTIALE
LUCA CARBONI
URTATORI E URTATI
di recente in un film, dove la protagonista chiede scusa in continuazione, un collega le suggerisce: basta chiedere scusa. Capita anche a me. A volte mi viene talmente automatico che lo faccio anche senza avere colpa. Ad un passante che mi ha dato una spallata nella sua corsa verso qualcuno, ad una donna incrociata nelle porte girevoli che per goffaggine mi ha incastrato nello spazio d'entrata, per un pacco che mi consegnano maneggiato senza cura. Invece di pretendere le scuse per questi piccoli disguidi quotidiani e per altri ben più gravi, mi lascio calpestare da un mondo che prosegue invece nel suo cammino senza remore, forse senza nemmeno accorgersene o forse perchè funziona così. Ci rifletto a volte e mi impongo di cambiare modo. Qualche volta lo faccio ma per inesperienza risulto solo arrogante e antipatica. Così mi sembra almeno, fino a quando incontro C e inizio a sfogarmi. Lui mi ascolta e sorridendo mi cita per l’ennesima volta Kundera. Il mondo è diviso tra urtatori e urtati, mi dice, io sono tra i primi, tu irrimediabilmente tra i secondi. Se non è un dono di natura, o il merito di chi ti ha cresciuta, ci vuole impegno. Devi scegliere o urtatore o urtato. Comincia domani, smetti di chiedere scusa.
Milan Kundera La festa dell'insignificanza
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NEANCHE SE PIANGI IN CINESE
ROBERTO VECCHIONI
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SENZA TITOLO
(mah)
alle 4/5 del mattino, il mondo, quel giorno mi era ancora estraneo e ostile, per cui mentre mio marito guidava io cercavo di dormire. Un sussulto, una svolta, non ricordo, mi fecero aprire gli occhi che si trovarono di fronte un’immagine decisamente insolita. 3 figure erano appese alla bellissima quercia di Piazza XXIV Maggio. “Fermati” gridai e lui bloccò di colpo la macchina. Scesi di corsa mentre il consorte, che di solito era l’intrepido tra i due, non mise neppure mano alla maniglia.
Negoziammo un po’ la sua discesa in campo e ci trovammo a guardare questi manichini impiccati alla quercia. Io, del tutto incapace di salire su un albero, gli dissi “Dai prendine uno!!”
Mi guardò scuotendo la testa accennando un sorriso misto a commiserazione.
“Scusa, ma se sono lì appesi, senza alcun cartello di proprietà, saranno di tutti” continuai facendo passare per logica, una considerazione spicciola e ruffiana.
“Cosa ce ne facciamo?” “Non lo so” risposi spazientita
“Intanto prendine almeno uno, gli altri due li lasciamo a qualcun altro” conclusi magnanima.
A dire il vero non mi ero resa conto che fossero bambini impiccati, ma non m’interessava cosa rappresentassero, era quella situazione surreale che mi stupiva e mi tirava a sé.
Io ne facevo parte, e ne volevo una parte.
Ci avrebbe messo 5 minuti, ma non ci fu verso di convincerlo.
Ci pensò poi il signor Franco, indignato, a tirarli giù procurandosi un trauma cranico.
Non avevo idea che avessero valore, naturalmente, ma dei navigli a 2 passi, del buio, del traffico quasi inesistente, di quella quercia maestosa che ora sta morendo e di quei tre manichini appesi io volevo assolutamente un ricordo.
Col passare delle ore la notizia circolò per tutta Milano e le immagini di quelle tre bambini in vetroresina con capelli veri mi si mostrarono nella loro chiarezza.
Ancora oggi, quando il nome di Cattelan viene fuori, nutro l’illusione che se fossero state le 4 del pomeriggio anziché le 5 di un mattino buio e sonnolento, ora avrei nello studio un terzo di quell’opera.
Ps: Carlo e il suo post sulla banana di Cattelan hanno riaperto la ferita
(https://digiland.libero.it//profilo.phtml?nick=monellaccio19)
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LE LETTERE D'AMORE
Roberto Vecchioni
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LE PAROLE SONO TANTO
( i BLOG e la CHAT pure)
le parole sono tanto. Non saprei dire di un bacio o di un grido, ma ricordo, come lama che ferisce, quel “Dio stramaledica gli inglesi” scritto con tratto sicuro col gesso… L'avevo da tempo lasciato, non per quel bacio tra i fiordi, ma perché volevo, e, soprattutto, dovevo, crescere e misurarmi col mondo. A 20 anni la fuga è un dovere e così mezzanotte arrivò, in Paesi di lingue diverse. Un familiare “Buon Anno” per lui e un inconsueto e solitario “Happy New Year” per me.
Le parole sono più di tanto, sono tantissimo. E' uno dei motivi per cui amo questa macchina che ti costringe a dar voce a ogni cosa. Non basta un' alzata di ciglia o un sorriso che smorza la rabbia, qui bisogna spiegare.
E' un rapporto intenso, complesso e faticoso quello che nasce tra i pixel, lo costruisci con la condivisione di ciò che gli altri non vedono. Non ci si mette qui, come davanti ad un televisore, per far passare le ore, assorbiti da immagini, che lasciano, all'insaputa di tutti, la mente libera di andarsene e il cuore a posarsi altrove. NO. Qui ci vieni proprio perché lo vuoi. A volte sei qui per qualcuno/a, e anche l'altro/a è qui per te. E non hai che parole da condividere. Così le cerchi sempre più a fondo, fino ad accorgerti che sveli momenti che taci a chi ti vede ogni giorno. Non perché chi sta dall'altra parte sia meglio, o comunque “migliore per te”, ti somigli o ti capisca di più, ma perché qui hai solo le parole. E le parole alla lunga scavano, vengono da sempre più giù, e fanno affiorare ogni cosa. A volte raccontano il presente e mettono insieme anche il futuro, agganciate ad un passato che spesso annoia, ricordando nel bel mezzo di un pranzo, di quel tuo sogno mai realizzato. Per chi sta di là dello schermo, quel tuo desiderio taciuto da tempo, che i giorni hanno smontato via via, rendendolo quasi ridicolo pure ai tuoi occhi, diventa una cosa importante. Del resto chi ti è lontano non paga la luce per te, a lei/lui puoi aprire solo il tuo cuore. Com'è più bello parlare di sogni che delle spese condominiali.
Ed allora ecco, questa nuova realtà che si libra, mentre l'altra è sempre più pesante. Sono due cose diverse. Sono due cose divise.
Qui si duetta, a suon di leggerezza e fantasia.
Se stabilissimo un tema dovremmo arrivare a capo di qualcosa, in un certo senso porremmo un mattone, a fine serata avremmo una piccola costruzione. Invece l'inseguire gli umori, gli amori, i colori, i ricordi e i sogni ci permette di lasciare il tutto sul piano dell'irreale. “Che importanza ha in cosa mi sono laureato?” Quella era la vita vera, fatta di esami e magari anche di un corso che è stato solo un ripiego mentre “io avrei voluto...avrei potuto...avrei dovuto” (no dovuto no, è un verbo troppo concreto, sa di fatica e di negazione. Il dovere presuppone spesso rinunce).
Io qui, non voglio rinunciare a nulla.
Ma questo è attribuire valore e importanza alle parole di qualcuno, o è, in realtà solo riesumare una parte di te che le giornate e gli anni hanno pian piano stremato rendendola al silenzio? Parliamo davvero per incontrare qualcuno, come le linee che si intersecano negli angoli o soltanto per sfuggire ad altri?
Davvero chi sta di là è l'unica persona capace di capire la domanda?
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LA GUERRA DI PIERO
Fabrizio De André
video FABER IN FRAME
ADESSO BASTA
la fa sempre facile, il ragazzo, e io m’incazzo, forse anche perché, un po’ ha ragione e io dovrei sorvolare su un milione di cose. E’ nella sua natura essere pacato e cerca così soluzioni a prova d’uomo. E’ convinto che ci sia sempre una via d’uscita, che basti cercarla. Dal canto mio, è come se le cose semplici non fossi capace di vederle, sarà che l’ovvio mi annoia, e vorrei sempre trovare l’inquadratura diversa del problema, senza considerare che questo è “il momento di tutti” per cui il livello di ogni cosa si è abbassato e non c’è niente da cercare. Quello che hai davanti è quello che la cosa in sé, senza sovrastrutture, semplicemente è. Ha scritto per 10 minuti le mie parole, mentre mi incazzavo, mi arrabattavo, me la prendevo col cane, me la prendevo con lui, senza rendersi conto di aver sceneggiato, quel momento. Una descrizione avrebbe richiesto un crescendo, mentre lui con i suoi “dice”, “non vuole”, “se la prende” “adesso fa questo, adesso fa quello” ha dato un ritmo di continuità, interrotto solo da un paio di bestemmie, sue, scritte però con la flemma che gli si addice. La bestemmia nel suo caso, alza di poco il tono del momento, e proprio per questo ne usa a profusione. Io invece m’incazzo, anche se a vuoto, con questo o con quello. Se non me la prendessi con qualcuno, o con qualcosa potrei dar vita a gesti inconsulti verso me stessa probabilmente, perché non ho mai imparato a essere violenta con gli altri, nemmeno quando lo avrei fortemente desiderato. Credo sia liberatorio dare un cazzotto, a qualcuno che ti rende, volente o nolente, faticoso il vivere. A volte si dovrebbe poter dire “adesso basta” e poi, senza preavviso, assestare un pugno. Sono consapevole del fatto che il giudizio su ogni cosa sia soggettivo, per cui l’altro potrebbe proprio non capire, ma se una come me, nata pacifica e vissuta nella convinzione che con le parole si può risolvere tutto, arrivasse un giorno alla risoluzione del problema con un pugno, forse un perché, da ricercare non solo in me stessa ma anche negli altri, non sarebbe un ragionamento da negare. Ben lungi da me l’idea di semplificare quel momento con un “guarda cosa mi hai /ha fatto fare”, perché lo farei in piena consapevolezza convinta del fatto che quello sarebbe l’unico modo per riequilibrare uno scompenso impossibile da calibrare in altro modo. Essendo donna è chiaro che fatico a non pensare agli uomini che risolvono così le loro frustrazioni: i pugni dati per uno sguardo sbagliato, le risse per una parola non idonea, le polemiche, portate avanti a suon di gesti e clacson, per un sorpasso mal interpretato, ma per me, sarebbe diverso.
Credetemi, ne darei uno solo, con cognizione di causa e dopo aver
molto, molto, molto pazientato.
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SETTEMBRE
IVANO FOSSATI
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LA VITA DEGLI ERRORI
e io, che sento come un animale che qualcosa non va, annuso, ma non archivio, non decritto. E maledico quelli che "hanno il dono”, che dicono e non dicono. E così gli eletti ti capiscono e gli stupidi come me, vagano tra le tue parole alla ricerca di una chiave unica di lettura.
Alla fine penso che non importa che io capisca o no.
Per te resta tutto uguale.
Per me resta tutto uguale.
Dimentica la tua vita, dimentica la mia vita, slega per un attimo i lacci della realtà.
In questo momento pregherei per vagare nella vita degli errori, quella fatta solo di emozioni opposte e di sapori estremi.
Quella dei grandi no.
Quella piena di tutto ciò che da bimbo ti dicono di non fare
"non desiderare la roba d'altri"
"non desiderare la donna d'altri"
"non commettere atti impuri"
"non rubare".
Si’, va’, ruba il cuore dell'uomo che unico al mondo potrebbe tenerti in vita in questo momento.
Desidera ogni cosa che fino a ieri ti sembrava scorretto, troppo audace e oltraggioso volere. Qualcosa che sia solo tua, e che tu, senza alcun senso di colpa, possa negare agli altri.
Lui è mio, questo e quello sono miei, anche quella cosa là è mia.
Mia. MIA.
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TROPICANA
Gruppo Italiano
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STUFISSIMAASSAI
basta con queste due canzoni! I tormentoni estivi dovrebbero essere accattivanti e leggeri, nella musica e nei testi. Scritti ad hoc, risultano, per lo più, idioti e fastidiosi. Che tu li ascolti volontariamente o che ti investano per caso, dovrebbero, se non coinvolgerti, almeno lasciare un segno, vista la ripetitività dei versi e la capillarità con cui vengono diffusi. I miei tormentoni, da più di un mese, sono due: Sei minuti all'alba, Jannacci, in cui si parla di un uomo che va verso la fucilazione, Geordie, De André, che tratta di una fanciulla che cerca di fermare l’impiccagione del giovane amante. Mi sveglio, trascorro la giornata e mi addormento con queste due canzoni. Non mi danno tregua, e se non diventano suono, mi riecheggiano comunque in testa.
Non che l’anno scorso cantassi Barbie Girl, ma, che estate è mai questa, per me?
(la ladra di nick chiede venia)
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GOODNIGHT SAIGON
BILLY JOEL
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DIVIDERE
dividere è una parola che non mi piace. Potrebbe avere un’accezione positiva perché nel dividere si moltiplica, ma, chissà perché nella mia testa, prende sempre una sfumatura negativa. In verità se si cerca nell’etimologia si trovano un sacco di provenienze e significati. Un tragitto davvero sussultante. Che va da separazione a sapere, apprendere, giudicare o anche cercare, trovare. Oppure quella meno felice di vid-uus vedovo che ha il senso di privare, essere mancante etc etc. Da dividere deriva anche il dividendo, condividere, individuo. Ma, come dicevo, questo termine mi mette a disagio, anche perché la frase più comune in cui è contenuto è “divide et impera” cioè dividi e domina. Questo funzionò per l’impero romano e funziona ancora oggi in ogni settore. La divisione può essere da un parte positiva dall’altra negativa. Poniamo l’esempio di una specializzazione, è certamente un bene che un professionista, ad esempio un avvocato, approfondisca il suo campo, così da rendere la difesa di un cliente ineguagliabile con la ricerca di leggi su leggi e cavilli su cavilli. Oppure in medicina l’approfondimento di una branca può essere un ottimo modo per sviscerare un campo. Ma in generale, se questo arrivare al cuore di una cosa, la slega dal resto, si crea, secondo me, una difficoltà. Ecco il problema, c’è il rischio di perdersi in un beato isolamento mentale, culturale, che rischia di diventare una cecità del collettivo. Del resto anche la madre delle riforme scolastiche, targata Moratti portava ad una divisione più che ad un inglobamento o ad un interagire delle materie. La specializzazione è funzionale alla produttività e purtroppo questo termine rappresenta uno dei cardini della nostra epoca. Io ricordo che i momenti migliori della mia attività scolastica furono quelli in cui gli insegnanti riuscirono a far corrispondere lo stesso periodo storico in letteratura, filosofia, storia dell’arte, in un divenire che non allontanava gli accadimenti dal pensiero, che sempre precorre, la realtà del momento. Questa integrazione riusciva a rendere attuale il periodo che la mia mente giovane faticava a inquadrare. La divisione degli interessi è la tattica più intelligente che il potere possa escogitare per dividere o per formare gruppi. Nelle modalità peggiori questo concetto porta anche alla delazione. Pensate ad esempio al maccartismo che diventava “mors tua vita mea”, pensiamo anche ai pentiti, è solamente quando sono arrestati e quindi divisi dagli altri che cedono e tradiscono gli altri membri. In questo mio discorso non c’entra la questione morale io sto parlando di metodo. Del resto ricordate anni fa quando uscì un numero della finanza, mi sembra, a cui ci si poteva rivolgere per denunciare i potenziali evasori fiscali. . Ripeto non parlo di etica ma di metodo. Usano il soggetto per ottenere quelle cose che dovrebbero invece, in uno stato che funziona, scoprire con le loro forze, il loro lavoro. Anche perché diventa ridicola una cosa così. Io denuncio il mio vicino che ha evaso 2000 euro l’anno, probabilmente perchè mi sta antipatico, e loro sorvolano sulle scatole cinesi, sulle residenze all’estero, sulle evasioni macroscopiche. Anche il linguaggio tecnico è un modo per dividere: ogni categoria si esprimecon termini per lo più incomprensibile ai non iniziati. Della politica non parlerò.
PS: PS: questa frase non è mia. L’avevo presa da gandalf.it ma cliccando sul link non si apre nessuna pagina.
Anche nella cultura, ci sta chi divide per imperare,
come chi unifica d’imperio, non è un amico dell’umanità.
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dedicato all'altra parte della produzione &
ANNA DI FRANCIA
CLAUDIO LOLLI
video Vinyl
Anna di Francia che arriva,
Anna che ride, Anna che scherza,
Anna che ascolta, che parla
Anna che chiede, vuole sapere
come andremo a finire la sera,
Anna la piazza ti ama, ti ama con me.
Anna racconta: l'ultima Francia
com'era grigia, com'era triste,
Anna racconta: il nuovo lavoro
sempre camicie, solo camicie,
Anna ti sembra di essere pazza
Anna la piazza, la piazza ti ama con me.
Anna che mi porta via
e vuole bere, vuole parlare,
s'infila in un'osteria
forse stasera ha voglia di amore,
Anna più bella, più bella che pazza
Anna la piazza, la piazza ti ama con me.
Anna troviamo tanti amici,
uno comincia la discussione,
sono momenti quasi felici,
Anna mi guarda faccio il buffone
"e dove sarà la cultura operaia?"
Anna che scuote la testa e dice di no.
Anna non vive, è da sola
si è già stancata di prenderci in giro
"e Luigi Nono è un coglione,
l'alternativa nella cultura
non è solo ideologia
l'alternativa è organizzazione"
Anna si arrabbia, basta parlare,
Anna si alza, andiamo via
e mentre la strada mi fa perdonare
c'è Anna che brinda alla sua anarchia,
Anna imprendibile più di un momento,
Anna dà un bacio alla piazza e poi se ne va.
Non sarò per te un orologio,
il lampadario che ti toglie il reggiseno,
quando è tardi, è notte e tu sei stanca
e la tua voglia come il tempo manca.
Non sarò per te un esattore
di una lacrima ventuno volte al mese,
non conterò i giorni alle tue lune
per far l'amore senza rimborso spese.
Non sarò per te solo lo specchio
di una faccia che non cambia mai vestito,
non sarò il tuo manico di scopa
travestito da amante o da marito.
Non sarò quel cielo grigio quel mattino,
il dentifricio che fa a pugni con il vino,
non sarò la tua consolazione,
e neanche il padre del tuo prossimo bambino.
Per questa volta almeno sarò la tua libertà,
per questa volta almeno solo la tua libertà,
per questa volta almeno la nostra libertà
e la piazza calda e dolce di questa città.
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LE TUE PAROLE FANNO MALE
Fiorella Mannoia
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A volte scrivo. A volte leggo. A volte leggo e scrivo.
Purtroppo a volte richiudo libri, ripongo fogli e parlo.
Quando parlo, di recente, faccio danni. Sorvolo sugli sconquassi che riesco a creare e sui perché delle controversie, quel che mi interessa qui, è il risultato. Dirompente per lo più, e spesso definitivo, nel senso che mi mandano proprio affanculo.
A volte, però, assisto a conversazioni che se non fosse per il coinvolgimento diretto, mi riempirebbero di esaltazione. Come ieri: due contendenti all’assurdo e una spettatrice, che li osservava impegnati ad arrampicarsi su uno schermo gigante. Mica sui soliti vetri.
Un dialogo tra musicisti con partiture sbagliate per le mani, e un fraseggio delirante e asincrono come le giustificazioni che si danno di solito a genitori, insegnanti, ex mogli/mariti o ai propri elettori.
Mi perdonino gli uomini, ma spesso è da loro che sento farneticazioni ineguagliabili.
Purtroppo a volte richiudo libri, ripongo fogli e, anche io, parlo.
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MILANO
Edoardo Bennato
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I PENSIERI
non sono più abituata a camminare in città. Anni fa, mentre affiancavo superavo incrociavo, i pensieri degli altri, in qualche modo, mi sfioravano. Alcuni li scambiavo per miei, altri, troppo distanti, li fendevo come nebbia ottundente. Ma quelli che si facevano rincorrere, senza farsi del tutto prendere, mi hanno sempre fatta innamorare. Anche i luoghi segnano il loro corso. Dove sono nata non ho mai percepito varietà, e quando camminavo tra le persone, non mi chiedevo cosa le sfiorasse. Lo sapevo. Conoscevo i loro pensieri. Di sicuro li avevo rimuginati, io pure, più di una volta. Adesso in città cammino tra silenzi e segreti. Forse ho perso la capacità di accogliere e interpretare, o forse, chi mi incrocia, li tiene in uno scrigno, ben riposti e celati anche a se stesso. Ho vissuto 8 anni in Brera e la sera, chi eri, e il futuro, veniva svelato per poco. Un tavolino, due sedie, ed ecco la chiave. Uno di fianco all’altro per conoscere quel che si aveva dentro. Nessun segreto per chi aveva in mano le carte. Non fossero bastati un sorriso o una ruga, lo si svelava con un cuori o un bastoni. Quel 3, che ad un occhio inesperto, poteva sembrare intrusione, era, invece, per colui che prevedeva, la perfezione. Lui e lei che creavano una vita. Se alla carta si aggiungeva un sostegno, l’armonia diventava assoluta, 4, che sono le mura, 4, la casa dei sogni. Cammino stasera per Brera. Un serpente colorato di borse, scarpe, gioielli, che si snoda per ogni lato. Più nessuno, con un mazzo di carte, ha un futuro da svelarti, ma tutti hanno qualcosa da vendere. Anche i pensieri che un tempo non mi erano estranei, ora non si fanno più prendere. La stanchezza forse li copre. O la sfiducia. La stessa che ho io nel toccare, in una bancarella, le borse di Prada.
Milano 2024
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CECCO SIGNA
TUTTA COLPA DI GIUDA
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2010
venire su Libero, girare tra le parole degli altri, lasciare un commento, dovrebbe essere un diletto, non un’impresa. Ogni giorno invece c’è un test di sopportazione nuovo, da superare, solo per varcare questa soglia. Ho fatto un salto su Trustpilot e, se il giudizio totale è 3,3, i primi 20 commenti che appaiono, riguardo i servizi a pagamento, danno tutti una stella (pessimo) e i titoli, riportati fedelmente, aprono le danze con un
“ATTENZIONE A QUEL CHE RACCONTANO”
“DIFFIDATE”
“SOLDI BUTTATI”….
”TRUFFATORI”
“POTESSI DARE 0 o MENO 20 LO FAREI”
“VERGOGNOSO E’ SCRIVERE POCO”
Via via, fino al 20esimo.
Ho preferito non girare pagina.
Sono stanca di trovare giustificazioni o spiegazioni per ogni cosa che non funziona.
Anni fa dopo l’ennesimo controllo dell’Agenzia delle entrate, altra storia che ha dell’incredibile, ho pregato il mio commercialista di lasciarmi libertà di movimento, riguardo ai rapporti con l’Agenzia. Avevo con me il fascicolo, ma nessuna intenzione di aprirlo. Dovevano solo ascoltarmi, i due burocrati:“Ho ancora due cose che potreste portarmi via: quel maggiolone scassato che ho parcheggiato qui fuori e il sangue” ho dichiarato, seduta in una stanza che ricordo ancora benissimo, offrendo loro le braccia e senza alzare minimamente la voce. Mi hanno guardato e si sono poi girati l’uno verso l’altro con la testa. Mi sono alzata e sono uscita. Non ho più avuto notizie dall’agenzia, per 13/14 anni circa. Ieri, il commercialista mi manda una lettera dell’Agenzia… A volte, ritornano, ma, tanta strada sotto le mie suole è passata da allora, e, qualcosa ho imparato. Vorrei dire “ ho sempre pagato dove può essere il problema?” Invece dirò “Fate quello che vi pare!”
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TOKYO
SOMEONE LIKE YOU
ADELE
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ne “La casa di carta”, ricordando un grande amore, Tokyo dice “ si pensa che nella vita ci sia solo un grande amore; quello che la gente non sa, è che ci sono molte vite”.
È vero, se sei coraggioso e fortunato, se non chiudi gli occhi davanti alle possibilità in cui inciampi, puoi trovare nuovi compagni di viaggio. Non penso solo all’amore, nei cambi di tragitto, ma anche alle persone che, inevitabilmente, percorrendo la stessa tua strada, ti affiancheranno per un po’. Tante ne ho incontrate, quasi tutte le ho, lasciate, ma ognuna mi è rimasta dentro. Alcune mi hanno insegnato a camminare in salita, alcune mi hanno portato ad un volo troppo alto per cui la caduta è stata dolorosa, e visibile nel tempo. Alcune hanno saputo semplificare tutto, per cui il risultato è stato insegnarmi ad ironizzare sulle cose complicate, così che non fosse sempre una guerra, la mia, ma, di volta in volta, una battaglia con un risultato accettabile. Senza quelle risate, non avrei mai potuto farcela. Tendo ad ingigantire e a non mollare la presa, mentre a volte, la sconfitta, sta proprio nel voler resiste a tutti i costi.
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PENELOPE SPARA Nicolò Carnesi
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stamattina dopo aver letto il post di Monellaccio 19 ho scritto un commento. Poco dopo ricevo una telefonata di quelle che hanno un'unica funzione: complicarti la vita. E' la burocrazia, bellezza! A Milano, a Canicattì, la stessa cosa. Cancello il commento e cerco di rimuovere dalla testa la mia passività durante la telefonata. All'improvviso mi trovo a canticchiare " grottesco desiderio di vivere al contrario... Penelope spara, Penelope spara, Penelope spara..."
"Nel complesso, "Penelope, spara!" è una canzone che parla del sentirsi persi e frustrati nella vita, incapaci di imparare dal passato e di muoversi verso un futuro migliore. La ripetizione di "Penelope, spara!" rappresenta il desiderio di liberarsi da questi sentimenti negativi e di ricominciare." Songtell.com
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dolore
Ci sono dei dolori talmente forti che tolgono il fiato. Non respiri, la gola chiusa. Sei li, come pietra dimenticata. Nulla sostieni e nessuno ti vede. Non sei sasso d’acqua che si distingue per lucentezza o per forma, in un mare, che, un gioco infinito, ha sagomato. Sei solo intralcio. Una pietra di mezza misura, avanzo di qualcosa di grande, rotolata da sola lontano, un invito ad un calcio maldestro che ti isoli ancora di più. Un cuore sordo alla fede e un’anima cieca “a ogni Dio”. Un’ atea isolata, come pianta in quarantena, invidiosa, a volte, di un cielo che non parla, solo per lei. Al tempo dell’ingenuità, prima che i contorni si definissero precisi e limati, ci fu spazio per consolazione e conforto. Una chiesa deserta, in tua attesa, in ogni posto del mondo, o un coro di parole ferventi in lingue lontane, ma tue. L’insegnamento diceva che basta un cuore sincero, anche scevro e lontano da riti o preghiere, per avere tutto il Suo ascolto. Così, a volte, è successo, che pur con certezza di non avere né padri né madri nei cieli, rivolgevo lo sguardo chiedendo “perché Signore? Perché? “ pur sapendo di non ottenere né risposta né conforto. Quando cresci in un famiglia cattolica, difficilmente riesci, pur discostandoti razionalmente dalla religione, a non tornare bambina nei momenti di dolore con la speranza di essere presa per mano. Ma poi l’illusione ti lascia e sei di nuovo seduta su una panchina, in silenzio e senza risposte, mentre fissi con caparbietà il suolo.
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video di Mauro Piffero
you tube
CONOSCEVO UN RAPINATORE A MILANO
conoscevo un rapinatore a Milano, perchè Milano, come Londra o New York, è un meraviglioso vaso di Pandora. E' il cilindro di un prestigiatore, dove, prima del coniglio, escono generi strabilianti, dai colori variopinti come i suoi cieli, se li sai vedere, che ci crediate o no. Conoscevo un rapinatore, dunque, perchè vivevamo sullo stesso piano, in una casa di ringhiera. Nonostante la giovane età, era andato in pensione, perchè, mi raccontava “preferisco una libera precarietà al caldo, che una sicurezza al fresco” . Divertendosi un po' alle mie spalle di ragazzina da poco arrivata in città, appena mi vedeva sorridere, per il suo gioco di parole, come un trabocchetto in cui mi aveva attirato, cominciava con le sue " storie di vita e malavita", che ai miei occhi, sapevano di romanzo e trasgressione. Non vi racconterò le sue "imprese", non ne sarei capace, ma parlerò soltanto dello stupore per come la nostra mente giochi, a volte, senza alcun preavviso, a far riaffiorare in date posteriori, episodi, o parole che, per costume e moda avevano vestito abiti diversi. Spiegandomi come mai, avesse lasciato tutto, quasi da un giorno all'altro, mi diceva che, come in tutti i lavori, anche nel suo, proseguire, “farsi un nome” e avanzare nella carriera, avrebbe voluto dire perfezionare la tecnica e gli strumenti, cioè: armarsi per davvero. Fino a quel momento se l'era cavata con un piede di porco, "di ultima generazione però" ci teneva a precisare, un passamontagna o una calza, un'arma finta o un coltellino. Le mani e la testa, mi diceva, erano gli strumenti di lavoro che preferiva. Io, ascoltandolo, avevo pensato che usare la testa significasse anche per lui, ragionare a lungo su una cosa, cioè, nel suo caso, preparare bene il colpo. Ingenuamente non mi aveva mai sfiorato l'idea che "usare la testa" un po' come "sbattere la testa contro il muro" potessero essere impiegati in senso letterale, cioè, come diceva il signore di cui sopra, ridendo di me, nel dare la spiegazione, “dare una craniata”. Anni dopo, in tv, in una delle prime rassegne stampa del mattino, in una pagina interna, un titolo diceva “ Rapinatala zia di Materazzi: l'aggredita colpita con una testata". Io, probabilmente unica in italia, del tutto dimentica di Zidane, ho pensato che il rapinatore fosse uno "alle prime armi" o che, un qualcuno, che immaginavo ad Antigua, suo sogno proibito, non fosse per davvero andato in pensione. Oppure che, come in tutti i lavori che si amano e si soffre a lasciarli, anche lui, per rinverdire i fasti o non perdere il tocco, tornasse, ogni tanto, ad esercitare, continuando, ad “usare la testa”.
PS: in realtà era un ladro, secondo me, ma non so perchè, si definiva rapinatore.
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"Ti cherzo donare su sambene( è la vita mia)...
Ti cherzo ninnare oh oh oh oh oh oh
e t'amo e t'amo
ses sa vida mea"
video hesse_f
non riesco ad addormentarmi e ripeto come un mantra le parole di questa canzone che amo. Non l'ho cercata, è venuta lei da me. E' da stamane che mi risuona in testa, ma adesso come una ninna nanna mi rende, a momenti, serena. Non cerco i sogni e loro non vengono da me. Mi aspetta un sonno irrequieto, in cui mi girerò e mi rigirerò. Mi sforzerò di tenere gli occhi chiusi. A volte credo di essere io a respingere il sonno, in nome dei vecchi tempi. Ci siamo amate molto io e la notte e io, le ho sempre reso il tributo che meritava. C'è stato un periodo in cui dormire era impensabile, e non perchè Milano fosse "da bere", ma perchè, Milano, era da respirare a pieni polmoni e tutta da scoprire, per me che venivo dalla provincia, dove, ogni avvenimento era cadenzato come le stagioni. L'economia del paese si reggeva sull'agricoltura, così, come la domenica si ascoltava il Vangelo, ogni giorno, in religioso silenzio, ci si abbeverava alle previsioni di qualche colonnello. Odiavo quei momenti di aggregazione, per cui, maturità in tasca, fuggii il più lontano possibile. Tra le opzioni, non considerai la Sardegna. Peccato.
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Nickname: hesse_f
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Inviato da: cassetta2
il 09/12/2024 alle 19:04
Inviato da: maresogno67
il 09/12/2024 alle 18:29
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il 29/11/2024 alle 19:34
Inviato da: monellaccio19
il 29/11/2024 alle 08:14
Inviato da: monellaccio19
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