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Prima le donne e poi i bambini, fino a quando?

Post n°63 pubblicato il 03 Settembre 2007 da Giubizza

Non ci sono femministe in una nave che sta affondando?

Due settimane fa vari telegiornali hanno riportato la notizia del naufragio di una nave da crociera greca, incagliatasi negli scogli durante la manovra per raggiungere il porto.
Varie testate giornalistiche hanno descritto alcuni momenti "drammatici" raccontati degli stessi passeggeri della 'Sea Diamond' (questo il nome della nave). Quel che ne viene fuori da queste testimonianze è che ben poco è cambiato dal 1912, quando nella tragedia del Titanic venne data precedenza alle donne sulle scialuppe di salvataggio. In totale c'erano circa 1317 passeggeri sul Titanic, di questi passeggeri 524 erano donne.
Secondo le statistiche [1], di queste 524 donne se ne salvarono ben il 97.2% nella 1° Classe, 87,4% nella 2° Classe, e 50.8% nella 3° Classe.
Confrontate adesso queste percentuali con le percentuali degli uomini che sopravvissero a questa tragedia. Degli uomini se ne salvarono il 33% nella 1° Classe, il 7.8% nella 2° Classe, e il 13.3% nella 3° Classe.
Il confronto con le sopravvissute donne balza subito agli occhi:

Classe=======Donne Salvate====Uomini Salvati
....1° ...........97.2% ..............33%
....2° ...........87,4% .............7,8%
....3° ...........50,8% ............13,3%

Nell'era della Parità Sessuale™ Occidentale però questa palese discriminazione anti-maschile (anche nota come "Cavalleria") dovremmo già essercela lasciata alle spalle da un pezzo.
E invece non è così.
Durante il naufragio della nave da crociera Sea Diamond gli altoparlanti della nave hanno infatti fatto sapere all'equipaggio, e quindi anche ai passeggeri, quale Genere Sessuale ha ancora la precedenza in situazioni di pericolo nel Paritario e Femminista Occidente: le Donne (seguite dai bambini).
Infatti nel 2007 come nel 1912 è stata pronunciata la famigerata frase "Prima le donne e i bambini", lasciando intendere per l'ennesima volta ai passeggeri maschi che il loro genere di appartenenza è quello cosiddetto "Sacrificabile", al contrario delle donne che invece farebbero parte del maestoso "Genere NON-Sacrificabile" (vedere anche il caso dei 15 marinai inglesi catturati dall'Iran, e la richiesta di alcune ministre inglesi di liberare immediatamente l'unica donna del gruppo, come se il suo Valore fosse superiore a quello dei suoi colleghi maschi).
Dunque nel naufragio della crociera greca Sea Diamond, i giornali hanno riportato le testimonianze di alcuni passeggeri, tra cui quelle di Jon e Carol Hof, una coppia di turisti americani in viaggio per celebrare il loro 25° anniversario di matrimonio.
Ecco alcuni estratti di un articolo dello Star Tribune [2]:
"Durante una vacanza per celebrare il loro 25° anniversario di matrimonio, la coppia -originaria del South Minneapolis- è stata separata durante l'evacuazione perchè le donne e i bambini venivano salvati per primi. Jon si è chiesto se avesse dovuto nuotare fino alla riva per salvarsi."
"La vecchia regola, prima le donne e i bambini, è stata invocata. Carol ha detto che avrebbe preferito aspettare con Jon ma non le è stato permesso. Poi ha iniziato ad insistere affinchè Jon potesse prendere le sue medicine per il cuore nella loro cabina, e un membro dell'equipaggio l'accompagnò per prenderle."
"La scialuppa di salvataggio portò Carol in salvo, ma quì iniziò l'ansia per esser stata separata da Jon e per non sapere per quanto ancora la nave sarebbe rimasta a galla. Jon rimase nella nave fino a due ore dopo la collisione con gli scogli, fino a quando l'acqua stava incominciando ad entrare nella nave."

Ma ben più sbalorditiva è stata la testimonianza di una "Piccola Donna Coraggiosa", pubblicata sul The Star (quotidiano di Toronto, Canada) [3]:
"Strilchuck, 16 anni, ha detto che lei e i suoi amici non avevano giubbotti di salvataggio. Quando ha visto un uomo che ne stava indossando uno, la ragazza le ha chiesto di darglielo. La ragazza ha detto di aver chiuso il pugno ed aver colpito in faccia l'uomo quando questo si è rifiutato di darle il giubbotto di salvataggio.
'Se lo stava tenendo per sè ed aveva sui 40 anni e noi siamo bambini', ha spiegato la sedicenne, aggiungendo anche di aver tolto il giubbotto di salvataggio dall'uomo ed averlo dato ad un amico. Strilchuk ha poi detto di aver colpito in faccia un altro uomo ed avergli preso il giubbotto di salvataggio per se stessa".

Il comportamento di questa "piccola donna moderna" si commenta da solo, d'altronde la piccola non ha fatto altro che reclamare -tramite l'uso della violenza fisica- quelli che la TV e la Società in generale le dice essere i suoi inattaccabili Diritti di Nascita (Privilegi).
Perchè se un ragazzino maschio di 16 anni avesse osato prendere a pugni in faccia una donna di 40 anni, per togliergli il giubbotto di salvataggio, come minimo sarebbe stato linciato da una folla di passeggeri inferociti.
Una storia simile a quella della crociera greca si verificò in Italia nel Settembre del 2003, quando la Moby Magic -un traghetto della linea Moby Lines diretto ad Olbia- ebbe un incidente (si aprì una falla nelle sale macchine) ed iniziò ad imbarcare acqua. Anche in quel caso venne pronunciata la fatidica frase "prima le donne e i bambini".
Il fatto importante è che la nave, tutta inclinata su un lato, rischiava di affondare da un momento all'altro perchè stava imbarcando parecchia acqua, così come è successo alla nave greca.
Ma la cosa ben più importante fu che a bordo della nave qualcuno con una telecamera amatoriale filmò l'evacuazione dei passeggeri nelle barche di salvataggio. Il filmato venne poi trasmesso da alcuni telegiornali in seconda serata. In questo video si vedevano i corridoi della nave, in cui gli uomini erano stati "schiacciati" ai lati, e in mezzo a loro si vedeva passare una piccola processione di donne pronte per uscire e mettersi in salvo.
Lo sguardo nelle facce degli uomini era un misto di confusione e rassegnazione di chi sa di stare facendo il "proprio dovere", mentre nelle facce delle donne -che molto opportunisticamente sfruttavano la "Cavalleria Maschile" per mettersi in salvo per prime- era facilmente distinguibile un'espressione di paura, tipica di chi sa che la posta in gioco è alta e teme per la propria vita.
Il titolo di questo articolo quindi non è un caso:
"Non ci sono femministe in una nave che sta affondando".
Si tratta infatti di un detto inglese che sta a significare l'assoluta mancanza di coerenza dell'ideologia femminista e di coloro che aderiscono ai suoi vari deliranti principi.
Principi che non possono venir messi in pratica se non adottando un atteggiamento assolutamente scorretto e di "convenienza" che cambia a seconda delle circostanze:
Se si tratta di far entrare le donne nell'esercito, allora le donne sono Forti.
Se si tratta di salvarle da una nave che affonda, allora diventano Deboli.
Se si tratta di metterle a capo di una squadra di Vigili del Fuoco allora ridiventano Forti.
Se poi si tratta di darle agevolazioni per le tariffe nei taxi o altro allora diventano nuovamente Deboli.
A seconda della situazione, e della convenienza, sono ora Forti, e ora Deboli.
Stesso identico discorso vale per quanto concerne la differenza fra i sessi: negata o confermata a seconda della convenienza.
La coerenza, quando si parla di femministe ed ideologia femminista, se ne va dolcemente a quel paese.
E quelle donne che si stavano mettendo in salvo nel traghetto della Moby, approfittando della Cavalleria Maschile, non si sono fermate a contestare questo procedimento sessista e anti-maschile per cui alle donne viene data la precedenza al salvataggio in caso di pericolo.
Non si ha notizia, ad oggi, di nessuna femminista che durante un naufragio abbia detto:
"Fermi tutti! Questo è un procedimento discriminatorio e sessista!
Vengano salvati i bambini e poi un maschio e una femmina,
un maschio e una femmina e via così..."

No. Le quote rosa si chiedono in Parlamento, nei posti di potere,
per comandare plotoni di soldati maschi al fronte, nei posti dirigenziali, etc.etc.
In miniera, nei cantieri, nelle fogne e... nelle navi che affondano, non ci sono femministe.
Così come non servono "quote rosa", "parità dei sessi", "uguaglianza", o "pari opportunità" nelle navi che affondano.
In questo ambito, per quanto concerne la "parità", siamo rimasti ancora al Medioevo, e chi non ci sta viene messo in riga a pugni. Mentre nella 'società civile' i pugni sono sostituiti dal bullismo delle lobby femministe, che come delle Grandi Madri osservano con sguardo severo i piccoli, stupidi, viscidi politici maschi, i quali come dei bimbetti ancora legati al cordone ombelicale della Mamma non possono far altro che obbedire a qualsiasi ordine, per quanto delirante possa essere.

Note
[1] FONTE: Lester J. Mitcham, 'Encyclopedia Titanica' 1996-2006.
[2] FONTE: http://www.startribune.com/462/story/1108131.html
[3] FONTE: http://www.thestar.com/article/200984


http://antifeminist.altervista.org/analisimedia/n2742007.htm

 
 
 

Violenza femminile

Post n°62 pubblicato il 03 Settembre 2007 da Giubizza

Dati sulle violenze domestiche non diffusi dai media

di Sam & Bunny Sewell

(Disponibile testo originale in inglese)

Traduzione dal testo originale a cura della dott.ssa Ilaria Sorrentino, consulente economico-aziendale
Stiamo inviando questo rapporto a quelle persone ed enti che si occupano di violenze domestiche nella speranza di poter correggere un serio equivoco su tale tematica.
Vogliamo render noto innanzitutto che siamo stati tra i soci fondatori della locale associazione per la tutela contro gli abusi. Lavoriamo da più di dieci anni per eliminare la violenza domestica. Siamo tra i membri del "Century Club", coloro che contribuiscono con più di 100$ all'associazione locale per la tutela delle donne, e sosteniamo i servizi che esse forniscono alle vittime.
Il movimento per la tutela delle donne è gravemente disinformato circa le cause e gli scopi del problema delle violenze domestiche.
Tale disinformazione sul tema delle violenze domestiche è estesa al punto che i tribunali, i tutori della legge, e altri enti pubblici stanno attualmente realizzando programmi basati sulla propaganda femminista piuttosto che su responsabili studi scientifici.
Quello che segue è un sunto della ricerca sulle violenze domestiche. Per favore, aiutateci a far pervenire al pubblico questa importante ricerca.

Il punto di vista femminista sulle violenze domestiche contro gli studi scientifici
Uno dei miti maggiormente diffusi nella nostra società è che le violenze domestiche sono qualcosa che gli uomini infliggono alle donne. Una ricerca scientifica avente solide basi rivela che in realtà le violenze domestiche sono qualcosa che le donne infliggono agli uomini più frequentemente di quanto gli uomini non facciano alle donne. Mentre è vero che gli uomini sono responsabili della maggior parte delle violenze fuori dalle pareti domestiche, le donne risultano essere quelle che istigano la maggioranza delle violenze domestiche e che feriscono gli uomini più frequentemente e gravemente.
Il Laboratorio di Ricerche sulla Famiglia dell'Università del New Hampshire, su concessione dell'Istituto Nazionale di Igiene Mentale, ha recentemente ultimato l'ultimo di tre studi nazionali sulle violenze domestiche. I primi due studi rivelano risultati simili all'ultimo.
Chiunque desideri una copia dell'ultimo studio può ordinarla tramite l'Università del New Hampshire (chiedere il documento V55). I tabulati e la documentazione degli studi del 1975 e del 1985 sono disponibili presso il Consorzio Interuniversitario di Ricerca Socio-Politica dell'Università del Michigan. I dati originali sono disponibili anche su CD-ROM presso la Sociometrics, Inc. di Palo Alto, CA.

I risultati nella categoria "lesioni gravi" vengono riportati di seguito:

22 mogli su 1000 affermano di aver subito lesioni gravi da parte del marito
59 mogli su 1000 affermano di aver inflitto lesioni gravi al marito
32 mariti su 1000 affermano di aver subito lesioni gravi da parte delle mogli
18 mariti su 1000 affermano di aver inflitto lesioni gravi alla moglie
20 coppie di mariti e mogli su 1000 affermano che la moglie ha subito lesioni gravi
44 coppie di mariti e mogli su 1000 affermano che il marito ha subito lesioni gravi

Esistono dozzine di altri studi che rivelano scoperte simili. Per esempio: le donne sono tre volte più portate a fare uso di armi nelle violenze domestiche. Le donne provocano la maggior parte degli incidenti di violenza domestica. Le donne commettono la maggior parte degli abusi su bambini e su anziani. Le madri picchiano i figli maschi più frequentemente e gravemente di quanto non picchino le femmine. L'82% della gente ha avuto la sua prima esperienza di violenza per opera della madre. Le donne commettono la maggior parte degli infanticidi. Le donne commettono il 40% degli omicidi e la maggior parte delle vittime adulte sono uomini. Le donne commettono il 50% degli uxoricidi.
Molti non sanno a chi credere nell'ambito del dibattito sulle violenze domestiche. Da un lato ci sono i sostenitori e le femministe delle associazioni per la tutela delle donne che si basano sulle statistiche giuridiche. Dall'altro, ci sono gli esperti di scienze sociali che si basano su studi che abbiano basi scientifiche. Sfortunatamente, i risultati degli studi scientifici non ricevono l'attenzione dei media. La stampa americana sembra maggiormente interessata alla correttezza politica piuttosto che all'accuratezza scientifica. Perciò la percezione del pubblico, e la percezione di molti ben intenzionati attivisti contro la violenza domestica, viene radicalmente deviata rispetto alla più bilanciata informazione degli esperti di scienze sociali.
La tipica reazione delle femministe delle associazioni per la tutela contro gli abusi rispetto ai risultati degli studi scientifici è di avere un gravissimo atteggiamento di chiusura mentale. D'altro canto però, il personale delle associazioni per la tutela contro gli abusi che non ha accettato il punto di vista delle femministe è grato a chi gli fornisce informazioni sulle violenze domestiche che gli permettano di implementare programmi razionali per la prevenzione, l'intervento e il trattamento degli aggressori e delle loro vittime.
Non abbiamo potuto trovare studi che mettano a confronto l'efficacia di programmi scientificamente basati e programmi basati su politiche femministe. Comunque, siamo pronti a scommettere che i programmi scientificamente basati sono più efficaci dei programmi guidati dalla propaganda femminista.

La violenza domestica in altri paesi
Riteniamo sia importante notare che in molti paesi sono stati condotti lo stesso tipo di studi. La verifica transculturale dimostra che le donne sono più violente degli uomini in ambito domestico. Quando un comportamento riceve verifica transculturale significa che esso è parte della natura umana piuttosto che il risultato di condizionanti culturali. Le donne sono più spesso autrici di violenze domestiche in tutte le culture studiate. Ciò porta molti esperti alla conclusione che ci sia qualcosa di biologico sulle donne violente in ambienti familiari. I ricercatori stanno ora esaminando il ruolo del "dominio territoriale" come fattore della mancanza di considerazione delle donne per la differenza di taglia: le donne vedono la casa come il proprio territorio.
Come molte altre specie sul pianeta, noi umani siamo portati ad ignorare la differente statura quando ci troviamo in conflitto sul nostro territorio. Così, i risultati scientifici che rivelano la violenza delle donne americane non sono circoscrivibili alla cultura americana, e non indicano una speciale patologia caratteristica delle donne americane. In tutto il mondo, le donne sono più violente degli uomini in ambiente domestico.
Uno dei più importanti ricercatori in questo campo è Susan Steinmetz, Ph.D. Ecco la lista degli studi su altre culture che la Steinmetz ha condotto:
Una comparazione transculturale dell'abuso coniugale. Journal of Sociology, e Social Welfare, 8, 404-414. Coppie sposate da 9 culture diverse. .1: Finlandia, n=44; .2: Porto Rico, n=82; .3: Honduras inglese (tutto), n=231; .4: Honduras inglese di lingua spagnola, n=103; .5: Honduras inglese, creolo, n=79; .6: Honduras inglese, caraibico, n=37; .7: USA, n=94; .8: Canada, n=52; .9: Israele (tutto), n=127; .10: Israele Kibbutz, n=63; .11: Israele, città, n=64.
Di seguito un sommario dei più recenti e significativi studi reperiti sulle violenze domestiche in Canada. Ci sono state due ondate di reperimento di dati: la prima nel 1990 e la seconda nel 1992.
Questo studio è stato realizzato dalla "dott.ssa" Reena Sommer, Ph.D., un ricercatore associato con il Manitoba Centre for Health Policy and Evaluation. Enfatizziamo il "dott.ssa" per richiamare l'attenzione sul fatto che gli studi scientifici sulle violenze domestiche sono dominati da ricercatori donna.

Violenze perpetrate da donne e da uomini in percentuale del campione:

Violenze minori
lancio di un oggetto: % donne = 23.6 % uomini = 15.8
tentativo di lanciare un oggetto: % donne = 14.9 % uomini = 7.3
lancio di un oggetto contro il partner: % donne = 16.2 % uomini = 4.6
spinte o prese violente: % donne = 19.8 % uomini = 17.2

Violenze gravi
schiaffi, pugni, calci: % donne = 15.8 % uomini = 7.3
uso di armi: % donne = 3.1 % uomini = 0.9

Un servizio sulle coppie di Calgary in Canada ha riscontrato che la percentuale delle violenze gravi dei mariti sulle mogli era del 4.8%, mentre la percentuale delle violenze gravi delle mogli sui mariti era del 10%. Brinkerhoff & Lupri, Canadian Journal of Sociology, 13:4 (1989).
I sostenitori e le femministe delle associazioni per la tutela contro gli abusi hanno gravemente distorto l'immagine delle violenze domestiche e producono deliberatamente statistiche fraudolente e disinformazione. Anche quando citano statistiche che hanno basi veritiere, essi fanno un cattivo uso dell'informazione. Ecco un esempio: una delle statistiche citata più spesso dai sostenitori delle associazioni per la tutela contro gli abusi è che una donna ogni 15 secondi è vittima di violenze domestiche. Questa statistica viene dedotta da una buona ricerca che fu pubblicata nel Journal of Marriage and Family, una rispettata rivista tecnica per i terapeuti del matrimonio e della famiglia. I sostenitori dell'Associazione per la tutela contro gli abusi arrivarono a questa deduzione usando una delle conclusioni dello studio, cioè: 1.8 milioni di donne all'anno sono vittime di aggressioni da parte del marito o del fidanzato. Ciò che i sostenitori dell'Associazione per la tutela contro gli abusi ignorano sempre è un'altra scoperta dello stesso studio, cioè: 2 milioni di uomini all'anno sono vittime di aggressioni da parte della moglie o della fidanzata, che tradotto significa che un uomo ogni 14 secondi è vittima di violenze domestiche. Questo è uno degli inganni largamente praticati dai sostenitori dell'Associazione per la tutela contro gli abusi. L'establishment della stampa americana contribuisce a quest'inganno ed è anch'essa colpevole di esacerbare il problema delle violenze domestiche diffondendo delle false diagnosi.
Di solito sono le donne che avviano gli episodi di violenza domestica (picchiano per prime), e picchiano più frequentemente, così come usano le armi tre volte più spesso degli uomini. Questa combinazione di atti violenti significa che gli sforzi per trovare una soluzione al problema delle violenze domestiche devono essere necessariamente focalizzati sugli attori femminili. Dobbiamo riconoscere che le donne sono violente, e abbiamo bisogno di programmi educativi nazionali che enfatizzino il ruolo delle donne come aggressori. Altri studi mostrano che gli uomini stanno diventando meno violenti mentre le donne diventano più violente. Educare gli uomini sembra stia funzionando. Educare le donne ad essere meno violente dovrebbe essere ora il compito principale dei programmi di educazione pubblica.
Ogni programma contro la violenza domestica che accetti il paradigma "uomo che abusa - donna vittima" è basato su di una falsa premessa. Questo tipo di programmi contro la violenza domestica attualmente servono a perpetuare il problema degli abusi domestici.
Citiamo da un libro sul tema di McNeely, R.L. e Robinson-Simpson, G. (1987) "The Truth about Domestic Violence: A Falsely Framed Issue": "Mentre numerosi studi mostrano che gli uomini sono vittime di violenze domestiche almeno quanto le donne, sia il pubblico laico che molti professionisti considerano la mancanza di una distinzione di sesso nelle percentuali di aggressioni fisiche tra partners ancora sorprendente, se non inattendibile, basandosi sullo stereotipo che gli uomini sono aggressivi e le donne sono esclusivamente vittime."
Ecco un'eccezione al solito boicottaggio dei media delle storie sulla violenza domestica con basi scientifiche:
The Washington Times, 13 gennaio 1994 - Section A, Joyce Price
Murray A. Straus, un sociologo e codirettore per il Laboratorio di Ricerca sulla Famiglia all'Università del New Hampshire, accusa le "donne del movimento per la tutela delle donne" di negare che le donne abusino fisicamente dei mariti, degli ex-mariti e dei fidanzati, o di perpetrare tali abusi.
"Esiste questa finzione nei movimenti per la tutela contro gli abusi: che in tutti i casi è lui, non lei" ad essere responsabile delle aggressioni domestiche, Mr. Straus ha detto in una recente intervista.
Mr. Straus afferma che almeno 30 studi sulle violenze domestiche -inclusi alcuni condotti da egli stesso - hanno mostrato che entrambi i sessi sono ugualmente imputabili. Ma alcune di queste ricerche, come un recente servizio nazionale canadese, "hanno escluso dati sulle donne che abusavano degli uomini... perché politicamente imbarazzanti". Donne e uomini "sono quasi identici" in termini di frequenza di attacchi quali schiaffi, spinte e calci, ha dichiarato Mr. Straus. Usando informazioni su coppie sposate ottenute da 2994 donne nel National Family Violence Survey, Mr. Straus ha rilevato una percentuale di aggressioni da parte di mogli del 124 per 1000 coppie, rispetto a 122 per 1000 aggressioni da parte dei mariti.
La percentuale di lesioni su minori da parte di mogli era 78 per 1000 coppie, e la percentuale di lesioni su minori da parte dei mariti era 72 per 1000. Riguardo alla categoria delle lesioni gravi, ha affermato Mr. Straus, la percentuale delle lesioni da parte delle mogli era 46 per 1000 coppie, e da parte dei mariti 50 per 1000.
"Nessuna differenza è statisticamente differente," ha scritto Mr. Straus nella rivista Issues in Definition and Measurement. "Dato che queste percentuali sono basate esclusivamente su informazioni fornite da intervistate donne, la quasi eguaglianza nella percentuale di aggressioni non può essere attribuita ad una parzialità di genere nel rispondere." (fine della citazione).
Il commento del dott. Straus non rispecchia il National Family Violence Survey del 1995. Comunque, parte dei compiti del movimento femminista è far apparire gli uomini quanto più cattivi possibile. Il modo di considerare le violenze domestiche delle femministe è parte del problema. Il boicottaggio da parte dei media di notizie su studi scientifici è parte del problema. Il contributo della scienza ci dà speranza per una soluzione.

Ti invitiamo a fare la tua parte per diffondere queste importanti informazioni nella tua comunità.
Grazie per l'attenzione prestata a questo importante messaggio.

 
 
 

La dea madre

Post n°61 pubblicato il 03 Settembre 2007 da Giubizza

Le donne oggi si sa, possono fare della loro maternità e del figlio che aspettano quel che vogliono.
Possono abbandonarlo, ammazzarlo, triturarlo, spappolarlo (del resto l'aborto in questo consiste...). E anche dopo la nascita del bimbo possono metterlo in lavatrice schiacciarlo sotto le ruote dell'auto (cose accadute!), affogarlo nella vasca da bagno, gettarlo nei bidoni dell'immondizia (qualcuna ha tentato anche di farlo entrare nella tazza del water...), etc...
Tanto con la crisi post partum e la fase premestruale tutto oggi è ben giustificato...
Ok, le donne sono proprietarie di quelle "cose" che sono i loro figli fino ad oltre il parto e anche dopo l'allattamento. Tra poco anche una madre che ammazza il figlio ventenne verrà assolta. L'emancipazione femminile vuole questo ed altro, vuole la donna padrona assoluta della vita altrui. Sempre giustificata e assolta in quanto ogni critica, ogni volontà di addossarle colpe e responsabilità delle proprie azioni viene presa come atto "sessista" e "maschilista".
La Dea Madre così vuole! Ella è insindacabile, ella è il Sacro Sesso e il Sacro Genere dinnanzi a cui tutto e tutti devono piegarsi e sottomettersi in nome del "progresso", della "civiltà" e della "parità" tra i sessi... Lo stesso fatto che le problematiche maschili siano prese sottogamba se non addirittura ignorate o ritorte contro i maschi stessi è la dimostrazione di quanto "parimenti" siano considerati i problemi maschili e quelli femminili. Il tema della genitorialità maschile non merita attenzione da parte della società "paritaria". I problemi maschili? Ma che problemi potranno mai avere questi stupidi mostri idioti inferiori che sono i maschi umani? Ah, soprattutto "privilegiati"! Certo, perché morire in guerra, nelle miniere e sul lavoro, fare la fame come e più delle donne, avere una vita media di 7 anni inferiore e una qualità della vita sicuramente ben peggiore di quella delle donne, questi sono tutti dei "privilegi"! Bei "privilegi" davvero!
Però intanto la maggior parte dei transgender sono uomini che vogliono diventare donne e più raramente il contrario. Come se vi fossero dei borghesi che vogliono diventare operai ma non viceversa…
La cosa più buffa è che il femminismo spesso si pretende laico e “anticlericale” perché si oppone alla concezione classica della teologia del Dio Padre. In realtà il femminismo è una nuova religione antagonista a quella del Dio Padre. È una religione che vuol sostituire a questo la Dea Madre. È questa una divinità che con l’ausilio di legislatori accondiscendenti, burocrati, scribacchini e annessa sbirraglia vuol prendere a cazzotti il vecchio dio maschile per sostituirsi in veste di nuova dea femminile “laica” e “giovanile”. In verità sotto il lifting e il make up si nasconde una dea ancor più vecchia e dispotica del dio padre. E io sinceramente , come si suol dire, tra lui e lei scegliere davvero non saprei...
Ah già! Chi dice questo ha problemi col genere femminile! Come se non fosse il genere femminile ad avere problemi con quello maschile e a stare sempre a frignucolare diritti e pretese senza mai volersi assumere doveri e responsabilità!
Oppure no, chi dice queste cose vorrebbe tornare a un vero o presunto “patriarcato” se non vorrebbe addirittura schiavizzare le donne. Come se tra lo schiavizzare e il divinizzare non vi fossero vie di mezzo, come per esempio non so… umanizzare. Come se tra il patriarcato e il matriarcato di fatto in cui viviamo non vi fosse altra alternativa. Ah già! Oggi viviamo in piena “parità” tra i sessi, nel migliore dei mondi possibili, se non addirittura in una società ancora… patriarcale e maschilista (sic!).
Certo certo...
Ok, dicevo, le donne dei figli possono farne quel che vogliono!
È stata persino inventata la scusa dozzinale che l’embrione umano è una parte del corpo della madre. Certo, allora anche la tenia è una parte del corpo di chi se la porta appresso e anche i pidocchi e i medici sanitari che tolgono i pidocchi dalla testa dei bambini stanno violando il loro corpo.
Un essere vivente che ha un proprio patrimonio genetico è parte di un altro essere vivente che ha un altro patrimonio genetico? E come ci sarebbe finito questo essere nel corpo della madre senza un gamete maschile? In realtà non c’è alcuna prova scientifica a favore della non personalità dell’embrione umano, ma è stato legalizzato l’aborto sulla base di una mera testi ideologica. Come se legalizzassimo gli OGM affermando senza alcuna prova che fanno bene alla salute. Invece no! Gli OGM seguono il principio della prudenza e finché non ne è dimostrata l’innocuità non possono essere approvati, mente è possibile uccidere se non vite umane, probabili vite umane solo perché alcuni hanno stabili che non sono vite umane.
Ma in realtà la legalizzazione dell’aborto ha la mera sfacciata ragione di essere solo per dare alla donna il potere di disporre della vita altrui. In realtà l’unico scopo dell’attuale società femminista è la sempre più stridente criminalizzazione del maschio e la sempre più totale immunizzazione dei crimini femminili. Ogni scusa è buona per dare alle donne sempre più immeritati e illeciti poteri. Di uccidere embrioni, di uccidere bambini e anche adulti. Tanto ci penserà la magistratura a dimostrare l’innocenza dell’imputato donna sulla base di “scientifiche” argomentazioni quali crisi ormonali (gli uomini non hanno ormoni e sbalzi ormonali vero?), fasi particolari in cui perennemente versano le donne o roba del genere. Ma quello che non si nota sono alcune incoerenze “coerenti”. Per esempio già il ciclo mestruale comporta che la donna sia sempre in una determinata fase di esso. Ora basta “argomentare” che una determinata fase è “critica” e il gioco è fatto.
Ma non si dice però che il testosterone comporta aggressività e non si parla di scagionare gli uomini che commettono reati violenti sulla base del fatto che hanno dieci o venti volte il testosterone che hanno le donne in corpo. No, certo! Gli uomini vanno criminalizzati in toto. I cicli mestruali e le crisi post parto scagionano le donne, ma gli elevati livelli di un ormone che comporta aggressività non scagiona gli uomini. Davvero una società “paritaria” e “imparziale”!
Quindi le donne possono fare dei loro figli, anche già nati, quello che vogliono senza che il padre, o il presunto padre, possa dir parola!
Va bene, buon per loro (un po' meno per i figli però...)!
Ma non sarebbe ora che anche gli uomini possano avere il diritto a una libera paternità? Alla facoltà di riconoscere o meno il proprio figlio secondo propria libertà e senza alcun obbligo di legge?
Non è che una donna che aspetta il figlio di un uomo dovrebbe avere l'obbligo di comunicarlo al padre affinché questi possa valutare la situazione e fare le sue scelte?
Non è che un uomo che cresce un figlio che scopre non suo avrebbe diritto a un risarcimento?
Iniziamo a parlare anche dei diritti di paternità oltre che di quelli della maternità!
Non sarebbe ora di prendere in seria considerazione provvedimenti che facciano in modo che la condizione genitoriale di un uomo non dipenda dalle scelte della donna, ma che ognuno scelga secondo propria libertà assumendosi le proprie responsabilità?
No di certo! Perché tutto questo sarebbe sinonimo di… “maschilismo”!

 
 
 

La sacralità della figa

Post n°60 pubblicato il 03 Settembre 2007 da Giubizza

Dal sito di Uomini 3000 (www.uomini3000.it)
Da molto tempo nel nostro diritto costituzionale, così come in filosofia, si dibatte della gerarchia dei valori fondamentali: difatti è ormai un principio comune, anche nella giurisprudenza della nostra Consulta, che quando due diritti costituzionali confliggono si deve cercare di contemperarli e, ove non sia possibile, si deve dare prevalenza a quello gerarchicamente più importante.
In questo quadro di priorità, nella nostra cosiddetta "società civile" si sta affermando l'idea di un nuovo valore fondamentale, dal quale discendono diritti inviolabili che dovrebbero prevalere in modo assoluto rispetto a tutti gli altri valori e diritti. Compresi quelli che normalmente si considerano sacri e intangibili, come la vita, la salute, la libertà di espressione e di autodeterminazione della persona in tutte sue varie declinazioni.
Lo abbiamo visto chiaramente come su una cartina di tornasole, quando è sorta la polemica sulla cosiddetta "infibulazione dolce", proposta da un medico di origine islamica che lavora da anni sul problema a Firenze.
L' idea di questo medico era semplice e pragmatica: vi è un numero notevole di giovani donne immigrate in Italia, specie da Paesi africani, che non rinunciano per sé e per le proprie figlie alla sia pur barbara tradizione della infibulazione. Quest'ultima, oltre a dare luogo a una mutilazione permanente, spesso viene praticata in assenza di alcuna precauzione medica ed igienica, con conseguenti rischi per la salute generale se non per la vita.
Si sarebbe quindi trattato di sperimentare nei presidi sanitari pubblici l'offerta di una infibulazione simbolica, non mutilativa e igienicamente sicura (praticamente una piccola incisione sulla vulva), che secondo questo medico - che ha studiato il problema sul campo - per molte donne sarebbe stata ritenuta sufficiente a salvaguardare la loro tradizione.
Era una proposta ispirata da valori tipicamente occidentali, quali la tutela della vita, della salute, del pluralismo culturale e religioso. E comunque si basava sul principio del male minore.
La levata di scudi che c'è stata da più parti fa capire che in Occidente sta emergendo un principio fondamentale che prevale su tutti i valori di cui sopra, benché gli stessi siano alla base della nostra civiltà (come vediamo in particolare di questi tempi di conflitto con l'Islam): si tratta del principio della libertà sessuale femminile.
Femminile, e non libertà sessuale tout court, altrimenti non si spiegherebbe il motivo per cui nessuno pone obiezioni riguardo alla circoncisione maschile, che è altrettanto diffusa non solo nell'ebraismo ma anche nei Paesi islamici dove si pratica l'infibulazione, con le stesse carenze igieniche. La circoncisione è accettata al punto tale che si potrebbe tranquillamente praticare anche in strutture sanitarie pubbliche, per evitare ogni problema sanitario.
La libertà sessuale femminile è invece tanto importante che non può essere violata nemmeno a livello simbolico, come avverrebbe con la infibulazione dolce.
E ' una libertà - o pretesa tale - che prevale anche sui diritti alla vita e alla salute, proprio quelli che si era ipotizzato di tutelare nei confronti delle donne che altrimenti rischiano di subire l'infibulazione "hard" senza alcuna tutela igienica, e di venirne pregiudicate seriamente.
Essa prevale sul diritto all'integrità del corpo, che viene lesa dall'infibulazione hard e non da quella dolce.
Prevale sul diritto di libertà religiosa, di espressione del pensiero, di uguaglianza sostanziale: proprio quei diritti rivendicati da numerose donne islamiche in quanto considerano l'infibulazione una pratica da rispettare per non venire penalizzate socialmente nel loro ambiente.
Prevale persino sulla stessa libertà della donna, tanto importante per altri versi: sembra infatti che per l'infibulazione dolce non si sia nemmeno preso in considerazione il principio del male minore, che a suo tempo gli stessi che si sono scandalizzati per la proposta del medico fiorentino invocavano a gran voce per legittimare l'aborto di Stato.
Tutti ricordano come ai tempi del referendum sull'aborto molte di quelle stesse persone adombrassero - non senza un certo strepito - i rischi delle mammane e dei ferri da calza, ai quali si temeva che le donne italiane avrebbero continuato ad affidarsi, se non si fosse concessa l'interruzione volontaria della gravidanza, pubblica e gratuita.
Ancor oggi, come si è visto di recente, la predetta interruzione di gravidanza è tanto tutelata da suscitare scandalo persino a fronte dell'idea di fare pagare per essa almeno un ticket, come avviene per le altre prestazioni sanitarie non strettamente necessarie.
Insomma, pare che persino la cosiddetta libertà di autodeterminazione della donna sul proprio corpo, tanto sacra in Italia e in Occidente, debba cedere di fronte al valore prevalente della sua libertà sessuale.
Dalle nostre parti si è dibattuto molto, e tuttora si discute, di problemi come l'aborto e la fecondazione assistita: anche questi hanno molto a che fare con il corpo femminile e la sua inviolabilità, e anzi si tratta di pratiche che di norma sono persino più invasive di quanto non lo sarebbe l'infibulazione dolce.
Sarà perché in quei casi si tratta di esigenze delle nostre evolute donne occidentali, ormai liberate e padrone del loro futuro, e invece quando si parla di infibulazione ci si riferisce alle scelte tribali di donne immigrate e povere, ancora non "liberate" e sottomesse all'uomo, e quindi estranee alle piacevolezze della nostra civiltà.
Tuttavia è indubbio che, quando si parla di aborto e di fecondazione assistita, la libertà di autodeterminazione della donna è spesso l'argomento decisivo a favore della legittimità degli interventi più invasivi.
Ma per quanto riguarda l'infibulazione dolce, no: il solo sospetto per cui le donne che la chiedono non siano sessualmente "libere", basta a rendere esecranda l'idea di intervenire anche solo simbolicamente sulla loro vulva.
Di fronte alla libertà sessuale, sembra che persino gli altri fondamentali diritti femminili debbano cedere: la donna deve essere sì libera, ma di questa libertà deve fare un uso compatibile con l'idea occidentale della sua sessualità.
Quando invece vuole usare della propria libertà per pregiudicare - anche solo simbolicamente - quel fondamentale valore, allora dovrebbe essere difesa persino da se stessa.
Ciò che conta ancor più della salute e della libertà di scelta, a quanto pare, è il simbolo: la pienezza e l'intangibilità della vulva - simbolo del potere sessuale femminile - e ancor più del clitoride - simbolo del suo diritto al piacere - che in quanto tali devono essere ancora più preservati dell'utero.
Una volta quest'ultimo era rispettato in quanto sede sacrale della maternità e quindi della vita. Ma ora - come ha insegnato il femminismo fin dai tempi del "Secondo sesso" della de Beauvoir - l'utero passa in secondo piano in quanto è anche simbolo della "prigione del corpo" nella quale la donna sarebbe stata rinchiusa dalle società maschiliste.
Oggi invece è nella vulva e nel clitoride che risiede il potere al quale ognuno si dovrebbe inchinare.
M. F.

 
 
 

Sessismo femminista

Post n°59 pubblicato il 03 Settembre 2007 da Giubizza

Dal 1992 esiste una legge, la legge 215/1992, che tende a discriminare tra uomini e donne per la concessione di contributi pubblici, che sono in parte a fondo perduto e in parte da restituire in dieci anni a tasso agevolato.
Essa infatti richiede una gestione prevalentemente femminile delle imprese beneficiarie.
Ne espongo brevemente di seguito alcune caratteristiche, che ho ricavato dalla lettura del sesto bando.

A chi è rivolta l'iniziativa
I soggetti beneficiari del finanziamento sono le micro e le piccole imprese con maggioranza a partecipazione femminile di tutto il territorio nazionale.

Dotazione finanziaria
La dotazione finanziaria è specificata nei singoli bandi.
La dotazione finanziaria complessiva prevista dal sesto bando (2006) è di 88,5 milioni di euro, ed è riferita alla promozione di nuove attività imprenditoriali a conduzione femminile.

Requisiti da rispettare da parte di chi fa domanda per l'assegnazione dei contributi
- imprese individuali: il titolare deve essere donna;
- società di persone e cooperative: maggioranza numerica di donne non inferiore al 60% della compagine sociale;
- società di capitali: le quote di partecipazione al capitale devono essere per almeno i 2/3 di proprietà di donne e gli organi di amministrazione devono essere costituiti per almeno 2/3 da donne;
- imprese, o i loro consorzi, associazioni, enti, società di promozione imprenditoriale anche a capitale misto pubblico e privato, centri di formazione e ordini professionali che promuovono corsi di formazione imprenditoriale o servizi di consulenza e di assistenza tecnica e manageriale riservati per una quota non inferiore al 70 per cento a donne.

Spese ammissibili in base alla Legge 215
1. Studi di fattibilità e piani d'impresa (2% dell'investimento ammesso)
2. Progettazione e direzione dei lavori (5% dell'importo per opere murarie)
3. Macchinari ed attrezzature
4. Impianti generali
5. Opere murarie (25% dei macchinari ed impianti)
6. Beni usati (solo per acquisto di attività preesistenti)
7. Software
8. Brevetti
9. Attività preesistenti
10. Servizi reali

Caratteristiche del contributo
Concessione di contributi a fondo perduto di in una quota pari al 50%, e per il restante 50% da restituire in dieci anni, ad un tasso agevolato dello 0,50 per cento. Le percentuali concesse e i relativi importi che saranno concessi dovranno rispettare i limiti imposti dalla normativa comunitaria in relazione alla localizzazione delle imprese (obiettivo 1, 2 e restante territorio nazionale).

Dotazione finanziaria
Milioni di euro totali messi a disposizione per gli investimenti agevolati: 1308,2
Primo bando: 56,6 (milioni di euro);
Secondo bando: 100,97 (milioni di euro);
Terzo bando: 154,16 (milioni di euro);
Quarto bando: 473,97 (milioni di euro);
Quinto bando: 434,00 (milioni di euro);
Sesto bando: 88,5 (milioni di euro)

 
 
 

L'era del figocentrismo (prima parte)

Post n°58 pubblicato il 03 Settembre 2007 da Giubizza

La campagna ideologica figocentrica concilia al femminismo più spinto il maschilismo più sciovinista. Mi vengono a mente le parole di Warren Farrell (http://www.warrenfarrell.org/; http://www.warrenfarrell.com/) nel suo libro “Il mito del potere maschile (http://www.amazon.com/Myth-Male-Power-Warren-Farrell/dp/0425181448) quando asserisce che “il femminismo più estremo va sulla stessa linea d’onda dello sciovinismo maschilista: proteggere al donna a ogni costo, fondandosi sulla figura della donna-bambina”. Ecco le donne, adagiatesi su di un protezionismo estremo.
Il femminismo paritario aveva come scopo la liberazione della donna dal giogo di un vero o presunto dominio maschile e patriarcale, la sua emancipazione e la parità e uguaglianza col sesso maschile. Secondo questo ideale le donne avrebbero dovuto interagire attivamente e fattivamente con gli uomini sotto tutti gli aspetti, mettendo al bando ogni sorta di passività e inerzia, la donna avrebbe dovuto divenire, da quel mero oggetto passivo e inerte, un essere umano attivo e fattivo, intraprendente e indipendente.
Le cose sono andate diversamente invece. Quel fenomeno chiamato “rivoluzione sessuale” non pare abbia preso piede come doveva, si è invece andati verso una deriva sessista fondata sull’esaltazione della donna fine a se stessa, un esasperato protezionismo verso il sesso femminile a scapito degli individui maschi dei ceti popolari.
La donna si è vista così cullare in una bambagia che di certo non l’aiuta ad assumersi quel ruolo di responsabilità e di crescita che le competerebbe. Le è stato concesso di poter uccidere i figli che porta in grembo, di scaricare le proprie frustrazioni sul partner, delle quote in parlamento in alcuni paesi, non pochi favoritismi sul posto di lavoro, ma non credo che queste cose abbiano davvero a che fare con una vera e propria emancipazione. Abbiamo visto crescere la colpevolizzazione, la denigrazione, la ridicolizzazione e la iperresponsabilizzazione del sesso maschile. Colpevolizzazione, ridicolizzazione, denigrazione e iperresponsabilizzazione dal sapore di dispetto infantile, ma che di certo non l’aiuta a guardarsi in faccia, farsi una vera e genuina autocritica al fine di potersi veramente migliorare e crescere sotto tutti i punti di vista.
Basti pensare ai provvedimenti protezionistici e antidemocratici volti a favorire le donne, provvedimenti che derogano ai più elementari principi di democrazia e dello stato di diritto. Così le cosiddette “quote rosa” storpiano la composizione del parlamento che non rispecchia più la volontà popolare; la presunzione di colpevolezza prevista per le molestie sessuali prevede che sia l’accusato a dimostrare la sua innocenza e non l’accusante la colpevolezza di quello, il tutto basandosi non sulle oggettive circostanze, ma su ciò che ha percepito la “vittima”, l’accusato deve dimostrare che per la vittima non c’è stata molestia! E le innumerevoli iniziative realizzate solo per donne derogano al principio del divieto della discriminazione sessuale. Si è stabilito che la maternità sia una scelta che può comportare anche il sacrificio della vita del figlio, ma fino a che punto la paternità è anch’essa una libera scelta? Per non parlare della questione degli alimenti che i mariti divorziati più “ricchi” delle loro ex mogli non versano a queste, e della casa coniugale che spetta in genere alla moglie anche in caso di divorzio per sua colpa. Mentre difficilmente si parla di tutti quei padri divorziati le cui madri impediscono loro di vedere i propri figli. E che dire, poi, degli innumerevoli casi di favoritismo sessuali verso le donne nell’ambito del lavoro, ma anche in altri campi del vivere quotidiano? Sembra di vivere in un’epoca di dispotismo femminile gestito dagli uomini.
Mentre le donne devono sempre essere destinatarie di particolari attenzioni, gli uomini devono sempre andare in automatico, cavarsela da sé. Così mentre gli uomini devono sempre conoscere la propria partner, le donne non hanno alcun obbligo di conoscere il proprio partner. Le donne possono dare tutto per scontato, sparare cazzate sul modo di essere e sulla sessualità maschile. Gli uomini devono approfondire le problematiche delle donne della sessualità femminile e non dare niente per scontato. Gli uomini a 40 anni chiedono ancora cosa piace o non piace alle donne, una ragazzina di 20 anni già sa tutto sugli uomini!
Non credo siano queste le basi per un miglior rapporto tra i sessi. La vita sociale sia unione, scambio, comunione, conoscenza reciproca. Crediamo che chi voglia attenzioni debba essere disposto (e anche disposta…) a darle e spesso ad anticiparle, magari sperando di riceverle in cambio. Sperando ma non pretendendo perché in amore nulla va preteso. Crediamo che vi sia il bisogno di un nuovo modello di sessualità umana di comprensione reciproca basata non su stereotipi e generalizzazioni banali, ma sul vissuto personale, sull’individuo nella sua specificità e nella sua complessità, nonché sulla conoscenza e la comunicazione psicofisica reciproca. Crediamo altresì che ogni individuo, maschio o femmina, sia un mondo da scoprire ognuno diverso dall’altro, spesso sorprendente nella sua complessa specificità.
Come ho già esposto, negli ultimi decenni si avverte sempre più forte la pressione di una sorta di senso di colpa storico che si cerca in tutti i modi di far ricadere sui maschi occidentali. Si cerca sempre più di creare una cultura dei rapporti di coppia oltre che e sociali a misura di donna in cui la parte maschile, fin negli aspetti più intimi, è sempre più colpevolizzata e stretta nell’osservanza di regole rigidamente incentrate sulle esigenze, vere o presunte, femminili.
Tutto questo si riflette, oltre che nei rapporti sociali, economici, personali, culturali, anche nell’ambito della vita di coppia. Da un punto di vista relazionale, le donne devono sempre essere comprese e capite senza mai comprendere e capire. Mentre troneggia la filosofia “gli uomini fanno schifo ma il mio uomo è diverso dagli altri” facilmente convertibile in “il mio uomo fa più schifo degli altri perché non ha capito al volo una mia piccola esigenza”. Per non parlare della propensione di tante donne di volersi impossessare dell’anima del proprio compagno, di essere padrona dei suoi sentimenti, di pretendere la massima dedizione, la massima perfezione, il massimo rispetto non curandosi che tutto ciò sia ben ricambiato. Spesso sono perfino gelose del suo passato, però poi sono gli uomini a essere gelosi e possessivi. Poi quando capiscono che il proprio partner ha conservato la sua autonomia, in quanto è impossibile impadronirsi di un altro essere umano, allora, ferite nel loro stupido e ottuso orgoglio di femmina, vanno via, fuggono vigliaccamente per non affrontare la realtà.
Negli aspetti più intimi, la moda che ultimamente ha preso piede nella cultura sessuale odierna è che l’uomo dovrebbe sempre seguire e adattarsi alla donna e mai la donna all’uomo. Dare soddisfazione a una donna pare sia diventata quasi una missione scatologica, il fine ultimo della vita di un uomo. Tanto che l’accusa del non soddisfare costituisce spesso una grande offesa, senza tener conto che chi non è soddisfatto una buona dose di colpa potrebbe benissimo averla. Questo perché si vorrebbe far intendere che il piacere femminile sarebbe più “difficile”, più complesso e più misterioso di quello maschile. Ora, a parte il fatto che non è affatto vero che il piacere maschile sia così facile e scontato come lo si vuol far credere dall’attuale ideologia sessuale figocentrica, vi sarebbero delle annotazioni al riguardo da fare.
Direi che, anche ipotizzando una coppia composta da A e B, in cui supponessimo che A abbia un piacere più “difficile” di B, ciò non vorrebbe dire che i rapporti sessuali tra i due debbano essere unilaterali e B debba “accudire” A mentre questo (o questa) non dovrebbe fare più di tanto. Non giustificherebbe A nel pensare solo al proprio piacere, seppure quello di B fosse più “facile”. Figuriamoci ora nel mondo reale, nella sua complessità e varietà, in cui il grado di difficoltà del piacere non solo non è così legato al sesso, ma è piuttosto individuale, ma nello stesso individuo varia continuamente a seconda di elementi non sempre individuabili. Figuriamoci quanto possa valere tale asserzione.
Molti articoli sul sesso fanno venire in mente la distinzione che facevano i giuristi del XIX secolo tra stato legale e stato reale: gli articoli affermano una cosa, ma la realtà dei fatti ne dimostra un’altra. Forse sembreremo un “complottisti” ma abbiamo la sensazione che la sessuologia più che una scienza sia una propaganda di un’ideologia sessuale che da un lato glorifica e complica la sessualità femminile e dall’altro si dà a una macabra campagna di banalizzazione e grettizzazione di quella maschile. Così mentre la sessualità femminile viene deresponsabilizzata, spogliata di ogni autonomia individuale e sottoposta a un’assurda potestà del partner, quella maschile viene abbandonata a se stessa, privata di qualsiasi sensibilità nei riguardi degli input femminili e soprattutto spacciata per una sorta di meccanismo automatico. Si vuole imporre una sessualità a misura di femmina, figocentrica, attenta solo alle esigenze femminili, vere o false che siano, privando i maschi di qualunque bisogno e qualunque necessità. Oggi parlare di sessualità vuol dire praticamente parlare di sessualità femminile.
La terminologia è importante. I termini utilizzati per definire un dato modo di essere o un comportamento influiscono sulla percezione che si ha di essi. La campagna ideologica figocentrica utilizza differenti termini per indicare ciò che è o fa un uomo o una donna.
Ecco alcuni esempi di questa terminologia discriminatoria:
• Se una donna innamorata non si dichiara è astuta; se un uomo innamorato non si dichiara è un vigliacco
• Se una donna divorziata si rifà una vita ha una buona capacità di recupero; un uomo è debole e non sa vivere da solo
• Se una donna divorziata resta sola è forte e affronta la vita in solitudine; un uomo non è riuscito a riprendersi
• Se una donna tradisce spesso ha il gusto del sesso; un uomo è debole, depravato e mascalzone
• Se una donna tradisce è per chissà quali motivazioni sublimi, magari perché è sessualmente insoddisfatta (così è pure colpa del partner, cornuto e mazziato…); se un uomo tradisce è perché è un porco (gli uomini sarebbero sempre sessualmente soddisfatti…)
• Se una donna si arrabbia perché tradita è offesa nella sua dignità personale; un uomo è ferito nel suo orgoglio di maschio (ben pochi uomini saprebbero definire in cosa consista questo presunto orgoglio “maschile”. Che sia un’invenzione femminile?)
• Se una donna è sessualmente insoddisfatta è colpa del partner (gli uomini sono sempre colpevoli); se un uomo è sessualmente insoddisfatto ha qualcosa che non gli funziona (le donne sono sempre innocenti)
• Se una donna guarda un uomo con desiderio se lo mangia con gli occhi; se un uomo guarda una donna con desiderio la “spoglia” con gli occhi (gli uomini fanno i “guardarobisti”?)
• Se una donna non fa bene il sesso è per l’inesperienza del partner; se un uomo non fa bene il sesso è per la “propria” inesperienza
• Se una donna vuole fare sempre sesso è una donna calda e passionale; se un uomo vuole fare sempre sesso è un arrapato cronico
• Se una donna ha uno scarso appetito sessuale è perché il desiderio femminile va nutrito e stimolato; se un uomo ha uno scarso appetito sessuale è freddo di chiamata e mezzo impotente
• Se una donna vuole passare subito all’atto sessuale ha un desiderio prorompente; se un uomo vuol passare subito all’atto sessuale è frettoloso e disattento
• Se una donna guarda gli uomini è perché ha il gusto verso il bello; se un uomo guarda le donne è un guardone
• Se una donna fa sesso in modo convulso è passionale; un uomo è un imbranato
• Se una donna ama i giochi erotici ha un erotismo complesso, se un uomo ama i giochi erotici è perché ha una sessualità primitiva o, peggio, infantile
• Se una donna ama il sesso orale è perché ha una sessualità intensa; un uomo è un fissato
• Se una donna (e questo è il pezzo forte, tenetevi!) ha difficoltà a eccitarsi è sessualmente demotivata; un uomo fa cilecca o ha “disfunzioni erettili” (sempre il concetto macchinistico della sessualità maschile!)
• Se una donna ha l’eccitazione lenta è perché va “scaldata” lentamente (il sesso è una partita di calcio…); se un uomo ha l’eccitazione lenta è “moscio” e ha bisogno del viagra (l’uomo deve sempre “funzionare” come si “deve”…)
• Se una donna ha difficoltà orgasmiche si parla di anorgasmia; se un uomo ha lo stesso problema si parla di “incompetenza” eiaculatoria (per eiaculare bisogna fare un master?)
• Se una donna viene dopo due secondi dall’inizio del rapporto (non è affatto impossibile, anzi…) è perché ha una sessualità impetuosa; gli uomini hanno l’eiaculazione precoce
• Una donna che si masturba scopre il suo piacere e il suo corpo e arricchisce la sua sessualità; un uomo è un segaiolo frustrato
• Una donna va accettata come è; un uomo deve cambiare per amore.
Insomma per gli uomini c’è sempre il terminuccio “simpatico”, c’è sempre la motivazione e la causa più grezza, più bassa, più ridicola per ogni loro cosa. Mentre per le donne è sempre tutto sublime, divino, gaudioso. È come se l’essenza femminile fosse lasciata libera di spaziare in vasti campi, ogni cosa che fa una donna è sempre sublime, divina, misteriosa. Mentre l’essere maschile deve sempre attenersi a rigidi protocolli e quando sgarra scatta la pena ingiuriosa. L’uomo deve sempre conformarsi ai tempi e ai metodi della donna e mai la donna ai tempi e ai metodi dell’uomo. Ogni cosa faccia un uomo è sempre per ragioni di grettezza e bassezza, spesso portata al ridicolo. C’è questo macabro gusto di ridicolizzare il maschio e tutto ciò che è maschile, questo considerare gli uomini come se non fossero di carne ed ossa. Oppure, peggio ancora, il compatirlo con toni materni e di un’inopportuna quanto ipocrita “pietà”, come se fosse un bambino impacciato.
Anche le soluzioni proposte per risolvere i medesimi problemi sono diversi più per motivi di pregiudizi che non per necessità reali. Se una donna ha difficoltà in qualcosa ha bisogno di qualcosa che le venga dato dagli uomini in generale o dal partner in particolare, se un uomo ha lo stesso problema deve trovare da sé la soluzione. Un esempio attinente la vita sessuale lo abbiamo oggi col viagra: sono convinto che la maggioranza degli uomini che prendono questa stupidissima pillola non ne abbia bisogno veramente. È solo in ossequio allo stereotipo culturale del maschio arrapato che viene consigliato questo orribile farmaco. Questi ritrovati non ci propongono maggior piacere, un orgasmo più intenso, un'esperienza sessuale più appagante, ma ci garantiscono di non sfigurare con la nostra partner, di non lasciarla delusa, di poter emulare le performance di un attore porno. La donna prima e al centro di tutto!
Nel sesso oggi c’è chi è “precoce” e chi è “tardivo”, vi sono “competenze” e “incompetenze”. Non vi sono tempi che variano a seconda degli individui, delle situazioni e dei momenti.
Se diamo uno sguardo ai tempi coitali negli altri mammiferi possiamo notare come la cosiddetta eiaculazione precoce o ritardata siano mere invenzioni della sessuologia figocentrica che pretende di conformare l’uomo ala donna, storie volte a conformare il piacere maschile a quello femminile.
Come ben sappiamo oggi è di moda spacciare la sessualità femminile per un qualcosa di estremamente complesso e quella maschile per un meccanismo automatico semplicistico.

 
 
 

L'era del figocentrismo (seconda parte)

Post n°57 pubblicato il 03 Settembre 2007 da Giubizza

La sessuologia mi sembra quasi una teologia moderna. Così come la teologia non studia e analizza, ma propaganda ed enfatizza l’oggetto del suo “studio”, così fa la sessuologia che ricalca i solchi dei pregiudizi e degli stereotipi propagandando modelli sessuali schematici. Nella teologia il protagonista è dio, il suo interlocutore è l’uomo, il peccato e l’imperfezione umana sono le mancanze che separano l’uomo da dio e la grazia e la misericordia divina sono l’espiazione che unisce di nuovo creatore e creatura. Nella sessuologia il grande protagonista è la donna in quanto è la sua sessualità, o pretesa sessualità, che è al centro dell’attenzione e merita di essere studiata. L’uomo è il suo interlocutore, l’eiaculazione precoce o ritardata e la disfunzione erettile sono le mancanze dell’uomo che lo separano dalla donna e l’orgasmo femminile è l’espiazione dell’uomo che lo riavvicina alla donna.
Così la donna diventa una macchinetta a orgasmo comandato, una sorta di videogioco (quanti punti ho fatto al videogame? Quanti orgasmi ha avuto la mia donna?), uno schema che però fa illudere le donne di aver conseguito una loro emancipazione, le fa sentire importanti e le culla nella bambagia dell’irresponsabilità. Un po’ come le repubbliche popolari e i socialismi reali facevano illudere i lavoratori di aver conquistato il potere.
Persino un sessuologo italiano (Dottor Paolo Zucconi alla pagina (http://www.dr-zucconi.it/problema.php?articolo=voglia_orgasmo) ammette che “per motivi socio-culturali” deve essere il maschio a soddisfare la femmina e non viceversa.
Ecco il pezzo del sessuologo:
“Il mancato raggiungimento dell’orgasmo può far ipotizzare al sessuologo clinico una disfunzione sessuale denominata appunto “disturbo dell’orgasmo”. Nell’uomo tale disturbo si presenta nelle forme dell’eiaculazione ritardata e della eiaculazione impossibile che, secondo i clinici, rimandano a caratteristiche personologiche maladattive e a specifiche psicopatologie da trattare psicoterapicamente (NdR: e chi dice che la causa non sia un’altra invece?). Molto frequente è invece la mancanza o l’inibizione dell`orgasmo nella donna, particolarmente nelle nubili o sotto i 35 anni, definita “primaria” nel caso in cui non abbia mai avuto in vita sua un`esperienza ritmica con un inizio ed una fine, diversa dal massimo piacere (circa 8/10% delle pazienti), mentre l`anorgasmìa cosiddetta “secondaria”, subentrata successivamente spesso in seguito ad un evento traumatico, va riferita alla mancanza di esperienza orgasmica con il partner attuale, mentre si parla di anorgasmìa situazionale quando l`orgasmo viene raggiunto solo con certi partners o in particolari circostanze.
Nella valutazione clinica di una lamentata disfunzione orgasmica va sempre considerato il disfunzionamento sessuale di entrambi i partners (se entrambi presenti) per evitare che un`eventuale inibizione orgasmica femminile o la non sincronizzazione dell`eccitazione nel rapporto possano essere addebitate all`eiaculazione precoce del maschio. Infatti motivi socio-culturali portano più a premere sugli uomini affinché durante il rapporto soddisfino le donne che non viceversa per cui si è più facilmente propensi a vedere nel mancato controllo orgasmico una disfunzione eiaculatoria piuttosto che un problema solo o anche del partner femminile
(NdR: ecco! Alla faccia della “scienza”!).
La soluzione più pratica ai vari disturbi dell’orgasmo è quella di partecipare, dopo accurata valutazione clinica del problema, ad una terapia sessuale comportamentale di tipo mansionale (individuale e di coppia) con l’obiettivo terapeutico, in un arco di tempo previsto di circa 4/6 mesi in regime ambulatoriale con frequenza settimanale (in assenza di altri disturbi o psicopatologie associate), di aumentare la reattività sessuale e la ricezione consapevole delle proprie reazioni sessuali, favorendo piacevoli esperienze sensuali ed emozionali personali e di coppia. Relativamente al successo terapeutico del raggiungimento dell’orgasmo in donne che non l’hanno mai sperimentato neppure con la masturbazione la letteratura scientifica internazionale prognostica risultati molto più promettenti rispetto a quelle pazienti che lamentano solamente anorgasmia durante il coito.”
Questa è la “scienza obiettiva”! ho sempre saputo che una branca che si pretende scienza deve ricercare i motivi reali e non socio-culturali alias pregiudizi. Un certo Tolomeo ritenne “per motivi socio-culturali” che il sole ruotasse intorno alla Terra e, sempre “per motivi socio-culturali” questo modello rimase in auge fino a pochi secoli fa. Per motivi socio-culturali i negri erano considerati animali e ridotti in schiavitù, per motivi socio-culturali gli ebrei erano ritenuti “razza” inferiore e confinati nei ghetti e poi nei lager. Così per motivi socio-culturali solo la sessualità femminile o la pretesa sessualità femminile è considerata il vero fondamento della sessualità umana, mentre quella maschile è una pseudo sessualità, una sessualità satellite che deve ruotare intorno a quella femminile e conformarsi a questa. E se qualcosa non “funziona”, la “macchina” deve andare in revisione.
Così parecchie sedicenti sessuologhe donne ritengono di potersi ritenere tali pur conoscendo solo la presunta sessualità femminile, e spesso ammettono pure di non conoscere nemmeno una parvenza di quella maschile, pur continuando a ritenersi sessuologhe. Ma la cosa peggiore è che queste sedicenti sessuologhe spesso si sentono anche autorizzate a sparare stupidaggini su quella strampalata idea di sessualità maschile che hanno nel loro cervello, quando forse farebbero meglio a tenersi per sé certe assurdità.
Le critiche da farsi dell’attuale stato di rapporti degradati e quanto mai contorti tra i due sessi potrebbero riempire libri e libri. Difficile stabilire colpe e responsabilità. Ma forse è un po’ come la sporcizia in città: siamo tutti un po’ colpevoli e un po’ innocenti. Con questo voglio dire che quando osserviamo una problematica di massa, ossia che coinvolge numerosi soggetti i quali, a loro volta, sono stati formati da altri numerosi soggetti, quali scuola, famiglia e così via, determinare di chi sia la colpa di una certa situazione critica è particolarmente difficile e forse inutile e fuorviante. Meglio analizzare le cose e vedere di trovare delle vie di uscita.
Crediamo che pochi abbiano il coraggio di affermare che gli attuali rapporti tra uomini e donne siano al top dell’intesa, e che non stiano degenerando giorno dopo giorno. Dubito che qualcuno possa affermare che sotto tutti gli aspetti non ci sia confusione e smarrimento. C’è chi si ripiega in facili risposte fataliste e biologiste, del tipo “così è sempre stato” oppure “le donne sono così e gli uomini sono cosà” o peggio “è normale che sia così”, “è la natura”, e cose del genere. C’è chi cerca soluzione facendo appello al fatto che siamo esseri razionali, abbiamo la ragione e la parola, e sarebbe buona cosa utilizzarle anche nei contesti più “animaleschi”. Del resto ci sarebbe da considerare quanto di calcolato vi sia nel sesso, stabilire quando è il momento opportuno, fissare incontri, eludere eventuali persone per nascondere la relazione. Non è che sia poi tutto così istintivo nella nostra specie. Ma aldilà di punti di vista e soluzioni vorrei esporre la situazione odierna.
Se noi guardiamo bene la realtà, mai fino a oggi c’è stata una diffidenza così elevata tra le due metà del cielo. Mai come oggi gli individui dei due sessi sono stati irreggimentati trincerati dietro un muro.
Viviamo un’epoca piena di contraddizioni, disponiamo di alta tecnologia, ma vaste aree del mondo vivono all’età della pietra; si produce ogni giorno una ricchezza spropositata, ma la maggioranza dell’Umanità vive in condizioni disagiate. Per ciò che riguarda il sesso, ci atteggiamo a persone aperte ed evolute, si parla di sesso dappertutto lo si sbandiera in tutti i modi ai quattro venti, ma siamo ancora vincolati a schemi di comportamenti retrivi e antiquati.
Forse non si è fatta molta strada nelle relazioni sessuali. Almeno non nel verso sperato. Facciamo una distinzione di livelli: quello che definirei non intimo o primo livello e quello intimo.
Nel primo livello riguarda l’approccio con l’altro sesso in cui rientrano tutte quelle cose attinenti la vita quotidiana, tipo uscire, andare a cena, al cinema e così via.
Nulla ci sarebbe di male se tra uomini e donne si sviluppasse una certa apertura mentale che porti alla reciprocità. Le donne spesso si lamentano del fatto che se le ragazze un giorno decidono di lasciarci andare e stare con più ragazzi vengono definite “troie”, mentre se i ragazzi fanno la stessa cosa verrebbero definiti “playboy”. Ci sarebbe da dire che in verità gli uomini vengono definiti “porci” o “mascalzoni” o “fetenti” e robina del genere. Ci sarebbe però da vedere se la ragazza che fa sesso con molti uomini lo fa disinteressatamente. Se si, credo che una persona di buon senso la chiama libertina, se no, cioè lo fa per secondi scopi, magari neanche dichiarati, allora direi che l'appellativo di “zoccola” se lo merita. Non perché fa molto sesso, ma perché lo fa in modo sporco, gioca sporco. In genere gli uomini fanno sesso disinteressatamente, ma per le donne è sempre così?
Poi non si capisce il fatto che fanno tanto le “sentimentali” che non fanno sesso solo fine a se stesso e poi si preoccupano di queste cose. Ma insomma sono solo chiacchiere, questioni di principio o siono davvero e sinceramente interessate a fare sesso con molti uomini per divertirsi?
In tal caso sarebbero disposte a farlo anche coi poveracci? Con chi non ha manco i soldi per comprarsi una 500 scassata? O sono interessate solo a incrementare il vostro giro di "affari" senza voler essere giudicate?
Altra cosa: chi chiama "zoccola" la ragazza che fa sesso con molti uomini per la maggior parte sono le donne stesse. Prima si definiscono tali tra loro poi si lamentano. Stai a vedere che il problema è che ognuna vuole che l'appellativo sia dato a tutte le altre tranne che a se stessa? Certo che la concorrenza è una cosa che ha delle leggi ferree
Ma com'è poi che si fanno questi problemi quando poi ragazze disposte ad andare in giro mezze nude senza la paura di essere chiamate “zoccole” se ne trovano sempre. Ragazze disposte a fare sesso col capufficio per avere favori in campo di lavoro senza la paura di essere chiamate “zoccole” se ne trovano sempre in quasi tutti i posti di lavoro. Ragazze che fanno le orge col divo di turno (cose che accadono davvero) perché bello, ricco e famoso senza la paura di essere chiamate “zoccole” se ne trovano sempre. Ragazze disposte a farsela con gli uomini fidanzati o sposati e magari a rovinare le famiglie senza avere paura di essere chiamate “zoccole” se ne trovano sempre. Lo stesso dicasi per le donne che fanno sesso a pagamento (che poche non sono) e per le modelle che posano per soldi.
Ora quando si tratta di far sesso con un uomo comune, magari senza averne niente in cambio si pongono tutte queste "preoccupazioni" e interessa loro tanto l'opinione altrui.
Quando si tratta di fare veramente le “troie” non sussistono problemi, quando invece si tratta di fare sesso disinteressato allora"Eh, non posso altrimenti dicono che sono una troia!".
Se poi le donne sono proprio imbranate, allora diamo pane al pane e vino al vino e chiamiamole per quello che sono, diciamo chiaramente che sono “imbranate”, senza tirare in ballo scuse su presunti obblighi comportamentali degli uomini e delle donne.
A tal riguardo a tutt’oggi, mentre veicoli spaziali e satelliti sfrecciano sulle nostre teste, esistono due visioni del rapporto tra uomo e donna: uno è quello dei giochi, l’altro quello della caccia.
Secondo il concetto dei giochi tra due persone di sesso opposto che si piacciono si aprirebbe una sorta di partita in cui uno gestisce l’altro. Vi sarebbe, e purtroppo vi è davvero ancora, una parte attiva, in genere l’uomo, e una passiva, in genere la donna. Ora spesso vi sono tesi contraddittorie riguardo la gestione di questo fantomatico gioco. Alcuni affermano che è la parte attiva a gestirlo in quanto stabilisce le mosse, secondo altri invece sarebbe proprio la parte passiva in quanto è questa a scegliere quali mosse accettare e quali rifiutare. Secondo il mio modo di vedere si tratta di un insieme di schermaglie e giochetti da mentecatti che niente ha a che vedere con quella genuinità che dovrebbe animare i rapporti umani.
Secondo lo schema della caccia vi sarebbe tra uomo e donna lo stesso rapporto che intercorrerebbe tra preda e predatore. In genere l’uomo viene definito come cacciatore che va alla ricerca delle donne che sarebbero prede. direi che questo schema è piuttosto assurdo, perché lo scopo e le conseguenze della caccia sono completamente diverso dallo scopo e le conseguenze di una relazione sessuale o sentimentale che sia. Il predatore deve stanare la preda, inseguirla, catturarla, ucciderla e mangiarla. Ciò porta alla morte della preda la quale, ovviamente, sarà tenuta a evitare la presa del cacciatore il più possibile, perché è in gioco la propria esistenza. Non pare che tra uomo e donna accadano le stesse cose, anzi in genere l’uomo tende a proteggere la donna, cosa completamente inversa. Non si è mai visto un uomo che catturi una donna per mangiarsela e quindi ucciderla. Pare che un uomo cerchi una donna voglia più che altro far sesso con lei o condividere dei sentimenti. E non pare che alle donne la prospettiva dispiaccia più di tanto. Anzi se una donna non interessa all’uomo che lei vorrebbe non è che la prenda bene e se invece non è interessata allora non bisogna insistere più di tanto. Invece il cacciatore deve comunque agire contro la volontà della preda. Le donne anzi spesso vanno esse stesse alla ricerca di uomini, pur senza prendere iniziative esplicite, perché nulla in fondo glielo impedisce. Sembrerebbe che gli scopi di una relazione siano piuttosto simmetrici e pertanto questo schema è molto poco azzeccato.
Una degenerazione del paradigma del cacciatore è quella del rattuso e guardone eternamente arrapato. Molto diffusa dopo le famigerate commedie italiane degli anni settanta. Commedie che rappresentano l’apice della ridicolizzazione del sesso maschile e che ancora oggi è carica di conseguenze.
Certo gli uomini per lungo tempo sono stati cacciatori, ma all’interno delle rispettive tribù, nell’ambito delle primitive suddivisioni delle mansioni sociali. Le donne raccoglievano e gli uomini cacciavano. Ma cacciavano selvaggina non certo le femmine della propria specie. Con queste stabilivano rapporti molto diversi e forse molto più aperti, elastici e spontanei di quelli ottusamente rigidi odierni.
Tornando ai nostri tempi, c’è bisogno di una maggiore consapevolezza del fatto che quando si ha a che fare con una persona dell’altro sesso che ci interessa, si innescano emozioni, imbarazzi, impacci, comuni sia alle donne che agli uomini. La cretinaggine del “Buttati, male che va ti dice di no” detta agli uomini, la dicono in genere le donne. Un uomo ben conosce l’imbarazzo che può provare davanti a una donna che gli piace e il dispiacere che consegue un eventuale rifiuto.
Le donne agiscono con gli uomini ragionando in modo meccanicistico e superficiale, dando per scontate cose che non lo sono. Gli piaccio: ci proverà. Non ci prova: non gli piaccio, quindi è frocio (ogni donna ritiene di dover piacere a ogni uomo). Prova qualcosa: agirà così. Prova altro: agirà colà. E stupidaggini del genere.
Le donne dimostrano di andare difficilmente oltre le parole. Una frase sciocca sembra valere per loro più di uno sguardo, un discorso più di un fremito. Le espressioni, i linguaggi del corpo dovrebbero penetrare nell’anima. Tutto invece deve essere loro spiattellato in faccia come a un povero ritardato, altrimenti non capiscono o, peggio ancora, fingono di non capire.
Se le donne imparassero a dare rispetto, ammirazione, apprezzamento e, last but not least, soddisfazione allora potrebbero iniziare ad aspirare a ricevere in cambio rispetto, ammirazione, apprezzamento e soddisfazione dall’altro sesso. Se un giorno dovessero farla finita col ritenere certe cose come diritti loro connaturati e iniziassero a ragionare in termini di interazione con un altro essere umano, quel giorno avrebbero fatto un reale passo di crescita ed emancipazione.
Per ciò che concerne invece il livello intimo, a tutt’oggi ci si aspetta che sia l’uomo fare avances e proposte. A dire il vero non vedo cosa abbiano o cosa manchi alle donne che impedisca loro di fare avances e proposte sessuali. Anzi, seguendo una certa logica si potrebbe affermare che spetti alla donna fare proposte intime all’uomo. Soprattutto oggi che gli uomini rischiano non di rado la galera per le loro iniziative sessuali. Ma anche perché le risposte fisiologiche femminili non hanno manifestazioni evidenti, quelle maschili si. Una donna può farsi un’idea, per quanto approssimativa, se un uomo è soddisfatto o meno (cosa per niente scontata, come ritengono molte donne, ma un certo indice di manifestazione comunque c’è). Un uomo invece non può saperlo per niente, ma attenersi a quanto lei gli riferisce.
In virtù di questo fatto si potrebbe ritenere più normale che una donna che abbia voglia di fare sesso lo chieda lei o faccia quanto lei sa fare per cominciare le “danze”. Se è lei a chiederlo o a cominciare è molto più probabile che sia ben predisposta. Questo almeno le prime volte, poi pian piano si imposta una reciprocità anche a questo livello.
Ci sarebbe però da dire che molti affermano che, essendo il desiderio sessuale maschile maggiore di quello femminile, l’uomo sarebbe più portato a chiedere e ad essere sessualmente disponibile. Ciò comporterebbe tutta una seria di conseguenze. In verità io credo che il desiderio sessuale, potendo essere soddisfatto anche in proprio, non è tutto ciò che spinge all’unione con l’altro sesso. La voglia di stare con l’altro sesso può nascere da diverse spinte, certo principalmente quella fisiologica, istintiva, ma anche tante altre. ad ogni modo io penso che impegnandoci potremo trovare tute le argomentazioni che vogliamo per sostenere o la tesi che l’iniziativa spetta la maschio o che spetta alla femmina senza uscirne più. Forse la soluzione più sensata sarebbe un rapporto equo in cui vi sia rispetto e tolleranza reciproca, oltre che spontaneità e non si pretenda l’impossibile dall’altro. Se ci pensiamo a quante cose ci si aspetta dagli uomini, un uomo deve approcciare, invitare, provarci, chiedere, l’uomo deve pure tentare di capire se lei è soddisfatta. L’uomo deve fare tutto, ma le donne sono vive?
La passività della donna si riflette molto nelle cosiddette “tecniche di seduzione”. Quelle maschili sono piuttosto attive e fondate sul fare. Quelle femminili sono in genere passive, fondate sull’esibirsi, sul mettersi in mostra.
Una nota vorrei falra riguardo i documentari sull’accoppiamento degli animali. In alcune specie di animali, quando sovviene la stagione dell’amore, maschi e femmine iniziano a emettere feromoni. I maschi, attratti dai feromoni femminili tentano di accoppiarsi con le femmine le quali, dopo varie schermaglie si accoppiano.
In altre specie invece, come i leoni, spesso si vede che sono le femmine ad andare dal maschio i leoni. Una volta in uno di questi documentari vidi la scena di un leone che guardava nella direzione di una leonessa, questa a un certo punto gli corse incontro tentando di saltargli addosso, ma lui si tira indietro facendola cadere e se ne va. Il conduttore diceva “Ogni avance del maschio viene da questo momento respinta”. Però in realtà a me parve che le avances le facesse la femmina. A volte ho come l’impressione che si voglia affermare il principio dell’iniziativa maschile anche quando questa non c’è e anche nei documentari naturalistici. Questo fatto mi fa sospettare di non poco riguardo l’origine naturale di tale schema. A parte il fatto del nostro essere creature pensanti e consapevoli.
È difficile dire fino a che punto siano rigidi i comportamenti animali, ma di certo creature che non parlano e che non ragionano come noi è normale che si attengano a schemi fissati secondo la loro natura. Ma noi che invece ragioniamo e parliamo, siamo davvero altrettanto vincolati a degli schemi? Non potremo invece utilizzare le nostre capacità intellettive, che sono comunque nostre qualità evolutive, anche su questo piano? Per non parlare del fatto che noi non siamo quadrupedi e ciò vuol dire molto in certe cose…
Ma oggi anche un’altra piaga, un altro flagello imperversa nella vita sessuale e privata delle ragazze, soprattutto nelle società familiariste come l’Italia: l’intrusione dei genitori. Se per un certo tempo era stata esclusa, passata l’era ribellistica, oggi c’è forse un ritorno all’indietro anche su questo. Quella dei genitori è un’intrusione che viene più che mai incoraggiata e lodata dai più. Il padre è l’eterno protettore e la madre l’eterna (cattiva) consigliera. Così se la figlia si innamora, la madre farà di tutto per renderla odiosa agli occhi dello “spasimante”, ragazzo probabilmente piuttosto diverso rispetto a quelli dei tempi che furono ai suoi tempi. Non solo per un diverso approccio e rapporto tra i sessi, ma anche perché con le problematiche della vita precaria di oggi. Un uomo non ha certo la testa per mettersi appresso alle “stranezze” di una donna con la mentalità che c’è oggi. In molte trasmissioni televisive si è spesso visto come un fidanzato che tradisce una ragazza o “sgarra”, può subire anche delle vere e proprie minacce. Magari non nel senso fisico del termine, o almeno non sempre, ma perlomeno virtuale, attraverso interventi inopportuni e intrusioni in una vita di coppia che non dovrebbe riguardare nessun altro che non i soli due partner. Nel momento in cui la traditrice è la ragazza, lui viene invitato a perdonarla, a capirla, se non addirittura incolpato.
E mentre non poche ragazze e donne restano vita natural durante attaccate ai pantaloni di papà e alla gonna di mamma, i ragazzi e gli uomini portano la nominata di “mammoni”. Un altro degli innumerevoli difetti che nei fatti fa capo alle donne ma di nome è attribuito agli uomini.
A tutt’oggi le donne sono sotto l’alea protettrice di qualcuno, se non è lo stato è ancora la famiglia. A tutt’oggi non sono molte le donna, in particolare quelle giovani, ad essere piuttosto lontane dalla condizione di individui atti a risolversi i problemi da sole, come persone adulte e vaccinate.

 
 
 

Figocentrismo occidentale contro fallocrazia araba

Post n°55 pubblicato il 03 Settembre 2007 da Giubizza

Gli ultimi decenni hanno visto un crescendo di conflitti in vari campi e in varie parti del mondo, non solo tra le varie parti del mondo ma anche all’interno della comunità di un stessa area mondiale. Vediamo così la crescita dei conflitti per il controllo di fonti energetiche e risorse naturali mentre assistiamo un vero e proprio scontro tra le “civiltà” che si contendono tali risorse. L’aspetto che io vedo più eclatante nello scontro ideologico e culturale tra questi blocchi mondiali negli ultimi decenni non è tanto quello religioso. No, la religione è solo un veicolo di valori che si affianca agli ormai impareggiabili mass media, questi si che sono ormai il principale mezzo di propagazione di idee e valori. L’aspetto più eclatante negli ultimi decenni è lo scontro di genere, la guerra tra i sessi. Ma perché? Cosa potrebbero mai c’entrare la visione dei rapporti tra i generi con le risorse mondiali e con le classi dirigenti che se le contendono sotto l’occhio vigile e facendo il gioco del capitale mondiale?
Vorrei qui osare abbozzare un quadro di alcune mie ipotesi. Potrebbero essere anche inesatte, ma almeno spero di poter rendere tale quadro quanto più chiaro possibile.
Il capitalismo tende a massimizzare i profitti e quindi a spremere le qualità di ogni lavoratore al massimo mentre lascia emarginati una massa enorme di individui. In realtà tutti i sistemi sociali che si sono avvicendati nella storia tendono a fare questo, ma il capitalismo lo fa a ritmi serrati ormai piuttosto svincolati da quelli tradizionali della natura.
Il capitalismo controlla la produzione e la riproduzione della specie attraverso vari meccanismi e prende diverse conformazioni a seconda delle aree mondiali. Occidente vecchio in cui la maternità e la paternità non hanno valore in quanto vi è bisogno di poca manodopera e quindi poca riproduzione.
Terzo mondo con bisogno di manodopera a basso costo in cui paternità e maternità hanno valore in quanto c’è bisogno di far riprodurre i lavoratori.
Un altro fenomeno del capitalismo odierno, specie in occidente, è la messa in concorrenza di uomini e donne nei settori in cui possono lavorare entrambi e specializzazione di genere nei settori adatti più all’uno o all’altro genere. Lavori faticosi e rischiosi per lui, lavori protetti e segregati per lei. In occidente però i ruoli più tipicamente di genere servono relativamente poco, specie quelli femminili. Non serve la maternità in quanto c’è bisogno di poca manodopera, i mestieri faticosi sono diminuiti ma non scomparsi e comunque molti uomini fanno lavori a rischio. Ecco che le donne sono maggiormente “inoccupate” nei loro mestieri tradizionali e possono essere occupate in ruoli non rischiosi, non faticosi, ma tradizionalmente maschili in passato. Ecco che si amplia la gamma di settori unisex e mettere in concorrenza uomini e donne in questi settori comporta maggiore competizione tra lavoratori e quindi spinta verso il basso dei salari.
Le sottoclassi dirigenti, quelle che fanno capo a un certo blocco mondiale di potere, attuano nei loro ambiti le proprie strategie di controllo adatte ai contesti di loro pertinenza ed entrando in conflitto tra loro laddove gli spazi vitali e gli interessi di due o più blocchi mondiali si accavallano e si incontrano. Ma tutto questo è funzionale al capitalismo globale e alla classe dirigente mondiale.
Una delle sottoclassi che maggiormente si scontra con quella occidentale è quella araba. Questo perché il mondo arabo siede e cammina su quella fonte energetica oggi fondamentale al funzionamento della macchina capitalista odierna, il petrolio. Secondo molti Al Qaeda e gruppi terroristici vari potrebbero essere il braccio armato dei potentati finanziari e industriali arabi e le ideologie “maschilista” araba e “femminista” occidentale dei vessilli politici su cui questi due blocchi si scontrano.
Il femminismo occidentale potrebbe quindi essere una sorta di “maccartismo” da usare contro i gruppi finanziari e industriali arabi.
Ovviamente le ideologie di entrambi i blocchi nascono dalle loro peculiarità e dalle specifiche esigenze delle rispettive classi di potere, ma sono però alimentati ed enfatizzati come arma ideologica dell’uno contro l’altro.
Ma come avviene questo scontro ideologico che si riflette nell’ambito della stessa comunità occidentale nella guerra tra i sessi?
A me pare che si costruisca un modello di femminilità e un modello di maschilità, non ha importanza se vicino o meno al reale modo di essere di uomini e donne, quanto che tali modelli siano funzionali allo scopo. Il modello di femminilità è così propagandato come superiore, evoluto, il bene, e quello di maschilità come inferiore, brutale, gretto, il male. Si addossano i mali di cui soffrono le donne agli uomini e quelli di cui soffrono gli uomini vengono o sminuiti, o ignorati o addossati a loro stessi (vivono di meno perché non sanno salvaguardarsi, si suicidano di più perché più deboli, finiscono in mezzo a una strada perché incapaci e così via). La società viene addomesticata e addestrata ai valori veri o falsi della femminilità.
È probabile che nel mondo arabo avvenga il contrario, basti vedere il disprezzo del pericolo e il coraggio con cui combattono i guerriglieri iracheni paragonati alla avidità dei soldati occidentali, giusto per fare un esempio. Noi certo consideriamo fanatismo morire per una causa, imprudenza il disprezzo del pericolo, incoscienza il mettere a rischio la propria vita. Non dico che ciò non sia giusto, ma di certo i guerriglieri arabi la pensano in modo diverso visto il loro diverso modo di agire.
Non voglio dire che il nostro modo di vedere le cose sia “femminile”, ma che la propaganda rosa, l’enfatizzazione di un modello femminile più ideale che reale, sia presta molto al nostro modo di vedere le cose, al principio di prudenza, alla paura verso il pericolo, alla minimizzazione dei rischi. Lì dove serve ovviamente, perché le migliaia di lavoratori (uomini) che muoiono sul lavoro per dar da mangiare a moglie e figli, in condizioni di lavoro ad alto rischio, pare che sfuggano al criterio della massima prudenza occidentale.
In ogni caso i fenomeni che accompagnano lo scontro per la contesa di risorse energetiche tra occidente e islam si riflette nel maschilismo “fallocratico” e nel femminismo “figocentrico” e “vulvocratico” ormai degeneri all’interno dei rispettivi blocchi intercontinentali.
Ed eccoci servito il piatto dell’occidente “democratico” al femminile, dell’occidente femminista, l’occidente del regime figocratico imperante.

 
 
 

Progetto moneta locale

Post n°53 pubblicato il 02 Settembre 2007 da Giubizza

L’eco-consorzio bio-regionalistico Marche-Eque ha avviato un progetto di moneta locale per favorire un “economia equa, solidale e sostenibile”.
Il progetto ruota attorno a tre figure: l’utente finale, ossia il consumatore, l’attore di filiera ossia l’esercente, chi ha un attività o una ditta, le associazioni ossia gli enti o associazioni beneficiarie che, scelte dall’utente finale, ricevono dagli esercenti una percentuale del denaro speso dall’utente finale presso di loro.
Le tre figure accedono al circuito moneta locale tramite la compilazione del modulo corrispondente che da diritto a ricevere la tessera che viene letta dai POS (lettori di smart-card ) forniti in dotazione agli attori di filiera, ossia gli esercenti.
Scopo del Consorzio è incentivare la produzione ecologica di beni e servizi che coprono esclusivamente comparti economici come: architettura e bioedilizia, alimentazione naturale, medicina bio-etica, cosmetica e abbigliamento bio, bio-politica e informazione trasparente, energie rinnovabili, agricoltura biodinamica, eco-turismo e bio-agriturismo, eco-villaggi, artigianato artistico, formazione nelle eco-produzioni.
Quindi i responsabili del progetto “moneta locale” sono tenuti a scegliere con cura sia gli “attori di filiera”, ossia gli esercenti i cui beni e servizi devono rientrare nei comparti economici citati sopra che le associazioni, di solito un ente beneficiario anch’esso in linea con gli obiettivi portati avanti dal Progetto.
Il Consorzio ha stipulato altresì accordi con un gruppo di banche che gestiscono le transazioni monetarie nei relativi conti correnti appositamente aperti e che forniscono questa carta di credito (tessera a microcircuito) che può essere ricaricata di volta in volta.
Quando l’utente finale usa questa tessera, entra in un circuito che non solo gli garantisce uno sconto sui beni che acquista, ma anche la possibilità di fare beneficenza.
Facciamo un esempio, faccio la spesa e voglio esagerare, mi piacciono i prodotti biologici e spendo 100 euro. In realtà il negozio affiliato , quando mostro la tessera, mi garantirà uno sconto, diciamo del 5%, quindi pagherò 95 euro. Ora l’esercente o attore di filiera, quando ha firmato il modulo per entrare a far parte del progetto Moneta Locale, oltre a indicare la percentuale di sconto sui beni venduti con la tessera a microcircuito (in questo caso il 5%), avrà deciso anche la percentuale devoluta alle associazioni locali scelta dall’utente. Quindi supponendo che io ho scelto come ente beneficiario un associazione per le arti applicate, e l’esercente ha indicato una percentuale di dono pari al 2%, questa associazione riceverà 1.9 euro, ossia il 2% dei miei 95 euro. Si immagini questo meccanismo quando la spesa è per un pannello solare o una casa ecologica (con isolamento termo-acustico, termo-camini, ecc…) e quindi la possibilità alle associazioni non solo di auto-sostenersi o di incrementare le iniziative quanto appunto di divenire esse stesse utenti finali e quindi re-immettere nel circuito il denaro ricevuto.
L’esperimento è stato scritto in modo da illustrare i concetti principali in quanto un’analisi approfondita esula dai propositi di questo scritto, scritto che consigliamo vivamente ai movimenti sovversivi per illustrare dove andrebbero convogliate le loro forze altresì impiegate in isteriche e sterili manifestazioni di massa dove accanto alla propria frustrazione, non si riesce a estrarre dalle tante proteste una sola proposta. Colgo altresì l’occasione per ribadire che una nuova concezione del denaro si sta affacciando nel mondo e che potrà risolverci non pochi problemi, denaro il cui fine non è più il consumo sfrenato, ma quello critico, eco-compatibile e in aggiunta, solidale. Sono altresì i primi segni di un cambiamento strutturale del modo di vivere dell’umanità, segni ancora non molto visibili, ma che lasciano ampio margine alla speranza di un futuro migliore di quello che si prospetterebbe alla stessa umanità se si insiste sulla linea adottata nell’ultimo secolo da chi muove le redini del capitalismo più sfrenato.

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=7280

 
 
 

Borsellino elettronico

Post n°52 pubblicato il 02 Settembre 2007 da Giubizza

Il borsellino elettronico è tecnicamente una smart-card, cioè una carta dotata di microprocessore mentre la carta di credito è una carta plastificata con banda magnetica.

Il borsellino elettronico è una carta che si ricarica di volta in volta presso una banca e serve per importi di modesto ammontare, ossia per il pane, le bibite ecc…

Esempi sono le carte presso l’unversità di Bolzano http://www.unibz.it/ict/chipcard/overview.html?LanguageID=IT con le quali si puo’ pagare la mensa, i distributori automatici di bevande e snack e le fotocopiatrici…è altresì usata per accedere ai vari settori dell’università e come controllo per gli orari dei dipendenti… il portafoglio (borsellino) elettronico a differenza della carta di credito viene acquistato in anticipo, e ogni volta che viene utilizzato per pagare una spesa, anche piccola, dal totale dell’importo viene sottratto quanto speso. Quello che la differenzia da una normale carta di credito, è che non deve essere digitato, per il suo utilizzo, nessun codice segreto.

Dovuta l’introduzione, Il futuro della moneta è rappresentato da 2 scenari:

Il primo è costituito da un mondo in cui tutto il denaro elettronico è identificabile, Clipper cash, un mondo, cioè, che preferirei chiamare data fascism (cioè quello voluto dal New World Order). L'altro, un debole antagonista, è rappresentato da un sistema di pagamenti elettronici che mima l'anonimato dell'odierna circolazione cartacea (cioè quello ignorato dalla popolazione).

In realtà grazie al borsellino elettronico, e con un opportuna tecnologia (http://erewhon.ticonuno.it/arch/1999/here/moneta/moneta.htm) è possibile spendere monete digitali vidimate dalla banca ma nessuno, nemmeno la banca, potrà sapere da quale conto la moneta è stata prelevata. Questo garantisce la stessa privacy che si ha nello spendere con denaro cartaceo.

L’articolo si conclude con i benefici della moneta elettronica:

"Con un simile contante elettronico, i vari usi criminali del denaro - estorsione, mercato nero, corruzione non saranno più probabili di quanto lo siano oggi con gli assegni. Non solo chi paga è sempre in grado di risalire al destinatario, ma la moneta deve essere depositata in un conto bancario, al fine di verificarne la validità. Perciò, le entrate totali ricevute da una qualsiasi società potrebbero essere conosciute quasi in tempo reale, prevenendo così la possibilità di occultare il reddito per evadere il fisco e molte altre forme di riciclaggio."

e ancora:

"La paura della tecnologia è spesso indicata come ciò che ne impedisce l'adozione. Credo che ciò che impedirà alla information technology di essere pienamente adottata e di fornire il suo migliore contributo allo sviluppo economico sarà il timore che possa essere fatto un cattivo uso delle informazioni di tipo personale. Questo scoglio deve essere superato prima che sia raggiunta la piena potenzialità di questo nuovo medium.Il mio intento personale è quello di cercare di costruire un sistema di pagamento che possa essere ampiamente adottato per stimolare lo sviluppo economico, sia nel cyberspazio sia nel mondo fisico. Il sistema che io immagino aiuterà anche ad alleviare molti problemi sociali e agirà da trampolino per lo sviluppo della libertà individuale. Tutto ciò sarà possibile quando i consumatori si renderanno conto che l'uso dei mezzi di pagamento elettronico non compromette la loro privacy, ma può, in realtà, renderli capaci di proteggere i loro stessi interessi".

(http://erewhon.ticonuno.it/arch/1999/here/moneta/moneta.htm)

 
 
 

Il dilemma tra natura e cultura (prima parte)

Post n°51 pubblicato il 31 Agosto 2007 da Giubizza

Negli ultimi decenni, a seguito della caduta dei grandi sistemi teorici che hanno animato il dibattito sociale nel corso del XX secolo, si stanno affacciando tanti piccoli sistemi dottrinari, di cui molti parecchio effimeri e spesso superficiali, che però possono ricondursi a due linee di tendenza generale. Secondo la prima, più “antica” ma ora più in auge, si intende l’esistenza di un modo di essere intrinseco e precostituito degli esseri umani. Col termine “natura” infatti i sostenitori di una visione etologica dell’Umanità intendono appunto qualcosa di “sacro” che non può essere “violato”. Ogni dottrina che si prefigge di costruire un mondo “migliore” viene vista come una forzatura alla natura umana e quindi una violenza agli esseri umani. L’unica spinta atta al cambiamento di tale natura è data dall’evoluzione, concepita in genere come qualcosa che opera in tempi non brevi.
La seconda è invece più recente e ha costituito spesso la base teorica di molte dottrine socio-politiche volte alla costruzione di una società perfettibile. È questa la visione sociologica dell’Umanità. Secondo tale visione gli esseri umani sono quel che la società li fa essere, come li forma. Pertanto è pienamente legittimo tentare di migliorare le persone perché è così che si formano gli esseri umani e il tirare in ballo la natura costituisce un inganno volto a far rinunciare al desiderio di cambiamento in meglio ed accettare l’ordine costituito. Le resistenze opposte a vari movimenti, laddove questi non hanno visto realizzati i propri scopi dichiarati, sarebbero pertanto di natura sociale, ossia tutto un insieme di spinte socio-economiche avrebbero opposto un freno e un dirottamento dalle intenzioni reali dei vari movimenti di cambiamento, impedendo la loro realizzazione e anzi distorcendoli e utilizzandoli ai propri fini di conservazione.
Non raramente l’opinione pubblica tende invece a ritenere le teorie naturaliste più moderne non solo perché oggi più in auge, ma anche per il semplice fatto che si baserebbero sui più recenti studi di genetica e neurologia, branche scientifiche più giovani o con strumenti tecnologici più avanzati e raffinati, nonché con risultati sperimentali che spesso toccano il cuore stesso della vita o del cervello e che pertanto hanno un impatto mediatico molto più incisivo rispetto alla più antica e “moderata” osservazione sociale. In realtà le concezioni teoretiche, ma direi anche filosofiche, che sono alla base delle tesi sociali sono mediamente più recenti rispetto a quelle su cui si fondano naturali.
Le due tesi fanno capo a diverse scuole e confluiscono in buona parte nell’antropologia culturale per la tesi sociologica e nell’antropologia evolutiva per la tesi naturalista. Inoltre la tesi naturalista si rifà molto all’etologia austriaca di Lorenz. Ma qui non mi interessa esporre gli aspetti scientifici, anche perché non ne sarei all’altezza, ma i risvolti politici, etici e sociali che queste due interpretazioni del mondo umano comportano.
Premetto che oltre a essere ignorante sono anche parziale. Infatti non vi sfuggirà che personalmente propendo più per il sistema sociologista che non per quello naturalista, seppure non escludo affatto aprioristicamente quest’ultimo e anzi ne accolgo molti elementi. Ma la mia critica, oltre a essere seppur lunga molto semplicistica, è più dura verso tale modello che non verso quello a me più prediletto.

Sociologismo contro naturalismo
Quindi facciamo il punto tra i due… punti di vista. Vediamo che entrambi in un certo modo sacralizzano un aspetto e ne denigrano un altro. Quello evoluzionistico-etologico, forse neodarwiniano, vede in una cosa indefinita chiamata “natura” qualcosa di intoccabile e immutabile, che non può essere forzato, pena il disastro. Questa concezione fa leva sul fatto che oggi i grandi sistemi teorici che si sono prefissati di costruire un modello sociale migliore non hanno raggiunto gli scopi che si erano prefissati, adducendo che questi erano contrari alla natura umana.
La visione del processo di funzionamento della società è opposta nei due “massimi sistemi”. Infatti il “sistema” naturalistico afferma che è la natura umana dei vari individui a costruire la società, che in fin dei conti rispecchia la natura degli esseri umani. Inoltre tutta la storia umana è una sorta di “eterno ritorno” in quanto ciò che noi oggi facciamo in chiave moderna, lo facevano anche i nostri antenati in versione più antica. Ma fondamentalmente la società umana non è cambiata nella struttura base. Una visione opposta a quello sociologico che invece distingue l’avvicendarsi nella storia di vari sistemi sociali completamente diversi l’uno dall’altro e con individui che erano diversi da noi uomini moderni. La società quindi si forma su proprie leggi a seconda delle condizioni storiche in cui una comunità umana opera, e gli individui vengono formati da essa. Così per questa visione il progetto è sacro e ogni appello alla natura umana è un tentativo di sabotare il cambiamento sociale.
L’argomentazione a favore di questo punto di vista è che i vari tentativi di cambiare il mondo hanno trovato resistenze sociali che hanno impedito la realizzazione piena degli intenti riformistici o rivoluzionari. Inoltre fanno notare che sono passati pochi decenni di tentativi di cambiamento e che è normale che molti tentativi possano andare in fumo. Fanno spesso altresì notare che non è detto che ciò che è di ordine sociale e culturale debba essere per forza di cose più “malleabile” di ciò che è naturale. Ci sono stereotipi che vengono tramandati e sono molto duri a morire, come possono esservi pulsioni innate facilmente modellabili senza alcun danno di sorta. Molto importante è anche la notazione che i vari tentativi di cambiamento erano isolati e circondati da un mondo che invece andava in controtendenza.

Dialogo tra i due massimi sistemi
Non vado oltre la descrizione di questi sistemi perché non ne ho la competenza e trascenderei in un mero nozionismo. Ma vorrei fare alcune osservazioni personali riguardo tali concezioni:
1. Entrambi risultano parziali e verrebbe banalmente da dire che possono essere veri entrambi. Non che tale osservazione non possa essere vera, ma non dice niente. Personalmente trovo però il sistema naturalistico molto semplicistico e a dire il vero anche un po’ puerile. Aldilà della infantile contestazione di stampo sessantottino, il sistema sociologico è molto più completo e raffinato, nonché più avanzato. Le varie interpretazioni sociologiche riescono a spiegare molti dei fenomeni storici e sociali senza ricorrere al vago concetto di natura umana. Questo mentre invece le concezioni naturalistiche quando trascurano molti aspetti presi in considerazione dalle teorie sociologiche sfociano in una vera e propria opera di superficiale decontestualizzazione che non tiene in debito conto lo sfondo delle condizioni storiche in cui vari eventi e comportamenti umani si sono avverati. La forza principale della prospettiva naturalistica sta nella caduta di quei falsi miti che si fondavano sulla concezione sociologica, prima tra tutti il falso comunismo sovietico. La dissoluzione di questi miti ha fatto ritornare in auge modelli naturalistici che a differenza di quelli ottocenteschi fanno uso di una tecnologia più avanzata con ricerche un po’ aleatorie, per esempio l’utilizzo dell’imaging cerebrale per visualizzare il funzionamento del cervello negli adulti ormai già formati non dice però che tale funzionamento delle varie aree sia per forza un fatto innato. Inoltre bisogna anche tener presente la fase in cui si trova il capitalismo odierno con la possibilità e la necessità di “eternizzarsi”. La spiegazione che si pretende “evoluzionistica” in realtà vorrebbe spiegare l’evoluzione umana senza tener conto dell’evoluzione sociale e delle leggi che regolano questa. Il tutto solo perché i sistemi che si fondavano o pretendevano di fondarsi sulle teorizzazioni sociologiche hanno deluso i più.
2. Dopo queste prime sensazioni vediamo che in fondo questi due modelli non sono poi tanto diversi nella loro struttura. Bisogna dire innanzitutto che anche il modello sociologico ha le sue pecche. Se infatti questo modello spiega spesso molto bene eventi, fenomeni, processi di evoluzione sociale e così via, però manca di spiegare cosa c’è alla base di tutto. Per esempio, perché esistono spinte al cambiamento e spinte alla conservazione? Le spinte al cambiamento possono essere viste come il tentativo di fuoriuscire da uno stato di sofferenza, ma in un mondo migliore anche quelli che in passato erano ricchi e potenti vivrebbero bene come persone comuni rinunciando ai propri trascorsi privilegi. Eppure questi personaggi tendono per lo più a conservare il proprio status e non a cederlo con molta facilità. E non solo loro, anche moltissimi che non godono di una posizione sociale privilegiata tendono a essere non di rado conservatori.
Perché allora i potentati del mondo, ma anche la gran parte del popolo, tende a opporre non poche resistenze al cambiamento? Le teorie sociologiche spesso affermano che comunque sia l’essere umano è fondamentalmente conservatore. Quindi in fin dei conti neanche i sostenitori delle teorie a impronta sociologica escludono che esistano delle spinte ancestrali dovute a una strutturazione naturale dell’essere umano. Cambia però il concetto che si ha di queste pulsioni innate. Per esempio il fatto che gli esseri umani tendano a essere conservatori per natura non dice in che senso lo siano. Ma si evince chiaramente che mentre per i modelli naturalistici la spinta conservatrice è dovuta alla predisposizione a vivere in un certo modo prestabilito, i modelli sociologisti invece propendono per il concetto che le persone semplicemente tendono a conservare il contesto ambientale in cui sono cresciuti.
Ma anche il cambiamento però deve essere possibile. Se l’essere umano è in grado di mutare vuol dire che esistono aspetti della sua natura preposti al cambiamento. La stessa “utopia” se ben guardiamo, la voglia di fantasticare e volere un mondo migliore, armonioso, a “misura d’uomo”, è sempre presente nella storia e denota di far parte di quella strutturazione di base che i naturalisti chiamano “natura umana”.
3. Entrambi i modelli hanno per lo più una loro epoca d’oro di riferimento che rispecchia il modo di vivere tipico della natura umana, vista in modo diverso a seconda del modello prescelto. Quello sociologico si rifà in linea di massima a un “comunismo primitivo” risalente alle tribù di raccoglitori e cacciatori. Quindi in definitiva le teorie sociologiche non è che escludono un contesto sociale tipo che rispecchia la natura umana, ma identificano questo contesto nella tribù di cacciatori e raccoglitori in cui l’Umanità si è evoluta e poi allontanata per varie necessità. E a questa tenderebbe a tornare in una versione però “high tech”.
Diversamente invece le teorie “evoluzionistiche” si suddividono in linea generale in due versioni. Quella più “modernista” lascia intendere che il capitalismo in fin dei conti è la società tipo in cui si esprime pienamente la natura umana, il migliore dei mondi possibili. Anzi il capitalismo è sempre esistito in fondo e sempre esisterà. Questo non lo si dice apertamente, anzi è raro che si faccia ricorso al termine “capitalismo”, ma risulta chiaro dalla lettura che gli evoluzionisti fanno della storia. I comportamenti umani delle società precapitaliste sono visti esattamente come quelli della società capitalista. In realtà è piuttosto aleatorio dire che un dato comportamento possa essere simile o diverso da un altro, quale spirito lo abbia animato e così via. Si gioca sull’equivoco e sul non conosciuto.
La versione più “tradizionalista” delle teorie naturalistiche identifica invece l’epoca d’oro nel feudalesimo o nell’antichità. La Grecia classica, l’Impero Romano o il Sacro Romano Impero sono visti come dei punti di riferimento storici, dei “paradisi” in terra in cui l’armonia regnava sovrana contro il degrado odierno. Degrado spesso addossato alle velleità di cambiamento che fanno per lo più capo alle teorie sociologiche che non hanno tenuto conto della natura umana e contribuendo a creare un contesto storico disarmonico e innaturale come quello consumistico.
A quanto pare quindi entrambi i modelli alla fine non fanno altro che accusarsi vicendevolmente di contrastare il normale svolgimento della natura umana, entrambi però evidenziando, enfatizzando e sostenendo alcuni aspetti di essa e sminuendo, trascurando e contrastandone altri. Sistemi parziali quindi, che non vedono l’Uomo nella sua completezza, nel suo essere tensione, corda tesa tra cambiamento e conservazione, e di cui ogni espressione sociale è al tempo stesso interazione tra contingenze ambientali e istinti primordiali da esse modellati.

Alla base di tutto?
Lasciando perdere le dottrine e le correnti di pensiero su basi di tipo per lo più religioso e/o filosofico, e prendendo in considerazione quelli che assumono a fondamento dei propri principi postulati e teorizzazioni più o meno scientifici o che si pretendono tali, notiamo che la concezione base del naturalismo più diffuso sta nel fatto che l’evoluzione genetica sarebbe molto lenta, mentre quella sociale più rapida. Quindi si verrebbe a costituire una dicotomia tra evoluzione sociale ed evoluzione biologica. Mentre la natura umana rimarrebbe immutata per periodi lunghi, la società cambierebbe di continuo entrando spesso in contrasto con il modo di essere intrinseco degli esseri umani. Molte dottrine socio-politiche che condividono questa visione, propongono pertanto delle misure non per cambiare il mondo, ma anzi per mettere un freno allo sviamento che porterebbe al degrado e al disordine. Ecco che non di rado si affaccia la figura di un ordine morale e naturale con relativi tutori, di un insieme di valori a cui fare riferimento per non andare oltre eventuali misure e ricondurre l’evoluzione sociale nei ranghi della natura umana. Tutto ciò che va oltre è pertanto una violenza contro l’ordine naturale. La politica si trasforma così in un’operazione di gestione del dato e di vincolo all’ordine, nello stabilire il bene e il male e ciò che può essere fatto e ciò che non va fatto.
Questo ordine di pensiero trascura, però, di spiegare come mai gli esseri umani tendano anche a cambiare e a deviare dall’ordine, come mai pare sia più facile trasgredire questo che non rispettarlo. Inoltre molte ricerche, a parte alcune che evidenziano che ciò che si definisce “natura umana” sia qualcosa di molto più ampio, complesso e articolato e soggetto a cambiamenti non poi tanto lenti, attestano che in realtà l’evoluzione genetica sia molto più rapida di quanto si pensi comunemente e che anzi segue quasi a ruota l’evoluzione sociale.
Le argomentazioni naturalistiche sono logiche ma non dimostrate e forse non dimostrabili, o dimostrabili molto difficilmente. Prendiamo per esempio le cure parentali, e di conseguenza, l’istituto del matrimonio che ne esce fuori. Una certa percentuale di uomini è legata a donne che hanno partorito o partoriranno figli non loro. Nel matrimonio una certa percentuale di uomini rischia di allevare figli di altri senza saperlo o fingendo di non sapere, ovvero è un'istituzione mediante la quale un uomo ha una certa percentuale di rischio di allevare un figlio non suo.
Però il matrimonio monogamico consente anche una discreta "distribuzione" di donne a vari uomini, anche uomini comuni. Pertanto è un'istituzione conveniente per gli uomini oppure no? Un interessante articolo sul mito del libero amore è alla pagina http://www.giovannidesio.it/articoli/libero_amore.htm.
Se ben ci pensiamo senza matrimonio e disinteressandosi del fatto di dover educare i propri figli biologici e del fatto che una donna debba avere dei figli biologicamente suoi a cui tramandare ciò che possiede, in fondo un uomo vivrebbe meglio: niente intossicazioni di fegato, scenate di gelosia, delusioni, controlli vari, palpitazioni, etc.
Che vantaggio c'è nell'allevare figli biologicamente propri? Ovvero, che vantaggio c'è nel distinguere i figli propri da quelli degli altri? La società andrebbe avanti pure se tutti i bambini fossero educati da adulti che non per forza devono essere i loro genitori. Che vantaggi evolutivi ha il distinguere i propri figli da quelli degli altri?
Di certo ha dei "costi" conseguenti il controllo, l'accertamento, le varie "ansie" e roba del genere, ma per essersi affermato vuol dire che ha dei vantaggi che superano questi "costi".
E poi come si è affermato? Nelle strutture sociali più antiche in cui ci siamo evoluti, quale è la tribù, tutti i compiti attinenti l'educazione potevano benissimo essere svolti dalla tribù stessa. E forse ciò accadeva pure in vario modo. Però poi a detta di molti, con la proprietà privata sarebbe nata la famiglia e il diritto ereditario per garantire al maschio di tramandare le sue proprietà ai propri figli. Si, va bene, però il fatto che il maschio abbia l'esigenza di tramandare le sue proprietà ai propri figli presuppone l'esistenza di questa esigenza o se vogliamo di questo "istinto", altrimenti il diritto ereditario non sarebbe nato.
Ma da dove proviene questo "istinto"? E qual è il motivo della sua esistenza?
Datosi che il legame monogamico e le cure parentali comportano di certo dei costi, per essersi affermate vuol dire che devono comportare anche dei vantaggi che ripagano tali costi. Ma il tutto non è detto che debba per forza di cose essere di mera natura biologico-evolutiva.
Nel suo libro "Il gene egoista", Richard Dawkins espone la tesi che l'evoluzione non è di specie ma dell'individuo all'interno della specie. Cioè tutto quello che un individuo fa non è per la sopravvivenza della specie ma per la sopravvivenza dei suoi geni, ossia dei propri figli e parenti a discapito degli altri non parenti a lui.
Ma nonostante questo succede che spesso un individuo si comporta in modo "cooperativo" e non "competitivo" con altre persone non parenti all'individuo, ma solo se la cosa da un vantaggio all'individuo stesso, la cosiddetta strategia "tit for tat", ossia io faccio un favore a te, tu ne fai uno a me ed alla fine abbiamo un vantaggio entrambi. Si fa un favore agli altri solo se è utile a se stessi.
Da questo punto di vista un uomo che fa crescere un figlio usando le risorse di un altro uomo ha un vantaggio enorme, chi fa crescere un figlio non suo dedicandogli risorse ha uno svantaggio enorme.
Ok, ottimo! Mettiamo però due tribù, una in cui i bambini sono allevati dagli adulti senza che i genitori si interessino di chi siano i loro figli e un'altra in cui i genitori ci tengono a distinguere i propri figli dagli altri bambini ed occuparsi più direttamente della loro educazione. Ora quale delle due tribù si riproduce meglio? E perché?
Si può azzardare una risposta. E cioè che questa tribù in cui i genitori non si interessano dei bambini si trasformerebbe in una in cui i genitori distinguono i bambini.
Ammettiamo che volersi prendere cura dei figli sia un comportamento dettato dai geni e non dalla cultura.
Ammettiamo che ad un certo punto in questa tribù c'è una mutazione genetica che porta una persona a volersi prendere cura dei propri figli e non di bambini a caso. Questi figli avranno un vantaggio rispetto agli altri perché i loro genitori si interessano maggiormente a loro e trasmettono a loro volta questo vantaggio ai loro figli.
I geni che non fanno interessare i genitori dei propri figli quindi scompaiono e restano solo gli altri. Sempre però che le attenzioni dirette dei loro genitori riescano davvero a garantire un trattamento migliore. Il fatto si tradurrebbe in attenzioni = cibo + insegnamenti su come vivere = sopravvivenza.
Questo sarebbe particolarmente vero dove il cibo scarseggia, non come oggi che basta andare al supermercato.
I bambini hanno un periodo in cui non sono autosufficienti ed hanno bisogno di un adulto per sopravvivere. Negargli le attenzioni vuol dire morte.
Ma nella tribù senza genitorialità il cibo viene distribuito con certi criteri e gli insegnamenti vengono impartiti dagli adulti. Ora come fanno i genitori col gene della genitorialità a fuoriuscire da questi canoni? Devono ingaggiare battaglia col resto della tribù?
E qui c’è da dire che non ha importanza il metodo, non è dettato dai geni il metodo usato per aiutare i propri figli, al massimo i geni ti portano a voler aiutare di più i tuoi figli che gli altri. Una volta che un genitore vuole più bene ai suoi figli trova un qualche metodo per aiutarli, anche in modo subdolo e contro la legge volendo, è pur sempre un vantaggio che i geni della genitorialità hanno rispetto a chi si interessa di tutti i bambini indifferentemente. La vita presenta molte occasioni per poter sfruttare questo vantaggio che gli altri (quelli senza la genitorialità) non hanno.
E anche la tribù nel suo complesso ne avrebbe vantaggio nel lungo periodo?
Dawkins dà proprio dei valori alle persone, in base ai quali è vantaggioso indirizzare il proprio investimento di risorse (tempo, cibo, etc.), un figlio vale la metà di se stessi, un nipote un quarto, anche i fratelli o i genitori hanno un certo valore. Un bambino non parente vale 0.
Il punto è che una persona non vive per la sua tribù, ma per diffondere i propri geni (non i geni umani, ma del singolo individuo), in questo senso la selezione non è "di specie" ma individuale.
Il tutto sembrerebbe molto interessante. Non mi hanno mai convinto molto le teorie del "gene egoista" però il tutto ha una sua logica non c’è che dire. Ma il fatto che vi sia una logica non per forza vuol dire che sia tutto vero.

 
 
 

Il dilemma tra natura e cultura (seconda parte)

Post n°50 pubblicato il 31 Agosto 2007 da Giubizza

Basi e principi dei due sistemi
Ma anche il sistema sociologico ha dei suoi principi base. Questi si fondano sul fatto che l’essere umano sia fondamentalmente buono e tutto ciò che c’è di cattivo, come la spinta alla violenza per esempio, è dovuto alla necessità di affrontare ostacoli e difficoltà che si frappongono al suo pieno sviluppo e al soddisfacimento delle sue esigenze. Pertanto questa linea teorica assume alla propria base un’idea di essere umano costituito si da pulsioni innate, ma che sono fondamentalmente buone e pacifiche, che però lo predispongono ad affrontare molte contingenze ricorrendo anche alla violenza, ma una violenza però che è risposta alla costrizione e alla repressione della natura pacifica. Questo mentre invece i sistemi naturalistici sostengono che la spinta alla violenza sia molto meno “condizionata” e “spontanea” e possa sorgere anche in assenza di circostanze che facciano particolari pressioni, magari per conservare il proprio status quo.
In effetti la costruzione di società gerarchiche e suddivise in classi, la costituzione di coppie eterosessuali per l’allevamento dei bambini e la suddivisione di ruoli in base al sesso sembrerebbero le caratteristiche fondamentali della società umana basata su un ordine naturale che rispettano quella natura umana sostenuta dal naturalismo. Mentre invece solo l’istinto alla socialità, alla comunicazione, alla condivisione e il bisogno di agire per la comunità ed essere accettati dagli altri, a inseguire il piacere e fuggire il dolore caratterizza il concetto di natura umana concepita dai sociologisti.
Quindi mentre per i primi gli esseri umani tenderebbero per natura a fondare gerarchie competitive, per i secondi invece no. Da qui la diversa concezione del contesto che avrebbe caratterizzato l’epoca di maggiore evoluzione dell’Umanità, ossia la tribù di cacciatori e raccoglitori, epoca durata milioni di anni contro i pochi millenni di storia agricola e industriale. Secondo il naturalismo nelle tribù esistevano già gerarchie competitive, gruppi interni in lotta tra loro e coppie monogamiche. Invece gli altri sostengono che le tribù primitive fossero caratterizzate dall’assenza di competizione interna, seppure vi fosse stata una specie di gerarchia, questa sarebbe stata fondata sul rispetto e l’autorevolezza e non sulla competizione. Inoltre questa impostazione teorica sostiene che le coppie monogamiche siano state un parto della società agricola e che nella tribù primitiva non avevano alcun motivo di esistere. Infatti sembrerebbe che la tribù tipo fosse di tipo matrilineare, secondo alcuni addirittura “matriarcale” e quindi fondata sulla gens matriarcale. I bambini erano educati da tutti i maschi e tutte le femmine della gens e della tribù e non dai genitori naturali i quali anzi non avevano alcun interesse a occuparsi in linea esclusiva dei propri figli, ma preferivano occuparsi, assieme a tutti i membri della gens e della tribù, dei figli di tutta la gens e tutta la tribù. Il fatto che tali tipologie di tribù siano piuttosto minoritari oggi per i naturalisti è dovuto al fatto che si tratterebbe di un sistema poco competitivo da un punto di vista evolutivo, come abbiamo visto sopra, mentre i sociologisti affermano in genere che oggi si sono estinte per motivi di evoluzione sociale, ma in passato costituivano il modello tipo dei popoli tribali.
La coppia monogamica sarebbe quindi sorta con la rivoluzione agraria, quando a seguito dell’appropriazione privata di fondi agricoli da parte di singoli guerrieri, questi avrebbero avuto l’interesse di isolare la propria femmina o le proprie femmine dagli altri maschi, allo scopo di essere sicuri di tramandare il proprio patrimonio ai figli biologici.
In effetti, come già abbiamo avuto modo di vedere, il ragionamento fila, ma non si spiegano però bene i presupposti su cui a un certo punto gli uomini abbiano abbandonato la proprietà comune della terra e delle donne e imbracciato la strada dell’appropriazione privata. Cioè un spiegazione ci sarebbe e cioè che l’aumento della popolazione modifica sempre il rapporto popolazione/risorse e questo cambiamento nel rapporto spinge a cambiare i sistemi di produzione. Ma perché l’ossessione a impossessarsi della terra e del bestiame in linea privata? E perché quella di tramandarla ai propri figli biologici? Devono esservi quindi delle basi naturali che devono aver spinto i nostri antenati a intraprendere un certo cammino.
Infine contro il sociologismo ci sarebbe da dire che le sue teorie spesso fanno capo al materialismo dialettico di ispirazione marxiana (http://it.wikipedia.org/wiki/Materialismo_dialettico). Popper (http://it.wikipedia.org/wiki/Karl_Popper) affermava che il materialismo dialettico non sarebbe scientifico (http://it.wikipedia.org/wiki/Materialismo_dialettico#Popper:_il_materialismo_dialettico_non_.C3.A8_scientifico) in quanto “si presenta come una teoria capace di spiegare qualsiasi fatto ricada nel suo ambito e quindi di sottrarsi ad ogni possibile ed immaginabile confutazione (o falsificazione nel linguaggio di Popper). Appunto qui sta il vizio del materialismo dialettico: poiché rinuncia al principio di non contraddizione, se un fenomeno non è compatibile con una particolare tesi, vuol dire che ne é l' antitesi e come tale viene accettato insieme con la sua tesi. In tal modo la capacità di distinguere tra affermazioni a sostegno oppure contrarie ad una qualche teoria che poggi sul materialismo dialettico, viene di fatto annullato, rendendone impossibile una qualsiasi giustificazione oppure confutazione.
Pertanto poiché il materialismo dialettico presume di poter spiegare qualsiasi fenomeno, sia naturale sia storico ricada nel suo ambito, esso, poiché non falsificabile, non può essere considerato una vera dottrina scientifica come invece pensavano Marx e Engels.
Popper ebbe a scrivere sull'apparente potere esplicativo del materialismo dialettico marxista:
« Sembravano in grado di spiegare praticamente tutto ciò che accadeva nei campi cui si riferivano [...]; un marxista non poteva aprire il giornale senza trovarvi in ogni pagina una testimonianza in grado di confermare la sua interpretazione della storia; non soltanto per le notizie, ma anche per la loro presentazione e soprattutto per quel che non diceva. »
A detta di Popper:
« Il materialismo dialettico è compatibile con i più disparati comportamenti umani, sicché è praticamente impossibile descrivere un qualsiasi comportamento che non possa essere assunto quale verifica della teoria. »
Questa sua infalsificabilità secondo Popper rende il materialismo dialettico essenzialmente non-scientifico.”
Anche tutto questo ragionamento di Popper fila. Ci troviamo insomma di fronte a una teoria che avrebbe sempre ragione e ciò sarebbe dovuto a una sua eccesiva completezza: essa comprende anche la sua negazione. Una sorta di autodifesa perenne che si traduce in una sempre continua conferma della teoria. Insomma nulla può contraddire il materialismo dialettico per il semplice motivo che questo comprende anche ciò che lo nega. Ma questa è davvero una sua mancanza oppure ciò è dovuto al fatto che si tratta di una sorta di teoria del tutto che davvero tutto ricomprende e tutto spiega? E se ciò fosse dovuto al fatto che il materialismo dialettico davvero ha colto l’essenza della realtà e per tale ragione non può essere falsificata? Il problema però non è tanto che gli eventi reali, a detta di Popper, non potrebbero contraddirla, ma anche quelli immaginari in quanto sarebbe impossibile anche immaginare eventi che la negano. Ammettendo che ciò sia vero, sarebbe davvero dovuto a una sua inesattezza intrinseca o forse invece al fatto che essa coglie in pieno e totalmente persino il più intimo meccanismo della mente umana?

Ordine contro utopia
In tutta la storia umana troviamo due cose che sempre hanno fatto gli uomini: creare società in cui non mancavano quei fenomeni definiti “ingiustizie” e sognarne di migliori in cui questi fenomeni non ve ne fossero. In tutta la storia umana le società che si sono succedute hanno avuto peculiarità proprie, ma anche elementi in comune. Il bisogno di ordine per esempio e una certa gerarchia, ma anche lotte per il potere non sono mai mancate seppure hanno preso diverse forme.
Ma in tutta la storia umana non sono neanche mai mancati i sogni di un mondo migliore. E anche questi hanno elementi piuttosto specifici alle varie epoche e altri invece in comune. Specifici sono gli elementi organizzativi e di lavoro. Per esempio in una società agricola prevarrà l’utopia di un mondo in cui ognuno abbia la sua terra fertile da coltivare senza immani fatiche. In una società industriale prevarrà l’utopia di un mondo automatizzato in cui i lavori pesanti sono delegati quasi completamente alle macchine mentre le persone potranno dedicarsi alle attività intellettuali e di alto interesse personale.
In comune ci sono invece alcuni elementi sociali, come per esempio la fratellanza, la pace, l’armonia sociale, l’assenza di povertà e di miseria e di ogni forma di prevaricazione. L’aspetto politico in apparenza muta a seconda diversi tipi di utopie sociali. Troviamo quelle di stampo “monarchico” o fondate su un leader carismatico fino a giungere a quelle più egualitarie con l’assenza di ogni tipo di gerarchia e di capi. In realtà cambia molto la forma ma non la sostanza, perché seppure il leader carismatico non gode di un’investitura formale, anche nelle costruzioni più “anarchicheggianti” non viene esclusa l’esistenza di un buon capo che governa non sulla base di un potere fondato sulla forza ma con la sua saggezza e il cui potere si fonda sulla sua statura morale e la sua autorevolezza. Un potere al servizio del popolo e animato da un grande amore verso questo è non di rado alla base dei “sogni” socio-politici di una gran parte di teorici dell’utopia.
Pertanto risulterebbe che anche l’utopia e l’atto di “utopizzare” facciano parte di quella che i naturalisti chiamano natura umana. Gli uomini da sempre costruiscono società in cui il loro “lato oscuro” non risparmia di farsi vedere, di uscire alla luce, la violenza e la prevaricazione si manifestano in varie salse e varie gradazioni, ma da sempre sognano che queste non ci siano. È la tensione tra l’essere e il dovere o il voler essere, forse due aspetti della natura umana in perenne conflitto tra loro. Forse il principale nemico dell’Uomo e dell’uomo è l’Uomo e l’uomo stesso.
Si potrebbe però ipotizzare che la realtà sociale non priva di nefandezze sia il risultato dello scontro delle istintive e naturali aspirazioni umani con la dura realtà. Una realtà che ricomprende tutti quegli ostacoli di varia natura all’esprimersi pieno e chiaro di queste aspirazioni. Ma siamo certi che questi ostacoli siano tutti esterni? Siamo certi che non vi sia qualcosa di “oscuro” all’interno dell’essere umano che lo ostacola nel realizzare le sue aspirazioni? E qui si suddividono le visioni sociologiche da quelle naturalistiche. Secondo le prime i lati oscuri della natura umana, violenza, prepotenza, prevaricazione, fuoriescono in funzione delle variabili esterne, degli ostacoli esterni, naturali o sociali che siano, come una reazione verso di essi. In assenza di tali ostacoli, nel momento in cui la società dei sogni si realizza sgominando le forze esterne del “male”, questi non avrebbero più motivo di esistere e l’Umanità potrebbe vivere in un mondo privo di nefandezze. La versione naturalistica invece afferma che è nella natura umana che questi istinti fuoriescano e che, anzi, non di rado, invece di essere una vera reazione a dei veri ostacoli esterni, cerchino il pretesto per potersi manifestare e che non di rado tali ostacoli costituiscono più una scusa, o addirittura creati ad hoc e finalizzati alla manifestazione di naturali tendenze umane.
Ed è da questo scontro tra ordine e utopia che i naturalisti invitano alla prudenza nell’inseguire utopie mentre gli utopisti invitano alla ribellione verso pretesi ordini naturali.
Altra caratteristica sempre presente nella storia è la “sublimazione e oggettivazione della causa di parte”. Da sempre gli esseri umani si sono stretti in un dato gruppo in lotta contro un nemico comune. E questa lotta è sempre stata spinta da una causa che andasse oltre i meri interessi soggettivi di tale gruppo. Troppo blando e meschino sembrerebbe dire che si lotta per i propri legittimi interessi, quindi si elevano tali interessi al rango di bene sommo, di verità assoluta di fine ultimo del mondo. E così la lotta diventa quella del bene contro il male. Ovviamente ciò è anche dovuto dal fatto che i nostri punti di vista sembrano ai nostri occhi come oggettivi e assoluti. Questo avviene a un livello di raziocinio non molto elevato, mentre con un ragionamento più impegnativo si riesce a comprendere che siamo solo una componente del mondo e che i nostri fini non sono i fini del mondo, neanche del solo mondo umano. Il raziocinio può intervenire per integrare e correggere i nostri livelli di natura più istintivi. E una buona educazione può infondere tali meccanismi “correttivi”, spesso molto utili alla vita sociale, nell’individuo in maniera molto ben radicata. Quindi non sempre a quanto pare l’educazione volta a correggere certi istinti è un fatto “repressivo”, spesso è invece un vero e proprio atto formativo.

Rivoluzione selettive e società darwiniane
Un’ipotesi alternativa alle due sopra esposte può essere quella che vede l’evoluzione genetica più rapida di quanto non la vedano entrambe. Alcune ricerche mostrerebbero che il nostro patrimonio genetico negli ultimi diecimila anni sia in effetti mutato di parecchio per effetto della “civiltà”. Pare addirittura fino a un 20%. Nel suo libro “L’evoluzione della cultura” (http://www.libreriauniversitaria.it/evoluzione-cultura-proposte-concrete-studi/libro/9788875780012), Luigi Cavalli Sforza (http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Luca_Cavalli-Sforza), nota che i geni per la produzione dell’enzima per la digestione del latte si siano modificati dopo che divenne usanza, a seguito della nascita della pastorizia e dell’allevamento di bestiame, bere latte anche in età adulta. Così se prima con la fine dell’allattamento gli individui finivano di produrre tali enzimi, ora in moltissimi paesi, soprattutto occidentali, in cui il latte si usa berlo anche in età adulta, la maggior parte degli individui possiede geni che permettono di produrre tali enzimi anche in età adulta.
La civiltà sembra avere influito parecchio sull’evoluzione genetica e che evoluzione sociale e biologica siano tra loro più interconnesse di quanto sembri. Pertanto sembra che la società faccia da ambiente per ulteriori selezioni genetiche, selezionando gli individui più adatti a vivere in un dato contesto sociale. Così il feudalesimo poteva selezionare i soggetti più coraggiosi, più fedeli e più eroici, mentre il capitalismo potrebbe invece favorire i soggetti più competitivi, più furbi, più scaltri.
Non solo, ma le stesse rivoluzioni, gli stessi momenti di passaggio da una società all’altra potrebbero costituire una selezione rapida di individui. L’eccidio che segue la rivoluzione, ma anche il cambio di assetto sociale, porterebbero a un mutamento nella marcia selettiva. Ovviamente se vincono le forze rinnovative, altrimenti tale cambiamento non ha luogo e permane il vecchio assetto. Del resto le selezioni quando sono violente sono molto rapide in quanto molti individui vengono scartati subito, spesso con la morte.
Questa visione può portare una nuova ottica nell’ambito dei rapporti tra genetica e società, ma non tiene però conto della controversa natura che c’è nello stesso individuo, il quale può essere predisposto a spinte tra loro contrarie e lo sviluppo di alcune a scapito di altre dipende dall’ambiente. Lo stesso individuo, insomma può essere adattabile a vivere in diversi contesti, essere malleabile a seconda dell’apprendimento.
La visione sociologica pone come ovvio limite l’aumento di rigidità che sovviene con l’età nel soggetto. Ciò che si apprende nei primi anni di vita forma gran parte della nostra personalità, poi pian piano il tutto diventa sempre più informativo e meno formativo. Per cambiare modo di essere in età adulta c’è bisogno di uno sforzo molto più grande che in età dello sviluppo. Ma anche questo è posto in dubbio da molte ricerche che suggeriscono che anche in età adulta non sia poi tanto difficile plasmare il cervello. Probabilmente entrambe le visioni sopra esposte, combinate, potrebbero spiegare perché la natura umana è tanto complessa, controversa e malleabile: una vita sociale complessa e mutevole non ha tanto selezionato individui adatti a un dato contesto quanto soggetti elastici e adattabili a vari contesti dinamici. Insomma individui quanto più complessi sia possibile. È una “formula” che spiega come l’uomo si adatti al contesto naturale e sociale ma non come egli adatti il contesto a se stesso. Ma forse la realtà è più vasta e sta nel fatto che l’uomo è un sistema complesso atto a creare relazioni di adattamento reciproco tra sé e il contesto in maniera quanto più rapida sia possibile. Laddove non riesce ad adeguare l’ambiente adegua se stesso all’ambiente. Si tratta paradossalmente di un meccanismo antico e non solo umano, in quanto tutti gli altri viventi devono adeguarsi all’ambiente, ciò che c’è di nuovo nell’Uomo è solo la sua capacità di adeguare l’ambiente a sé. Eppure, sempre paradossalmente, questa sua capacità, invece di renderlo più “rigido” pare che si accompagni a una sua estrema elasticità. Ma questo però è un discorso, seppure interessante, che non è pertinente in questa sede.

L’inconscio e la trasmissione culturale
Con le moderne analisi del cervello, tipo brain imaging e roba varia, si è attestato che i processi coscienti fanno capo più o meno ai neuroni dello strato esterno della corteccia cerebrale, mentre i processi inconsci allo strato più interno.
E si è visto che il processo decisionale si attiva negli strati più interni verso quelli esterni. Quindi noi non prendiamo delle decisioni coscienti, ma è l'inconscio che informa la coscienza delle decisioni prese. E' ovvio che l'influenza tra "strato" cosciente e quello incosciente è reciproca e il fatto che noi pensiamo molto è dovuto alla struttura della corteccia: i neuroni dei processi coscienti sono molto più interconnessi tra loro che non con quelli dei processi inconsci.Inoltre l'inconscio è una sorta di "raccordo" tra mondo esterno e pulsioni interiori profonde. Queste ultime lanciano degli input dall'interno mentre invece attraverso la coscienza l'inconscio riceve input dall'esterno. Quindi riceve diverse "spinte" che lo forgiano continuamente, ma ovviamente la sua elasticità tende a calare con l'età, in particolare se nell'infanzia è molto malleabile, durante l'età adulta diventa non rigido ma di certo molto più stabile.
La gran parte delle pulsioni che caratterizza la nostra personalità e il nostro modo di essere e di fare ha sede nell’inconscio. È qui che risiede il nucleo del nostro essere psichico, nelle profondità del sistema limbico e neurocorticale. E ciò rende difficile poter identificare cosa provenga da input “interni”, che si potrebbero definire piuttosto “naturali” e cosa da input esterni sociali. A complicare il tutto vi è il fatto che la struttura inconscia si forma grosso modo nei primi anni di vita. Come si fa, in uno strato così profondo e inconsapevole della nostra mente che si forma in un’età così precoce, a identificare ciò che è frutto dei geni e ciò che invece ha preso forma ad opera dell’apprendimento? E se invece la formazione delle nostre strutture mentali e delle nostre pulsioni, anche più profonde, avesse una duplice natura, sarebbe frutto di un’interazione per sua natura indistinguibile?
Ciò che riguarda la nostra struttura psicofisica, che sia ciò che ha preso forma per input sociale o per un processo di sviluppo dovuto alla genetica, è un problema non statico ma di processo. Il nostro essere è un continuo processo che prende forma in modo veloce nei primi anni e poi via via sempre più lentamente e superficialmente interagendo continuamente con l’ambiente. Pertanto, se è vero che non tutto ciò che è strutturale è per forza naturale ma può anche essere dovuto a un adattamento ambientale, è anche vero che non tutto ciò che prima non c’era e poi viene ad essere vuol dire che sia dovuto ad adattamento ambientale, potrebbe anche essere frutto di un processo che avrebbe avuto luogo in qualsiasi contesto o quasi. Un problema di “importazione” insomma: una data pulsione è stata importata dall’esterno o invece è stata attivata da un processo interno? Di certo la predisposizione c’è, per tutto ciò che gli esseri umani sono e fanno c’è una predisposizione, altrimenti non potrebbero esserlo e farlo. Un po’ una scoperta dell’acqua calda questa ma consentitemela.
Per poter sapere cosa è dovuto a input esterni e cosa invece è dovuto a un processo di evoluzione naturale e intrinseco, bisognerebbe studiare o un grosso numero di casi piuttosto diversi, distanti e senza alcun rapporto tra loro e vedere cosa hanno in comune, oppure soggetti molto simili geneticamente ma che sono cresciuti in contesti molto diversi. Così si può sapere cosa è che sorge in qualsiasi contesto, se una data pulsione ci sarebbe anche in condizioni diverse oppure non ci sarebbe o in suo luogo ce ne sarebbe un’altra. Questo almeno fino a un ulteriore sviluppo degli studi di genetica.
Il primo caso è quello di studiare varie persone di svariatissimi contesti, razze, popoli e culture. Le caratteristiche che presentano in comune tra loro possono avere un’alta probabilità di essere di origine naturale. Ma vi può comunque essere anche il sospetto che vi sia stata in un certo modo una diffusione culturale di un dato carattere, sospetto non di facile verifica.
L’altro caso invece rappresenta quello dei gemelli identici cresciuti in ambienti diversi. Hanno lo stesso patrimonio genetico ma sono allevati in ambienti completamente diversi tra loro. Tutto ciò che non hanno in comune può essere di derivazione esterna, mentre tutto ciò che hanno in comune può essere di origine intrinseca. In realtà i casi sono molto pochi, non sufficienti per poter costituire una vera e propria verifica sperimentale. Comunque parrebbe che i pochi casi avvenuti avvalorerebbero di parecchio le tesi sociali e meno quelle naturali.

 
 
 

Il dilemma tra natura e cultura (terza parte)

Post n°49 pubblicato il 31 Agosto 2007 da Giubizza

Identitarismo contro paritarismo
Anni fa in un corso di formazione a cui partecipai ebbi il piacere di discutere con un mio amico e collega riguardo un libro che lui stava leggendo. Il libro si intitolava “Comunitari e liberal, lo scontro del prossimo secolo?” (eravamo nel 2000). Detto in modo semplicistico all’ennesima potenza, il libro trattava di due atteggiamenti, due modi di rapportarsi col mondo, uno, quello comunitario, che prende come riferimento le caratteristiche specifiche della propria comunità (o categoria se vogliamo metterla in senso più generico) mentre l’altro, quello liberal, proporrebbe un modello universale considerato come il non plus ultra del modo di essere uomini ed essere liberi. Si tratterebbe però più che di un vero e proprio modello, di un meta-modello. Quello liberal è solo una serie di principi che lascia la libertà a ognuno di scegliere il proprio modo di essere e di rapportarsi col mondo indipendentemente dalla propria naturale categoria di appartenenza. Questo mentre invece il modello comunitario suggerirebbe di rispettare e conformarsi al modo di essere della categoria a cui l’individuo appartiene.
Cosa c’entra col discorso tra natura e cultura? C’entra perché non di rado i “comunitari”, per oggettivare e sublimare le proprie argomentazioni, fanno ricorso alla visione naturalista dell’essere umano, mentre invece i liberal intendono svincolare l’essere umano dall’ordine naturale e affidarlo alla propria libera scelta dettata più dal contesto sociale. Per i “comunitari” (e non solo: http://xoomer.alice.it/giubizza/pezzo01.htm) questa libertà può però essere una nuova trappola che da una parte renderebbe gli individui dei meri numeri in balìa delle mode della società consumistica e dall’altra li abbandonerebbe a se stessi senza una guida e senza una vera libertà.
Ma qual è l’origine di questi due atteggiamenti? Nel medioevo non esisteva una distinzione tra naturale e divino. Ciò che era naturale era considerato opera divina e ciò che era divino si esprimeva in maniera visibile nella natura. Solo con l’avvento della scienza moderna, per l’appunto definita scienza della natura, si iniziò a concepire la natura come un sistema a sé stante e concettualmente indipendente dall’ordine divino. Il tutto aveva una funzione rivoluzionaria: porre una visione del mondo alternativa e più avanzata, più profonda, più raffinata, rispetto a quella tradizionale.
Col tempo però, una volta impostosi il sistema naturalistico, questo assunse finalità conservatrici. Al posto dell’ordine divino si poneva come sacro e inviolabile l’ordine naturale delle cose. Gli individui occupavano un certo posto, avevano un certo atteggiamento, erano sottoposti a determinate cose, non per volontà divina, ma per uno stato di natura del mondo. Al concetto di anima e destino tracciato da dio si sostituì quello di eredità biologica e natura umana. Ma in sostanza tutto tornò come prima.
Nacque pertanto l’esigenza di stravolgere ulteriormente le carte. Così molte correnti di pensiero iniziarono a concepire l’Uomo non più come prodotto della natura, ma della società. L’Uomo è ciò che viene a essere in base ai condizionamenti che la società gli incute e gli impone e non ciò che è. Perché sia ciò che è bisogna fare in modo che egli sia consapevole di tali condizionamenti o che questi si riducano il più possibile oppure, per la gran parte, che siano input corretti e non alienanti. Con gli input sociali adeguati si può formare un tipo di Umanità più avanzata e civile. Questa visione ha poi portato a quella moralistica da una parte (che per la precisione affonda le radici anche in varie dottrine religiose) la quale affida all’educazione individuale la soluzione alle problematiche sociali, migliorando gli individui si milgiorala società in quanto questa è la somma degli individui che la compongono. Dall’altra parte invece vi è quella di tipo collettivistico rivoluzionario o riformistico che si dà a una programmazione di rinnovamento socio-economico di tipo rivoluzionario, ma anche riformistico. Secondo tale impostazione la società è qualcosa di più del semplice insieme dei soggetti che ne fanno parte, essa ricomprende anche i rapporti che questi hanno tra loro e con tutto l’ambiente socio-economico e culturale.
Fin qui abbiamo sintetizzato per sommi capi e in maniera molto semplicistica (esageratamente direi…) l’evoluzione dei due sistemi di pensiero socio-umanitario. A fianco a queste e spesso intrecciate ad esse vi sono i due atteggiamenti, comunitari e liberal, di cui ho detto sopra. I due termini indicano il rapporto tra la comunità etnica di appartenenza e gli individui che ne fanno parte, io invece preferisco allargare il discorso alla categoria di appartenenza in generale e non limitarmi solo al contesto etnico. Utilizzerò pertanto i termini “identitarismo” ed “egualitarismo” interessandomi di come questi due atteggiamenti hanno interpretato il processo di liberazione ed emancipazione di categorie considerate sottomesse in rapporto alle categorie considerate dominanti. La questione della sottomissione reale o presunta è alquanto controversa e la lascio stare affidandomi al banale senso comune.
Dunque, l’identitarismo starebbe ad indicare l’esaltazione e la conservazione delle specificità della propria categoria di appartenenza, mentre l’egualitarismo invece rappresenta la rivendicazione di uguaglianza tra le categorie sottomesse, o considerate sottomesse dal senso comune, le quali troverebbero la propria via di liberazione e di emancipazione attraverso la propria parificazione con le categorie dominanti o considerate dominanti dal senso comune. Insomma mentre l’eugualitarismo vede l’emancipazione nell’essere o divenire uguali agli attuali o vecchi dominatori, l’identitarismo invece vede l’emancipazione come la libertà di esprimere la propria identità, nel liberare il modo di essere a seconda della propria categoria di appartenenza.
L’egualitarismo era per lo più predominante fino alla caduta dell’Unione Sovietica. Il crollo del gigante sovietico e il successivo periodo che ha visto un certo fallimento delle politiche economiche volte a imitare e seguire i diktat dei paesi occidentali, la delusione che l’imitazione dei modelli di vita occidentali ha comportato nei paesi dell’est europeo, nel terzo mondo e nel mondo intero, anche nello stesso occidente, tutto questo ha comportato la crisi del mito dell’industrialismo “buono”, del paradigma dei modelli di civiltà e di avanguardia e roba del genere. Così se prima i paesi coloniali dovevano imitare il modello di sviluppo dei paesi più avanzati, se le donne dovevano essere come gli uomini, i neri come i bianchi, gli “schiavi” come i padroni, da circa una ventina di anni tutto è mutato. Se prima si rivendicava il diritto a essere uguali, a ripercorrere le stesse strade e gli stessi modi di essere, ora si è scoperto il diritto a essere diversi, a ripercorrere proprie strade e propri modi di essere. Così i popoli coloniali non devono essere come i paesi avanzati ma a modo proprio, le donne non devono essere come gli uomini, i bianchi non come i neri, gli “schiavi” non come i padroni e così via.
E datosi che i vecchi o attuali dominatori o “dominatori” sono ora i cattivi di turno e che c’è sempre la tendenza a sublimare il tutto, ecco che il modo di essere dei dominati o dei “dominati” diviene la bontà per eccellenza. Così la cultura e la visione del mondo dei popolo coloniali sono più aperte, rispettose e civili di quelle dei paesi avanzati, la psiche e la sessualità femminile sono più “compless(at)e” e “complete” di quelle maschili, le qualità psicofisiche dei neri sono migliori di quelle dei bianchi, la tempra degli “schiavi” è superiore a quella dei padroni e via cantando. E chi osa contraddire tali “verità” allora è razzista, maschilista, imperialista, misogino, schiavista etc. E come se non bastasse l’esaltare una parte bisogna anche denigrare l’altra. La denigrazione nasce da diverse “teorie” tra cui quella più o meno vera o più o meno presunta che afferma che il rapporto di dominio impoverisce sotto molti aspetti il dominatore mentre arricchisce il dominato. Nel rapporto di domino insomma, mentre il dominato si vedrebbe costretto ad affrontare la dura realtà e a sviluppare strategie di gestione della propria vita più complesse e ricche, il dominatore si curerebbe solo di conservare il proprio dominio e ricavarne dei vantaggi. Così si “spiegherebbe” la grettezza e la rapacità vera o presunta dei paesi avanzati, del genere maschile, dei bianchi, dei padroni e così via. Modi di essere, insomma, non più da imitare ma da cui allontanarsi. Anzi sono i vecchi e nuovi veri o presunti dominatori a dover essere “rieducati”…
Grosso modo l’atteggiamento identitarista fa uso della visione naturalista, questo ovviamente quando può permetterselo, in quanto è un po’ difficile sostenere che un operaio o un bracciante agricolo sia geneticamente diverso dal suo padrone. Mentre invece l’atteggiamento egualitario si rifà alla visione sociale sostenendo che le differenze sono in gran parte prodotto della sottomissione e funzionali a queste, quando tra le categorie in questione c’è stato da sempre un rapporto, o invece costituiscono segno di arretratezza da superare, quando le categorie in questione non sono sempre state in contatto tra loro e il rapporto vero o presunto di dominazione è piuttosto recente. In effetti nel primo caso costituisce un paradosso voler conservare tutte le caratteristiche della categoria considerata sottomessa e liberata, sarebbe come un galeotto che rivendica la sua divisa da carcerato anche quando è stato liberato.
C’è anche da dire che tale correlazione non è che sia poi tanto necessaria, e in effetti non sempre esiste, in quanto una certa caratteristica può voler essere conservata o superata indipendentemente dal fatto che sia naturale o sociale. Ma c’è comunque una vaga tendenza a identificare col naturale tutto ciò che è immodificabile e per sociale tutto ciò che è da modificare, e così il ricorso a una visione o a un’altra rafforza le tesi a sostegno dell’uno o dell’altro atteggiamento.
I punti deboli di tali impostazioni consistono secondo me in primo luogo nel prendere come punto di riferimento costante l’altro, il modo di essere che pertiene l’altra categoria e non se stessi o le proprie aspirazioni, come si è in realtà o in potenza. Il ragionamento, che sia “io sono uguale” o “io sono diverso”, che sia “io devo essere uguale” o “io devo essere diverso”, si riferisce sempre all’altro e mai in un modo di essere secondo le proprie esigenze, le proprie caratteristiche, le proprie aspirazioni. E ciò ricomprende anche una certa obbligatorietà in quanto il concetto è che bisogna essere in un dato modo, riferito all’altro.
Altro punto debole è la netta catalogazione di tutto un insieme di variabili che non per forza devono farsi ricomprendere in gruppi monolitici. Non è detto che una persona sia di tipo A o di tipo B, una persona è se stessa e basta. È ovvio che molte cose prendono per forza spunto da input esterni, ma ognuno deve scegliere “usi” e “costumi” confacenti a se stesso e non farsi imporre conformazioni di qualsiasi tipo. È ovvio altresì che questa autoreferenzialità non deve trasformarsi in una chiusura a riccio, bisogna essere aperti anche verso gli altri, verso le proprie esigenze, ma è sempre il proprio “sé” che deve in qualche modo “decidere” come esprimersi e formarsi.
Forse questo mio ragionamento mi farà etichettare da qualcuno come un “liberal”. Fa niente, non mi offenderò per questo.

Natura contro natura
Faremo quindi bene a chiederci che, se è vero che magari abbiamo una struttura psichica ben definita dalla nascita, perché desideriamo comunque mutarla? Perché desideriamo essere diversi da quel che siamo? Perché sogniamo una natura diversa dalla nostra? Perché desideriamo essere privi di quegli istinti che non a caso definiamo “negativi” come la violenza, la voglia di prevaricazione, la volontà di potenza (intesa in senso negativo)?
Una strana natura quella umana, una natura che nega se stessa, che continuamente vuole mutarsi e rinnovarsi. Una natura che da una parte si esprime in un modo ma che però desidera non essere in tal modo. Che la maggior parte dei nostri problemi derivi da questa nostra duplice natura? Una natura composta da istinti che si esprimono in maniera che non piace ad altre “parti” della nostra stessa natura. Faremo quindi bene a chiederci se la nostra non sia una duplice natura, che il sogno e l’utopia non facciano parte di questa nostra struttura e pertanto anche nell’ottica del naturalismo non vada respinta e soppressa.
La nostra natura è quindi una corda tesa tra conservazione e mutamento, tra reazione istintiva agli eventi e pianificazione per il miglioramento della situazione globale, tra l’aridezza della realtà e la dolcezza del sogno, tra una posizione di partenza e un traguardo da raggiungere.
Chi ha detto che la ragione non è un istinto? Che l’apprendimento non fa parte del nostro istinto? Che le predisposizioni innate non siano modellabili con facilità? Magari esistono predisposizioni più forti e meno forti, di diversa gradazione. Magari la razionalità è quell’istinto, quella parte di nostra natura che coordina, corregge e integra una buona parte del tutto.
E per quanto riguarda la “definizione” dei nostri istinti, del loro esprimersi in maniera definita in quanto così strutturati oppure in quanto definiti dall’ambiente circostante? Qui bisogna considerare che noi siamo una specie con una vita sociale complessa e con una grossa massa cerebrale preposta all'apprendimento. Quindi fino a che punto la nostra specie avrebbe convenienza ad avere individui con spinte innate e fino a che punto invece lasciar fare all'apprendimento.
Voglio dire: un orso solitario ha bisogno di spinte innate perché non ha una vita sociale che gli insegni i comportamenti idonei a garantire la propria sopravvivenza e riproduzione. Così anche molti tipi di insetti, come le api e le formiche, in quanto non hanno una grossa massa cerebrale e inoltre fanno sempre le stesse cose da milioni di anni.
Ma gli esseri umani, con una vita sociale dinamica e varia, con una grossa massa cerebrale, fino a che punto hanno la convenienza biologica ad avere un numero eccessivo di istinti innati e definiti in modo preciso e fino a che punto invece hanno la convenienza biologica a lasciar fare alla società? In fondo i comportamenti finalizzati alla sopravvivenza e alla riproduzione possono essere anche facilmente acquisiti e così sarebbero più "elastici" e più adattabili ai vari contesti.
Ma forse è anche necessario avere un certo bagaglio di input innati datosi che non di rado conduciamo vita solitaria e non tutto può esserci tramandato dalla società. Ma nessuno ci vieta di pensare che tali input possano essere molto mutabili. Se si benda un occhio a un gatto l’area visiva della sua corteccia cerebrale non formerà le striature in cui si incrociano le aree di competenza dei due occhi. Ma queste striature si formano però se si bendano entrambi gli occhi. Sono parte di un programma innato che si forma senza input ambientali, ma che si modifica con questi con relativa semplicità.
Noi stessi entriamo spesso in conflitto con le nostre esigenze, saltiamo i pasti, ci sottoponiamo a ferree discipline pur d raggiungere dei fini senza i quali la nostra esistenza non avrebbe senso. Si, è vero che in gran parte siamo costretti a fare tutto questo per necessità, come per esempio per motivi di lavoro, di cui magari ne faremo volentieri a meno, ma non di rado siamo costretti a reprimere alcuni aspetti della nostra natura per esaltarne altri. E l’educazione ci spinge a fare altrettanto. Pare proprio che la natura non sia un sistema lineare e coerente, ma composta da varie parti spesso in lotta tra loro. E il processo utopistico è una di questa parti come quella attinente l’ordine e gli istinti più basilari. Forse tra i più importanti e da non reprimere né da prendere sotto gamba. La stessa religione costituisce un’utopia, seppure di stampo metafisico e non sociale e immanente alla storia.
Quindi non è tanto l’utopia in sé ma come viene perseguita a essere dannosa, quando pochi oligarchi vogliono imporla ad ogni costo e quando questa smarrisce la sua funzione di guida ideale e di luce in fondo al tunnel. Bisogna si gestire il dato, ma in questo dato va ricompreso anche il cambiamento, un cambiamento che non va né frenato, né imposto e né subito passivamente, ma guidato verso il soddisfacimento massimo dei bisogni umani.
L’utopia deve quindi essere un sogno che si propone e non si impone, così come la realtà deve essere una base che non debella il sogno. Voler imporre il sogno, trasformarlo in un mito che distorce la realtà anziché colorirla, che forza lo stato di cose invece di plasmarlo, fa in modo che questo sogno venga poi spazzato via. E quando l’uomo non ha più sogni, non ha più miti che gli danno senso, perde la parte considerata comunemente più nobile e più pura di sé. Ma è soprattutto necessario che ogni utopia sia la NOSTRA utopia.
Modellare la propria natura può essere cosa giusta e buona se non fatta con imposizione ma per una scelta piuttosto libera. Bisogna però tenere conto che fare dei passi verso il mito comporta comunque il rischio di errori, e questi devono essere a loro volta un insegnamento e non uno scoraggiamento per il nostro cammino.
Partorire utopie, coltivarle, muoversi verso di esse può costituire uno dei bisogni umani più basilari. Sia a livello individuale che collettivo una certa opzione, una data strada da intraprendere dovrebbe essere scartata solo se ne è verificata la sua nocività, ma ci si dovrebbe anche muovere per realizzarla solo dopo averne attestato la non nocività, o la sua necessità o vantaggiosità e il fatto che gli svantaggi che può comportare non siano troppo radicali per l’essere umano. Un duplice controllo, quindi, a livello sia ideale che in corso di realizzazione, ma che ad ogni modo non escluderà mai del tutto la possibilità di errore per cui bisogna sempre essere preparati.
È giusto che un certo prudente rispetto verso la nostra natura non si trasformi in pigrizia verso il cambiamento, ma è anche giusto che il sogno, l’utopia, non si trasformi in un incubo.
 
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Postato da Giubizza su Il blog di Giubizza il 8/31/2007 10:08:00 AM

 
 
 

Lavavetri

Post n°48 pubblicato il 30 Agosto 2007 da Giubizza

L'ordinanza contro i lavavetri suscita polemiche.

Il commento giuridico di Affari

Giovedí 30.08.2007 12:53

L'ordinanza della discordia: ecco cosa dice esattamente il provvedimento dell'assessore fiorentino Cioni contro i lavavetri
L’ordinanza “lavavetri” adottata dall’assessore del Comune di Firenze Graziano Cioni, è stata oggetto in questi giorni, di un ampio dibattito riferibile sia agli aspetti politici che agli aspetti giuridici del provvedimento. Leggendo nel dettaglio il contenuto dell’atto, una questione, malgrado la sua rilevanza, non sembra essere stata oggetto di attenzione.
Ci si riferisce in particolare a quanto si legge nel terzo punto della parte narrativa: “DATO ATTO che nell'esercizio delle attività suddette ed in particolare in quella di "lavavetri" si sono verificati molteplici episodi di molestie soprattutto agli incroci semaforizzati e che ciò configura pericolo di conflitto sociale per i numerosi alterchi verificatisi, in particolare nei confronti delle donne sole.”

Nel ringraziare l’assessore Cioni per la particolare attenzione riservata al “gentil sesso”, non si può non rilevare quanto sia anacronistica una visione così “cavalleresca” delle donne, rese peraltro oggetto di protezione nei confronti di pericolosi strati sociali che imbrattano il decoro della città, e turbano la quiete di signore magari appena uscite dal parrucchiere e già nervose per l’esito della piega.

Al di là della ironia, sorge il dubbio che la ordinanza sia ancorato ad una lettura del pianeta donna molto arretrata rispetto a quello che tale pianeta oramai esprime. Non solo le donne, al di la di provvedimenti generali adottati sulla basa della loro presunta debolezza, sanno oramai attivare da sé eventuali interventi di protezione della loro incolumità, ma è inoltre ipotizzabile che, molte di loro vorrebbero affrontare il problema nella sua complessità, non accontentandosi di soluzioni di mero ordine pubblico, che spesso purtroppo lasciano il tempo che trovano.
 
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Postato da Giubizza su Il blog di Giubizza il 8/30/2007 12:44:00 PM

 
 
 

Uomini e donne

Post n°47 pubblicato il 22 Agosto 2007 da Giubizza

"Al giorno d’oggi, sempre più uomini e donne vogliono vivere come meglio credono e, per quel che riguarda la loro vita amorosa e la loro vita sessuale, non accettano alcuna regola. Immaginano che i precetti che sono stati dati dai saggi e dagli Iniziati, abbiano lo scopo di impedire di vivere. Non comprendono che la padronanza e il controllo degli istinti, consigliati dai saggi, hanno il solo scopo di spingerli a cercare manifestazioni d’amore migliori, e ad esprimerle in forme più belle, più ricche.
Fintanto che non vorranno istruirsi e fare degli sforzi, le loro esperienze d’amore saranno solo occasioni per sprecare le energie più sottili, e addirittura per perdere il gusto di vivere. Gli esseri umani vogliono vivere, ma impediscono a se stessi di farlo. Continuano a celebrare e a cantare l’amore, quell’amore che è, così dicono, la cosa più importante al mondo, ma si organizzano per rovinarsi la vita attraverso il loro amore. Quando comprenderanno che amare è proteggere, arricchire ed abbellire la vita in se stessi e negli altri?"

Non si può essere felici legandosi esclusivamente a un uomo o a una donna. No, un uomo ha bisogno di amare tutte le donne, e una donna di amare tutti gli uomini.... Ma, capitemi bene, non sto giustificando il libertinaggio e il tradimento. Bisogna essere fedeli, ma si deve anche sapere che un solo uomo, o una sola donna, non potrà mai darvi tutto ciò a cui aspirano la vostra anima e il vostro spirito; d'altronde nemmeno voi potete dare tutto a un uomo o a una donna. Per questo un uomo e una donna che si amano debbono vivere insieme, lavorare insieme, restare fedeli l'uno all'altra, ma lasciare l'altro libero di amare il mondo intero. Che si amino pure, che rimangano insieme, che non si separino, ma che allarghino il loro concetto di amore, perché solo a questa condizione potrà durare."
 
Troppo spesso gli uomini e le donne si lanciano in un’avventura sentimentale senza veramente chiedersi dove questa li condurrà.
Dovete capire che una relazione amorosa ha senso solo se con il vostro compagno potete costruire qualcosa di solido e duraturo. Cercate di vedere se esiste in voi un’armonia sui tre piani: fisico, affettivo, mentale, oppure se cedete soltanto a un capriccio passeggero, all’attrazione del piacere. Se non avete affinità nel campo delle emozioni, dei gusti e delle idee, non ditevi che questo non ha alcuna importanza e che le cose si sistemeranno con l’andare del tempo. Niente affatto. Al contrario, dopo un po’, una volta che si sarà esaurita la novità di certi piaceri, ci si accorgerà proprio che le affinità psichiche e intellettuali sono estremamente importanti. Se quelle affinità non esistono, si installa la discordia e, laddove si credeva di trovare la gioia e l’espansione, si trovano solo disillusioni e tormento."

Considerazioni di De Berardinis
Sperare in una relazione iniziata senza riflessione è come sperare in un terno a lotto...riesce molto raramente...
Il così detto colpo di fulmine non è un richiamo dell'anima gemella, ma un attrazione a livello istintivo...
L'unione va realizzata su più piani: corpo (fisico) - anima (sentimento affettivo - passione) - mente (mente concreta cioè interessi - ideali comuni )
L'Unione (non il matrimonio che è altro) realizzata da un piano più alto deve andare verso il basso, l'inverso è difficile da realizzare ed è sotto gli occhi di tutti... persone che sembravano fatte l'una per l'altra dopo un po' di tempo si lasciano...perchè non si conoscono e d è in questa fase che i rapporti sessuali andrebbero evitati..perchè creano un legame che rende incapaci di vivere appieno i successivi rapporti...
Dall'amicizia puo' nascere amore...
Chi separa l'amicizia dall'amore è destinato a fallire...salvo fortuna al lotto...
L'intera generazioni di illuse e illusi della mia generazione (30 - 35) , vittime del bombardamento mediatico, pensa che ci si possa divertire fino a una certa età e poi magari accasarsi con persone responsabili...(separando amore e amicizia e specialmente le donne, che non comprendono che se l'unione non avviene anche nel mentale (interessi comuni ma più ideali comuni, la relazione non puo' funzionare. Non ci si può accontentare della sola relazione sentimentale, in quanto incompleta e insufficiente a protrarsi nel tempo e quindi con dolore successivo...)
L'illusione sta nel fatto che questo pensiero (separare amicizia e amore) automaticamente allontana tutte le buone relazioni...

Marco De Berardinis
http://www.antropocrazia.com/percorsi_antropocratici/news-Marco/topread.php
E-learning http://www.antropocrazia.com/MarcoMarcuse/MarcoMarcuse.htm
 
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Postato da Giubizza su Il blog di Giubizza il 8/22/2007 10:21:00 AM

 
 
 

Le vie delle critiche femminili sono contorte

Post n°46 pubblicato il 21 Agosto 2007 da Giubizza

Un paio di articoli riguardanti le eterne e contraddittorie critiche che le donne fanno al mondo maschile che cotto, crudo o infarinato non va mai bbbbbbbuono!

Primo articolo:
http://www.fottilitalia.com/NewsX.php?id=50

Son sempre gli uomini che non vanno bene, le donne invece son perfette a prescindere. Una manina per la coscienza manco a parlarne, loro son sempre "vere" donne, gli uomini invece o sono "machi" o sono "froci"!

Ok, secondo articolo che ho scovato io sul sito dei selvatici di un certo Fabio Conti:
http://www.maschiselvatici.it/messaggi/2003/luglio2003.htm

Faccio notare che in circolazione ci sono delle autentiche tipologie di donne che lasciano alquanto a desiderare, che te lo fanno ammosciare appena aprono bocca, delle decerebrate che di femminile non hanno niente, delle deficienti che se ci provi sei una rottura di coglioni, se non ci provi sei frocio.
Quello che voglio dire è che le maggiori responsabili degli attuali casini non sono maschili ma femminili.Il bello, poi, è che le stesse prima vanno in giro a raccontare che i ruoli si sarebbero "invertiti" (vaginate alle quali credono gli stessi uomini...), poi rompono perché non esistono più i corteggiatori di una volta.
Ah la coerenza femminile, questa sconosciuta!
 
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Postato da Giubizza su Il blog di Giubizza il 8/21/2007 11:19:00 AM

 
 
 

Fiasco o rivelazione? (prima parte)

Post n°45 pubblicato il 18 Agosto 2007 da Giubizza

Una realtà dei fatti che oggi scotta ammettere e riconoscere è quella della deriva sessista e distorta che ha preso un movimento che già era nato non del tutto imparziale e bene intenzionato, ossia il femminismo.
Dalle rivendicazioni di pari diritti e uguaglianza dinnanzi alla legge, rivendicazioni per fortuna pienamente ottenute, si è passati via via a provvedimenti faziosi e artificiosi per costringere e forzare il popolo, le aziende, le istituzioni e quant’altro a rispettare dei canoni di parità numerica tra uomini e donne in vari ambienti di lavoro e di rappresentanza sociale. Canoni che, lungi dall’essere rispettati, in molti campi sono stati sempre più disattesi nella realtà e infatti la realtà ha visto da un lato la uniformazione “intergender” di molti posti di lavoro, ma in una gran parte di settori vi è stata una sempre maggiore specializzazione tra i due sessi. Così ci troviamo settori come l’istruzione, l’editoria e la magistratura a prevalenza femminile, mentre il management aziendale, la politica, ma anche lavori alquanto “scomodi” come minatori, edilizia, pubblica sicurezza e forze armate (intendo a combattere in prima linea e non a fare call center…), a prevalenza maschile. Ma i sogni di emancipazione totale femminile sono stati per molti versi disattesi. Da una parte è vero che le donne hanno l’occasione di farsi una vita senza dipendere dagli uomini, ma è anche vero che per molti versi questa dipendenza, più che diminuire, è aumentata. È aumentata la libertà di scegliere e il ventaglio di scelte a disposizione delle donne ma una vera indipendenza, con relativi oneri oltre che vantaggi, non esiste. E per molti versi a sostituire il marito o altri uomini di famiglia, ci pensa lo stato. Lo stato ha preso il posto in molte situazioni degli uomini della famiglia nel garantire benessere ai cittadini in generale, ma alle donne in particolare. Malgrado la crisi dello stato sociale per i cittadini e per i lavoratori, aumenta il numero dei consultori e dei servizi offerti alle donne. Ma se le donne fossero davvero tanto intraprendenti e indipendenti non avrebbero certo bisogno di servizi e accortezze ad hoc per loro che garantiscano la loro indipendenza.

Femminismo e femminilismo
Innanzitutto c’è bisogno di fare un distinguo tra due aspetti del fenomeno, il “femminismo” e il “femminilismo”. Il primo consiste nell’esaltazione della donna in sé per sé per il semplice fatto che è un individuo di sesso femminile, questo a prescindere dal suo modo di essere donne, il secondo invece consiste nell’esaltazione delle caratteristiche definite femminili. In quest’ultimo caso non ha importanza chi è possiede queste caratteristiche ma le caratteristiche in sé. Potrebbe essere anche un uomo a possederle non ha importanza, purché le possegga.
Il movimento che viene definito “femminismo” contiene entrambi questi aspetti miscelati in maniera diversa a seconda di correnti, contesti e periodi vari. Ma a mio parere l’aspetto che ha preso il sopravvento è stato il primo, quello del “femminismo” ossia l’esaltazione della donna in quanto donna, e questo lo dico per le seguenti ragioni:
1. già il nome la dice lunga. Se vi fosse stata l’intenzione di esaltare vere o presunte doti femminili probabilmente si sarebbe parlato più di movimento femminili sta che non femminista. Ma questo è l’aspetto meno importante della questio.
2. L’aspetto più importante sta nel fatto che il femminismo riconosce alle donne la piena libertà di esprimersi come meglio credono anche se esulano da modella veri o presunti di femminilità.
3. E infatti sotto molti aspetti il femminismo ha attaccato proprio le caratteristiche femminili forse più fondamentali non di rado imponendo modelli di donna mascolinizzata.
E forse per porre una toppa a questo fatto che negli ultimi anni si esalta una forma distorta e superficiale di “femminilità”, vista più come operazione di cosmesi che non altro. Oggi la femminilità consiste nel rossetto e nella corsetteria. Quando il contenuto viene a mancare allora si tenta di colorire la confezione. Una mera operazione estetica, di moda, di abbigliamento per illudere la gente che femminilità esiste ancora?
È probabile che la mascolinizzazione della donna abbia comportato in esse una certa crisi di identità che le abbia quindi spinte e ricorrere a questo mascheramento per camuffarsi ancora da “donne”. Preciso che ciò che dico non vuol dare alcun giudizio di valore e di merito riguardo la morte della femminilità. È probabile che questa abbia fatto il suo e non tornerà più, un fatto di evoluzione sociale magari, ma non starò certo a rimpiangerla. Ciò che ci tengo a precisare è che se davvero le donne ci tenessero come ultimamente affermano alla loro “identità femminile” allora questa è cosa davvero molto patetica e fragile visto che necessita di una simile operazione di mascheratura per potersi illudere di esistere ancora.
Ma anche riguardo quest’opera di mascheramento ce ne sarebbe da dire, basti guardare alla moda: innumerevoli capi di abbigliamento oggi femminili non sono altro che riproposizioni di vecchi capi di abbigliamento maschili. Il che la dice lunga sull’originalità delle doti “femminili”. La nuova “femminilità”, oltre a un estetismo portato all’estremo fino al limite (e forse anche oltre) del grottesco, è forse un prodotto contraffatto? Una mera imitazione e adattamento di vecchie mascolinità? Potrebbe anche darsi…

Come e perché è nato il femminismo – le principali interpretazioni
L’era industriale e postindustriale ha portato con la sua tecnica un mutamento alquanto profondo nella società umana e nei rapporti tra gli esseri umani in generale e tra i due sessi in particolare. Questo mutamento nei rapporti ha avuto il suo sbocco principale in quel movimento di genere che ha preso il nome di “femminismo”. Ma come mai un mutamento nei rapporti tra entrambi i generi ha preso come punto di riferimento solo un genere e cioè quello femminile? Un tale mutamento non avrebbe dovuto far nasce un movimento che coinvolgesse entrambi i sessi e facendo proprie le narrazioni di entrambi i sessi?
In realtà il femminismo coinvolge entrambi i generi ma solo che ha inquadrato i rapporti che tra essi intercorrono in un’ottica prevalentemente femminile, o sedicente femminile. Esistono ora diverse spiegazioni sul fatto che il mutamento dei rapporti tra generi abbia preso la strada quasi univoca del femminismo e non di entrambi i sessi e quindi di un “generismo” o un “maschilfemminismo”.
La prima spiegazione è la più classica e più diffusa, e cioè che il femminismo avrebbe assunto il ruolo di una sorta di “ribellione” di un sesso oppresso dall’altro. Questa interpretazione vede la società come struttura di potere retta dal genere maschile e magari anche ritagliata per gli interessi maschili, mentre quello femminile sarebbe il sesso “oppresso”, eternamente vittima. Il bene contro il male che non è solo la parola “maschio” in inglese ma anche il male in terra in italiano.
Non è che sia mio grande interesse contestare questa visione della storia, anche perché a dire il vero l’idea di appartenere al sesso “dominante” mi provoca tutt’altro che disgusto, anzi… Del resto un “dominio” come quello maschile che sarebbe durato per tanti millenni la direbbe lunga sulle capacità maschili di conservare e gestire il potere. Non solo, ma un dominio che si sarebbe protratto per tutto questo tempo e che sarebbe poi o “caduto” o almeno “affievolito” (o semplicemente mutato?) fa sorgere alcune domande. Per esempio perché le donne si sarebbero “ribellate” solo negli ultimi decenni? La risposta più ovvia è che la tecnologia che si è andata sviluppando negli ultimi decenni ha consentito (o costretto?) di produrre sempre più risorse senza l’ausilio della forza fisica. E quindi questo ha consentito a sempre più donne di partecipare al ciclo produttivo in posti più vicini ad esso e quindi meno distanti come erano le pareti domestiche. Ecco che quindi per amor di verità dovremo fare alcune osservazioni su questo atipico dominio maschile. Per esempio dobbiamo osservare che i lavori più rischiosi e faticosi sono sempre stati appannaggio maschile. Il che contraddice il tipico rapporto tra dominatori e dominati. Più controversa la questione delle armi, e cioè del fatto che a combattere sui campi di battaglia e quindi a morire o rischiare di morire o di restare mutilati, erano sempre gli uomini e non le donne. Quindi si potrebbe notare che negli antichi imperi erano i cittadini liberi e non gli schiavi ad andare in guerra. La guerra era appannaggio dei dominatori quindi e non dei dominati. Ma molte particolari forme di rispetto e protezione che in passato erano e tuttora sono riservati alle donne, spesso si discostano dall’ottica dei dominatori-dominati.
E quindi per amor di verità e non per una qualche “giustificazione”, che il genere maschile non ha alcun obbligo di fornire, che dovremo prendere in seria considerazione altre interpretazioni del passato rapporto tra i due sessi che oggi stanno prendendo piede, malgrado la grancassa mediatica ci propini a più non posso lo stesso ritornello. Interpretazioni che se non intendono negare quella del “dominio maschile” intendono perlomeno introdurre ulteriori variabili fin troppo trascurate. Una di queste è l’accondiscendenza maschile verso le donne che ha comportato il silenzio degli uomini favorendo la femminilizzazione del cambiamento dei rapporti tra i generi (http://www.tesionline.it/default/tesi.asp?idt=11091). Questa ottica introduce un elemento innegabile nell’ambito dei rapporti tra i sessi, e cioè il normale istinto di protezione che gli uomini hanno verso le donne come gli adulti verso i bambini. La deriva femminile, e quindi sessista e non umanitaria e globale, che quindi avrebbe preso il mutamento dei rapporti tra le due metà del cielo sarebbe dovuta all’istinto di protezione maschile verso il genere femminile, istinto di protezione che può manifestarsi anche attraverso l’accondiscendenza. Come un adulto spesso si sente spinto ad accontentare i bambini, così gli uomini si sono sentiti e si sentono spinti ad accontentare le donne.
Del resto parrebbe che un mero calcolo egoistico abbia spinto le donne ad avanzare le proprie rivendicazioni proprio quando la tecnica consente a sempre più persone di partecipare alla produzione e quindi di poter avere un reddito autonomo, senza arare la terra e svolgere mansioni pesanti. Quindi un mero calcolo egoistico pare che abbia spinto le donne a intraprendere questa strada, mentre il “dominio” maschile parrebbe essere tutt’altro che un dominio (se davvero può chiamarsi tale) egoistico. Neanche la cosiddetta “dipendenza” sessuale che gli uomini avrebbero verso le donne dovuta a un maggior appetito sessuale maschile spiega la deriva femminista. Si, perché se lo volessero gli uomini, anzi una esigua minoranza di essi, potrebbe piuttosto facilmente schiavizzare tutte le donne del pianeta e quindi poter soddisfare i propri appetiti sessuali. Ma se questo non avviene, se anzi alle donne si concedono sempre più privilegi, è perché questa volontà maschile evidentemente non c’è. Certo c’è anche da considerare la competizione tra maschi che aggrava la situazione, ma questa può facilmente essere gestita perché da sempre gli uomini hanno mostrato di saper fare alleanze e accordi vari. Quindi anche se la competizione tra uomini rafforza la posizione delle donne, è anche vero che se non fosse per la volontà di proteggere e vedere felici le donne, queste comunque non se la passerebbero per niente bene.
Pertanto alla fine risulterebbe che il rapporto tra maschi e femmine sia un po’ come quello tra adulti e bambini. Quando i secondi fanno i capricci i primi fanno di tutto per accontentarli, però poi passano sempre per egoisti, prepotenti e prevaricatori.

 
 
 

Fiasco o rivelazione? (seconda parte)

Post n°44 pubblicato il 18 Agosto 2007 da Giubizza

Qual è stata la vera funzione del femminismo?
Durante la rivoluzione industriale le classi sociali progressiste, borghesia in primis, erano impegnate in una battaglia all’ultimo sangue contro i vincoli feudali imposti da una classe, quella dei feudatari, che era paladina di un ordine sociale ormai in pieno disfacimento. Premeva più di ogni altra cosa eliminare tutte quelle restrizioni che facevano in modo che una marea di uomini e donne fossero impediti di spostarsi “liberamente” e quindi lasciare le terre feudale e alla merce di circolare con rapidità e senza impedimenti di ogni sorta.
Lo stato nazionale è stato il suggello della rivoluzione borghese, la nascita di un mercato più o meno omogeneo e vasto in cui merci, persone e capitali potessero spostarsi in base ai bisogni capitalistici. Ma per completare l’opera di capitalizzazione della società tutto doveva divenire arbitrio del libero mercato e sottoposto alle sue leggi. Tutto doveva essere smembrato e costituire atomi “liberi”, elementi sparsi soggetti a compravendita.
Una delle istituzioni che in buona parte resisteva agli attacchi del capitalismo avanzante era la famiglia. È vero che già negli anni ’60 del XX secolo in buona parte la famiglia nucleare capitalistica aveva sostituito l’antica famiglia agricola, ma è anche vero che fino ad allora la gran parte della popolazione di molti paesi era ancora agricola e si apprestava a divenire urbana.
Ecco l’esigenza di sgretolare l’ultimo baluardo feudale, la famiglia. Ora io non voglio dire che il crollo dell’istituzione familiare, che ancora oggi perdura, sia un fatto di per sé né negativo né positivo, ma solo che sia un fatto evolutivo, ossia conseguente l’evoluzione della società. Ma quando crolla una certa istituzione, soprattutto importante come lo è la famiglia, necessiterebbero istituzioni nuove che la sostituiscano e si sobbarchino i compiti. Questo oggi non c’è ancora. Tutti i tentativi di sostituire la famiglia, come le comunità del libero amore e roba varia, sono falliti, forse perché contrastati da una società ancora non pronta e ostile, forse perché non conformi al modo di essere delle persone, ma sono falliti. Così la famiglia diviene solo un centro di mantenimento finanziario e forse la sua permanenza parziale è più dannosa che del suo crollo definitivo.
Ma ciò che si è verificato nei decenni scorsi è stato lo svincolamento degli individui, che erano preposti all’autorità familiare, da questa forma di autorità. I figli da una parte, ma in particolare le donne. Se le donne una volta erano sottoposte alla tutela familiare, formale o informale che fosse, con la cosiddetta “rivoluzione culturale e sessuale” non lo sono più state. Il capitalismo è entrato fin nelle midolla di questo sistema sgretolandolo e rendendo la donna “libera”. Ma libera di cosa? Libera di vendersi. Non più la famiglia, ma lei decide a chi e come vendersi. La donna è divenuta merce libera. Ma una merce non è libera per il consumatore, ma per il detentore. Una merce libera non è quella merce disponibile a tutti ma una merce il cui proprietario è libero di stabilire le regole di vendita, le condizioni contrattuali. Essendo la donna proprietaria della propria “merce” è diventata libera di stabilire le condizioni della propria vendita. Si perché nel capitalismo non è l’Uomo a essere padrone della merce, ma la merce a essere padrona dell’Uomo.
Il consumatore può appropriarsi fisicamente della merce dietro pagamento del relativo pedaggio, ma la merce si appropria dell’anima del consumatore gratuitamente e ne detta le regole e i moti interiori. Inoltre la donna è una merce “trainante” perché è una merce che consuma e richiede molta “manutenzione”. Così una cospicua fetta di redditi maschili finisce nelle casse di aziende di beni di consumo per donne alimentando il giro d’affari consumistico odierno.
L’operaio è appendice della macchina come il consumatore è appendice della produzione. Ecco la donna che si mette in mostra, che stimola il consumo. Ecco il sesso effeminato sbandierato ai quattro venti. Ecco la deriva sessista del femminismo.
Altra caratteristica della forma merce consiste nella concentrazione in poche mani. Si viene così a verificare che uomini che hanno maggiori “attrattive” si ritrovano ad avere relazioni con un cospicuo numero di donne mentre molti uomini si ritrovano esclusi dal mondo femminile. Alcuni riconducono questo fenomeno alla cosiddetto “maschio alfa” ossia il capobranco che si appropria non solo delle risorse del territorio ma anche delle femmine del branco. Ci sarebbe però da notare che, almeno nei mammiferi, il maschio alfa non viene scelto dalle femmine, ma è una condizione che si determina con le lotte tra maschi. Il vincitore diventa il maschio alfa e si impossessa di tutto o quasi tutto, ma non sono le femmine ad essere “attratte” da lui, come invece avviene nella nostra specie. Nella nostra specie si verifica quasi il fenomeno del “lek” che avviene in molte specie di uccelli, come per esempio per il pavone. Nella stagione degli amori i pavoni maschi occupano degli spazi di terreno, i leck, e aprono le code. Le femmine accorrono dal maschio che per vari motivi attira più femmine. Non solo per le sue caratteristiche, ma anche se per eventi fortuiti alcune femmine iniziano ad accorrere presso un certo maschio le altre non guardano il maschio in questione ma le altre femmine. Se sostituiamo la coda del pavone con un bel macchinone del fighetto di turno (magari un vero cesso, ma sempre col macchinone però...) possiamo renderci conto di quanto una certa porzione di Umanità sia molto più vicina al regno animale di quanto si credi. E in effetti le donne, più che dal potere d’acquisto economico, sembrerebbero essere attratte dallo status dell’uomo, dal suo essere celebre e famoso. Ma il tutto potrebbe anche farsi ricondurre al fenomeno generico della moda e all’innato istinto imitativo degli esseri umani più che a una vera e propria pulsione “sessuale”. Ma il che non esclude certo anche il mero calcolo economico, ossia l’avere un uomo che possa garantire una buona vita per sé e per i figli.
Così il paradigma della donna-merce costituisce forse il fine di quel processo di cui il femminismo che abbiamo conosciuto è stato forse più una pedina che non una guida. Però non bisogna credere che la donna per questo sia davvero libera, perché così come la merce inanimata, anche la donna è sottoposta alle dure e ferree leggi del mercato e a queste ella deve sottomettersi per gestirsi al meglio. Quindi la donna-merce non ha sottomesso l’uomo a sé ma si è sottomessa al mercato, in questo caso del sesso e delle relazioni sentimentali, come l’uomo è stato sottomesso da queste dure leggi di mercato.
Ma perché si è verificato tutto questo? Perché le donne non sono diventate persone pari e uguali agli uomini?

Storia o natura contro la parità effettiva
Come per molti aspetti della conoscenza dei fenomeni umani e sociali, anche in questo campo esistono diverse interpretazioni che possono farsi ricondurre in due principali tronconi. C’è una prima versione che asserisce che per motivi storici le donne hanno un reddito globale minore di quello degli uomini e questo le renderebbe economicamente ricattabili. Altro punto di vista invece afferma che i due sessi hanno impulsi sessuali diversi e questo renderebbe gli uomini sessualmente più ricattabili. Entrambe le argomentazioni non mancano di avere fatti e fenomeni a loro disposizione per appoggiare le proprie tesi e smentire quelle dell’altra “corrente”.
Anche qui mi vien da pensare a quella che Plechanov (http://www.criticamente.com/cultura_arte/Plechanov_Georgij_Valentinovic_-_Scritti_di_estetica.htm) direbbe che si tratta di una “semplice” interazione, e come afferma nel suo libro “La concezione materialistica della storia” (http://www.comprovendolibri.it/ordina.asp?id=1706449) chi si ferma a osservare l’interazione senza andare a scavare ciò che ne sta a monte e che la “innesca”, che la fa causa, è affetto da miopia intellettiva.
Io sono miope e non vado oltre.

Il paradigma del sesso-successo e la “sacralità” del corpo femminile
Ci sarebbero da notare alcune cose riguardo il “reciproco” ricatto sesso-denaro che intercorre tra uomini e donne.
Riguardo l’aspetto quantitativo dei bisogni sessuali dei due sessi non mi sento di avanzare nulla con sicurezza. È molto probabile che il fatto che il sesso maschile abbia per sua natura dei bisogni sessuali parecchio superiori di quello femminile sia vero, ma non lo affermerò né lo negherò.
Ciò che mi viene invece da notare è l’aspetto “qualitativo” di questi bisogni, ossia il modo con cui si manifestano e con cui spingono alla loro soddisfazione, senza asserire che ciò sia dovuto né a fattori culturali né a spinte di origine naturale.
Se ben notiamo tutta la strutturazione sessuale maschile e femminile odierna è improntata in maniera tale da rendere il maschio umano dipendente dal corpo femminile. Quello che voglio dire è che i bisogni sessuali di per sé possono anche essere esorbitanti ma sono facilmente soddisfabili in maniera autonoma. L’autoerotismo è qualcosa che tecnicamente funziona molto bene. Eppure da una parte sembra che gli uomini siano più attratti dal corpo femminile che non dal sesso in sé e in particolare dalle caratteristiche fisiche secondarie femminili (seppure la loro sessualità viene tacciata per “grezza”, “genitale”, “animalesca” e “primitiva”) e dall’altra si infonde la figura che l’uomo che non fa sesso con una donna, a meno che non sia gay, è un fallito. Il termine “segaiolo” indica praticamente l’uomo sessualmente “fallito”. Fa niente se magari un uomo gode molto di più da solo che non con una donna incapace, il fatto che non “riesce” a stare con una donna lo rende “fallito”. Questo mentre l’autoerotismo femminile è segno di grandissima sensualità, così come i rapporti omosessuali femminili. Una donna che “confessa” di fare autoerotismo “merita” encomi da parte del pubblico maschile, come se il fatto che le donne si fanno i ditalini cambiasse qualcosa nella vita degli uomini. Per non parlare poi delle donne che hanno rapporti erotici con altre donne. Così per molti l’autoerotismo, invece di essere un incontro con se stessi e col proprio corpo non diventa altro che una rappresentazione (adorazione?) virtuale dell’immagine femminile. Del resto l’attacco che il femminismo fa alla pornografia, ma anche all’utilizzo dell’immagine femminile a scopi commerciali e mediatici, è solo ipocrita e superficiale. In realtà il femminismo cavalca l’onde di questa dipendenza per i propri scopi reali.
Anche il disprezzo che si ostenta verso l’omosessualità maschile va in questa parte. È vero che gli omosessuali oggi pare siano abbastanza rispettati se non addirittura “venerati” tanto che oggi pare che l’omosessualità faccia “vogue”, ma è anche vero che la società nutre un profondo disprezzo verso la sessualità degli omosessuali maschi, mentre divinizza quella delle omosessuali femmine. Come dire: il sesso non è sesso decente se non c’è almeno una presenza femminile. La sessualità deve in qualche modo girare intorno all’immagine femminile, solo questa merita di essere assurta al rango di “erotismo”. Il sesso senza donne è considerato come qualcosa di estremamente reietto. Anche la stessa pornografia, utilizzata da molti uomini a fini autoerotici, pare volta a una dipendenza dell’uomo verso l’immagine femminile: se non c’è una donna materialmente deve esserci almeno virtualmente. A tutto questo da aggiungersi la persistente passività femminile, in quanto, contrariamente da quanto si afferma, le donne non sono per niente diventate più intraprendenti verso l'altro sesso. Anzi forse se la tirano ancor di più di un tempo.
Ma questo non è un fenomeno dovuto al femminismo, ma risalente a epoche molto precedenti e forse di origine naturale. Solo che il femminismo lo usa per i propri scopi, come la società odierna usa a sua volta il femminismo per i propri. Sono quindi degli stereotipi, o se vogliamo degli archetipi, che risalgono a quella che viene definita dai più come “era patriarcale”. Gli stessi cultori della fine dell’era “patriarcale” non si accorgono di quanto usino tali stereo-archetipi quando definiscono come “fallito”, “frustrato”, eccetera chi osa criticare il “sacro” sesso femminile. La morale consisterebbe nel fatto che solo chi non fa sesso con le donne sarebbe tanto “frustrato” da criticare le donne, le quali invece, essendo il non plus ultra della perfezione in terra, non meriterebbero alcuna critica. Quindi un uomo sessualmente “soddisfatto”, e per essere soddisfatto a un uomo basterebbe che faccia sesso non importa come e con chi, non avrebbe altri motivi per criticare le donne. La presunzione, l’incoerenza e la grettezza di un tal modo di ragionare è evidente. Ma del resto i cultori del femminismo sono i primi che hanno l’interesse a rendere gli uomini dipendenti il più possibile dal genere femminile, oltre che di utilizzare “armi” vecchie e nuove per attaccare chi si oppone ai loro crismi.
Lo stesso disprezzo merita chi non sbava dietro il corpo femminile. Fare commenti adulatori alle donne, specie se nude o seminude, è un dogma che non è pensabile trasgredire. Più che dal sesso il maschio umano sembra “dipendere” dal corpo femminile che costituisce la meta ultima della sua vita. Il migliore indice di realizzazione dell’uomo è costituito dall’avere almeno una donna con cui fare sesso.
Sulla stessa linea d’onda sta il passaggio dall’immagine maschile a quella femminile nell’ideale collettivo, con la conseguente svalutazione dell’immagine maschile. Dalla figura umana dotata di virilità, vigore e possenza dell’uomo classico si è passati al prototipo della modella siliconata a tirata a lucido dei calendari e della pubblicità odierna. La figura della donna è diventata il liet motiv della propaganda mediatica e commerciale di oggi, esaltata, acclamata ed enfatizzata pur nella sua artificiosa ridicolaggine. Questo mentre le poche immagini maschili, in tutte le varie salse, vengono puntualmente criticate e ridicolizzate. L’uomo è “ridicolo” se bello o brutto in quanto uomo, la donna è “grandiosa” bella o brutta (definire “belle” molte “figone” di oggi è una vera offesa alla bellezza!) in quanto donna e ormai adesso in quanto nuda o seminuda.
        
Gli uomini contro gli uomini, il femminismo è maschio?
La scienza odierna sostiene che la riproduzione sessuata permette una varietà genetica che consente a una specie di affrontare vari cambiamenti e varie situazioni. A fronte di questi vantaggi vi sarebbe il cosiddetto “costo del maschio” consistente nel fatto che vi sia una parte della popolazione, quella maschile, che non si “riproduce”, nel senso che non partorisce direttamente la prole. Il sesso maschile è un sesso “derivato” in quanto il sesso base è quello femminile che potrebbe riprodursi anche per partenogenesi.
In realtà i vantaggi che fanno fronte a questo costo sono innumerevoli e vanno ben oltre la semplice varietà genetica. Basti pensare alla suddivisione sociale dei ruoli che è esistita ed esiste tuttora nella nostra specie, che fa in modo che i due sessi si specializzino, a seconda del proprio ruolo biologico, in diverse mansioni sociali in modo da rendere il massimo per il beneficio della comunità. Oggi in una società tecnologica questa suddivisione può apparirci superflua, ma in passato ha avuto di certo una necessità di non poco rilievo.
Uno dei ruoli in cui i maschi umani si sono specializzati in passato è stato il campo del pensiero. La filosofia, la religione, la scienza sono state per lo più prerogative maschili, in cui gli uomini hanno pensato e agito per sé ma forse soprattutto per le loro donne e i loro figli. E lo stesso vale per la politica e le dottrine che l’hanno alimentata e sostenuta.
Tutto questo lo dico per lanciare una provocazione, cioè che il femminismo non sarebbe un grande strappo alla regola, che non costituisce un vero e proprio pensiero femminile, ma anzi che sia anch’esso un pensiero maschile. Sono gli uomini che si dividono, come sempre, in diverse fazioni sostenenti una determinata tesi. Ci sono uomini profemminist che si ergono a paladini del femminismo e, a torto o a ragione, delle donne in generale, e gli antifemministi che invece contrastano i primi. Una guerra tra uomini tanto per cambiare, in cui i piagnistei e le “proteste” delle femministe non sono altro che lo sfondo, il pretesto su cui si fonda questa ennesima lotta intramaschile.
E infatti sono gli uomini i più accaniti sostenitori del femminismo. Sono gli uomini che attaccano con più furore le correnti antifemministe. Le femministe spesso si limitano a lanciare qualche commento “ironico” (o impertinente?), o al massimo a fare qualche “scaricata” per poi ritirarsi e “ignorare” o fingere di ignorare chi critica il femminismo. Ma le argomentazioni più vaste e più valide, vere o false che siano, e anche più accalorate le forniscono in genere i soggetti di sesso maschile.
Del resto i cortei delle femministe a nulla sarebbero serviti se non vi fossero stati uomini pronti a concedere alle donne legittimi o illegittimi diritti.
Ma perché gli uomini sostengono il femminismo? Cosa li spinge a questo?

Una società che informa ma non forma
La libertà di informazione è uno dei capisaldi della società moderna. Essere liberi di diffondere e di reperire notizie è un elemento importante del nostro vivere quotidiano. Ma oggi notiamo però che siamo sommersi di informazioni nozionistiche, frammentarie, contradditore, incoerenti e di cui è difficilissimo discernere quelle piuttosto vere da quelle piuttosto false.
In questo marasma nozionistico abbiamo perso un elemento importante per il nostro essere, che è la formazione. Oggi la nostra personalità non ha più tempra di carattere, non ha più struttura di principi, non ha più forma. Ciò che dico non ha valore di critica, le finalità che mi propongo sono prevalentemente descrittive e non prescrittive.
Una caratteristica fondamentale della nostra specie consiste nella dimensione cerebrale e nella durata dell’infanzia. Quest’ultima serve per prolungare il periodo di apprendimento e fare in modo che il cervello non solo accumuli informazione, ma si formi in maniera atta a fornire gli strumenti intellettivi idonei ad affrontare i problemi delle vita. Una volta i problemi della vita erano attinenti la stessa vita, la sopravvivenza. Un tempo remoto, e oggi presso i popoli più primitivi, sono previsti rituali iniziatici per gli adolescenti che si apprestano a entrare nella vita adulta.
Oggi questi rituali non ci sono più il passaggio alla vita adulta è diventato in parte più problematico e in parte più indefinito. Anzi pare che vi sia uno spostamento in avanti di questo passaggio, un culto del giovanilismo, della spensieratezza, del non assumersi responsabilità. Questo mentre assumersi responsabilità diventa cosa sempre più dura, sempre più onerosa, sempre più problematica.
Quando in gioco c’era la sopravvivenza, quando la vita era fatta di miseria e di stenti, quando bisognava affrontare povertà, fatica, guerre e pestilenze, la società aveva bisogno di individui dotati di una tempra fisica, psichica, morale. Era una necessità fisiologica della società tradizionale. Nel momento in cui la tecnica ha favorito un enorme aumento di produttività, tanto che i mali della società odierna non stanno nella miseria ma nell’abbondanza, questa tempra non è più necessaria. Anzi ai fini consumistici c’è bisogno di persone viziate il più possibile, che non si accontentano, insofferenti. Il consumo di un bene nasce da una mancanza da un bisogno, se una persona è temprata nel suo carattere i suoi bisogni si esauriscono nel necessario per vivere e formarsi. La forza di carattere e il valore personale sfavoriscono il consumo. Quindi oggi c’è bisogno di tirare su individui deboli e viziati, dei consumatori modello che mai si accontentano e di tutto necessitano. Si viene a formare una società nozionistica che imbottisce di informazioni fini a se stesse ma che non si riconducono a un disegno generale, una società che non tempra il corpo e lo spirito, una società che informa (male) ma non forma.

 
 
 

Fiasco o rivelazione? (terza parte)

Post n°43 pubblicato il 18 Agosto 2007 da Giubizza

Attacco la ruolo paterno o conservazione del ruolo materno?
Nel contempo oggi sempre più genitori viziano i figli e li tirano su accontentando ogni loro capriccio, non sanno più dire di no alle loro pretese. Oggi i bambini vanno accontentati a tutti costi. C’è una relativa abbondanza e quindi perché non soddisfare i desideri infantili? Inoltre soddisfare i desideri è alla base di una buona economia consumistica, tira la produzione e quindi gli affari vanno avanti. Un giro virtuoso-vizioso pertanto.
Si nota, come ho già detto, oggi come l’istituzione della famiglia sia sempre più in crisi e questo fa pensare a molti che questo istituto non sia più adatto a formare le nuove generazioni. C’è però il problema che solo quando si presenta qualcosa di nuovo che possa essere all’altezza di sostituire ciò che c’è di vecchio può avvenire un vero rinnovamento, finché non c’è niente di nuovo e il vecchio si degrada, si permane in una lunga fase di stagnazione e di degrado che causa non pochi problemi e sofferenze.
Oggi non c’è niente all’orizzonte di decente che possa sostituire il ruolo della famiglia nella vita dei più giovani e la sua decadenza sta diventando una lunga agonia in cui i ruoli dei genitori diventano sempre meno vantaggiosi e costosi da assolvere.
Nella famiglia nucleare contemporanea il ruolo centrale nella formazione dei bambini è assolto dai genitori, dal padre e dalla madre. Ma i ruoli sia paterno che materno sono in crescente crisi e i lati negativi pare che stiano surclassando i vantaggi che essi comportano.
In una raccolta di suoi pensieri e detti memorabili il poeta Giacomo Leopardi notava che una buona parte di personaggi celebri, di geni e affini sono orfani di padre. Leopardi affermò che la protezione paterna blocca un po' gli uomini nella loro crescita e nello sviluppare della propria personalità datosi che il padre pensa un po' a tutto. L'assenza paterna invece spingerebbe molti uomini a provvedere da sé e quindi anche a crescere.
Il poeta notava:
“Scorri le vite degli uomini illustri, e se guarderai a quelli che sono tali, non per iscrivere, ma per fare, troverai a gran fatica pochissimi veramente grandi, ai quali non sia mancato il padre nella prima età. Lascio stare che, parlando di quelli che vivono di entrata, colui che ha il padre vivo, comunemente è un uomo senza facoltà; e per conseguenza non può nulla nel mondo: tanto più che nel tempo stesso è facoltoso in aspettativa, onde non si dà pensiero di procacciarsi roba coll'opera propria: il che potrebbe essere occasione a grandi fatti; caso non ordinario però, poiché generalmente quelli che hanno fatto cose grandi, sono stati o copiosi o certo abbastanza forniti dei beni della fortuna insino dal principio. Ma lasciando tutto questo, la potestà paterna appresso tutte le nazioni che hanno leggi, porta seco una specie di schiavitù dei figliuoli; che, per essere domestica, è più stringente e più sensibile della civile; e che, comunque possa essere temperata o dalle leggi stesse, o dai costumi pubblici, o dalle qualità particolari delle persone, un effetto dannosissimo non manca mai di produrre: e questo è un sentimento che l'uomo, finché ha il padre vivo, porta perpetuamente nell'animo; confermatogli dall'opinione che visibilmente ed inevitabilmente ha di lui la moltitudine. Dico un sentimento di soggezione e di dipendenza, e di non essere, per dir così, persona intera, ma una parte e un membro solamente, e di appartenere il suo nome ad altrui più che a se. Il qual sentimento, più profondo in coloro che sarebbero più atti alle cose, perché avendo lo spirito più svegliato, sono capaci di sentire, e più oculati ad accorgersi della verità della propria condizione, è quasi impossibile che vada insieme, non dirò col fare, ma sol disegnare checchessia di grande. E passata in tal modo la gioventù, l'uomo che in età di quaranta o di cinquant'anni sente per la prima volta di essere nella potestà propria, è soverchio il dire che non prova stimolo, e che, se ne provasse, non avrebbe più impeto né forze né tempo sufficienti ad azioni grandi. Così anche in questa parte si verifica che nessun bene si può avere al mondo, che non sia accompagnato da mali della stessa misura: poiché l'utilità inestimabile del trovarsi innanzi nella giovinezza una guida esperta e amorosa, quale non può essere alcuno così come il proprio padre, è compensata da una sorte di nullità e della giovinezza e generalmente della vita.”
In ogni cosa ci sono lati positivi e lati negativi. Per esempio se la figura paterna è (o è stata) qualcosa di vantaggioso per la società è anche vero che la presenza di un maschio adulto nella vita di un uomo in formazione può avere degli aspetti negativi. Per esempio il bambino o il ragazzo può sentirsi in posizione di inferiorità e la sua personalità può essere oscurata dalla presenza paterna. Il ragazzo faticherà a diventare un "uomo di casa" e questo può avere anche conseguenze non del tutto positive.
Inoltre il padre può costituire un falso modello da seguire. Il figlio proverà a imitare il padre, magari però lui è diverso da padre o il contesto in cui vive è diverso da quello dell'agire paterno e questo può generare senso di frustrazione. Spesso l'identità personale può anche essere aiutata dall'assenza del padre, magari proprio perché non ha modelli fissi da seguire e può esprimersi seguendo le proprie inclinazioni. Però il tutto è molto a rischio, una buona presenza paterna esclude delle possibilità ma dà risultati molto più sicuri...
Direi in definitiva che il padre è una guida. La guida, il guidare una persona, ha dei risvolti positivi e negativi. Da una parte fornisce sicurezza a una persona incanalandola nei giusti binari in cui dovrà muoversi, dall'altra però può frenare alcuni aspetti della personalità. Ora questi aspetti potranno essere anche negativi, e infatti in questo consiste in buona parte guidare, nel reprimere le pulsioni negative. Però poi tende a formare solo uomini comuni e niente di più.
Lasciati senza guida fin da piccoli gli uomini "sbandano" e possono o uscire di strada e diventare instabili e "squilibrati" oppure possono trovare una propria strada e quindi diventare anche persone importanti...
Forse la guida paterna fornisce più sicurezza che il risultato finale riesca bene, però appiattisce e livella, l'assenza di questa guida può invece fornire più opportunità ma il risultato finale è altamente rischioso.
Ma lo stesso può ovviamente dirsi per la figura materna la quale è una figura genitoriale che tende a bloccare tutto per troppa protettività e paura dei rischi. Lo si vede dai primi anni di vita del bambino, dalle prime cadute, dalle prime pedalate, nuotate eccetera. Il padre tende spesso a stimolare, seppure non di rado tale stimolo può avere un effetto “rompicoglione”, mentre la madre tende spesso a bloccare.
Ma i genitori, il padre e la madre, altro non rappresentano che il mondo maschile e femminile adulto che entra in contatto col mondo infantile. I bambini si approcciano con uomini e donne, col proprio e con l’altro sesso, imparando cosa vuol dire essere uomini e cosa vuol dire essere donne in età adulta. Avviene un processo di identificazione verso il proprio sesso e di relazione con l’altro.
Non è detto che questi ruoli debbano essere per forza assunti dai genitori naturali, né da un singolo uomo e da una singola donna. Esistono culture in cui i ruoli genitoriali sono assolti da una varietà di persone. Anzi il restringere i ruoli genitoriali ai soli genitori biologici è un fenomeno piuttosto recente e tipico della società industriale occidentale.
Oggi, in fase postindustriale, i ruoli genitoriali entrano in crisi. Da una parte sono sempre più iperresponsabilizzati perché in una società complessa come quella attuale è sempre più difficile che due persone si sobbarchino il compito di educare degli esseri umani. Dall’altra un diffuso giovanilismo, un culto della spensieratezza, tipico di una società dei consumi, che impedisce una piena maturazione della personalità, utile per potersi sobbarcare pesanti responsabilità.
L’esigenza di nuovi modelli pedagogici pare avvertita da molti, ma è difficile immaginarne qualcuno all’altezza dell’attuale famiglia monogamica e nucleare. E così si preferisce puntare su questa nonostante la crisi in cui versa. Ma la sua decomposizione continua a manifestarsi attraverso il degrado dei compiti genitoriali. Il ruolo dei genitori oggi è sempre più difficile e sempre peggio riuscito. Eppure è il ruolo paterno ad essere maggiormente attaccato, mentre il ruolo materno, la cui utilità, oltre alla gravidanza e al parto, potrebbe essere altrettanto dubbia, viene quasi sacralizzato. Il motivo è semplice: il padre è un ruolo maschile, la madre un ruolo femminile. Per cui, stando alla regola che tutto ciò che è maschile è il male e tutto ciò che è femminile è il bene, ecco che il ruolo paterno è il male mentre il ruolo materno è il bene assoluto e necessario all’Umanità.
Così per portare avanti l’attacco al padre e la difesa della madre da una parte si sobbarcano i padri naturali di enormi oneri economici e di impegni di tipo “materno”, mentre dall’altro il mondo maschile adulto si stacca sempre più dal mondo infantile e adolescenziale.

Il valore della forza e la forza del valore
Come ben sappiamo una volta le attività principali con cui ci si guadagnava da vivere erano fondate sulla forza, sulla forza fisica. La forza fisica era un valore, una virtù. Oggi viene spesso chiamata forza “bruta” anziché forza fisica o forza pura, e questo appellativo già la dice lunga sulla considerazione che si ha di essa. Pare quasi che sia un difetto, l’uomo vigoroso e muscoloso è considerato o “bestiale” o un “macho”. Ci viene spesso mostrato un aspetto superficiale della prestanza fisica la quale costituisce invece un valore.
Allo stesso tempo, come ho detto in precedenza, un tempo era esaltata, in quanto necessaria, anche la forza psichica, la forza di carattere, che spesso si manifestava nell’eroismo. Oggi non è raro considerare l’eroismo come manifestazione di stupidità, come non di rado si considera migliore l’opportunismo, ma un tempo l’eroismo era un valore, e i valori di una persona avevano una forza non trascurabile. Per infondere valore agli individui era necessaria una disciplina alquanto ferrea e basata sullo sforzo e sulla rinuncia. La disciplina era alla base dell’educazione sia dei più giovani, ma anche un continuo punto di riferimento per gli adulti.
Oggi tutto questo non è più necessario perché la miseria è stata tecnicamente (seppure non socialmente) sconfitta. Oggi con pochi sforzi si può ottenere molto senza rinunciare a nulla. Ma il problema sta nel fatto che questa condizione è del tutto nuova nella storia dell’Umanità, la quale si è formata, per lo più, in condizioni di generale e regolare penuria di beni. Il problema dell’obesità col relativo proliferare di diete e dietologi non raramente di dubbia efficacia, la dice lunga sulla dicotomia esistente tra il nostro modo di essere e la condizione in cui viviamo.
Come ho detto prima, oggi i bambini vengono in genere educati con poche rinunce e accondiscendendo ai loro desideri. Si può fare quindi perché non accontentarli? Ebbene ciò che voglio dire, e che forse scandalizzerà non pochi abituati al solito stupido liet motiv che le donne sarebbero più “mature” degli uomini, è che tra uomini e donne c’è lo stesso rapporto che esiste tra adulti e bambini, dove gli adulti sono gli uomini e i bambini sono le donne. Così come oggi si avverte spesso l’esigenza di accontentare i bambini, di soddisfare tutti i loro capricci, allo stesso modo si fa con le donne. Ecco che molti uomini si sentono in “dovere” non di riconoscere una probabilmente legittima parità tra uomini e donne, ma di garantire una crescente condizione di privilegio alle donne, di fare in modo che l’infelicità sia bandita dalla vita femminile. Non si accorgono che così facendo provocano l’effetto contrario, perché così come i bambini diventano adulti viziati e incontentabili, allo stesso modo il genere femminile diventa sempre più pretenzioso e insofferente.
È ovvio che così come esistono genitori più severi, o almeno previdenti, che non vogliono che i propri figli diventino viziati, provvedendo per loro un’educazione più severa, magari anche troppo, allo stesso modo ci sono uomini che non si sottomettono all’attuale logica di accontentare a tutti i costi le donne e pretendono che esse si assumano le loro responsabilità. C’è però una differenza tra bambini e donne, in quanto mentre i bambini rimangono nell’ambito familiare, le donne invece fuoriescono da questo ed entrano nell’agone della vita sociale. Così viziare le donne diventa anche una questione politica che si traduce nel favorirle nell’accesso alle carriere nei settori in cui non sono portate, garantire che possano soddisfare ogni capriccio anche in ambiti importanti e non certo nell’acquisto di giocattoli. Ecco che lo scontro tra uomini che viziano e uomini che pretendono “disciplina” diventa scontro anche politico.

Femminismo teorico e femminismo reale
Esistono due tipi di interpretazione anche per ciò che riguarda il processo di sviluppo del movimento femminista. La prima la si potrebbe definire quella della “rivelazione”. Secondo questa visione il femminismo, come altri movimenti storici, avrebbe utilizzato degli slogan teorici fasulli durante la fase di ascesa a scopo più propagandistico che come un vero piano volto a essere realizzato. Non che l’inganno rientri nelle intenzioni dei sostenitori, magari questi davvero credevano in questi slogan, ma il movimento stesso fin dall’inizio aveva già prestabilito il suo futuro percorso evolutivo e, una volta assurto a politica di governo, rivelare poi il suo vero volto. Questa interpretazione può essere condivisibile ma fino a un certo punto, perché seppure coglie abbastanza organicamente il processo di evoluzione storica generale di un movimento, è appunto troppo generalista e fa confluire in un unico percorso tutto un insieme di correnti e dottrine che fanno capo a quel dato movimento, come fossero un tutt’uno e senza fare distinzioni tra le varie correnti, spesso anche contraddittorie tra loro.
Più analitica è l’interpretazione che vede una degenerazione nel movimento femminista. Secondo questa prospettiva il femminismo costituiva davvero ciò che in gran parte si dichiarava, ma poi ha subito delle degenerazioni e distorsioni ad opera di resistenze che si sono opposte alla realizzazione delle sue finalità.
Le resistenze opposte al femminismo “verace” della visione “deviazionista” alcuni le vedono come “naturali”, intendendo con tale termine che esse contrastano con un modo di essere intrinseco e precostituito degli esseri umani, ma in tal caso si tende a sfociare nella concezione della “rivelazione” in quanto il femminismo non poteva essere ciò che si dichiarava in fase ascendente, perché contrastava con un modo di essere “immutabile” degli esseri umani. Col termine “natura” infatti i sostenitori di una visione etologica dell’Umanità intendono appunto qualcosa di “sacro” che non può essere “violato”. Ogni dottrina che si prefigge di costruire un mondo “migliore” viene vista come una forzatura alla natura umana e quindi una violenza agli esseri umani.
Molto più in linea con la tesi della deviazione è la visione sociologica dell’Umanità. Secondo tale visione gli esseri umani sono quel che la società li fa essere, come li forma. Pertanto è pienamente legittimo tentare di migliorare le persone perché è così che si formano gli esseri umani e il tirare in ballo la natura costituisce un inganno volto a far rinunciare di assecondare il desiderio di cambiamento in meglio ed accettare l’ordine costituito (anche se ci sarebbe da stabilire la giustezza di ciò che si intende con la parola “meglio”...). Le resistenze opposte a vari movimenti, tra cui anche quello femminista, sarebbero pertanto di natura sociale, ossia tutto un insieme di spinte socio-economiche avrebbero opposto un freno e un dirottamento dalle intenzioni reali dei vari movimenti di cambiamento impedendo la loro realizzazione e anzi distorcendoli e utilizzandoli ai propri fini di conservazione.

A cosa ha portato e dove è giunto il femminismo
Ma, come ho detto prima, alla fin fine le donne non hanno ancora perso quel modo di essere che le ha caratterizzate per secoli: essere una merce, solo che adesso sono una merce libera, libera di stabilire le condizioni della propria vendita. Oggi le donne sono una merce che si autovende, che sceglie di persona a chi vendersi, chi è il migliore offerente, nonché quando, come, dove e a che prezzo vendersi. È ovvio che però deve tener conto delle leggi del mercato e che ogni donna avrà un diverso grado di successo. È ovvio altresì che non è detto che tutte le donne abbiano le opportune garanzie di successo nel perseguire i propri intenti.
Qui ora non intendo affermare nulla riguardo capacità o incapacità naturali o artificiali di uomini e donne, ma intendo solo esporre la realtà dei fatti come la si vede.
Forse inconsciamente molte donne, e ragazzine in particolare, percepiscono che non ci sono stati dei veri progressi sostanziali verso una parità come la si era prefissata, che i ruoli chiave nella società sono ancora prerogativa degli uomini perché troppo costerebbe alle donne occuparsene in prima persona. E così l’odio (e l’invidia?) verso il genere maschile monta, come attestato da molti siti (http://riotgirls.forumcommunity.net/; http://chiara-di-notte.blogspot.com/; http://blog.libero.it/taniarocha). E che dire del disprezzo che dimostrano e che ben poco le rende onore (http://www.artereale.it/docs/MUSA_LOCANDINA.pdf; http://www.artereale.it/eventi_uomo.html) che nulla ha a che vedere con la grande capacità di ammirare l’altro sesso che gli uomini hanno mostrato nella storia e che mostrano tuttora (http://www.uomini3000.it/495.htm). E gli uomini che fanno loro notare l’amara e dura realtà allora sono tacciati per misogini e maschilisti, magari di avere problemi col genere femminile, oppure, udite udite, di essere (loro) incazzati perché le donne avrebbero “guadagnato” un posto “centrale” nella società (sic!), se non addirittura avrebbero paura o sarebbero frustrati per aver perso (?) una “centralità” che prima avevano. Insomma si ribalta la frittata e, seguendo uno schema classico e puerile, si attribuiscono a questi uomini paure e frustrazioni che invece avvertono a pelle quelle donne.
Dall’altro lato istituzioni e media si sforzano a più non posso di far passare le donne come esseri divini e invincibili a fronte di poveri “maschietti” stupidi e incapaci.
E così ci si ripiega in iniziative faziose e sessiste (http://questionemaschile.forumfree.net/?t=18208676; http://www.uniurb.it/giornalismo/lavori2004/cuccato/Uomini_fuori.htm; http://www.casainternazionaledelledonne.org/) in piagnistei assurdi, deliranti e ripetitivi (http://antifeminist.altervista.org/analisimedia/toilette_svezia.htm; http://antifeminist.altervista.org/notizie/2006/28_12_2006.htm; http://antifeminist.altervista.org/notizie/2007/3_4_2007.htm) perché nient’altro è possibile fare, almeno nel breve periodo, il periodo che serve ai potenti per conservare il potere, ai politici per farsi propaganda, ai media per fare audience, alle varie aziende di attrarre consumatori e alle istituzioni per farsi “belle”.
E sotto la maschera ipocrita di una “parità” fasulla che ormai non c’è più e che è fatta a pezzi dal continuo piagnisteo femminista ormai anacronistico e fuori luogo, aumenta solo l’odio misandrico e il sessismo favoritista verso il sesso femminile.
È ovvio che poi questo odio generi altro odio, e che sempre più uomini, sotto il bombardamento continuo della misandria dilagante e continuamente negata, diventino a loro volta misogini e disprezzino le donne (http://questionemaschile.forumfree.net/?t=14259022), anche se ci sarebbe da dire che il disprezzo manifestato dalla donne, e non solo, verso il sesso maschile difficilmente trova un corrispettivo simmetrico nella misoginia.
Il femminismo odierno è carico di misandria, di odio verso il genere maschile. Molti attribuiscono questa misandria a una spinta innata del genere femminile (contrastare il “costo del maschio”?), altri all’invidia di non esser uomini, come per esempio la classica “invidia penis”, mentre altri, come Warren Farrell, la considerano un qualcosa che è stato indotto dalla società.
Qualche spiraglio di soluzione
Quindi l’attuale sessismo femminista è il risultato di un’evoluzione scontata del movimento femminista o di una degenerazione dovuta al contrasto con le forze di conservazione sociale? Entrambe le affermazioni dicono la stessa cosa. Lo stesso fatto che un movimento che si è occupato fin dall’inizio della questione dei generi abbia assunto il nome di “femminismo” la dice lunga sulla sua parzialità. Così l’esistenza di ruoli specifici di genere nel passato vuol dire che i due sessi avevano delle loro specificità naturali. Ora aldilà della “profondità” e del grado di “dettaglio” che avevano queste specificità, non si può negare che esse fossero comunque idealizzate, standardizzate ed enfatizzate dalle società che hanno preceduto la nostra. Anche l’esistenza di forze sociali conservatrici mostra qualcosa sul modo di essere degli umani. Né si può negare che gli esseri umani siano soggetti a evoluzioni e mutamenti nel corso della storia, e così il modo di essere uomini e di essere donne. L’importante è che questa evoluzione porti a un equilibrio equo, lungi quindi dalla falsa parità odierna.
La falsa parità odierna, che ora vogliamo vederla come un fallimento di un femminismo verace sostituito da un femminismo sessista e frignone o come la rivelazione del vero volto del femminismo, di certo siamo di fronte e un’ipocrita scenografia di rattoppo e mascheramento di una parità che nei fatti non c’è.
Io non so se la parità tra uomini e donne potrà mai esserci, e per parità intendo sia dei diritti che dei doveri, nonché l’abbandono di antichi privilegi, ma so di certo che un abito non lo rendi nuovo con le toppe. Ecco perché, almeno per il momento, alla luce di quanto ha promesso e ancor oggi ipocritamente promette, il femminismo si è rivelato sotto la superficie falsa, quello che realmente è stato finora: un vero e autentico FIASCO!
Per cui la strada verso la parità, semmai questa potrà mai esserci un giorno, non è certo quella femminista. Si Richiede qualcosa di nuovo e più obiettivo, che magari faccia proprie le vere istanze degli individui maschi e femmine e non che si fonda su parametri numerico-quantitativi. Magari la formula per il futuro rapporto tra i generi sarà “Parità nella forma, Equità nella sostanza”, intendendo con questa formula che tutti i cittadini, maschi e femmine, sono posti sullo stesso piano e visti allo stesso modo, pari e uguali, davanti alla legge e ai principi giuridici, ma nel concreto della vita quotidiana dovrà essere l’equità il principio basilare del rapporto tra i sessi. Equità consisterebbe nel fatto che, nell’ambito dei vari rapporti, ognuno dà quanto riceve senza che nessuno ci rimetta. E perché ciò accada non c’è bisogno che le varie parti abbiano gli stessi ruoli e le stesse propensioni, che occupino gli stessi numeri di posti nei vari settori della vita sociale, ma anche con una certa divisione dei ruoli, che potrebbe sorgere in modo del tutto spontaneo nel pieno rispetto delle aspirazioni individuali, può esserci questo “bilanciamento”. Sarebbe a dire che se gli uomini dovranno assumersi loro prevalentemente i mestieri più a rischio e più faticosi è giusto che guadagnino in relazione del rischio e della fatica che essi si assumono. Se pertanto gli uomini guadagnano di più è cosa giusta e buona fintanto che le donne non si assumeranno tali mansioni nello stesse proporzioni con cui se le assumono gli uomini, semmai le donne potranno farlo.
L’equità vuole, infine, il pieno rispetto della libertà del donare. Se la propensione principale degli uomini è il dono questo dono deve essere libero e la scelta della sua concessione deve rientrare nel pieno della libertà dell’individuo e non essere in nessuna maniera imposta. Un dono imposto non è più un dono ma un’estorsione. E inoltre ogni dono deve essere pienamente riconosciuto. Ma anche chi decide di non donare non deve essere sottoposto ad alcun giudizio negativo. Bisogna rispettare chi non vuole donare come ammirare chi dona con intelligenza e disprezzare chi dona con dissennatezza. Perché il dono maschile è qualcosa di prezioso e che va vista come tale e non da buttare via.
Da tenere ovviamente conto che nell’attuale contesto conviene donare il meno possibile, soprattutto alle donne, in quanto già fin troppo favorite e privilegiate a fronte di uomini già fin troppo sobbarcati di oneri e doveri di sorta. Pertanto i doni del terzo tipo, quelli fatti in maniera inconsulta, sono probabilmente la maggioranza, se non addirittura la quasi totalità o addirittura la totalità.
 
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Postato da Giubizza su Il blog di Giubizza il 8/18/2007 12:31:00 PM

 
 
 

Le ragazze italiane

Post n°42 pubblicato il 15 Agosto 2007 da Giubizza


La donna mediterranea, quasi senza eccezione, ha la propria vita orientata nel modo più unilaterale e, diciamo pure, più primitivo verso l’uomo. Noi siamo ben lungi dall’esaltare la donna mascolinizzata o la “compagna”: fatto è però che la donna mediterranea trascura quasi sempre di formarsi una vita propria autonoma, una sua personalità, indipendentemente dalla preoccupazione del sesso, tanto da potersi permettere poi, nel campo del sesso, quella libertà, e mantenere in esso quella spregiudicatezza unita a linea, che si riscontrano, ad esempio, in una berlinese, in una viennese, in una danese.
La vita interiore della gran parte delle nostre ragazze si esaurisce, invece ed appunto, nella preoccupazione pel sesso e per tutto ciò che può servire per ben “apparire” e per attrarre l’uomo nella propria orbita. È così che noi vediamo spesso donne e giovanissime, tenute ancora dalla famiglia in una specie di recinto di protezione, tutte pittate ed attrezzate come, nei paesi del Nord non lo sono nemmeno le professionals. E basta esaminarle un momento per accorgersi che, malgrado tutto, l’uomo e i rapporti con l’uomo sono l’unica loro preoccupazione, tanto più palese, per quanto è mascherata da ogni specie di limitazioni borghesi ovvero da una sapiente, razionalizzata amministrazione dell’abbandono. Al che, subito si aggiungono complicazioni ben comprensibili, data la corrispondente attitudine dell’uomo.
Si può vedere ogni giorno, in una via di grande città, che cosa succede quando una ragazza appena desiderabile passa dinanzi ad un gruppo di giovani: questi la scrutano e la seguono con lo sguardo “intenso”, come se fossero tanti Don Giovanni o degli affamati tornati dopo anni di Africa o di Artide; l’altra mentre nelle pitture, nell’incedere, nelle vesti e così via non fa mistero di tutta la sua qualificazione femminile, affetta un’aria di sovrana indifferenza e di “distacco” (anche quando si tratta di una mezza calzetta, ove sarebbe difficile trovar dell’altro, oltre la qualità biologica di esser nata, per caso, donna); tanto che l’osservatore di simili scenette è portato a chiedersi seriamente se l’una e gli altri non abbiano davvero nulla di meglio da pensare per compiacersi di una simile commedia.
Col carattere immediato e, diciamo pure, grezzo delle sue inclinazioni erotiche, un certo tipo umano, purtroppo da noi molto diffuso, allarma la donna, la mette sulle difese, favorisce ogni specie di complicazioni dannose: dannose, in primo luogo, proprio per lui. La donna, mentre da un lato non pensa che a possibili rapporti con l’uomo e all’affetto che essa può produrre sull’uomo, dall’altro si sente come una specie di preda desiderata e inseguita, che deve star bene attenta ad ogni passo falso e “razionalizzare” adeguatamente ogni relazione ed ogni concessione.
Ma a parte queste circostanze esteriori, di cui ha colpa l’uomo, devesi accusare un atteggiamento effettivamente falso proprio ad un diffuso tipo femminile. Si può affermare che, nel 95% dei casi, una ragazza può aver già detto interiormente “si”, ma che essa si sentirebbe avvilita nel comportarsi risolutamente di conseguenza, senza sottoporre l’uomo a tutta una trafila di complicazioni, ad una via crucis erotico-sentimentale. Temerebbe, altrimenti di non esser considerata come una “persona seria” o “per bene”, laddove da un punto di vista superiore, proprio una tale insincerità e artificialità sono segno di poca serietà. Su base analoga si svolge la prassi ridicola di flirts, il rituale dei “complimenti”, del “fare la corte”, della obbligata “galanteria” del “forse che si, forse che no”. E che in tutto ciò l’uomo non si senta offeso nella sua dignità, quasi come per una prostituzione psichica che, alla fine, dovrebbe fargli chiedere si le jeu vaut la chandelle - ciò dimostra l’influenza che sul nostro sesso hanno componenti razziali poco felici.
Ciò che una donna potrà essere conformisticamente e, diciamo così, su di un piano naturalistico, come “sposa” e “madre”, qui non entra propriamente in discussione. Certo è però che, sotto ogni altro riguardo, la ragazza italiana molto avrebbe bisogno di esser “rettificata” secondo uno stile di sincerità, di chiarezza, di coraggio, di libertà interiore. Cosa naturalmente impossibile, se l’uomo non la aiuti, in primo luogo facendole sentire che, per quanto importanti, amore e sesso non possono avere che una parte subordinata rispetto a più alti interessi; in secondo luogo, smettendola di atteggiarsi continuamente come un Don Giovanni o come una persona, che mai abbia visto una donna: perché, in via normale, dei due è la donna che deve cercare e chiedere l’uomo, non viceversa. 

A cura di Marco De Berardinis
http://www.antropocrazia.com/percorsi_antropocratici/news-Marco/topread.php
E-learning
http://www.antropocrazia.com/MarcoMarcuse/MarcoMarcuse.htm

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Postato da Giubizza su Il blog di Giubizza il 8/15/2007 12:00:00 PM

 
 
 
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